Sentenza n. 64 del 2021

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SENTENZA N. 64

ANNO 2021

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giancarlo CORAGGIO

Giudici: Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 20, comma 1, della legge della Regione Emilia-Romagna 19 dicembre 2002, n. 37 (Disposizioni regionali in materia di espropri), promosso dalla Corte di cassazione, sezione prima, nel procedimento vertente tra D. Z. e altri e la Provincia di Reggio Emilia, con ordinanza del 15 gennaio 2020, iscritta al n. 88 del registro ordinanze 2020 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 29, prima serie speciale, dell’anno 2020.

Visto l’atto di intervento della Regione Emilia-Romagna;

udita nella camera di consiglio del 24 febbraio 2021 la Giudice relatrice Emanuela Navarretta;

deliberato nella camera di consiglio del 25 febbraio 2021.

Ritenuto in fatto

1. La prima sezione della Corte di cassazione, con ordinanza del 15 gennaio 2020 (r.o. n. 88 del 2020), ha sollevato, in via incidentale, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 20, comma 1, della legge della Regione Emilia-Romagna 19 dicembre 2002, n. 37 (Disposizioni regionali in materia di espropri), in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 117, terzo comma, della Costituzione.

La Corte di cassazione sospetta che la norma censurata violi gli evocati parametri nella parte in cui stabilisce che, ai fini della determinazione dell’indennità di espropriazione, «la possibilità legale di edificare è presente nelle aree ricadenti all’interno del perimetro del territorio urbanizzato individuato dal PSC (Piano Strutturale Comunale), ai sensi dell’articolo 28, comma 2, lettera d)», della legge della Regione Emilia-Romagna 24 marzo 2000, n. 20 (Disciplina generale sulla tutela e l’uso del territorio), «oltre che nelle aree cui è riconosciuta dalle previsioni del POC» (Piano Operativo Comunale).

2.– Espone il rimettente che la vicenda, che ha dato origine al giudizio a quo, prende avvio nel 2008, quando la Provincia di Reggio Emilia decideva di potenziare un polo scolastico già esistente, con l’ampliamento delle relative strutture; pertanto, avviava una procedura espropriativa per l’acquisizione di un fondo, sino ad allora avente destinazione in parte a zona agricola a valenza paesaggistica, in parte ad infrastrutture per la viabilità ed in parte a verde di ambientazione stradale e ferroviaria.

A tal fine, il 22 settembre 2008 il Comune di Reggio Emilia deliberava una variante al Piano Regolatore Generale (PRG). Quest’ultimo veniva, poi, sostituito dal Piano Strutturale Comunale (PSC), dal Piano Operativo Comunale (POC) e dal Regolamento Urbanistico ed Edilizio (RUE), in conformità a quanto disposto dalla legge reg. Emilia-Romagna n. 20 del 2000.

La variante al PRG del 2008 veniva, quindi, confermata dal PSC, che ricomprendeva l’area da espropriare nel perimetro del territorio urbanizzato.

A seguito all’approvazione, in data 15 novembre 2011, del progetto definitivo dell’opera con espressa dichiarazione di pubblica utilità, la Provincia di Reggio Emilia, quale ente espropriante, offriva ai proprietari una indennità provvisoria non accettata; in data 8 aprile 2013 veniva, infine, emesso il decreto di esproprio.

3.– Le questioni sottoposte al suo esame, prosegue il giudice a quo, riguardano la determinazione dell’indennità di espropriazione dovuta a D. Z., G. D. P. e D. C.

3.1.– Tale indennità era stata quantificata, dapprima, da una terna arbitrale, ai sensi dell’art. 21 del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità (Testo A)», che l’aveva stimata in euro 1.810.896,63, sul presupposto dell’apprezzata vocazione edificatoria dei terreni ablati, in quanto rientranti nel perimetro del territorio urbanizzato, in base al PSC.

3.2.– Di seguito, tale entità veniva ridotta dalla Corte d’appello di Bologna nella minore somma di euro 668.725,00, in ragione della ritenuta natura agricola delle aree espropriate. In particolare, la Corte d’appello aveva escluso che l’art. 20, comma 1, della legge reg. Emilia-Romagna n. 37 del 2002 potesse automaticamente attribuire vocazione edificatoria a tutti i terreni ricompresi nel perimetro urbanizzato, ed aveva affermato, viceversa, che, coordinando tale disposizione regionale con l’art. 32, comma 1, del d.P.R. n. 327 del 2001, dovesse escludersi la vocazione edificatoria dei terreni ablati, in quanto dotati di edificabilità solo per effetto del vincolo espropriativo (cosiddetto lenticolare) diretto alla realizzazione dell’opera pubblica.

