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Lara Trucco

Ammissibilità delle liste elettorali: un chiarimento "una volta per tutte"?*

 

1. Al di là della sua innegabile valenza “politica”, su cui non s’intende qui ulteriormente indugiare [1], il caso originato dalla riammissione con ordinanza emessa dal Consiglio di Stato, in sede cautelare, di una lista in precedenza esclusa [2] – potrebbe davvero costituire  l’occasione per fare chiarezza  – secondo il perentorio auspicio del Viminale – “una volta per tutte”su una questione collegata alla più generale problematica della c.d. “verifica dei poteri” [3], ovvero sia la “verifica dei titoli di ammissione” o, come altrimenti definiti, “atti preparatori” alle elezioni [4].

Se, infatti, può osservarsi come lo sviluppo istituzionale italiano sia stato per lungo tempo egemonizzato dalla considerazione dell’art. 66 Cost. come di una norma riguardante l’intero procedimento elettorale, dandosi per scontata la necessità di (continuare a) salvaguardare la prerogativa parlamentare in questione in nome dell’incondizionata tutela dell’autonomia e indipendenza delle Camere, più di recente, di questo stesso postulato, si è cominciato a porre in dubbio l’assoluta validità, con riferimento almeno alla “fase preparatoria” di verifica appunto dei “titoli di ammissione”. Così, già con riferimento al contenzioso elettorale della tornata elettorale del 2006, poteva ricavarsi [5] un quadro giurisprudenziale nel complesso oscillante ed incerto, se certamente non con riguardo al punto di approdo, costituito, nella maggioranza dei casi, dal riconoscimento del difetto assoluto di giurisdizione da parte dei giudici in materia [6], quanto meno in relazione alle rispettive aree d’intervento e conseguentemente ai reciproci rapporti tra gli organi di garanzia elettorale.

In particolare, sembravano emergere tre diversi approcci:

- uno, maggioritario, fatto proprio dalla Corte di cassazione, che, nell’affermare «la natura amministrativa degli atti degli Uffici elettorali circoscrizionali e centrali», sulla base di una lettura ampia dell’art. 66 Cost., confermava la spettanza esclusiva alle Camere del potere di sindacare la regolarità e la validità degli atti «pertinenti all’intera sequenza procedimentale che dalla presentazione delle liste conduce alla proclamazione degli eletti», comprese le «ricusazioni pronunciate ai sensi dell’art. 22» del T.U. elettorale[7];

- una posizione similare, ma contrassegnata da qualche implicita riserva, del TAR Lazio, in cui, pur non negando l’estensione della verifica dei poteri di ciascuna Camera all’accertamento della legittimità di tutte le operazioni elettorali, il giudice amministrativo teneva a sottolineare comunque le caratteristiche di imparzialità e di indipendenza degli uffici elettorali [8];

- ed infine una terza prospettiva (fino ad allora del tutto minoritaria), esemplarmente abbracciata da una decisione del TAR Catania [9], che, discostandosi decisamente dall’orientamento giurisprudenziale tradizionale, concludeva a favore della spettanza in via esclusiva agli Uffici elettorali del potere di decidere il contenzioso riguardante il «procedimento elettorale preparatorio».

Il giudice amministrativo siciliano perveniva ad una simile conclusione, ponendo particolare attenzione, sotto un profilo “oggettivo”, all’analisi del dato normativo, al fine di dimostrare il mancato conforto, da parte delle fonti di disciplina della materia, della competenza delle Camere anche nelle fasi precedenti la votazione. A ciò si accompagnava poi la valorizzazione del profilo “soggettivo”, consistente nel riconoscimento dell’idoneità degli uffici elettorali a fornire la più adeguata garanzia del corretto svolgimento del procedimento e degli interessi ivi coinvolti (v. infra § 4).

 

2. È noto come tradizionalmente l’ambito della “verifica dei poteri” parlamentare sia giunto a ricomprendere l’intero arco del procedimento elettorale in base ad una peculiare interpretazione dell’art. 66 Cost., cui si collega la ricostruzione della natura degli organi preposti alla verifica e dei loro atti come meramente “amministrativi” [10].

Più in generale, è prevalsa l’idea della necessità di (continuare a) salvaguardare la prerogativa parlamentare in questione – unitariamente intesa – in nome della necessaria autonomia e indipendenza [11]  (cercando semmai di assecondarne la progressiva “giurisdizionalizzazione”, anche introducendo, sin dove possibile, talune garanzie [12], secondo, peraltro, quanto del tutto indirettamente suggerito dalla Corte costituzionale [13]). Sul versante giurisprudenziale ciò si manifestato attraverso l’idea «che le posizioni soggettive fondamentali che hanno rilievo (…) [non erano] prive di tutela nel disegno costituzionale», e la “prassi” degli organi giurisdizionali [14], di mettersi da parte, declinando, pressoché tutti, la propria competenza a favore di quella degli organi parlamentari.

