Ordinanza n. 186 del 2021

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ORDINANZA N. 186

ANNO 2021

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giancarlo CORAGGIO

Giudici: Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SANGIORGIO,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito delle declaratorie di inammissibilità e/o improponibilità, da parte della V Commissione permanente (Bilancio) del Senato e del Presidente del Senato, degli emendamenti identificati al n. 5.1 (Testo 3)/200, relativamente all’A.S. n. 1786, al n. 4.0.4., relativamente all’A.S. n. 1883, al n. 22.0.29, relativamente all’A.S. n. 1994, e al n. 4.0.1, relativamente all’A.S. n. 2133, promosso da Elio Lannutti, nella qualità di senatore, con ricorso depositato in cancelleria il 29 aprile 2021 ed iscritto al n. 2 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2021, fase di ammissibilità.

Udito nella camera di consiglio del 7 luglio 2021 il Giudice relatore Silvana Sciarra;

deliberato nella camera di consiglio dell’8 luglio 2021.

Ritenuto che, con ricorso depositato in data 29 aprile 2021, il senatore Elio Lannutti ha promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, ai sensi dell’art. 134 della Costituzione, nei confronti del Senato della Repubblica, in persona del Presidente in carica, e della V Commissione permanente (Bilancio) del Senato, in persona del Presidente in carica;

che il ricorrente lamenta la menomazione del suo «diritto-potere di presentare emendamenti ai disegni di Legge che siano oggetto di discussione nel merito in Commissione o in Aula, in qualità di rappresentante della Nazione senza vincoli di mandato ex art. 67 Cost.», per effetto delle immotivate e ingiustificate declaratorie di inammissibilità e/o improponibilità, da parte della V Commissione permanente (Bilancio) del Senato e del Presidente del Senato, degli emendamenti proposti dal medesimo senatore e identificati al n. 5.1 (Testo 3)/200, relativamente all’A.S. n. 1786, al n. 4.0.4., relativamente all’A.S. n. 1883, al n. 22.0.29, relativamente all’A.S. n. 1994, e infine al n. 4.0.1, relativamente all’A.S. n. 2133;

che, in particolare, secondo il ricorrente, l’emendamento n. 5.1 (Testo 3)/200, proposto in sede di conversione del decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28 (Misure urgenti per la funzionalità dei sistemi di intercettazioni di conversazioni e comunicazioni, ulteriori misure urgenti in materia di ordinamento penitenziario, nonché disposizioni integrative e di coordinamento in materia di giustizia civile, amministrativa e contabile e misure urgenti per l’introduzione del sistema di allerta Covid-19), per aggiungere all’art. 5, dopo il comma 1-bis, la previsione dell’aumento di due anni dell’età di collocamento d’ufficio a riposo per raggiunti limiti di età, «dei magistrati ordinari, amministrativi, contabili, militari, degli avvocati e procuratori dello Stato in servizio alla data del 1° maggio 2020, nonché dei medici e chirurghi universitari ed ospedalieri che, alla stessa data, esercitano attività clinica presso strutture pubbliche o convenzionate con il servizio sanitario nazionale», sarebbe stato dichiarato inammissibile in aula, durante la seduta n. 230 del 17 giugno 2020, in maniera del tutto immotivata, in violazione degli artt. 97 e 100 del Regolamento del Senato, secondo cui il Presidente del Senato può dichiarare l’inammissibilità degli emendamenti proposti solo ove il loro contenuto si ponga in contrasto con deliberazioni già adottate dal Senato sull’argomento nel corso della discussione, ovvero sia privo di ogni reale portata modificativa;

che il ricorrente assume, inoltre, che l’emendamento n. 4.0.4., presentato in occasione del procedimento di conversione in legge del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76 (Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale), per l’introduzione di un art. 4-bis, contenente una previsione analoga a quella di cui all’emendamento già richiamato (inerente al trattenimento in servizio di medici, magistrati, avvocati e procuratori dello Stato), è stato dichiarato dapprima inammissibile dalla V Commissione permanente (Bilancio), senza giustificazione, in quanto l’asserita assenza della relazione tecnica si sarebbe rivelata infondata e comunque irrilevante, dato che l’emendamento non apportava alcun aggravio di tipo finanziario, nonché poi inammissibile (recte: improponibile) dal Presidente del Senato in aula, durante la seduta n. 254 del 4 settembre 2020, in violazione di quanto stabilito dall’art. 97 del Regolamento del Senato, non essendo tale emendamento estraneo all’oggetto della discussione, né formulato in termini sconvenienti;