3.3.– Contro la decisione della Corte d’appello, i proprietari espropriati si rivolgevano alla Corte di cassazione, adducendo tre motivi di ricorso.

Con il primo motivo, deducevano la violazione e falsa applicazione dell’art. 20, comma 1, della legge reg. Emilia-Romagna n. 37 del 2002, rilevando che la Corte d’appello aveva fornito un’interpretazione erronea della norma.

Con il secondo motivo, lamentavano la violazione degli artt. 32, comma 1, 37, comma 3, e 40 del d.P.R. n. 327 del 2001, adducendo che le aree ablate sarebbero rientrate in una zona residenziale di espansione, nella quale l’attività edificatoria finalizzata alla realizzazione di attrezzature scolastiche sarebbe stata consentita anche all’iniziativa privata.

Infine, con il terzo motivo, contestavano la violazione e falsa applicazione degli artt. 21, comma 12, e 54 del d.P.R. n. 327 del 2001, perché la Corte d’appello avrebbe dovuto dichiarare l’inammissibilità dell’opposizione, ove avesse correttamente interpretato l’art. 25, comma 2, lettera b), della legge reg. Emilia-Romagna n. 37 del 2002, che definisce «arbitraggio» la stima dei periti di cui all’art. 21 del d.P.R. n. 327 del 2001.

3.4.– Il giudice rimettente considera di carattere pregiudiziale quest’ultimo motivo e lo rigetta, ritenendo che debba essere, comunque, garantita la facoltà di impugnare dinanzi all’autorità giudiziaria la stima effettuata dai tecnici, onde poter consentire una determinazione giudiziale dell’indennità.

Successivamente, esamina il primo motivo e con riferimento ad esso solleva le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 20, comma 1, della legge reg. Emilia-Romagna n. 37 del 2002.

4. In punto di rilevanza delle questioni, il giudice a quo osserva che «solo la caducazione della normativa regionale censurata consentirebbe di tenere ferma, pur con diversa motivazione […] l’ordinanza impugnata. La reiezione delle questioni di legittimità costituzionale si tradurrebbe in una pronuncia di accoglimento del presente ricorso».

5. Quanto alla non manifesta infondatezza, la Corte di cassazione precisa, in premessa, che l’espropriazione costituisce un istituto ‘trasversale’, «servente e strumentale ad ogni interesse pubblico cui risulti funzionale l’acquisizione di un bene, come tale oggetto di disciplina dello Stato e delle Regioni nelle materie in cui tali enti hanno potestà legislativa». Tra queste, rilevano principalmente l’urbanistica ed il governo del territorio, che si aggiungerebbero, nel caso di specie, alla materia – anch’essa concorrente – dell’istruzione.

5.1. A parere del giudice a quo, le norme che disciplinano, a livello nazionale, la determinazione dell’indennità di espropriazione costituiscono principi fondamentali della materia del governo del territorio e le Regioni a statuto ordinario devono esercitare la potestà legislativa concorrente nel rispetto di tali principi.

In particolare, il legislatore nazionale individua, quale principale criterio per determinare la destinazione urbanistica del terreno espropriato su cui commisurare l’indennità, quello dell’edificabilità legale (art. 37, comma 3, del d.P.R. n. 327 del 2001). Quest’ultima, a sua volta, dipende da come l’area venga classificata dagli strumenti urbanistici, in vigore al momento della vicenda ablativa; inoltre, è condizionata «dai vincoli di qualsiasi natura non aventi natura espropriativa [e non deve risentire de]gli effetti del vincolo preordinato all’esproprio e [di] quelli connessi alla realizzazione dell’opera pubblica» (artt. 32, comma 1, e 37, commi 3 e 4, del d.P.R. n. 327 del 2001).

