SENTENZA N.
20
ANNO 2021
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Giancarlo
CORAGGIO;
Giudici: Giuliano
AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto
Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca
ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN
GIORGIO,
ha pronunciato la
seguente
SENTENZA
nel giudizio di
legittimità costituzionale degli artt. 19, 21 e 28, comma 3, ultimo periodo,
della legge
della Regione Veneto 25 novembre 2019, n. 44 (Collegato alla legge di stabilità
regionale 2020), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso
notificato il 27-30 gennaio 2020, depositato in cancelleria il 30 gennaio 2020,
iscritto al n. 8 del registro ricorsi 2020 e pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell’anno 2020.
Visto l’atto di
costituzione della Regione Veneto;
udito nell’udienza
pubblica del 12 gennaio 2021 il Giudice relatore Silvana Sciarra;
uditi l’avvocato dello
Stato Enrico De Giovanni per il Presidente del Consiglio dei ministri, gli avvocati
Franco Botteon e Andrea Manzi per la Regione Veneto, in collegamento da remoto,
ai sensi del punto 1) del decreto del Presidente della Corte del 30 ottobre
2020;
deliberato nella camera
di consiglio del 12 gennaio 2021.
1.– Con ricorso
notificato il 27-30 gennaio 2020 e depositato il 30 gennaio 2020 (reg. ric. n.
8 del 2020), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato, per violazione degli artt. 2, 3, 41, 117, commi secondo,
lettera l), e terzo, della Costituzione, gli artt. 19, 21 e 28, comma 3,
ultimo periodo, della legge della Regione Veneto 25 novembre 2019, n. 44
(Collegato alla legge di stabilità regionale 2020).
2.– Il ricorrente
censura, in primo luogo, l’art. 19 della legge reg. Veneto n. 44 del 2019, che
ha aggiunto all’art. 3 della legge della Regione Veneto 14 maggio 2013, n. 9
(Contratti di formazione specialistica aggiuntivi regionali) il comma 1-bis.
In virtù di tale
disposizione, il medico in formazione specialistica, nei cinque anni successivi
al conseguimento del diploma di specializzazione, è tenuto «a partecipare alle
procedure indette dalle aziende ed enti del servizio sanitario regionale veneto
per il reclutamento di medici che prevedano, tra i requisiti per la
partecipazione, la specializzazione conseguita, ad accettare e a svolgere gli
incarichi assegnatigli, anche come convenzionato, per un periodo complessivo di
tre anni» (lettera a). Il triennio si calcola considerando «tutti gli incarichi,
anche non continuativi, assegnati con contratti di lavoro di qualunque
tipologia o di convenzionamento per l’accesso ai quali sia richiesta la
specializzazione conseguita mediante il contratto aggiuntivo regionale»
(lettera b).
In caso di prestazione
di attività lavorativa per un periodo inferiore al triennio nei cinque anni
successivi al conseguimento del diploma di specializzazione (lettera c), il
medico assegnatario del contratto aggiuntivo regionale dovrà «restituire alla
Regione un importo pari al 15 per cento dell’importo complessivo percepito per
ogni anno, o frazione superiore a sei mesi, di servizio non prestato rispetto
ai tre anni minimi previsti» (lettera d).
Nell’ipotesi di
inosservanza totale dell’obbligo di prestare attività lavorativa presso le
aziende e gli enti del servizio sanitario regionale, il medico dovrà restituire
«un importo pari al 50 per cento dell’importo complessivo percepito» (lettera
e).
L’art. 3, comma 1-bis,
lettera f), della legge reg. Veneto n. 9 del 2013 obbliga il medico
assegnatario del contratto aggiuntivo regionale, nel caso di risoluzione
anticipata del contratto per rinuncia al corso di studi, «a restituire alla
Regione il 50 per cento dell’importo complessivo percepito».
L’impugnato art. 19 ha
aggiunto all’art. 3 della legge reg. Veneto n. 9 del 2013 anche il comma 1-ter,
che prevede verifiche a campione sull’osservanza degli obblighi dei medici
specializzandi assegnatari di contratti aggiuntivi regionali, «in una percentuale
minima di almeno il 10 per cento», e il comma 1-quater, che destina le entrate
derivanti dall’applicazione delle sanzioni «al finanziamento di contratti
aggiuntivi regionali».
Le previsioni impugnate
contrasterebbero con l’art.
117, terzo comma, Cost. e, in particolare, con i «principi fondamentali
dettati dal legislatore statale in un ambito rientrante nella materia delle
“professioni” ovvero in quella della “tutela della salute”». Ad avviso del
ricorrente, le clausole aggiuntive, nel regolare aspetti che «esulano dal
contenuto tipico del contratto di formazione» specialistica, finalizzato in via
esclusiva «all’acquisizione delle capacità professionali inerenti al titolo di
specialista», ne «snaturano di fatto la ratio e l’oggetto» (è citato l’art. 37,
comma 1, del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368, recante «Attuazione
della direttiva 93/16/CE in materia di libera circolazione dei medici e di
reciproco riconoscimento dei loro diplomi, certificati ed altri titoli e delle
direttive 97/50/CE, 98/21/CE, 98/63/CE e 99/46/CE che modificano la direttiva
93/16/CE»).
Inoltre, nell’imporre
ai medici beneficiari del contratto aggiuntivo regionale «scelte di carattere
strettamente personale (quali la partecipazione a procedure concorsuali)», le
disposizioni impugnate si porrebbero in contrasto «con i principi
costituzionali in materia di autodeterminazione negoziale (artt. 2 e 41 Cost.)».
La disciplina in esame
confliggerebbe, da ultimo, con il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.), in
quanto si risolverebbe «in una ingiustificata discriminazione nei confronti dei
soggetti non beneficiari del contratto statale».
