Ordinanza n. 366 del 2008

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ORDINANZA N. 366

ANNO 2008

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Giovanni Maria        FLICK                    Presidente

- Francesco               AMIRANTE              Giudice

- Ugo                        DE SIERVO                  "

- Paolo                      MADDALENA              "

- Alfio                       FINOCCHIARO            "

- Alfonso                   QUARANTA                 "

- Franco                    GALLO                        "

- Luigi                       MAZZELLA                  "

- Gaetano                  SILVESTRI                   "

- Sabino                    CASSESE                     "

- Maria Rita               SAULLE                       "

- Giuseppe                 TESAURO                    "

- Paolo Maria             NAPOLITANO             "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di ammissibilità del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri in relazione al decreto del Ministro di grazia e giustizia del 10 luglio 1971, con il quale la competenza a legalizzare le firme sugli atti e documenti formati nello Stato e da valere all’estero davanti ad Autorità estere, attribuita al Ministero di grazia e giustizia dall’art. 17, primo comma, della legge 4 gennaio 1968, n. 15, modificato dall’art. 4, primo comma, della legge 11 maggio 1971, n. 390, è delegata ai Procuratori della Repubblica presso i Tribunali nella cui giurisdizione territoriale gli atti medesimi sono formati, e alla circolare dello stesso Ministro n. 1/1-36(65) 705 del 6 febbraio 1978 – avente ad oggetto la Convenzione riguardante l’abolizione della legalizzazione degli atti pubblici stranieri, adottata a l’Aja il 5 ottobre 1961, ratificata con legge 20 dicembre 1966, n. 1253 – con cui è stata attribuita alle Procure della Repubblica la competenza a deliberare le apostille, promosso con ricorso della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Pistoia, depositato in cancelleria il 21 maggio 2008 ed iscritto al n. 13 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2008, fase di ammissibilità.

Udito nella camera di consiglio dell’8 ottobre 2008 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano.

Ritenuto che, con ricorso datato 15 maggio 2008 e depositato nella cancelleria della Corte  il successivo 21 maggio, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Pistoia ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, sia in relazione al decreto dell’allora Ministro di grazia e giustizia del 10 luglio 1971, con cui è stata delegata ai Procuratori della Repubblica la competenza a legalizzare le firme sugli atti e i documenti formati nello Stato e da valere all’estero davanti ad autorità estere, sia in relazione alla circolare  dello stesso Ministro del 6 febbraio 1978, prot. n. 1/1-36 (65) 705, con la quale si è attribuita alle Procure della Repubblica la competenza a deliberare le apostille;

che il presente giudizio è volto ad ottenere l’annullamento dei predetti atti, «previa declaratoria di non spettanza al Ministero di Grazia e Giustizia del potere di delegare alle Procure della Repubblica l’attività di legalizzazione e di apporre le apostille»;

che  il ricorrente, in fatto, riassume brevemente come si  sarebbe giunti all’emanazione del censurato decreto con cui è stata delegata, dall’allora Ministro di grazia e giustizia,  tale competenza alle Procure della Repubblica;

che, in particolare, riferisce che l’impugnato decreto ministeriale è stato emanato dall’allora Ministro di grazia e giustizia, in base a quanto disposto dall’art. 4 – recte: dall’art. 17, primo comma – della legge 4 gennaio 1968, n. 15 (Norme sulla documentazione amministrativa e sulla legalizzazione e autenticazione di firme), come modificato dall’art. 4 della legge 11 maggio 1971, n. 390 (Modifiche ed integrazioni alla legge 4 gennaio 1968, n. 15, contenente norme sulla documentazione amministrativa e sulla legalizzazione ed autenticazione di firme), ed ora recepito dall’art. 33, comma 1, del d.P.R. 28 dicembre del 2000, n. 445, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa», testo unico  abrogativo della legge n. 15 del 1968;

che, in base a tale disposizione, l’allora Ministro di grazia e giustizia, con decreto del 10 luglio 1971, delegava ai Procuratori della Repubblica la competenza a legalizzare le firme sugli atti e documenti formati nello Stato e da valere all’estero, competenza, sino a tutt’oggi, propria delle Procure della Repubblica;