Se pure non mancato chi, nel corso del tempo, alla luce dei limiti e delle contraddizioni che la “verifica dei poteri” andava palesando, nonché in base alle ragioni originarie dell’istituto, ha auspicato il ripensamento dell’intero sistema delle competenze in materia [15], era evidente che, in una situazione apparentemente così irrigidita, un segnale di cambiamento nella direzione di qualche autoriduzione dello spazio politico in sede di verifica dei poteri sarebbe potuto provenire solo dalle stesse Camere.

Così è stato: nella seduta del 9 ottobre 1996, la Giunta delle elezioni della Camera ha ritenuto, «al di fuori, naturalmente, da ipotesi di broglio o di dolo», «escluse dall’ambito di competenza della Giunta le questioni inerenti le ricusazioni di liste e candidature operate dagli organi elettorali, dal momento che il vizio dedotto riguarda un momento della fase preliminare del procedimento elettorale rimesso alla cognizione di organi appositi, e i cui effetti non hanno rilievo nella successiva fase della votazione, se non sulla base di argomentazioni ipotetiche in fatto o di considerazioni di mera legittimità riguardanti il procedimento», mentre, nella seduta del 21 settembre 1999, anche la Giunta del Senato ha considerato «assai dubbio che la competenza degli organi parlamentari si estenda ai ricorsi afferenti la presentazione delle candidature, essendo nella medesima materia previsti dalla legge elettorale una serie di rimedi e di meccanismi di impugnazione»[16].

Tale segnale non ha mancato di riverberare i propri effetti proprio in ordine ai ricorsi avverso atti del procedimento elettorale preparatorio. Può leggersi in questo senso la vicenda legata alla questione di costituzionalità sollevata dal TAR Lazio innanzi alla Corte costituzionale (risolta dalla Corte con l’ord. n. 512 del 2000 nel senso della “manifesta inammissibilità”) in cui il giudice amministrativo aveva denunziato la mancanza di previsioni normative favorevoli alla «possibilità di azione giudiziaria» nei confronti di una «decisione emessa dall’Ufficio centrale nazionale sull’opposizione proposta contro il provvedimento del Ministero dell’interno di ricusazione di un contrassegno elettorale presentato per le elezioni politiche». Mentre più di recente è stata la stessa Corte costituzionale a prendersi a cuore la situazione, rilevando incidentalmente (stante la sua incompetenza a «risolvere conflitti negativi (o positivi) di giurisdizione (art. 362 cod. proc. civ.)»), il rischio di mancanza di tutele nella fase preparatoria al voto, col considerare la posizione assunta in materia dalla Camere alla stregua di una «“definitiva dichiarazione di volontà”, declinatoria della sua giurisdizione» in materia (così nell’ord. n. 117 del 2006). Si noti inoltre come lo “spunto” offerto dalla Corte sia stato colto dal TAR Campania per giustificare la sua eventuale «remissione della questione di costituzionalità per violazione del diritto di difesa alla Corte delle Leggi», se «il recente orientamento assunto dagli organi parlamentari nel senso di escludere la propria competenza sui ricorsi avverso atti del procedimento elettorale preparatorio» dovesse arrivare al punto da «inficiare la univocità della prassi applicativa e quindi da ingenerare un vero e proprio vuoto normativo» [17].

Tutto questo è parso insomma mettere in crisi l’equilibrio formatosi in precedenza, per la preoccupazione indotta dal timore di un vuoto assoluto di giurisdizione nella “fase preparatoria” delle elezioni [18], sì da indurre gli stessi organi giurisdizionali a guardare verso  una «prospettiva di ampliamento della natura giurisdizionale del controllo» all’esterno delle Camere (cfr. infra §3 [19]).

 

3. In tale nuovo orizzonte, stante la peculiare posizione inerziale della Cassazione, sono stati dunque gli organi di giustizia amministrativa ad inserirsi in una traiettoria di movimento: dapprima, in via del tutto interlocutoria da parte dei TAR [20], e, quindi, nella vicenda che qui si commenta, in modo più decisivo, da parte dello stesso Consiglio di Stato nelle ordd. del 1° aprile 2008, ritenendosi che la questione portata alla sua attenzione attenesse all’ammissione delle liste  e non alla verifica dei titoli di ammissione dei componenti delle Camere. Più precisamente, nel rilevare «la questione in esame attiene non alla verifica dei titoli di ammissione dei componenti, riservata ai competenti organi delle camere, ma alla ammissione delle liste» e osservando altresì come «le controversie relative alla fase antecedente le elezioni non trov[i]no disciplina specifica» il Consiglio di Stato ha concluso ritenendo che «tali controversie, in quanto aventi ad oggetto atti amministrativi», rientrano nella giurisdizione del giudice amministrativo [21].