3.– Il ricorrente
censura, poi, l’art. 21 della legge reg. Veneto n. 44 del 2019, che autorizza
l’Azienda Ospedale-Università di Padova a rideterminare, previa deliberazione
della Giunta regionale, i fondi del personale del comparto e delle aree
dirigenziali fino a concorrenza del livello medio pro capite riferito all’anno
2018 dei fondi delle aziende e degli enti del servizio sanitario regionale.
La disposizione
impugnata contrasterebbe, anzitutto, con l’art. 117, secondo comma,
lettera l), Cost., in quanto interverrebbe «in materia di trattamento
economico del personale contrattualizzato» e invaderebbe la competenza
legislativa esclusiva dello Stato nella materia «ordinamento civile», che
include «la disciplina del lavoro pubblico» e, in particolar modo, la
disciplina del «trattamento economico accessorio», demandata alla
contrattazione collettiva, «nel rispetto dei vincoli di bilancio e limiti derivanti
dalla legge statale».
Il ricorrente ravvisa
il contrasto anche con l’art.
117, terzo comma, Cost. In particolare, «l’incremento del fondo della sola
azienda ospedaliera università di Padova, parametrato sulla base del livello
medio pro capite riferito all’anno 2018 dei fondi delle aziende ed enti del
servizio sanitario regionale» violerebbe i princìpi di coordinamento della
finanza pubblica stabiliti dall’art.
23, comma 2, del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75, recante
«Modifiche e integrazioni al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai
sensi degli articoli 16, commi 1, lettera a), e 2, lettere b), c), d) ed e) e
17, comma 1, lettere a), c), e), f), g), h), l) m), n), o), q), r), s) e z),
della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle
amministrazioni pubbliche». Tale previsione, nella prospettiva del contenimento
della spesa per salario accessorio del personale delle pubbliche
amministrazioni, dispone che l’ammontare complessivo delle risorse destinate
annualmente a tale componente del trattamento economico non possa «superare il
corrispondente importo determinato per l’anno 2016».
Il ricorrente denuncia,
infine, la violazione dell’art. 3 Cost. La
previsione impugnata, nell’introdurre, «ai fini dell’incremento del Fondo, il
solo limite della spesa complessiva del personale del servizio sanitario
regionale» e nel lasciare di fatto «impregiudicata la possibilità che
l’amministrazione in questione possa superare il limite di cui all’articolo 23
del d.lgs. n. 75 del 2017», determinerebbe un’arbitraria disparità di
trattamento del personale interessato «rispetto al restante personale pubblico
su cui la legge statale è intervenuta».
4.– È infine impugnato
l’art. 28, comma 3, ultimo periodo, della legge reg. Veneto n. 44 del 2019,
nella parte in cui contempla la possibilità di «esonerare da eventuali
preselezioni i candidati già dipendenti, anche per effetto di contratti di
lavoro flessibile».
Tale disciplina non
troverebbe alcuna rispondenza nella normativa statale.
Invero, l’art. 35,
comma 3-bis, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali
sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche),
si limiterebbe a prevedere, per i titolari di contratto di lavoro a tempo
determinato o flessibile, «procedure di reclutamento con riserva dei posti o
per titoli ed esami».
Neppure l’art. 20 del
d.lgs. n. 75 del 2017, concernente il «superamento del precariato nelle
pubbliche amministrazioni», accorderebbe alcun esonero dalle prove preselettive
a favore dei candidati interni.
Nel delineare tale
disciplina, il legislatore regionale avrebbe travalicato i limiti delle proprie
attribuzioni e avrebbe invaso, pertanto, la competenza legislativa esclusiva
dello Stato nella materia «ordinamento civile» (art. 117, secondo comma,
lettera l, Cost.).
Il ricorrente prospetta
anche il contrasto con «i principi di ragionevolezza e parità di trattamento» (art. 3 Cost.) e
argomenta, a tale riguardo, che la condizione di dipendente della pubblica
amministrazione non garantisce di per sé il possesso dei requisiti attitudinali
richiesti per la posizione menzionata nel bando di concorso. Le esigenze di
parità di trattamento imporrebbero, anche per i candidati interni, lo
svolgimento della prova attitudinale.
5.– La Regione Veneto
si è costituita nel giudizio di legittimità costituzionale, con atto depositato
il 4 marzo 2020, e ha chiesto che le questioni siano dichiarate inammissibili o
infondate.
5.1.– Le censure che si
appuntano sull’art. 19 della legge reg. Veneto n. 44 del 2019 sarebbero
inammissibili e comunque infondate.
5.1.1.– In punto di
ammissibilità, la Regione resistente osserva che il ricorrente non avrebbe
illustrato le ragioni della discrepanza tra la disciplina statale riguardante i
contratti di formazione specialistica e il vincolo negoziale introdotto dalla
previsione impugnata.
Anche sull’asserita
discriminazione ai danni di chi beneficia del contratto aggiuntivo regionale,
il ricorrente non avrebbe offerto argomenti decisivi.
5.1.2.– Nel merito, le
censure sarebbero infondate.
Il vincolo sancito dal
legislatore regionale veneto si prefiggerebbe di «perseguire un interesse
pubblico accessorio al contratto, perfettamente compatibile con la causa e
l’oggetto dello stesso e meritevole di tutela». Si tratterebbe, in particolare,
«dell’interesse pubblico all’efficiente impiego delle risorse regionali
nell’ambito dell’organizzazione del Servizio sanitario regionale». La Regione
avrebbe investito risorse nella formazione del personale medico, allo scopo di
porre rimedio alle risalenti carenze di organico.
La disposizione
impugnata, peraltro, limiterebbe la discrezionalità della Giunta regionale
nell’integrazione dello schema tipo del contratto nazionale e si conformerebbe
a quanto prevede il decreto del Ministero dell’istruzione, dell’università e
della ricerca dell’8 luglio 2019, n. 1323. Non sarebbe violato, pertanto, alcun
principio fondamentale nella materia delle professioni e della tutela della
salute.
Non sarebbe fondata
neppure la censura di violazione dell’autonomia contrattuale. La legge
regionale, lungi dal coartare la volontà della controparte negoziale, porrebbe
un’obbligazione accessoria, allo scopo di perseguire finalità meritevoli di
tutela.
