SENTENZA N.
14
ANNO 2021
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Giancarlo
CORAGGIO;
Giudici: Giuliano AMATO,
Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Augusto Antonio BARBERA, Giulio
PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano
PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,
ha pronunciato la
seguente
SENTENZA
nel giudizio di
legittimità costituzionale dell’art. 392, comma 1-bis, del codice
di procedura penale, promosso dal Giudice per le indagini preliminari del
Tribunale ordinario di Macerata nel procedimento penale a carico di M. M., con ordinanza
del 18 febbraio 2020, iscritta al n. 98 del registro ordinanze 2020 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 35, prima serie
speciale, dell’anno 2020.
Visto l’atto di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di
consiglio del 13 gennaio 2021 il Giudice relatore Stefano Petitti;
deliberato nella camera
di consiglio del 14 gennaio 2021.
1.– Con ordinanza del
18 febbraio 2020, iscritta al n. 98 del registro ordinanze 2020, il Giudice per
le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Macerata solleva, in
riferimento agli artt.
3 e 111 della
Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 392, comma
1-bis, del codice di procedura penale, nella parte in cui prevede che, nei
procedimenti per i delitti ivi indicati, l’assunzione della testimonianza in
sede di incidente probatorio, richiesta dal pubblico ministero o dalla persona
offesa dal reato, debba riguardare la persona minorenne che non sia anche
persona offesa dal reato.
1.1.– Il rimettente, in
qualità di GIP, premette di essere stato investito dal pubblico ministero della
richiesta di procedere con incidente probatorio, secondo quanto prevede la
norma censurata, all’assunzione della testimonianza di A. P., persona offesa
dal reato di cui all’art. 609-quater (Atti sessuali con minorenne) del codice
penale, e di A. T., minorenne già escussa in precedenza mediante sommarie
informazioni testimoniali in quanto a conoscenza di circostanze rilevanti per
la ricostruzione dei fatti.
Preliminarmente,
l’ordinanza introduttiva del presente giudizio prende atto della circostanza
che, secondo un recente orientamento giurisprudenziale del giudice di
legittimità (è richiamata Corte di cassazione, sezione terza penale, sentenza
26 luglio 2019, n. 34091), il provvedimento con cui il giudice rigetta la
richiesta di ammissione all’incidente probatorio presentata ai sensi della
disposizione censurata sarebbe da qualificarsi come abnorme.
Anche muovendo da ciò,
il rimettente ritiene di dubbia ragionevolezza «la previsione di imporre la
anticipazione in sede predibattimentale della audizione di minorenni che siano
meri testimoni rispetto ai fatti per i quali si procede», soprattutto in
considerazione del fatto che ciò avverrebbe «a prescindere da ogni valutazione
in concreto in ordine alla specificità del singolo caso, alla concreta
prevedibilità o meno di possibili conseguenze traumatiche della loro audizione,
alla esigenza o meno di anticipata audizione degli stessi».
Il fine di evitare
possibili fenomeni di vittimizzazione secondaria non si ravviserebbe, infatti,
nel caso in cui il testimone da audire in sede di
incidente probatorio non sia anche persona offesa, non essendovi motivo di
presumere necessariamente né che la audizione dibattimentale possa essere di
per sé traumatizzante, né che la memoria del teste (nel caso concreto ultrasedicenne) «si perda nei tempi ordinariamente
necessari per la istruttoria dibattimentale», fermo restando che, ove ciò
rischi di avvenire, l’escussione anticipata del testimone minorenne potrebbe
essere disposta sulla base dei presupposti di cui all’art. 392, comma 1,
lettere a) e b), cod. proc. pen.
(è richiamata, sul punto, l’ordinanza di questa Corte n. 108 del 2003).
Una volta che
l’incidente probatorio del testimone minorenne risulti invece «correlato solo
ed esclusivamente alla tipologia dei reati ed alla età del testimone», se ne
dovrebbe ricavare ad avviso del rimettente una «immotivata perdita del contatto
tra il dichiarante e l’organo deputato a emettere sentenza, con violazione,
senza alcuna necessità o utilità processuale, dell’ordinaria necessità che le
dichiarazioni siano rese davanti al giudice dibattimentale nel prosieguo
competente a decidere» (è evocata la sentenza di questa
Corte n. 205 del 2010).