Della problematicità di tale soluzione è stata peraltro offerta subito prova dal contrasto prodottosi tra diverse giurisdizioni amministrativi. Per cui, accanto a chi si è uniformato alla decisione del Consiglio di Stato (come il TAR Umbria, che ha provveduto a riammettere per la sua Regione la lista esclusa dall’Ufficio Elettorale Regionale dell’Umbria [22]), altri ha dato segno di manifestare una certa “resistenza” (si allude alla posizione assunta dal TAR di Palermo, che, pochi giorni dopo la menzionata pronuncia del Consiglio di Stato ha respinto il ricorso presentato (anche in Sicilia) della stessa parte ricorrente contro l’esclusione del simbolo dalla scheda elettorale, rievocando l’idea della riserva “a ciascuna Camera” “della competenza esclusiva in ordine alla verifica di legittimità di tutte le operazioni elettorali" e dunque della propria assoluta carenza di giurisdizione in materia [23]).

Come che sia, al di là delle “tradizionali” ragioni legate al tema della “verifica dei poteri”, a rendere in certo modo precario l’orientamento del Consiglio di Stato sembrerebbe militare particolarmente la mancanza di specifiche previsioni in ordine al sindacato del giudice amministrativo relativamente alla fase preparatoria del procedimento elettorale, soprattutto quando si propenda, come sembra corretto, per l’ascrizione della materia all’ambito dei “diritti soggettivi”. Sotto altro profilo poi, resta la sensazione dell’inidoneità dell’attuale processo amministrativo a soddisfare primordiali esigenze di celerità ed immediatezza in pendenza di elezioni [24].

 

4. Se si condividono questi rilievi, potrebbe riuscirne invece consentita una diversa valutazione del ruolo della delle Sezioni elettorali della Corte di cassazione «nel senso di una loro collocazione all’interno dell’ambito giurisdizionale, almeno per la parte della loro attività relativa alla risoluzione delle controversie sollevate dai ricorsi presentati [25]».

Tale strada, infatti, come s’è già avuto modo di osservare [26], presenterebbe il non trascurabile pregio di valorizzare maggiormente la fase di controllo delle operazioni preliminari, così da permettere di pervenire allo scrutinio con il quadro delle liste ormai compiutamente definito. Se così fosse, nel caso di specie, una “res giudicata” già sussisterebbe, essendo individuabile nella decisione dell’Ufficio Elettorale Centrale Nazionale dell’8 marzo 2008 [27].

Ad una simile ricostruzione si è pero, com’è noto, opposto il rifiuto di ammettere senza riserve la natura autenticamente “giurisdizionale” delle “Sezioni elettorali”della Corte di cassazione, imprescindibile perché esse possano fornire la più adeguata tutela gli interessi in campo [28] , allegandone principalmente,

-         la mancanza di terzietà ed imparzialità,

-         la carenza del contraddittorio,

-         l’inidoneità a produrre un «giudicato», nonché

-         il carattere temporaneo dell’organo

Esemplare in proposito è stata la posizione assunta[29] nel giudizio per conflitto di attribuzione all’origine dell’ord. n. 79 del 2006 contestò davanti alla Corte costituzionale siffatta idoneità, asserendo che «la verifica degli atti preparatori del processo elettorale – comprensiva del controllo in ordine alla esclusione di nuove liste – è priva di tutela giurisdizionale, essendo demandata all’Ufficio elettorale centrale nazionale, che ha natura amministrativa, e alle Camere».

Tuttavia, anche rispetto a questo versante, sembra avvertibile un qualche mutamento di prospettiva. Così, quanto alla “qualità” dell’organo, si è rilevato che «i rispettivi membri sono tutti magistrati e che essi esplicano la loro attività attraverso due gradi di giudizio risultando verosimilmente in grado di garantire la necessaria imparzialità e indipendenza, col fornire un servizio di verifica delle fasi preliminari e delle operazioni preparatorie del procedimento elettorale, che può senz’altro assimilarsi a quello svolto in sede giurisdizionale»[30].

Sul punto del contraddittorio, poi, pur consentendosi che esso non si dispieghi con quella larghezza di scansioni e di mezzi tipiche del processo ordinario, si è pero osservato come sia la stessa normativa (precisamente l’art. 22 del D.P.R. 30 marzo 1957, n. 361), a prescrivere che gli Uffici centrali circoscrizionali debbano riunirsi appositamente «per udire eventualmente i delegati dei candidati delle liste contestate o modificate ed ammettere nuovi documenti nonché correzioni formali e deliberare in merito». A questo riguardo. la stessa norma comproverebbe l’atteggiarsi dell’Ufficio elettorale centrale nazionale come vero e proprio organo di appello, nei confronti delle «decisioni di eliminazione di liste o di candidati», a cui i delegati di lista possono, si badi, «ricorrere» entro 48 ore dalla comunicazione [31].