Non sussisterebbe,
infine, alcuna lesione del principio di eguaglianza. La Regione nega che sia
previsto un trattamento deteriore dei medici in formazione specialistica, che
beneficino delle borse regionali. Sarebbe proprio il finanziamento aggiuntivo
regionale a consentire l’accesso al corso di specializzazione e non vi sarebbe
alcuna disparità di trattamento dal punto di vista formativo.
5.2.– Inammissibili e
comunque infondate sarebbero anche le questioni di legittimità costituzionale
promosse con riguardo all’art. 21 della legge reg. Veneto n. 44 del 2019.
5.2.1.– Quanto alla
violazione della competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia
«ordinamento civile» di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., il
ricorrente non avrebbe dimostrato «che il legislatore regionale si sia
sostituito al contratto collettivo e abbia regolato direttamente un aspetto
della retribuzione». Le questioni promosse sarebbero, pertanto, inammissibili
(si richiama la sentenza
di questa Corte n. 232 del 2019).
Solo in termini
generici e meramente eventuali, il ricorrente ipotizzerebbe il superamento dei
«limiti quantitativi fissati dal legislatore statale in ordine all’ammontare
complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del
personale, anche di livello dirigenziale». Da tali rilievi discenderebbe
l’inammissibilità anche delle censure riferite all’art. 117, terzo comma, Cost.
5.2.2.– Nel merito, le
questioni non sarebbero fondate.
La disposizione si
limiterebbe ad autorizzare l’Azienda Ospedale-Università di Padova a
rideterminare i fondi del personale del comparto e delle aree dirigenziali, ma
sarebbe pur sempre la contrattazione collettiva a definire l’ammontare del
fondo in parola.
La Regione esclude, inoltre,
la violazione del principio fondamentale di coordinamento della finanza
pubblica, stabilito dall’art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 75 del 2017. La
disposizione impugnata, difatti, prescriverebbe il «rispetto del limite della
spesa complessiva del personale del servizio sanitario regionale», che risulta
determinata «sulla base dei limiti posti dalla legislazione statale». Tali
limiti non sarebbero, pertanto, travalicati.
L’art. 21 della legge
reg. Veneto n. 44 del 2019 sarebbe ispirato a «una logica perequativa». Con
particolare riguardo alle aree dirigenziali dell’Azienda Ospedale-Università di
Padova, polo di indiscussa eccellenza, il trattamento economico accessorio
sarebbe «ai livelli più bassi (se non al livello più basso) tra tutte le
aziende sanitarie venete». La disposizione impugnata si prefiggerebbe,
pertanto, di ricondurre ai valori medi tale trattamento, allo scopo di
scongiurare il rischio di un esodo «verso strutture, pubbliche e private, che
offrono ai propri dipendenti trattamenti economici notevolmente più elevati».
Peraltro, l’effettivo
incremento dei fondi sarebbe assoggettato alla previa autorizzazione della
Giunta regionale, chiamata a verificare il rispetto dei vincoli sanciti in
materia di spesa dall’art. 11 del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 35 (Misure
emergenziali per il servizio sanitario della Regione Calabria e altre misure
urgenti in materia sanitaria), convertito, con modificazioni, nella legge 25
giugno 2019, n. 60.
5.3.– Anche le
questioni di legittimità costituzionale dell’art. 28 della legge reg. Veneto n.
44 del 2019 sarebbero inammissibili e comunque manifestamente infondate.
5.3.1.– In linea
preliminare, la Regione osserva che il ricorrente non ha addotto alcun
argomento per dimostrare l’illegittimità costituzionale della normativa
impugnata, sia sotto il profilo della lesione della competenza legislativa
esclusiva dello Stato, sia con riguardo alla dedotta violazione dell’art. 3
Cost.
Quanto al primo
aspetto, non sarebbe conferente il parametro costituzionale invocato (art. 117,
secondo comma, lettera l, Cost.).
Per quel che attiene al
contrasto con l’art. 3 Cost., la disposizione impugnata, che sancisce una mera
facoltà di esonerare i candidati interni dalle prove preselettive, non
determinerebbe alcuna «lesione concreta o forma di irragionevolezza».
5.3.2.– Nel merito, le
questioni non sarebbero fondate.
Le modalità di
svolgimento di un concorso per l’accesso all’impiego regionale sarebbero
riconducibili alla «competenza esclusiva delle Regioni in materia di organizzazione
e ordinamento degli uffici regionali» e non toccherebbero la competenza
legislativa esclusiva dello Stato nella materia «ordinamento civile».
Non sussisterebbe,
inoltre, alcun contrasto con i princìpi di ragionevolezza e di parità di
trattamento.
La previsione
censurata, difatti, non introdurrebbe un esonero generalizzato dalle prove
preselettive, ma soltanto una facoltà dell’amministrazione di disporre caso per
caso tale esonero. L’esercizio di tale facoltà, ove si riveli in concreto
illegittimo, potrebbe essere sindacato in sede giurisdizionale.
L’esonero, inoltre,
sarebbe circoscritto alle prove preselettive, che perseguirebbero il solo scopo
di sfoltire la platea dei partecipanti. I candidati interni dovrebbero poi
affrontare le prove concorsuali e sottoporsi a una verifica di merito, in
condizioni di parità con gli altri concorrenti.
6.– In prossimità
dell’udienza, la Regione Veneto ha depositato una memoria illustrativa per
ribadire le conclusioni già rassegnate nell’atto di costituzione.
6.1.– L’art. 19 della
legge reg. Veneto n. 44 del 2019 non solo non si porrebbe in contrasto con
alcun principio fondamentale dettato dalla legislazione dello Stato, ma sarebbe
coerente con le previsioni del decreto del Ministero dell’università e della
ricerca del 15 settembre 2020, n. 1419, concernenti i contratti aggiuntivi
finanziati dalle Regioni e dalle Province autonome, e con le disposizioni
statali che mirano a incrementare i contratti di formazione specialistica (art.