che, in relazione, poi, alla Convenzione adottata a l’Aja il 5 ottobre 1961 (ratificata con legge 20 dicembre 1966, n. 1253, recante “Ratifica ed esecuzione della Convenzione riguardante l’abolizione della legalizzazione di atti pubblici stranieri, adottata a l’Aja il 5 ottobre 1961”), l’allora Ministro di grazia e giustizia ugualmente, con  la circolare del 6 febbraio 1978, prot. n. 1/1 – 36(65) 705, delegava ai Procuratori della Repubblica la competenza a rilasciare le «apostille» per attestare la veridicità della firma o l’identificazione del contrassegno o del timbro che contrassegna il documento, in quanto «funzionari incaricati della legalizzazione delle firme ai sensi della legge 1968 n. 15»;  

che, ritenendo tali atti lesivi di proprie prerogative costituzionali, e lamentando la violazione degli artt. 104 e 112 della Costituzione, la Procura  di Pistoia ha promosso il presente conflitto;

che, per quanto concerne l’ammissibilità del conflitto, la Procura della Repubblica rileva, preliminarmente, sotto il profilo soggettivo, come la giurisprudenza  della Corte abbia riconosciuto tanto la propria legittimazione attiva (sentenze n. 26 del 2008; n. 150 e n. 132 del 1981; n. 231 del 1975), quanto quella passiva del Presidente del Consiglio dei ministri (ordinanza n. 221 del 2004) e, come, poi, in ordine al termine per proporre ricorso, la Corte  abbia ritenuto non esistere un termine finale per sollevare conflitti di attribuzione tra poteri data l’esigenza, avvertita dal legislatore, «di favorirne al massimo la composizione» (sentenza n. 116 del 2003);

che, entrando, quindi, nel merito, la Procura ricorrente – ricostruito sinteticamente l’istituto della legalizzazione, il quale, a suo giudizio, deve essere classificato  come «un atto amministrativo dichiarativo di certazione» – conclude nel senso che il Ministro è venuto a delegare alle Procure della Repubblica, alle quali l’art. 112 Cost. riserva l’esercizio dell’azione penale, una competenza amministrativa;

che, sempre a detta del ricorrente, tale delega sarebbe stata, per di più, conferita con un provvedimento amministrativo puntuale e concreto, quale l’impugnato decreto del 10 luglio 1971, non avente natura normativa, in quanto privo dei requisiti  della generalità ed astrattezza;

che, dunque,  viene promosso  conflitto di attribuzione perchè si contesta che l’allora Ministro di grazia e giustizia potesse delegare un’attività amministrativa ad un soggetto appartenente alla Magistratura, «ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere» ai sensi dell’art. 104 Cost, e tanto più alle Procure della Repubblica, le quali, ai sensi dell’art. 112 Cost., esercitano l’azione penale, potendo il Ministro stesso delegare tale attività solo ad organi amministrativi centrali o periferici del medesimo Ministero o ad altri organi della pubblica amministrazione;

che, del resto, secondo il ricorrente, la ratio dell’art. 4 della legge n. 390 del 1971 è quella di riconoscere a tutti i Ministeri che hanno tra le proprie attribuzioni quella di «formazione di atti e documenti che possono avere una destinazione estera» la facoltà di operare una «delega interorganica e intersoggettiva», conseguentemente possibile solo nei confronti di organi della pubblica  amministrazione;

che, quindi, sempre secondo il ricorrente, non  risultando l’ufficio del pubblico ministero un organo e neppure un’autorità amministrativa, ma un soggetto appartenente alla Magistratura, il quale non perde questa sua connotazione soggettiva neanche quando viene a svolgere funzioni non giurisdizionali nei casi previsti dall’art. 73 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, ne deriva che «il Ministero di giustizia», nel delegare alle Procure l’attività di legalizzazione in oggetto avrebbe compiuto «un atto abnorme»;

che, prosegue il ricorrente, tale abnormità sarebbe stata, poi, reiterata dallo stesso Ministero con l’emanazione della circolare del 6 febbraio 1978, prot. n. 1/1 – 36(65) 705;

che, specificamente, poi, per quanto riguarda la violazione dell’art. 104 Cost., il ricorrente – dopo aver qualificato il conflitto sollevato come rientrante tra quelli cosiddetti per menomazione o interferenza – lamenta che, con gli atti impugnati, l’allora Ministro di grazia e giustizia verrebbe ad assoggettare le Procure della Repubblica, per effetto della delega, ad un potere di direttiva (circa gli atti da compiere) e di controllo con poteri di sostituzione nei casi di inerzia, nonché di annullamento degli atti compiuti in sede di autotutela;