Sul terzo dei profili sopra citati, riguardante l’inidoneità al «giudicato», si è affremato come il «servizio di verifica delle fasi preliminari e delle operazioni preparatorie del procedimento elettorale» possa senz’altro assimilarsi a quello svolto in sede giurisdizionale, anche se ovviamente conserva una sua propria specificità che lo colloca in un ambito atipico, suscettibile di assumere carattere e consistenza di un tertium genus comparationis, posto tra la funzione amministrativa e quella giurisdizionale in senso stretto, da cui peraltro mutua i rispettivi tratti distintivi configurandosi in definitiva alla stregua di un’attività formalmente amministrativa, ma nella sostanza giurisdizionale o, quanto meno, paragiurisdizionale» [32].

Sembra sia stato però l’ultimo dei profili critici sovra ricordati, relativo alla “precarietà” dell’organo, ad aver maggiormente pesato sul mancato riconoscimento della natura «giudiziale» degli Uffici elettorali, se sol si rammenta come sia stata la stessa Corte costituzionale, nell’ordinanza n. 216 del 1972, a ritenere che gli Uffici elettorali circoscrizionali per l’elezione dei Consigli regionali non potessero essere considerabili alla stregua di «giudici», difettando in essi sia i necessari requisiti oggettivi, dal momento che le funzioni esercitate avrebbero costituito semplicemente una sottofase di «un complesso procedimento al quale, nel suo insieme, non avrebbe potuto in alcun modo riconoscersi natura giurisdizionale né a questa assimilabile»; sia gli altrettanto imprescindibili requisiti soggettivi, trattandosi di organi temporanei, che, «a differenza da quanto per regola generale avviene per gli organi giurisdizionali, ordinari o speciali che siano (…) constano di un numero variabile di membri, rendendo impossibile l’identificazione degli uffici elettorali con l’“ente” presso il quale vengono di volta in volta costituiti, e conseguentemente impedendo di considerarli come «istituzionalmente incardinati nel potere giurisdizionale dello Stato».

Ora, anche a voler tacere della diversità di fattispecie (esulante dalle elezioni politiche), non si può mancare di considerare come la successiva evoluzione abbia reso meno “robusto” questo tipo di argomentazione, dal momento che la Corte costituzionale non ha poi manifestato alcun dubbio circa la natura «giurisdizionale» dell’Ufficio centrale per il referendum (cfr. ord. n. 343 del 2003), organo sulla cui fisionomia è indubitabilmente calcata quella dell’Ufficio elettorale nazionale, e che, al pari di quest’ultimo, viene per così dire «attivato» in particolari occasioni «procedimentali» ai sensi dell’art. 12 della legge n. 352 del 1970 «presso la Corte di Cassazione».

 

5. La conclusione della vicenda che ha suggerito queste rapide osservazioni è, nel momento in cui scrive, nelle mani delle Sezioni unite della Corte di Cassazione, essendo esse state adite dall’Avvocatura dello Stato, su impulso del Ministero dell’Interno, in sede di regolamento preventivo di giurisdizione [33], sì che la pronuncia del TAR Lazio (sul merito della questione sulla quale esso si è visto censurare in sede di appello il proprio diniego di sospensiva) potrebbe persino presentare un interesse relativo nel caso fosse “sovrastata” dalla decisione della Cassazione [34].

Certo, la Cassazione potrebbe decidere di (continuare a) sbarrare ogni possibile intervento da parte di organi che non siano le stesse Camere, sancendo così il mantenimento dello status quo. Ma anche questa soluzione foriera di non trascurabili interrogativi di rilievo istituzionale di fronte alla constatazione che l’«evoluzione dei modelli costituzionali in tema di verifica dei poteri sembra essere generalmente diretta verso un progressivo abbandono di quella che è stata la soluzione tradizionalmente più diffusa, consistente nell’attribuzione allo stesso Parlamento del giudizio sui titoli di ammissione dei propri componenti» a tutto vantaggio di organi diversi, per lo più “giurisdizionali” (nel senso tecnico del termine) [35]. Sicché il mantenimento di tale soluzione si porrebbe in netta controtendenza rispetto a quanto avviene nelle maggiori democrazie europee, tanto da indurre lo stesso OSCE, nel rapporto riguardante le elezioni politiche italiane del 2006, a sottolineare l’opportunità di prevedere «measures to provide for impartial and timely resolution of electoral disputes, including the possibilità of an appeal to a court», «Notwithstanding the constitutional basis for the existing complaint procedure» [36].

Da questo punto di vista, alle Sezioni Unite è dunque offerta un’occasione tanto imprevedibile quanto favorevole per convincersi ad abbracciare la soluzione consistente nel configurare la natura a tutti gli effetti “giurisdizionale” degli “uffici elettorali” e la loro esclusiva competenza a giudicare sulla “verifica dei titoli di ammissione”[37], alla stregua peraltro di quanto suggerito dalla giurisprudenza amministrativa [38], nel pieno rispetto di quanto consentito dal quadro costituzionale e normativo vigente e sviluppandone anzi le potenzialità democratiche e garantiste.