5 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, recante «Misure urgenti in materia
di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali
connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19», convertito, con
modificazioni, nella legge 17 luglio 2020, n. 77).
La normativa impugnata
sarebbe compatibile anche con il diritto dell’Unione europea, che considera
legittimi gli obiettivi perseguiti con l’imposizione ai medici specialisti
dell’obbligo di lavorare per un determinato periodo nella Regione che ha
finanziato la formazione specialistica (Corte
di giustizia dell’Unione europea, sentenza 20 dicembre 2017, in causa C-419/16,
Sabine Simma Federspiel contro Provincia autonoma di Bolzano e Equitalia Nord
spa).
Né l’imposizione
dell’obbligo di prestare l’attività professionale nella Regione determinerebbe
alcuna coercizione della libertà negoziale del medico. Si tratterebbe di una
obbligazione accessoria, volta a «perseguire finalità di interesse pubblico
meritevoli di tutela nonché riconosciute e fatte proprie dagli stessi organi
dello Stato».
6.2.– Quanto alla
disciplina sul trattamento economico del personale dell’Azienda
Ospedale-Università di Padova, la Regione ne ribadisce la finalità perequativa,
rispettosa dei vincoli di spesa.
La disposizione
impugnata autorizzerebbe la Giunta regionale a fornire «mere linee di
indirizzo», senza sconfinare nello spazio riservato alla contrattazione
collettiva.
6.3.– Con riguardo
all’esonero dalle prove preselettive, la Regione ha ribadito l’estraneità della
disciplina impugnata alla materia «ordinamento civile», in quanto relativa a
una fase anteriore alla sottoscrizione del contratto.
Inoltre, la normativa
statale invocata nel ricorso e, in particolare, l’art. 35 del d.lgs. n. 165 del
2001 non conterrebbero prescrizioni di sorta in merito alle modalità di
svolgimento delle prove preselettive.
La disciplina
regionale, che prevede una mera facoltà di esonero, limitata alle prove
preselettive, sarebbe esente dalle censure di irragionevolezza formulate nel
ricorso.
7.– All’udienza
pubblica le parti hanno insistito per l’accoglimento delle conclusioni
formulate nelle difese scritte.
1.– Con il ricorso
indicato in epigrafe (reg. ric. n. 8 del 2020), il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha
promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt. 19, 21 e 28, comma
3, ultimo periodo, della legge della Regione Veneto 25 novembre 2019, n. 44
(Collegato alla legge di stabilità regionale 2020), in riferimento agli artt. 2,
3, 41, 117, commi secondo, lettera l), e terzo, della Costituzione.
2.– È impugnato, in
primo luogo, l’art. 19 della legge reg. Veneto n. 44 del 2019, che, inserendo i
commi 1-bis, 1-ter e 1-quater nell’art. 3 della legge della Regione Veneto 14
maggio 2013, n. 9 (Contratti di formazione specialistica aggiuntivi regionali),
ha imposto diversi obblighi ai medici in formazione specialistica.
Nei cinque anni
successivi al conseguimento del diploma di specializzazione, i professionisti
citati devono partecipare ai concorsi banditi dalle aziende e dagli enti del
servizio sanitario regionale veneto, quando la specializzazione conseguita sia
prevista come requisito per la partecipazione, e devono accettare e svolgere
per un periodo complessivo di tre anni tutti gli incarichi, anche non
continuativi, assegnati con contratti di lavoro di qualunque tipologia o in
regime di convenzione (art. 3, comma 1-bis, lettere a e b, della legge reg.
Veneto n. 9 del 2013, come modificata dall’impugnato art. 19 della legge reg. Veneto
n. 44 del 2019).
L’inosservanza,
parziale o totale, di tali obblighi è sanzionata con la restituzione alla Regione
di una somma che ammonta rispettivamente al «15 per cento dell’importo
complessivo percepito per ogni anno, o frazione superiore a sei mesi, di
servizio non prestato rispetto ai tre anni minimi previsti» (art. 3, comma
1-bis, lettera d, della legge reg. Veneto n. 9 del 2013) e al «50 per cento
dell’importo complessivo percepito» (art. 3, comma 1-bis, lettera e, della
medesima legge regionale).
Il medico assegnatario
del contratto aggiuntivo regionale che rinunci al corso di studi e così risolva
in via anticipata il contratto è obbligato «a restituire alla Regione il 50 per
cento dell’importo complessivo percepito» (art. 3, comma 1-bis, lettera f,
della legge reg. Veneto n. 9 del 2013).
Nel quadro di obblighi
e sanzioni, delineato dalle disposizioni impugnate, si collocano le previsioni
che impegnano la Giunta regionale a effettuare annualmente verifiche a campione
«in una percentuale minima di almeno il 10 per cento dei medici specializzati
assegnatari di contratti aggiuntivi regionali» (art. 3, comma 1-ter, della
legge reg. Veneto n. 9 del 2013) e destinano le entrate derivanti
dall’applicazione della normativa al finanziamento di contratti aggiuntivi
regionali (art. 3, comma 1-quater, della citata legge regionale).
Il ricorrente assume
che «le clausole aggiuntive introdotte dalla legge regionale» vìolino l’art.
117, terzo comma, Cost., in quanto si discosterebbero «dai principi
fondamentali dettati dal legislatore statale in un ambito rientrante nella
materia delle “professioni” ovvero in quella della “tutela della salute”». Le
clausole in esame, difatti, disciplinerebbero aspetti che «esulano dal
contenuto tipico del contratto di formazione», finalizzato esclusivamente
all’acquisizione delle capacità professionali inerenti al titolo di
specialista, e condurrebbero a snaturarne «la ratio e l’oggetto».