che anche la declaratoria di improponibilità dell’emendamento n. 22.0.29, di contenuto identico ai precedenti, volto a inserire, in sede di conversione in legge, l’art. 22-bis al decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137 (Ulteriori misure urgenti in materia di tutela della salute, sostegno ai lavoratori e alle imprese, giustizia e sicurezza, connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), sarebbe stata pronunciata in aula dal Presidente del Senato in violazione dell’art. 97 del Regolamento del Senato, in quanto il contenuto del citato emendamento sarebbe stato pertinente all’oggetto della discussione in aula, mirando ad assicurare «misure idonee a garantire un riequilibrio delle carriere», considerato «il rischio di diffusione e contrazione del virus Covid-19», ma anche «le gravi difficoltà sistematiche ed economiche scaturite a causa della pandemia»;

che, infine, anche con riferimento all’emendamento 4.0.1., presentato in sede di conversione del decreto-legge 13 marzo 2021, n. 31 (Misure urgenti in materia di svolgimento dell’esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio della professione di avvocato durante l’emergenza epidemiologica da COVID-19), sempre inerente all’aumento di due anni dell’età di collocamento d’ufficio a riposo di medici, magistrati, procuratori e avvocati dello Stato, sia la declaratoria di inammissibilità resa dalla V Commissione permanente del Senato, sia la declaratoria di improponibilità resa dal Presidente del Senato sarebbero state adottate in assenza di motivazione, essendo erronea l’affermazione dell’assenza della relazione finanziaria e della sua necessità, nonché priva di fondamento la pretesa non pertinenza dell’emendamento rispetto alla fattispecie oggetto di discussione in aula;

che, in sostanza, il senatore Lannutti si duole che tutti i citati emendamenti siano stati dichiarati talora inammissibili, talora improponibili senza alcuna motivazione, senza, cioè, che ve ne fossero i presupposti giustificativi in base al Regolamento del Senato;

che, pertanto, il ricorrente lamenta che, in tal modo, si sarebbe determinata la palese menomazione della propria sfera di attribuzioni costituzionali di cui agli artt. 67, 70 e 71 Cost.;

che sussisterebbero nella specie tutti i presupposti per ritenere ammissibile il conflitto, in linea con la giurisprudenza costituzionale che, a partire dall’ordinanza n. 17 del 2019, ha riconosciuto al singolo parlamentare sia in qualità di rappresentante della Nazione (art. 67 Cost.), sia quale protagonista principale nell’esercizio della funzione legislativa delle Camere (artt. 70 e 71 Cost.), la titolarità di una serie di attribuzioni proprie, che si estrinsecano non solo nella presentazione di progetti di legge e nella partecipazione ai lavori delle commissioni parlamentari, bensì anche nelle proposte emendative;

che, infatti, la legittimazione del ricorrente risiederebbe nella sua titolarità del potere di emendamento, che implicherebbe il rispetto di guarentigie costituzionali imprescindibili, come il diritto di conoscere le motivazioni delle eventuali declaratorie di improponibilità e inammissibilità rese dal Presidente dell’aula o della commissione ovvero non conseguenti a una discussione in assemblea;

che, secondo il senatore ricorrente, tale potere sarebbe stato gravemente menomato, in quanto gli emendamenti proposti sarebbero stati dichiarati inammissibili o improponibili senza alcuna motivazione e senza che vi fosse una reale portata giustificativa sottesa a tali dichiarazioni di improponibilità/inammissibilità, in contrasto con le previsioni del Regolamento del Senato;

che, quindi, il ricorrente chiede che venga accertata e dichiarata la menomazione del suo diritto di presentare emendamenti ai disegni di legge e che, di conseguenza, vengano annullate le declaratorie di inammissibilità e improponibilità dei citati emendamenti.

Considerato che il senatore Elio Lannutti ha promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato in riferimento alle declaratorie di inammissibilità e di improponibilità di quattro emendamenti, di contenuto sostanzialmente identico, presentati dal medesimo senatore in sede di conversione in legge di quattro distinti decreti-legge;

che tali declaratorie sarebbero state adottate dalla V Commissione permanente (Bilancio) del Senato e dal Presidente della medesima assemblea senza alcuna motivazione e in violazione dei presupposti di fatto e di diritto individuati dalle norme del Regolamento del Senato, in particolare dagli artt. 97 e 100;

che, secondo il ricorrente, con l’impedire la discussione in commissione e in aula dei citati emendamenti, senza addurre ragione alcuna, si sarebbe perpetrata la menomazione di una sua specifica attribuzione, di cui, in qualità di parlamentare rappresentante della Nazione (art. 67 Cost.), è titolare, attribuzione consistente nel potere di emendamento, da intendersi incluso nel potere di iniziativa (art. 71 Cost.), e che è esercitato sia in aula sia in commissione (art. 72 Cost.);

che, pertanto, il senatore ricorrente chiede a questa Corte di accertare l’avvenuta menomazione del suo potere di emendamento e, conseguentemente, di annullare le impugnate declaratorie di inammissibilità e improponibilità;