 

 

 



* In esito alla vicenda qui commentata è stata pronunciata dalla Corte di cassazione Sezioni Unite Civili la sentenza 8 aprile 2008, n. 9151.

[1] Della vicenda, infatti, si sono ampiamente occupate tutti gli organi di informazione con ciò in inducendo forse un certo “recupero” del tempo di campagna elettorale perduto dalla lista protagonista del caso.

[2] Le origini della vicenda, a ben vedere, vanno individuate all’“alba” del maggioritario, quando, nel gennaio del ’94, il Consiglio Nazionale della Democrazia Cristiana cambiò il proprio nome divenendo Partito Popolare Italiano e da esso sorsero dapprima il Ccd e quindi il Cdu (destinati a legare i propri destini nell’Udc). Accanto a questi ultimi partiti rimasero tutta una serie di parti politiche, “residui” della DC, i cui contrasti per l’utilizzo di nome e simbolo presero, a seconda delle varie fase politiche (ed in particolare dell’appartenenza o meno alla medesima coalizione nonché dalla scelta di utilizzare altre denominazioni), ad essere attutiti o, a seconda delle diverse fasi politiche, riaccesi.

Di recente ciò ha dato origine ad una controversia su cui è intervenuto il Tribunale di Roma con una sentenza del 15 settembre 2006 (in https://www.democraziacristiana.org/_Nebula/Documents/Sentenza%20trib.%20civile%20Roma%2015.09.06%20bis.pdf ) di condanna del CDU «a cessare ogni molestia nei confronti dell’attore in ordine all’uso in qualunque sede del nome Democrazia Cristiana e del simbolo costituito da uno scudo crociato con scritta Libertas», considerando che nel gennaio del ’94 il Consiglio Nazionale della Dc non aveva i poteri per cambiare nome al partito, perché solo il congresso avrebbe potuto farlo. Quindi il Partito Popolare da cui era sorto il CDU «non era affatto il partito della Democrazia Cristiana, ma altro soggetto giuridico», e perciò non avrebbe potuto «disporre del patrimonio altrui», a differenza dell’originaria “Democrazia cristiana” che, sola, poteva dirsi “titolare” di nome e simbolo.

Diversamente sono andate le cose nel caso di specie, in cui, nell’ambito del procedimento elettorale è stato il Viminale, rilevando la possibile confusione tra simboli, ad invitare la “Democrazia Cristiana” a sostituire il proprio contrassegno. Contro tale richiesta il partito ha quindi presentato opposizione all’Ufficio elettorale Nazionale (secondo quanto previsto dal T.U. elettorale), rivolgendosi al contempo al giudice amministrativo per ottenere in via cautelare l’ammissione del proprio simbolo alle elezioni. Sul primo versante l’Ufficio elettorale Nazionale con una decisione dell’8 marzo 2008 ha rigettato l’opposizione, condividendo la valutazione del Viminale circa la “confondibilità” del simbolo e, a fronte di questa, la prevalenza del contrassegno dell’UDC «in quanto utilizzato tradizionalmente dal suddetto partito già da tempo in Parlamento, mentre analoga presenza non è riferibile al contrassegno dell’opponente, con il quale non è stato eletto nessun parlamentare, nella precedente legislatura, in cui quella formazione politica ha bensì partecipato ma con un diverso simbolo, interno ad un contrassegno appartenente al C.O.D.A.C.O.N.S. che ha – esso – conseguito un seggio al Senato».

Dal canto suo, anche il TAR Lazio ha respinto la domanda incidentale di sospensione, ritenendo non adeguatamente comprovati «i necessari requisiti posti a fondamento della domanda cautelare proposta ed, in particolare, quello del fumus boni juris» tenendo a rilevare «che gli atti impugnati attengono a fasi di un procedimento, che, introdotto con l’indizione dei comizi elettorali, risulta estraneo alla giurisdizione del giudice amministrativo» (Così TAR Lazio, sez. II bis, ord. n. 1618 del 20 marzo 2008). Tuttavia, di diverso avviso si è dimostrato il Consiglio di Stato nelle ordd. nn. 1743 e 1744/2008 del 1° aprile 2008 la V sez., che, ravvisandone gli estremi, ha accolto l’istanza cautelare avanzata (e disattesa) in primo grado dalla “Democrazia cristiana” disponendo «l’ammissione della lista appellante alla consultazione elettorale del 13-14 aprile 2008» in Lazio ed in Campania.

In attesa della pronuncia del TAR Lazio (fissata l’8 aprile), il Viminale si è rivolto alle Sezioni Unite della Cassazione per regolamento di giurisdizione, appellandosi altresì al Consiglio di Stato perché revochi la propria decisione.