Tali principi risulterebbero derogati, in contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost., dalla disposizione regionale impugnata che, ai soli fini della determinazione dell’indennità di espropriazione, estenderebbe la nozione di edificabilità legale oltre l’ambito consentito dal legislatore nazionale e per il solo fatto che l’area di pertinenza del fondo ricada all’interno del perimetro del territorio urbanizzato, quale individuato da uno strumento di mera programmazione generale (il PSC).

5.2.– L’art. 20, comma 1, della legge reg. Emilia-Romagna n. 37 del 2002 contrasterebbe, inoltre, secondo il rimettente, anche con l’art. 3, primo comma, Cost. sotto due distinti profili.

In primo luogo, l’indiscriminata attribuzione del carattere di edificabilità legale comporterebbe «una irragionevole quantificazione “al rialzo” della indennità medesima all’interno dei confini della Regione Emilia-Romagna rispetto al restante territorio nazionale, ogni qualvolta i terreni medesimi siano privi di effettiva vocazione edificatoria». Si determinerebbe così un vulnus al principio di eguaglianza formale e allo statuto unitario della proprietà, inficiato relativamente ad «un aspetto rilevante quale quello attinente [al]la nozione di “giusta indennità” ex art. 834 cod. civ.». Sotto questo profilo, l’art. 3, primo comma, Cost. si coordinerebbe con l’art. 117, terzo comma, Cost., rappresentando – la disciplina sull’indennità di espropriazione – un limite imposto dal diritto privato alle materie di legislazione concorrente, vòlto ad impedire al legislatore regionale di incidere sugli assetti dominicali interessati dall’intervento autoritativo.

In secondo luogo, il principio di eguaglianza formale sembrerebbe violato anche nella prospettiva dell’ingiustificata equiparazione di situazioni giuridiche diverse: la norma regionale assicurerebbe, infatti, il medesimo ristoro economico ai proprietari di immobili aventi diversa destinazione urbanistica, e perciò diverso valore di mercato, solo perché ricompresi nel perimetro del territorio urbanizzato individuato dal PSC. Tale assimilazione risulterebbe «in sé irrazionale, in quanto si po[rrebbe] in contrasto con il citato principio di eguaglianza nella sua declinazione “in negativo”».

5.3.– Il giudice rimettente ritiene, dunque, che la Corte d’appello di Bologna abbia errato nell’attribuire al PSC natura di mero strumento di delimitazione dell’ambito territoriale all’interno del quale le amministrazioni locali possono riconoscere, a mezzo degli strumenti di pianificazione urbanistica generale, la facoltà di edificare. I contenuti letterali e l’interpretazione sistematica suggerirebbero, infatti, che la disposizione individui direttamente il criterio di quantificazione dell’indennità di esproprio, in modo incompatibile con i principi fondamentali dettati dalla legislazione nazionale e, di riflesso, con il vigente assetto costituzionale.

6.– È intervenuta nel giudizio la Regione Emilia-Romagna, che ha chiesto di dichiarare l’inammissibilità o, comunque, la non fondatezza delle questioni.

6.1.– Secondo la difesa regionale, «nel caso in esame la destinazione dell’area era la risultante di un vincolo a carattere espropriativo c.d. “lenticolare”», che, pertanto, non andava considerato, in base alle disposizioni del d.P.R. n. 327 del 2001, ai fini della determinazione dell’indennità di esproprio, dovendosi fare riferimento alla destinazione nel PRG precedente alla variante del 2008.

Il giudice a quo, viceversa, avrebbe omesso un’interpretazione della norma integrata con le disposizioni statali sulla determinazione dell’indennità di esproprio. Pertanto – conclude la difesa – poiché «la ricomprensione dell’area nel territorio urbanizzato individuato dal PSC […] non è null’altro, esattamente, che un’operazione e un effetto successivo e conseguente all’apposizione del vincolo e all’intendimento della Provincia di Reggio Emilia di realizzare nell’area in questione una scuola pubblica», l’applicazione dell’art. 32, comma 1, del d.P.R. n. 327 del 2001 avrebbe evidenziato il carattere ininfluente – nella valutazione della determinazione dell’indennità di esproprio – dell’inserimento dell’area all’interno della zona urbanizzata.

Da ciò, la difesa regionale deduce, inoltre, che l’art. 20, comma 1, della legge reg. Emilia-Romagna n. 37 del 2002 non produca gli effetti irragionevoli e costituzionalmente illegittimi ravvisati dal giudice rimettente e chiede, pertanto, che le questioni siano dichiarate non fondate.