Il ricorrente
prospetta, altresì, la violazione degli artt. 2 e 41 Cost., sul presupposto che
le clausole negoziali in esame impongano ai medici in formazione specialistica
beneficiari del contratto aggiuntivo regionale «scelte di carattere
strettamente personale (quali la partecipazione a procedure concorsuali)» e
ledano, pertanto, «i principi costituzionali in materia di autodeterminazione
negoziale».
Sarebbe violato anche
il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.), in quanto le disposizioni impugnate
comporterebbero «una ingiustificata discriminazione nei confronti dei soggetti
non beneficiari del contratto statale», i quali partecipano alla medesima
selezione nazionale per l’accesso alle scuole di specializzazione medica.
2.1.– La Regione, in
linea preliminare, imputa al ricorrente di non avere spiegato in quale modo gli
obblighi negoziali sanciti dall’art. 19 della legge reg. Veneto n. 44 del 2019
vanifichino la finalità formativa o contraddicano i contenuti del contratto
tipo, con conseguente violazione della normativa statale.
Il ricorrente non
avrebbe neppure chiarito i termini della discriminazione ai danni dei
beneficiari dei contratti aggiuntivi regionali.
Da tali carenze
argomentative discenderebbe l’inammissibilità delle questioni promosse.
2.2.– Le eccezioni sono
fondate.
Per costante
giurisprudenza di questa Corte, l’esigenza di un’adeguata motivazione a
fondamento dell’impugnazione si pone in termini ancora più rigorosi nei giudizi
proposti in via principale rispetto a quelli instaurati in via incidentale (fra
le molte, sentenza
n. 2 del 2021, punto 3.3.1. del Considerato in diritto). Il ricorrente ha
l’onere di individuare le disposizioni impugnate e i parametri costituzionali
di cui lamenta la violazione e di svolgere una argomentazione non meramente
assertiva in merito alle ragioni del contrasto con i parametri evocati (sentenza n. 174 del
2020, punto 5.3. del Considerato in diritto).
Nel caso di specie, il
ricorrente non ha ottemperato a tale onere, poiché ha omesso di enucleare in
maniera univoca i princìpi fondamentali che assume siano stati violati e che toccano
àmbiti materiali diversi, inerenti, per un verso, alle «professioni» e, per
altro verso, alla «tutela della salute». Tale diversità avrebbe imposto una
puntuale individuazione, per ciascuna delle materie richiamate, dei princìpi
fondamentali che la legge impugnata avrebbe disatteso.
L’identificazione dei
princìpi fondamentali chiamati a regolare la materia sarebbe stata ancor più
necessaria alla luce dello spazio di intervento che compete al legislatore
regionale nel modulare la disciplina della formazione specialistica. Come
questa Corte ha ricordato, le Regioni possono attivare contratti aggiuntivi, al
fine di colmare il divario tra fabbisogno effettivo e numero dei contratti
statali, e delineare la disciplina dei contratti che intervengono a finanziare,
«in attuazione della normativa statale e dell’Accordo fra Governo, Regioni e
Province autonome» deliberato nella Conferenza Stato-Regioni del 15 marzo 2012
(sentenza n. 126
del 2014, punto 3.1. del Considerato in diritto).
Gli argomenti addotti
nel ricorso si esauriscono nel rilievo, incentrato sulle affermazioni di questa
Corte (sentenza
n. 126 del 2014, punto 5 del Considerato in diritto), che le clausole
apposte ai contratti aggiuntivi regionali debbano essere compatibili con lo
schema tipo del contratto nazionale, elaborato con d.P.C.m. 6 luglio 2007
(Definizione schema tipo del contratto di formazione specialistica dei medici).
Tale richiamo,
tuttavia, non vale a identificare i princìpi fondamentali che si reputano
violati, né a far luce sulle ragioni del contrasto di una normativa riguardante
il periodo successivo al conseguimento del diploma di specializzazione con la
disciplina statale, incentrata sugli obblighi caratteristici del contratto di
formazione specialistica, così come si esplicano nel periodo in cui tale
formazione si attua.
A questo riguardo, non
si spiega perché l’obbligo – dopo la conclusione del percorso formativo – di
partecipare ai concorsi e di lavorare presso le aziende e gli enti del servizio
sanitario della Regione che ha finanziato la formazione specialistica
pregiudichi la tutela della salute e la formazione dei medici specializzandi,
inerente alla materia delle «professioni».
Quanto al vulnus che la
normativa impugnata recherebbe al principio di autodeterminazione negoziale, il
ricorrente si limita a evocare i parametri costituzionali (artt. 2 e 41 Cost.),
senza dar conto delle ragioni che inducono a ravvisare una lesione
dell’autonomia contrattuale nell’accordo liberamente concluso dal medico in
formazione specialistica, anche in vista di una possibile opportunità di
lavoro. Il ricorrente mostra di qualificare tale autonomia come diritto inviolabile
per poi collocarla nell’alveo dell’art. 41 Cost., senza enunciare alcun
argomento che serva a qualificare l’attività dei medici specializzandi in
termini di iniziativa economica privata e a illustrare le implicazioni del
limite dell’utilità sociale, immanente al precetto costituzionale invocato.
Inammissibile è anche
la censura di violazione del principio di eguaglianza.
Nel rilevare la
disparità di trattamento ai danni dei beneficiari del contratto aggiuntivo
regionale, il ricorrente trascura di ricostruire il quadro normativo in cui
tale previsione si colloca e di ponderare, nel contesto di una valutazione
complessiva, i tratti caratteristici di tali contratti finanziati dalla
Regione, anche solo per escludere il rilievo delle loro peculiarità come
plausibile elemento distintivo tra le fattispecie poste a raffronto.
Le questioni, nei
termini in cui sono state prospettate, sono, pertanto, inammissibili per tutte
le ragioni indicate, che convergono nel rendere lacunoso il percorso
argomentativo seguìto.
3.– Il Presidente del
Consiglio dei ministri censura, inoltre, l’art. 21 della legge reg. Veneto n.