Nel medesimo tempo ha paventato come possibile il rinvio delle elezioni, non essendoci il tempo necessario per ristampare tutte le schede elettorali col “nuovo” simbolo (ciò che, peraltro, non risolverebbe il problema derivante dal fatto che determinate votazioni, all’estero, sono già in svolgimento). Per prosieguo v. ultima nota.

[3] Sul tema della “verifica dei poteri” la bibliografia è copiosa, ci limitiamo a menzionare: P. Virga, La verifica dei poteri, Palermo, 1949; L. Elia, Elezioni politiche (contenzioso), in Enciclopedia del diritto, XIV, Roma, 1965; A. Manzella, La prerogativa della verifica dei poteri, in Il Regolamento della Camera dei deputati. Storia, istituti, procedure, 1968; C. Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, I, Padova, 1975; M.L. Mazzoni Honorati, Osservazioni sulla verifica dei poteri in Francia, Gran Bretagna, Germania federale e Italia, in Riv. trim. dir. pubbl., 1983, n. 4; V. Lippolis, Commento dell’art. 66 Cost., in Commentario della Costituzione, a cura di G. Branca (proseguito da A. Pizzorusso), Bologna, 1986; V. Di Ciolo, L. Ciaurro, Elezioni. Elezioni politiche: contenzioso, in Enc. giur., XII, Roma, 1989; M. Midiri, Cause di ineleggibilità e garanzie nel procedimento parlamentare di verifica delle elezioni, in Giur. cost., 1990, n. 3; V. Crisafulli, L. Paladin, (a cura di), Art. 66, in Commentario breve alla Costituzione, Padova, 1990; C. De Cesare, Verifica dei poteri, in Enc. Giur., vol. XXXII, Roma, 1994; G. Lasorella, Parlamento: la verifica dei poteri alla prova del nuovo sistema elettorale: nuove vicende e antiche perplessità, in Quad. cost., 1996, n. 2; I. Nicotra Guerrera, La verifica dei poteri e diritto alla difesa nel contenzioso elettorale politico, in Studi parlamentari e di politica costituzionale, 1997, n. 115; C.P. Guarini, Contraddittorio e trasparenza nel nuovo regolamento della verifica dei poteri, in Rass. Parl., 1999, n. 3.

[4] Così D. Dionisi che segue con attenzione questi temi sul sito https://www.iuritalia.it/

[5] Ci si consenta di rinviare a L. Trucco, Contenzioso elettorale e verifica dei poteri tra «vecchie» - ma mai superate - e «nuove» questioni, in Rass. Parl. 2006, pp. 814 ss.

[6] Per quanto riguarda la giurisdizione ordinaria v. cfr. Corte Cass., n. 2036/1967, cit.; Corte Cass. 9 giugno 1997 n. 5135, in Mass. giur. it., 1997; e Corte Cass., sez. un., 22 marzo 1999, n. 172, cit. Nello stesso senso, tra i giudici di merito, Trib. L’Aquila, 4 maggio 1963, in Foro it., 1963, I, 1798; Pret. Torino, 4 aprile 1992, in Nuovo dir., 1992, 681.; tra le pronunce dei giudici amministrativi, citiamo da ultimo Cons. Stato, ord. n. 1386 del 21 marzo 2006; Cons. Stato, ord. n. 1463 del 28 marzo 2006; TAR Lazio, II-bis, ord. n. 1573 del 16 marzo 2006; TAR Sicilia, Catania, I, ord. nn. 547-548 del 24 marzo 2006; TAR Palermo, sez. I, sent. n. 903 del 21 aprile 2006; TAR Lazio, sent. 8 giugno 2006 (su ricorso n. 3907); lo stesso TAR Catania, sent. n. 629 del 22 aprile 2006 di cui si parlerà nel prosieguo conclude rilevando il difetto di giurisdizione del Giudice amministrativo; meno di recente, tra gli altri, TAR Sicilia, sez. I, ord. n. 172 del 10 marzo 1994; TAR Calabria, n. 417 del 29 marzo 1994; TAR Catania, n. 1727 del 6 agosto 1994. Tutte le pronunce dei giudici amministrativi che citiamo sono reperibili, tra l’altro, in https://www.giustizia-amministrativa.it/. Interessante al proposito Cons. Stato, commiss. spec. n. 1052 del 25 ottobre 2000 (in Cons. Stato, 2001, I, 486), in cui viene negato che possa costituire oggetto di parere del Consiglio di stato tutto ciò che Costituzione, legge e regolamenti attribuiscono in via esclusiva alle Camere.

[7] Una puntuale manifestazione del primo approccio, si riscontra nelle decisioni n. 8118 e 8119 del 2006 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione Cfr. Cass., Sezz. un. civ, sentt. nn. 8118/2006 e 8119/2006 cit.

[8] In questo senso v. TAR Lazio, sez. II-bis, sentt. del 20 aprile 2006 (sui ricorsi nn. 2319/2006, 2358/2006 e 2360/2006).