che, conseguentemente, con i provvedimenti impugnati, il «Ministero di Giustizia», avendo costituito un rapporto di controllo e di interferenza sui «magistrati del pubblico ministero», avrebbe oltrepassato i limiti segnati dagli artt. 107, secondo comma, e 110 Cost., venendo ad interferire e a menomare la funzione che la Costituzione assegna al pubblico ministero, minando anche l’autonomia e l’indipendenza garantita dall’art. 104 della Costituzione;

che sarebbe stato, altresì, violato, con gli atti impugnati, l’art. 112 Cost., in quanto l’attribuzione della potestà di legalizzazione «distoglie le Procure dall’esercizio dell’azione penale, competenza che la Costituzione conferisce al pubblico ministero configurandola, peraltro, come obbligatoria»;

che, segnala ancora il ricorrente, il procedimento di legalizzazione comporta possibili responsabilità penali per il pubblico ministero (ex art. 479 del codice penale) e civili per il Ministro della giustizia, il quale potrebbe, a sua volta, «mediante l’esercizio dell’azione contabile», rivalersi nei confronti del pubblico ministero;

che, infine, la Procura di Pistoia ritiene ammissibile il presente conflitto, in quanto la fattispecie di cui trattasi sarebbe parzialmente difforme da quelle che hanno dato origine a precedenti decisioni della Corte (ordinanze n. 84 e n. 86recte: 87 – del 1978), con le quali è stata dichiarata l’inammissibilità di conflitti di attribuzione in casi apparentemente simili a quello in esame; 

che, in ogni caso, prosegue la Procura ricorrente, il conflitto viene promosso nella convinzione che la Corte costituzionale addivenga, nel caso di specie, ad un «auspicato revirement», sulla base della considerazione che la garanzia costituzionale dell’indipendenza dei giudici non debba  riguardare solo l’esercizio della funzione giurisdizionale;

che, pertanto, la ricorrente Procura chiede che, «previa declaratoria della non spettanza al Ministero di Grazia e Giustizia del potere di delegare alla Procure della Repubblica l’attività di legalizzazione e di apporre le apostille», la Corte costituzionale «[v]oglia annullare il decreto 10 luglio 1971  e la circolare n. 1/1 – 36(65) del 6-2-1978». 

Considerato che, in questa fase del giudizio, a norma dell'art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, la Corte costituzionale è chiamata a deliberare, senza contraddittorio, circa l'esistenza o meno della «materia di un conflitto la cui risoluzione spetti alla sua competenza»;

 che, sotto il profilo soggettivo, la giurisprudenza costituzionale è costante nel ritenere legittimati ad essere parti di conflitti di attribuzione i singoli organi giurisdizionali, in relazione al carattere diffuso che contrassegna il potere di cui fanno parte e alla loro competenza a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono, ma limitatamente all'esercizio dell'attività giurisdizionale assistita da garanzia costituzionale (ordinanze n. 338 del 2007; n. 340 e n. 244 del 1999; n. 87 del 1978);

che, nel caso di specie, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Pistoia è manifestamente priva di legittimazione attiva, in quanto né l’attività di legalizzazione, né quella di apposizione delle apostille, delegate alle Procure della Repubblica, possono essere riconnesse all’esercizio della funzione giurisdizionale, trattandosi di funzioni meramente amministrative;

che il ricorso è inammissibile anche per carenza del requisito oggettivo, in quanto la controversia relativa all’annullamento di atti che non riguardano il potere di giudicare – quali qulli relativi alle attività che l’allora Ministero di grazia e giustizia ha delegato alle Procure della Repubblica con il decreto ministeriale del 10 luglio 1971  e la circolare ministeriale n. 1/1 – 36(65) del 6 febbraio 1978 – trova la sua  disciplina in norme di carattere  organizzativo e ordinamentale, e,  non toccando la delimitazione della sfera di attribuzioni determinate da norme costituzionali, «non attinge al livello del conflitto tra poteri dello Stato, la cui risoluzione spetta alla Corte costituzionale» (ordinanza n. 90 del 1996);

che, dunque, non sussiste neppure il requisito oggettivo della esistenza della materia del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato;

che, pertanto, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile, ai sensi dell'art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Pistoia nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 novembre 2008.

F.to:

Giovanni Maria FLICK, Presidente

Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 7 novembre 2008.