Prima ancora, la difesa regionale considera inammissibili le questioni di legittimità costituzionale, perché la Corte di cassazione avrebbe potuto tentare un’interpretazione adeguatrice della disposizione. Dal momento che la ratio della legge reg. Emilia-Romagna n. 37 del 2002 non sarebbe stata quella di approvare una autonoma disciplina regionale in materia di espropriazione per pubblica utilità, bensì quella di «armonizzare la disciplina prevista dal decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327 […] con la legislazione regionale in materia di pianificazione territoriale ed urbanistica», in coerenza con le disposizioni contenute nel Titolo V della parte II della Costituzione (art. 1 della legge reg. Emilia-Romagna n. 37 del 2002), la previsione impugnata avrebbe potuto essere interpretata in maniera integrata con gli artt. 32 e 37 del d.P.R. n. 327 del 2001.

A conferma di tale lettura, la difesa regionale segnala l’art. 33 della legge reg. Emilia-Romagna n. 37 del 2002, che non include tra le norme che non trovano più applicazione gli artt. 32 e 37 del d.P.R. n. 327 del 2001, i quali, pertanto, per esplicita indicazione del legislatore regionale, continuerebbero a regolare la materia.

Inoltre, il censurato art. 20 non presenterebbe una completa ed analitica elencazione di tutti gli strumenti che possono conferire l’edificabilità legale, bensì opererebbe «la trasposizione, nel nuovo ordinamento regionale, del riferimento al “piano urbanistico generale”, centrale nel sistema del D.P.R. n. 327 del 2001, specificando che la funzione dello stesso sarebbe stata svolta in parte dal PSC e in parte dal POC».

Considerato in diritto

1.– La prima sezione della Corte di cassazione ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 20, comma 1, della legge della Regione Emilia-Romagna 19 dicembre 2002, n. 37 (Disposizioni regionali in materia di espropri), in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 117, terzo comma, della Costituzione.

La norma censurata violerebbe gli evocati parametri nella parte in cui stabilisce che, ai fini della determinazione dell’indennità di espropriazione, la possibilità legale di edificare è presente nelle aree ricadenti all’interno del perimetro del territorio urbanizzato individuato dal PSC (Piano Strutturale Comunale), ai sensi dell’articolo 28, comma 2, lettera d), della legge Regione Emilia-Romagna 24 marzo 2000, n. 20 (Disciplina generale sulla tutela e l’uso del territorio), oltre che nelle aree cui è riconosciuta dalle previsioni del POC (Piano Operativo Comunale).

1.1.– Secondo il rimettente, la norma censurata, in considerazione del suo tenore letterale e della collocazione sistematica, riconoscerebbe il requisito dell’edificabilità legale, ai fini della determinazione dell’indennità di espropriazione, in via automatica, alla sola condizione dell’inserimento delle aree nel perimetro del territorio urbanizzato. Di conseguenza, il giudice a quo ravvisa una violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione agli artt. 32, 37 e 40 del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità (Testo A)», evocati quali principi fondamentali della materia del governo del territorio.

Inoltre, l’art. 20, comma 1, della legge reg. Emilia-Romagna n. 37 del 2002 contrasterebbe con l’art. 3, primo comma, Cost. sotto due distinti profili. Innanzitutto, determinerebbe una irragionevole quantificazione della indennità medesima all’interno dei confini della Regione Emilia-Romagna rispetto al restante territorio nazionale. Inoltre, comporterebbe l’ingiustificata equiparazione di situazioni giuridiche diverse: la norma regionale assicurerebbe, infatti, il medesimo ristoro economico ai proprietari di immobili aventi diversa destinazione urbanistica, e perciò diverso valore di mercato, solo perché ricompresi nel perimetro del territorio urbanizzato individuato dal PSC.