44 del 2019, che autorizza l’Azienda Ospedale-Università di Padova a
rideterminare, previa deliberazione della Giunta regionale, i fondi del
personale del comparto e delle aree dirigenziali fino a concorrenza del livello
medio pro capite riferito all’anno 2018 dei fondi delle aziende e degli enti
del servizio sanitario regionale.
Il ricorrente assume
che tale previsione leda la competenza legislativa esclusiva dello Stato nella
materia «ordinamento civile» (art. 117, secondo comma, lettera l, Cost.), in
quanto inciderebbe sul trattamento economico del personale contrattualizzato.
Tale trattamento, soprattutto per quel che concerne la parte accessoria, rientrerebbe
nella «competenza esclusiva del legislatore nazionale», che affida alla
contrattazione collettiva il compito di determinarlo, «nel rispetto dei vincoli
di bilancio e limiti derivanti dalla legge statale».
La disposizione
impugnata contrasterebbe, inoltre, con l’art. 117, terzo comma, Cost. Nel
parametrare «l’incremento del fondo della sola azienda ospedaliera università
di Padova» al «livello medio pro capite riferito all’anno 2018 dei fondi delle
aziende ed enti del servizio sanitario regionale», la disciplina in esame
confliggerebbe con il principio fondamentale di coordinamento della finanza
pubblica, sancito dall’art. 23, comma 2, del decreto legislativo 25 maggio
2017, n. 75, recante «Modifiche e integrazioni al decreto legislativo 30 marzo
2001, n. 165, ai sensi degli articoli 16, commi 1, lettera a), e 2, lettere b),
c), d) ed e) e 17, comma 1, lettere a), c), e), f), g), h), l) m), n), o), q),
r), s) e z), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione
delle amministrazioni pubbliche». Al fine di contenere le spese per il salario
accessorio, la disposizione citata vieta che l’ammontare complessivo delle
risorse che annualmente sono destinate per tale voce superi il corrispondente
importo dell’anno 2016.
Nel consentire il superamento
del limite posto dal legislatore statale con riguardo al salario accessorio, la
disposizione lederebbe, infine, il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.), in
quanto determinerebbe una «disparità di trattamento economico […] rispetto al
restante personale pubblico su cui la legge statale è intervenuta».
3.1.– La Regione ha
eccepito l’inammissibilità delle questioni riguardanti la lesione della
competenza legislativa esclusiva dello Stato e la violazione dei princìpi
fondamentali di coordinamento della finanza pubblica.
Per quel che concerne
il primo profilo, il ricorrente non avrebbe illustrato «come la legge regionale
incida sull’ordinamento civile», sostituendosi alla contrattazione collettiva e
regolando «direttamente un aspetto della retribuzione».
Inammissibili, in
quanto formulate in termini generici, sarebbero anche le censure di violazione
dei princìpi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica. Il
superamento dei limiti posti in tema di trattamento accessorio dall’art. 23,
comma 2, del d.lgs. n. 75 del 2017 rappresenterebbe «una mera eventualità», che
neppure si potrebbe verificare alla luce della necessità di rispettare il
«limite della spesa complessiva del personale del servizio sanitario
regionale».
3.1.1.– Le eccezioni
non sono fondate.
Il ricorrente non si è
limitato a far discendere l’invasione della sfera di competenza esclusiva dello
Stato dal mancato richiamo dei princìpi enunciati dall’art. 23, comma 2, del
d.lgs. n. 75 del 2017, come è avvenuto nel giudizio in via principale
menzionato dalla difesa della Regione e definito da questa Corte con una
pronuncia di inammissibilità (sentenza n. 232 del
2019, punto 6 del Considerato in diritto).
Con un’argomentazione
adeguata, idonea a superare il vaglio di ammissibilità, il Presidente del
Consiglio dei ministri ha prospettato l’incidenza della disciplina impugnata
sul trattamento economico del personale contrattualizzato e la conseguente
lesione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
Se tale incidenza
effettivamente sussista, è profilo che attiene al merito.
3.1.2.– Neppure per la
violazione dei princìpi di coordinamento della finanza pubblica si riscontrano
i profili di inammissibilità eccepiti dalla parte resistente.
Il vulnus all’art. 117,
terzo comma, Cost. non è stato delineato in termini assertivi e generici, ma è
stato avvalorato dal puntuale richiamo alle misure di contenimento della spesa
pubblica racchiuse nella legislazione statale.
Se poi il diverso e
autonomo criterio enunciato dalla previsione regionale implichi la violazione
dei richiamati princìpi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, è
aspetto che, anche in questo caso, esula dall’ammissibilità e investe il merito
delle questioni promosse.
3.2.– Nel merito, esse
non sono fondate.
3.2.1.– Non è fondata
la questione promossa in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l),
Cost.
La costante
giurisprudenza di questa Corte ascrive la disciplina del trattamento giuridico
ed economico dei dipendenti pubblici, e anche dei dipendenti delle Regioni,
alla materia «ordinamento civile», di competenza esclusiva del legislatore
statale (fra le molte, sentenza n. 146 del
2019, punto 5 del Considerato in diritto).
In séguito alla
privatizzazione del rapporto di pubblico impiego, la disciplina del rapporto di
lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, anche regionali, è
retta dalle disposizioni del codice civile e dalla contrattazione collettiva,
«strumento di garanzia della parità di trattamento dei lavoratori» (sentenza n. 178 del
2015, punto 17 del Considerato in diritto), cui la stessa legge dello Stato
rinvia (sentenza
n. 196 del 2018, punto 3.1. del Considerato in diritto).
L’esigenza di garantire
l’uniformità, nel territorio nazionale, delle regole che presiedono alla
determinazione del trattamento economico dei dipendenti delle pubbliche
amministrazioni giustifica l’inerenza della relativa disciplina alla materia
«ordinamento civile».
A tale materia non è,
tuttavia, riconducibile la disciplina oggi sottoposta al sindacato di questa
Corte.
L’art. 21 della legge
reg. Veneto n. 44 del 2019 si limita ad autorizzare l’Azienda Ospedale-Università
di Padova a rideterminare, previa deliberazione della Giunta regionale, i fondi
del personale del comparto e delle aree dirigenziali.