che, in questa fase del giudizio, la Corte è chiamata a deliberare, ai sensi dell’art. 37, primo e terzo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), in sede di sommaria delibazione, l’ammissibilità del ricorso, per valutare, senza contraddittorio, se sussistano i requisiti soggettivo e oggettivo di un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, e dunque a decidere se il conflitto insorga tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono, per la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali (da ultimo, ordinanza n. 66 del 2021);

che questa Corte, con l’ordinanza n. 17 del 2019, ha riconosciuto, quanto al profilo soggettivo, l’esistenza di un complesso di prerogative del singolo parlamentare, diverse e distinte da quelle di cui dispone in quanto componente dell’assemblea, che gli spettano come singolo rappresentante della Nazione, individualmente considerato, sicché nell’esercizio delle stesse egli esprime una volontà in sé definitiva e conclusa, che soddisfa quanto previsto dall’art. 37, primo comma, della legge n. 87 del 1953;

che tali prerogative «si esplicitano anche nel potere di iniziativa, testualmente attribuito “a ciascun membro delle Camere” dall’art. 71, primo comma, Cost., comprensivo del potere di proporre emendamenti, esercitabile tanto in commissione che in assemblea (art. 72 Cost.)» (ordinanza n. 17 del 2019);

che, quanto al profilo oggettivo, questa Corte ha altresì precisato che «non possono trovare ingresso nei giudizi per conflitto di attribuzioni fra poteri dello Stato le censure che riguardano esclusivamente violazioni o scorrette applicazioni dei regolamenti parlamentari e delle prassi di ciascuna Camera (tra le altre, sentenza n. 9 del 1959 e, più recentemente, ordinanza n. 149 del 2016)» (ordinanza n. 17 del 2019), ma solo quelle inerenti a vizi che determinano violazioni manifeste delle prerogative costituzionali dei parlamentari;

che, in linea generale, affinché si riscontri la materia del conflitto, occorre che si lamenti la violazione di norme costituzionali attributive di specifici poteri al soggetto ricorrente;

che, quanto ai singoli parlamentari, ciò comporta che sugli stessi incombe l’onere di allegazione e deduzione della violazione di una propria attribuzione, da individuare puntualmente, parallelamente agli atti o comportamenti asseritamente lesivi, e fondata sulle norme della Costituzione, mentre resta riservato alle assemblee parlamentari il giudizio relativo all’interpretazione e applicazione delle sole norme e delle prassi regolamentari;

che, nella specie, sebbene il ricorrente denunci la menomazione del potere di emendamento, di cui è titolare in quanto rappresentante della Nazione, senza vincolo di mandato, e invochi gli artt. 67, 71 e 72 Cost., egli sviluppa le censure lamentando essenzialmente la violazione degli artt. 97 e 100 del Regolamento del Senato, là dove individuano i criteri per le declaratorie di inammissibilità e improponibilità degli emendamenti;

che, in particolare, il ricorrente contesta che gli emendamenti presentati in sede di conversione dei decreti-legge fossero estranei alla materia fatta oggetto di discussione in aula e, quindi, improponibili, ai sensi dell’art. 97 del Regolamento, come ritenuto dal Presidente del Senato, e contesta anche che determinassero un aumento di spesa, tanto da rendere necessaria la relazione finanziaria, secondo la prassi parlamentare, come assunto dalla V Commissione permanente (Bilancio);

che, dunque, alla luce della prospettazione del ricorso, la menomazione lamentata dal ricorrente attiene all’interpretazione e alle modalità di applicazione di norme e prassi regolamentari inerenti alla presentazione e discussione degli emendamenti;

che, come questa Corte ha già avuto modo di chiarire, a ciascuna Camera è riconosciuta e riservata la potestà di disciplinare, tramite il proprio Regolamento, il procedimento legislativo «in tutto ciò che non sia direttamente ed espressamente già disciplinato dalla Costituzione» (sentenza n. 78 del 1984);

che, entro questi limiti, le vicende e i rapporti attinenti alla disciplina del procedimento legislativo «ineriscono alle funzioni primarie delle Camere» (sentenza n. 120 del 2014) e rientrano, per ciò stesso, nella sfera di autonomia che a queste compete (ordinanza n 149 del 2016);

che, dunque, il presente conflitto, nei termini in cui è stato prospettato, «non attinge al livello del conflitto tra poteri dello Stato, la cui risoluzione spetta alla Corte costituzionale» (ordinanze n. 366 del 2008 e n. 90 del 1996), perché le argomentazioni addotte nel ricorso attengono esclusivamente alla violazione di norme del Regolamento del Senato e della prassi parlamentare, senza che sia dimostrata una manifesta lesione delle attribuzioni costituzionali invocate;

che, pertanto, il ricorso deve ritenersi inammissibile.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, promosso dal senatore Elio Lannutti nei confronti del Senato della Repubblica e della V Commissione permanente (Bilancio) del Senato, indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’8 luglio 2021.

F.to:

Giancarlo CORAGGIO, Presidente

Silvana SCIARRA, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 23 settembre 2021.