2. La Regione Emilia-Romagna, intervenuta in giudizio, ha eccepito l’inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale per omesso previo esperimento dell’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione impugnata, interpretazione che, in alternativa, – secondo la difesa regionale – giustificherebbe, comunque, una pronuncia di non fondatezza. Una lettura della disposizione regionale che non la sostituisse alle disposizioni statali sulla determinazione dell’indennità di espropriazione, ma che operasse un mero coordinamento ermeneutico fra queste ultime e la legge reg. Emilia-Romagna n. 20 del 2000, che ha introdotto i nuovi strumenti di pianificazione urbanistica, consentirebbe di superare i dubbi di legittimità costituzionale. La norma, infatti, avrebbe inteso solo richiamare le principali fattispecie nelle quali i Piani urbanistici comunali conferiscono l’edificabilità alle aree, limitandola, per quanto attiene alle possibili previsioni del PSC, al campo del territorio urbanizzato, senza con questo voler prescindere dall’applicazione dei principi generali che, a livello nazionale, escludono in talune ipotesi, comunque, l’edificabilità legale (art. 37, comma 4, del d.P.R. n. 327 del 2001).

3. L’eccezione di inammissibilità non è fondata.

La Corte di cassazione dà implicitamente atto di ritenere non percorribile l’interpretazione costituzionalmente orientata, là dove espone le ragioni per le quali non condivide la ricostruzione offerta dalla Corte d’appello di Bologna che, in concreto, quel tipo di itinerario seguiva. Si legge, in particolare, nell’ordinanza di rimessione, in replica all’interpretazione del giudice di merito, che «i contenuti letterali dell’articolo 20 della legge n. 37 del 2002, dove in esordio si [usa l’espressione] “Ai fini della determinazione dell’entità di esproprio”, e la sua sistematica […] indicano invece che le disposizioni assolvono [proprio] la diversa finalità di diretta individuazione del criterio di quantificazione della indennità di esproprio».

Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, ove il rimettente abbia, come nel caso di specie, considerato la possibilità di una interpretazione idonea a eliminare il dubbio di legittimità costituzionale, ma l’abbia motivatamente esclusa, la valutazione sulla correttezza o meno dell’opzione ermeneutica riguarda non già l’ammissibilità delle questioni sollevate, bensì il merito (sentenze n. 168, n. 158, n. 118, n. 50 e n. 11 del 2020).

4. Nel merito le questioni non sono fondate nei termini di seguito specificati.

4.1. Occorre premettere che, se l’art. 20, comma 1, della legge reg. Emilia-Romagna n. 37 del 2002 venisse interpretato assumendo che il legislatore regionale avesse inteso attribuire, in via di assoluto automatismo, il carattere della edificabilità legale ad un’area per il suo mero inserimento nel perimetro urbanizzato, la norma si porrebbe, in effetti, in contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto non rispetterebbe i principi fondamentali della materia concorrente del governo del territorio, di cui in particolare agli artt. 32 e 37 del d.P.R. n. 327 del 2001.

Infatti, la disciplina a livello nazionale dei criteri per la determinazione della giusta indennità e, in specie, la definizione dei presupposti che regolano l’edificabilità legale, vale a dire una qualità del bene che ne condiziona intrinsecamente il valore, si ergono al rango di principi fondamentali della materia (come si inferisce dalle sentenze n. 147 del 1999, n. 80 del 1996, n. 153 del 1995 e n. 283 del 1993, nonché dalle ordinanze n. 366 del 2003 e n. 444 del 2000). Tali aspetti della normativa attengono ad un profilo essenziale dello statuto della proprietà (sentenza n. 5 del 1980), che non tollera, in linea con l’art. 3 Cost., irragionevoli disparità di trattamento sul territorio nazionale (sentenza n. 73 del 2004; nello stesso senso, sentenze n. 159 del 2013, n. 295 del 2009 e n. 352 del 2001).

In definitiva, la disciplina dei presupposti di edificabilità legale esprime un principio fondamentale della materia del governo del territorio che «non può ignorare “ogni dato valutativo inerente ai requisiti specifici del bene”, né può eludere un “ragionevole legame” con il valore di mercato» (sentenza n. 338 del 2011) ed esige «un’attuazione uniforme su tutto il territorio nazionale» (sentenze n. 147 del 1999 e n. 153 del 1995).

4.2. Ciò premesso, il coordinamento della norma censurata con i principi fondamentali della materia del governo del territorio si può desumere in via interpretativa.