La previsione impugnata
non interviene, dunque, sullo strumento di regolamentazione del trattamento
economico dei dipendenti, affidata alla contrattazione collettiva (sentenza n. 199 del
2020, punto 9.2. del Considerato in diritto), e non si sostituisce alla
negoziazione fra le parti, che rappresenta l’imprescindibile fonte di
disciplina del rapporto di lavoro. Solo una tale incidenza sul trattamento
economico determinerebbe l’invasione della sfera di attribuzione del
legislatore statale (sentenze n. 232 del
2019, punto 5 del Considerato in diritto, e n. 28 del 2013, punto 7 del
Considerato in diritto).
Nel caso di specie,
sarà pur sempre la contrattazione collettiva, nella sua evoluzione dinamica, a
definire il trattamento retributivo dei dipendenti pubblici, anche nella
componente accessoria, nel rispetto delle prescrizioni imperative della legge e
dei vincoli di spesa.
3.2.2.– Possono essere
esaminate congiuntamente, in quanto intimamente connesse, le censure di
violazione dei princìpi di coordinamento della finanza pubblica e del precetto
costituzionale di eguaglianza. Nella prospettiva del ricorrente, l’inosservanza
della disciplina restrittiva in tema di trattamento accessorio genera una
discriminazione ai danni del «restante personale pubblico su cui la legge
statale è intervenuta», penalizzato rispetto ai dipendenti dell’Azienda
Ospedale-Università di Padova.
Neppure tali questioni
sono fondate.
L’art. 23, comma 2,
primo periodo, del d.lgs. n. 75 del 2017 prevede che, nelle more
dell’armonizzazione dei trattamenti economici accessori del personale delle
amministrazioni pubbliche, l’ammontare complessivo delle risorse destinate
annualmente a tale trattamento del personale, anche di livello dirigenziale,
non possa superare il corrispondente importo determinato per l’anno 2016.
Il ricorrente muove
dalla condivisibile premessa che la previsione in esame sia qualificabile come
principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica. Essa concerne,
difatti, un rilevante aggregato della spesa corrente e, in particolare, una
delle due componenti della retribuzione dei pubblici dipendenti (sentenza n. 191 del
2017, punto 8.3.1. del Considerato in diritto) ed è ispirata a obiettivi di
razionalizzazione e di contenimento di una voce ragguardevole di spesa.
La disposizione
impugnata non si discosta dal principio enunciato dalla legislazione statale e
non risulta violato, pertanto, neppure il canone di eguaglianza, che richiede
un’applicazione uniforme, presso tutte le amministrazioni, del principio di
coordinamento della finanza pubblica.
La rideterminazione dei
fondi del personale del comparto e delle aree dirigenziali è vincolata al
«rispetto del limite della spesa complessiva del personale del servizio
sanitario regionale». Tale richiamo, inequivocabile nel suo carattere
onnicomprensivo, non può non estendersi anche all’osservanza dell’art. 23,
comma 2, del d.lgs. n. 75 del 2017, che definisce, proprio con riguardo
all’aspetto qualificante del trattamento accessorio, il limite della spesa
complessiva del personale del servizio sanitario regionale.
La norma regionale,
pertanto, si deve interpretare nel senso di imporre il rispetto delle
prescrizioni richiamate dal ricorrente in tema di spesa del personale.
4.– Il ricorrente
impugna, infine, l’art. 28, comma 3, ultimo periodo, della legge reg. Veneto n.
44 del 2019, nella parte in cui consente che i bandi di concorso pubblicati
dalla Regione e dagli enti regionali, inclusi quelli del servizio sanitario
regionale, prevedano «l’esonero dalle eventuali preselezioni dei candidati che
al momento della scadenza del termine per la presentazione della domanda sono
dipendenti dell’amministrazione che ha bandito il concorso da almeno cinque
anni, anche in forza di contratti di lavoro flessibile».
Tale previsione non
troverebbe alcun riscontro nella normativa statale volta a superare il
precariato nelle pubbliche amministrazioni (art. 20 del d.lgs. n. 75 del 2017)
e neppure nella disciplina riguardante i titolari di contratto di lavoro a
tempo determinato o flessibile, che contempla unicamente forme di reclutamento
con riserva di posti o per titoli ed esami (art. 35, comma 3-bis, del decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165, recante «Norme generali sull’ordinamento del
lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche»).
Ad avviso del
ricorrente, l’esonero dalle prove preselettive sarebbe lesivo della competenza
legislativa esclusiva dello Stato nella materia «ordinamento civile» (art. 117,
secondo comma, lettera l, Cost.).
Sarebbero violati anche
«i principi di ragionevolezza e parità di trattamento» (art. 3 Cost.), che
imporrebbero di assoggettare anche i candidati interni alla prova attitudinale,
poiché non si può presumere che siano in possesso dei requisiti attitudinali
richiesti per la posizione per la quale il concorso è bandito.
4.1.– La Regione ha
eccepito, in linea preliminare, l’inammissibilità delle questioni, in quanto il
ricorrente non avrebbe offerto «neppure un principio di motivazione atto a
giustificare l’asserita incostituzionalità» per violazione dell’art. 117,
secondo comma, lettera l), Cost.
Quanto al contrasto con
l’art. 3 Cost., il ricorrente non avrebbe considerato che l’esonero dalle prove
preselettive non avrebbe portata generale e sarebbe meramente facoltativo.
Pertanto, la disposizione impugnata non arrecherebbe alcuna «lesione concreta».
4.1.1.– Le eccezioni di
inammissibilità devono essere disattese.
Il ricorrente ha svolto
un’argomentazione adeguata a fondamento dell’impugnazione. L’oggetto e le
ragioni delle censure sono stati esposti in maniera intelligibile, così da
consentire a questa Corte lo scrutinio del merito.