[9] Così TAR Catania, sent. n. 629 del 22 aprile 2006 (per un primo commento a cui, v. A. Cariola, L’ammissione delle liste elettorali alla ricerca di un giudice in https://www.giustizia-amministrativa.it/documentazione/Cariola_Ammissione_liste_elettorali.htm).

[10] Così già negli anni sessanta la Corte di Cassazione ebbe modo di affermare il carattere amministrativo degli uffici elettorali e dei provvedimenti che essi emettono, sottraendoli conseguentemente al ricorso per Cassazione (cfr. Corte Cass, sez. I, n. 2382 del 29 agosto 1963, in Foro amm. I, p. 27; e sez. un. civ, del 31 luglio 1967, n. 2036, in Foro amm., 1968, I., p. 20). Tale orientamento è stato successivamente mantenuto, tra l’altro, dalle sez. un. civ., 22 marzo 1999, n. 172 (in Giust. civ., 1999, I, p. 2327), secondo cui gli uffici elettorali sono «organi amministrativi temporanei facenti parte della pubblica amministrazione dello Stato», e da ultimo confermato, dalle decisioni n. 8118 e 8119 del 2006 cit.

[11] V. l’attenta analisi al proposito di M.L. Honorati Mazzoni, Osservazioni sulla verifica dei poteri in Francia, Gran Bretagna, Germania Federale e Italia, in Riv. trim. dir. pubbl., 1983, p. 1412.

[12] Ci si riferisce, in particolare al tentativo esperito dalla commissione bicamerale D’Alema (su cui si rinvia a P. Costanzo, in P. Costanzo - G.G. Ferrari - G.G. Floridia - R. Romboli E S. Sicardi, La Commissione bicamerale per le riforme costituzionali: i progetti, i lavori, i testi approvati, Padova 1998, 412 e 426).

[13] Ci riferiamo a Corte cost., sent. 27 dicembre 1965, n. 93 che, seppure riguardo alle analoghe funzioni «d’antica tradizione» un tempo esercitate dai consigli comunali e provinciali, rilevò nell’occasione la necessità che in queste situazioni non vi fossero incertezze derivanti dalla laconicità delle norme impugnate, dovendo queste offrire e suggerire «garanzie per l’imparzialità del giudicante», a pena della violazione dell’art. 108, 2° co. Cost.

[14] Esprimono quest’ordine di considerazioni, in particolare, le Cass., Sezz. un. civ, nelle sentt. nn. 8118 e 8119 del 6 aprile 2006.

[15] Tra gli altri cfr. P. Virga, La verifica dei poteri, Palermo, 1949 p. 9; A. Manzella, La prerogativa della verifica dei poteri, in Il Regolamento della Camera dei deputati, Storia, istituti, procedure, Roma, 1968, p. 191; V. Lippolis, Commento all’art. 66 Cost., in Commentario alla Costituzione (a cura di G. Branca, proseguito da A. Pizzorusso), Bologna-Roma, 1986, p. 234.

[16] Sulle fonti e prassi delle Camere in materia v. G. Piccirilli, Contenzioso elettorale politico e verifica dei poteri: riflessioni sulla effettività delle tutele procedimentali, in Rass. Parl. 2006, spec. pp. 802 e ss.

[17] Così TAR Campania, sez. di Salerno, ord. n. 59 del 20 marzo 2008.

[19] V. nota n. 19.

[20] In particolare (prima delle ordd. del Consiglio di Stato del 1° aprile 2008) il TAR Catania, nella sent. n. 629/2006 cit. e il TAR Campania, sez. di Salerno, nell’ord. n. 59/2008; contra, da ultimo TAR Campania, sez. II, sent. n. 1614 del 27 marzo 2008.

[21] A sostegno di questa lettura la Sezione ha addotto l’ord. n. 218/2006 del Consiglio di giustizia amministrativa della regione siciliana, richiamata già dal TAR Catania, nella sent. n. 629/2006, cit. Soprattutto, si è riferito alla decisione della Corte costituzionale n. 117/2006, in risposta, si direbbe, al giudice delle leggi, che ivi aveva ritenuto che «la “definitiva dichiarazione di volontà”, declinatoria della sua giurisdizione» sulla “verifica dei titoli di ammissione” , fosse stata emessa (oltre che dalla Camera dei Deputati), anche della giurisdizione amministrativa (scrive la corte: «ed altrettanto deve dirsi, evidentemente, di quella espressa dal Giudice amministrativo»).

[22] Così TAR Umbria, ord. n. 49 del 2 aprile 2008.

[23] Per vero nel momento in cui si scrive la decisione non è ancora disponibile. Abbiamo notizia della pronuncia da parte dei quotidiani (v. sul web https://www.siciliainformazioni.com/giornale/politica/13966/sicilia-contro-pizza-respinto-ricorso.htm).

[24]  Come dimostrerebbe, del resto, la vicenda in parola, la cui definizione potrebbe avvenire ben oltre la data di svolgimento del voto.