In particolare, se è vero – come rileva il giudice rimettente – che la disposizione testualmente assegna alla perimetrazione della zona urbanizzata da parte del PSC il compito di individuare, ai fini dell’indennizzo, le aree con edificabilità legale, tuttavia, la norma, specie alla luce del canone dell’interpretazione sistematica, non lascia trapelare un carattere esclusivo ed assorbente di tale criterio. A ben vedere, infatti, la stessa previsione immediatamente successiva a quella censurata, vale a dire l’art. 21 della legge reg. Emilia-Romagna n. 37 del 2002, confuta tale assolutezza, in quanto regola ipotesi di inedificabilità assoluta che riguardano le stesse aree ricomprese nel perimetro urbanizzato.

Dunque, è lo stesso coordinamento sistematico all’interno della disciplina regionale a deporre nel senso che l’edificabilità legale ai fini dell’indennizzo, evidenziata dal PSC con la perimetrazione del territorio urbanizzato, non assicuri, iuris et de iure, tale qualità. All’interno di quell’area si possono ben ravvisare vincoli, escludenti l’edificabilità legale, i quali – siano o non siano riprodotti nella legislazione regionale – si impongono, comunque, in virtù della disciplina statale, che detta, in materia, principi fondamentali.

Risulteranno, così, prive di edificabilità legale non solo le aree indicate dall’art. 21 della legge reg. Emilia-Romagna n. 37 del 2002, ma anche tutte le zone omogenee che, in base al d.P.R. n. 327 del 2001, sono interessate da vincoli di inedificabilità assoluta o sono state rese edificabili da un vincolo espropriativo, al mero fine di consentire la realizzazione dell’opera pubblica su un terreno che edificabile in principio non era.

Tale interpretazione, del resto, è in linea con la ratio dell’intera normativa regionale del 2002 sugli espropri, la quale – essendo successiva al d.P.R. n. 327 del 2001 ed alla riforma del Titolo V della Costituzione – precisa all’art. 2 che «[p]er quanto non disposto dalla […] legge, trovano applicazione le disposizioni del d.p.r. 327/2001, secondo quanto specificato dall’articolo 33». Quest’ultima previsione, rubricata «Disapplicazione di norme statali», non richiama quelle sulla quantificazione dell’indennizzo, sicché tali disposizioni, anche a seguito dell’entrata in vigore della legge regionale, continueranno ad avere applicazione in Emilia-Romagna.

L’interpretazione sistematica dell’art. 20, comma 1, della legge reg. Emilia-Romagna n. 37 del 2002 permette, dunque, di superare i dubbi di legittimità costituzionale prospettati in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 117, terzo comma, Cost. sotto il profilo della disparità di trattamento rispetto al restante territorio nazionale, considerata la persistente vigenza – nel territorio della Regione Emilia-Romagna – dei principi fondamentali della legislazione statale relativi alla edificabilità legale.

4.3. Alla luce della interpretazione richiamata, risulta non fondata anche la questione di legittimità costituzionale sollevata dal giudice rimettente sempre in riferimento all’art. 3, primo comma, Cost., ma sotto il diverso profilo della irragionevole omogeneità di trattamento dei proprietari di aree aventi differente destinazione urbanistica e quindi diverso valore di mercato.

Secondo la Corte di cassazione, infatti, l’art. 20, comma 1, della legge reg. Emilia-Romagna n. 37 del 2002 equiparerebbe i terreni non edificabili a quelli effettivamente edificabili, per il solo fatto di essere ricompresi all’interno del territorio urbanizzato, garantendo irragionevolmente ai proprietari di diverse aree il medesimo ristoro economico.

Tuttavia, come si è detto, la lettura sistematica e costituzionalmente orientata della disposizione censurata consente di ritenere che l’inserimento di un’area nel perimetro urbanizzato del territorio comunale non possa garantire in assoluto l’edificabilità legale, poiché la previsione regionale deve essere coordinata con i principi fondamentali della materia dettati dalla legislazione statale; di conseguenza, le aree non edificabili, alla stregua di quest’ultima, restano tali e nessuna irragionevole omogeneità di trattamento fra terreni con diversa vocazione edificatoria viene a determinarsi all’interno del perimetro urbanizzato.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 20, comma 1, della legge della Regione Emilia-Romagna 19 dicembre 2002, n. 37 (Disposizioni regionali in materia di espropri), promosse, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 117, terzo comma, della Costituzione, dalla Corte di cassazione, sezione prima, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 febbraio 2021.

F.to:

Giancarlo CORAGGIO, Presidente

Emanuela NAVARRETTA, Redattrice

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 13 aprile 2021.