L’inconferenza del
parametro evocato, eccepita con riguardo all’art. 117, secondo comma, lettera
l), Cost., e la mancata considerazione del carattere meramente facoltativo
dell’esonero dalle prove preselettive non si riverberano sull’ammissibilità
delle questioni, ma attengono alla disamina del merito e, in tale contesto,
devono essere valutate.
4.2.– Le questioni non
sono fondate.
4.2.1.– Non è fondata
la questione promossa in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l),
Cost.
Secondo la costante
giurisprudenza di questa Corte, la disciplina delle modalità di accesso al
lavoro pubblico regionale è riconducibile alla competenza residuale delle
Regioni nell’àmbito dell’ordinamento e dell’organizzazione amministrativa (fra
le molte, sentenza
n. 126 del 2020, punto 5.1. del Considerato in diritto). Spettano, per
contro, alla competenza legislativa esclusiva dello Stato gli interventi sui
rapporti di lavoro già sorti con le pubbliche amministrazioni, anche regionali
(sentenza n. 32
del 2017, punto 4.3. del Considerato in diritto).
La disciplina in esame
si correla a una fase antecedente all’instaurazione del rapporto di lavoro e
non sconfina nell’àmbito dell’ordinamento civile, riservato alla competenza
legislativa esclusiva dello Stato.
Lo svolgimento delle
prove preselettive investe i profili pubblicistico-organizzativi dell’impiego
pubblico regionale, attribuiti alla competenza residuale delle Regioni, proprio
perché indissolubilmente connessi con l’attuazione dei princìpi sanciti dagli
artt. 51 e 97 Cost. (sentenze n. 241 del
2018, punto 4 del Considerato in diritto, e n. 380 del 2004,
punto 3.1. del Considerato in diritto).
L’attinenza della
disciplina dettata dall’art. 28 della legge reg. Veneto n. 44 del 2019 alla
competenza residuale della Regione priva di ogni rilievo la verifica, che il
ricorso sollecita, circa la corrispondenza tra la normativa regionale e quella
statale.
4.2.2.– Non è fondata
neppure la censura di violazione dei princìpi di ragionevolezza e di parità di
trattamento (art. 3 Cost.).
Questa Corte ha
scrutinato di recente l’art. 1, comma 93, lettera e), della legge 27 dicembre
2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e
bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), che autorizza le Agenzie
fiscali, nel disciplinare l’accesso alla qualifica dirigenziale mediante un
concorso pubblico per titoli ed esami, a esonerare dalla prova preselettiva i
dipendenti che abbiano svolto, per almeno due anni alla data di pubblicazione
del bando, funzioni dirigenziali o siano stati titolari di posizioni
organizzative di elevata responsabilità (POER) o di posizioni organizzative
temporanee (POT) o siano stati assunti mediante pubblico concorso e abbiano
almeno dieci anni di anzianità nella terza area, senza demerito (sentenza n. 164 del
2020).
Nel dichiarare non
fondate le questioni sollevate dal Tribunale amministrativo regionale per il
Lazio, questa Corte ha affermato che «non può dirsi irragionevole l’esonero
previsto dalla disposizione censurata per coloro che, attraverso il servizio
già prestato nelle Agenzie fiscali, abbiano sufficientemente dimostrato “sul
campo” effettive capacità». Invero, «il riconoscimento dell’esperienza
all’interno dell’amministrazione che bandisce il concorso “sottende un profilo
meritevole di apprezzamento da parte del legislatore” (sentenza n. 234 del
1994) e non collide con il principio di buon andamento, anche perché i
beneficiari dell’esonero dovranno comunque, al pari degli altri concorrenti,
cimentarsi con le prove concorsuali» (sentenza n. 164 del
2020, punto 19 del Considerato in diritto).
Tali considerazioni
rilevano anche con riferimento alla disciplina sottoposta all’odierno vaglio di
costituzionalità e conducono a respingere le censure del ricorrente.
La possibile deroga a
beneficio dei candidati interni non solo ha una giustificazione plausibile
nell’esigenza di valorizzare l’esperienza che essi hanno acquisito presso
l’amministrazione per il periodo apprezzabile di un quinquennio, ma non li
dispensa dall’obbligo di sostenere le prove concorsuali successive, volte
specificamente a valutare il merito, in condizioni di parità con gli altri
partecipanti.
L’esonero previsto dal
legislatore regionale, pertanto, ha una portata limitata. Esso si riferisce
alle sole prove preselettive, che non perseguono la finalità precipua,
assegnata al concorso, di verificare il merito dei concorrenti, vige per un
arco temporale definito (il triennio 2019-2021) e risulta demandato
all’apprezzamento dell’amministrazione, che potrà disporlo al fine esclusivo
«di ridurre i tempi di accesso al pubblico impiego», dopo aver vagliato le
peculiarità dei concorsi di volta in volta banditi.
La disciplina impugnata,
esaminata nella sua interezza e alla luce delle finalità che la ispirano, non
presta dunque il fianco alle censure di irragionevolezza e di violazione della
parità di trattamento.
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale
dell’art. 19 della legge della Regione Veneto 25 novembre 2019, n. 44
(Collegato alla legge di stabilità regionale 2020), promosse, in riferimento
agli artt. 2, 3, 41 e 117, terzo comma, della Costituzione, dal Presidente del
Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;
2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale
dell’art. 21 della legge reg. Veneto n. 44 del 2019, promosse, in riferimento
agli artt. 3 e 117, commi secondo, lettera l), e terzo, Cost., dal Presidente
del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;
3) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale
dell’art. 28, comma 3, ultimo periodo, della legge reg. Veneto n. 44 del 2019,
promosse, in riferimento agli artt. 3 e 117, secondo comma, lettera l), Cost.,
dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma,
nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 gennaio
2021.
F.to:
Giancarlo CORAGGIO,
Presidente
Silvana SCIARRA,
Redattore
Roberto MILANA,
Direttore della Cancelleria
Depositata in
Cancelleria il 12 febbraio 2021.