[25] Così G. Piccirilli, Contenzioso elettorale politico e verifica dei poteri: riflessioni sulla effettività delle tutele procedimentali, cit. p. 807.

[26] Cfr. L. Trucco, Contenzioso elettorale e verifica dei poteri tra «vecchie» - ma mai superate - e «nuove» questioni, cit. p. 818.

[27] Di rigetto dell’opposizione avverso il provvedimento di sostituzione del contrassegno del 3 marzo 2008 del Ministero dell’Interno, presentata dalla “Democrazia Cristiana”.

[28] Così già Elia considerava la “giurisdizionalizzazione” «l’elemento decisivo per spossessare il Parlamento di questa sua prerogativa» (L. ELIA, Elezioni politiche (contenzioso), cit., p. 750).

[29] Dalla lista della «Rosa nel Pugno».

[30] Cfr. Tar Lazio, sentt. del 20 aprile 2006, cit.

[32] Cfr. Tar Lazio, sentt. del 20 aprile 2006, cit.

[33] Da notare che il Ministero dell’Interno non si era costituito in giudizio, volendo, forse, così manifestare la sua volontà di rimanere neutrale alla vicenda. Del resto era imprevedibile, dato l’orientamento giurisprudenziale in materia (v. nota n. 6) che il Consiglio di Stato ponesse mano a una decisione di questo genere, ammettendo in via cautelare la lista.

[34] Mentre sul piano politico, il Ministro Amato parrebbe dare il massimo rilievo all’eventuale accoglimento del ricorso, nel merito, del TAR Lazio, collegando a tale eventualità il possibile rinvio delle elezioni (v.lo tra l’altro in https://www.ansa.it/site/notizie/awnplus/topnews/news/2008-04-02_102175779.html).

[35] V. al proposito l’approfondita analisi di G. Piccirilli, Contenzioso elettorale politico e verifica dei poteri: riflessioni sulla effettività delle tutele procedimentali, cit. pp. 793 ss.; v. altresì le riflessioni in proposito di P. Costanzo, La verifica dei poteri un privilegio parlamentare sempre meno convincente, ibidem, p. 783

[36] Così l’Office for democratic institutions and human rights (OSCE), in Italy. Parliamentary elections 9-10 April 2006. Election Assessment Mission Report, 9-10 aprile 2006, Varsavia, giugno 2006 (in questo caso riteniamo che la versione inglese (in https://www.osce.org/documents/odihr/2006/06/19409_en.pdf , p. 20) renda meglio l’idea di quella italiana (in https://www.osce.org/documents/odihr/2006/06/19409_it.pdf , p. 24).

[37] Ciò posto, resta irrisolto il problema di come far fronte alla situazione che si è venuta a creare, visto e considerato che il “regolamento di giurisdizione” segue i termini del giudizio ordinario, rendendo (anche in questo caso) del tutto verosimile l’evenienza che la pronuncia della Cassazione arrivi ad elezioni ormai svolte.

A meno di non volersi ammettere “revisioni” di quanto verrà espresso nelle urne il 13 e 14 aprile prossimi, o della res giudicata, le Sezioni Unite potrebbero mettere mano ad una, invero problematica, pronuncia “manipolativa”, valevole solo per il futuro, oppure guardare “al passato”, “confermando” la decisione dell’Ufficio elettorale centrale dell’8 marzo cit.

L’alternativa è il rinvio delle elezioni in attesa del formarsi del giudicato. In questo caso, peraltro, al già di per sé problematico intervento, per decretazione d’urgenza, su di una materia particolarmente delicata come quella elettorale (un precedente, che però riguardava elezioni amministrative, è dato dal d.l. n. 710/1977; a proposito della decretazione d’urgenza in materia elettorale ci si consenta di rinviare al L. Trucco, Dai terremoti del 1968 alla soppressione delle sottoscrizioni nel 2008: l’espansione della decretazione d’urgenza in materia elettorale, in corso di pubblicazione), si aggiungerebbe quello ancor più “drammatico” (per riprendere l’espressione di V. Onida, Si può cambiare data se il caso è drammatico, su La Stampa di giovedì 3 aprile, p. 7), di vera e propria deroga di quanto sancito dall’art. 61 Cost., ai sensi del quale: «Le elezioni delle nuove Camere hanno luogo entro settanta giorni dalla fine delle precedenti». Per cui, onde ripristinare la “legalità costituzionale”, si prefigurerebbe il ricorso a quella soluzione apicale configurata dalla più autorevole dottrina (F. Sorrentino, in Le fonti del diritto, Genova, pp. 98-99, che però parrebbe fare riferimento ad una situazione di “grave emergenza” di “ordine pubblico”, più che di “ordine istituzionale”) della conversione del decreto legge per tramite di una legge costituzionale (da parte, s’intende, delle nuove Camere).