Secondo l’ordinanza di
rimessione, tale vulnus non troverebbe peraltro rimedio nella previsione
dell’art. 190-bis, comma 1-bis, cod. proc. pen., secondo il quale nel caso in cui si proceda, tra
l’altro, per il reato di cui all’art. 609-quater cod. pen.,
la parte può essere risentita solamente «se il giudice o taluna delle parti lo
ritengono necessario sulla base di specifiche esigenze». Si tratterebbe infatti
di norma eccezionale e suscettibile di applicazione discrezionale da parte del
giudice del dibattimento, che per l’effetto non rileverebbe «ai fini della
immotivata deroga alla regola generale per cui la prova si forma nel
dibattimento» e che finirebbe per determinare, in uno con la rinnovata
audizione del teste, una «doppia sollecitazione emotiva e mnemonica dello
stesso», tanto più da evitare quando quest’ultimo sia minorenne.
Analogamente non
dirimente ai fini della prospettazione del dubbio di legittimità costituzionale
sarebbe poi la previsione contenuta nell’art. 398, comma 5-bis, cod. proc. pen. che, nel prevedere la
documentazione integrale delle dichiarazioni testimoniali con mezzi di
produzione fonografica o audiovisiva, non consentirebbe la percezione diretta e
immediata dei contenuti emersi nel corso della testimonianza, né consentirebbe
al giudice di gestire direttamente l’esame del teste, «cogliendo
nell’immediatezza le sfumature e valutando gli eventuali profili meritevoli di
approfondimento».
Peraltro, osserva il
rimettente, già gli artt. 472, ultimo comma, e 498 cod. proc.
pen. prevedono, anche in sede dibattimentale,
modalità di escussione del testimone minorenne idonee a tutelarne la condizione
di fragilità.
La norma censurata,
pertanto, non troverebbe giustificazione né nella «mera veste di minorenne del
teste», né nella gravità dei reati per i quali si procede, né «in una necessità
di tutela del teste, che ove non sia persona offesa non vi è motivo di ritenere
(a priori e indistintamente, per il solo titolo di reato, peraltro anche meno
grave di altri per i quali non è imposta la effettuazione di incidente
probatorio) abbia necessità di particolare attenzione, al fine di evitare allo
stesso traumatizzazioni secondarie».
Dall’arbitrarietà della
scelta legislativa, consistente nella mancata previsione «anche per la persona
minorenne [del]la necessità che la stessa rivesta il ruolo di persona offesa» e
nella conseguente sottrazione della audizione del mero teste alla ordinaria
sede dibattimentale, discenderebbe pertanto, ad avviso del rimettente, la
violazione degli evocati parametri costituzionali di cui agli artt. 3 e 111 Cost.
La questione sarebbe
altresì rilevante, anche in considerazione del fatto che il giudice rimettente
non ravvisa, nel caso di specie, la sussistenza della necessità di procedere a
incidente probatorio correlata a situazioni di pregiudizio per la veridicità
delle dichiarazioni della testimone minorenne ove differite alla sede
dibattimentale o a esigenze di particolare tutela della stessa, tali da
giustificare comunque il ricorso all’assunzione della testimonianza anticipata
alla sede incidentale.
2.– È intervenuto in
giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sollevata con
l’ordinanza indicata in epigrafe sia dichiarata manifestamente infondata.
Il presupposto da cui
muove il rimettente, vale a dire l’obbligatorietà dell’ammissione della
testimonianza del minorenne che non sia anche persona offesa in sede di
incidente probatorio, nel caso in cui si proceda per uno dei reati elencati nel
censurato art. 392, comma 1-bis, cod. proc. pen., è ritenuto insussistente dall’Avvocatura, ad avviso
della quale la ratio della disposizione censurata e i progressivi ampliamenti
dei suoi presupposti di operatività non sono tali da privare il giudice per le
indagini preliminari di un margine di discrezionalità nel valutare il possibile
rigetto della richiesta.
Ciò si ricaverebbe,
innanzi tutto, dal tenore testuale della norma censurata che, prevedendo che il
pubblico ministero o la persona sottoposta alle indagini abbiano la facoltà di
chiedere l’assunzione della testimonianza del minorenne in sede di incidente
probatorio, non potrebbe non attribuire un’analoga facoltà anche al giudice
chiamato a pronunciarsi sulla richiesta, che verrebbe altrimenti privato del
potere di effettuare un bilanciamento dei valori in gioco «che gli consenta di
optare per l’incidente probatorio solo laddove ricorrano effettive esigenze di
tutela del minore».
La sussistenza di un
simile spazio di valutazione discrezionale sarebbe altresì comprovata dalla
molteplicità delle tutele previste per le modalità di assunzione della
testimonianza delle vittime vulnerabili, e dei minori in particolare. In tal
senso andrebbero infatti considerati sia lo stesso art. 392, comma 1-bis, cod. proc. pen. per il fatto di
consentire l’attivazione dell’incidente probatorio al di fuori delle ragioni di
urgenza e indifferibilità richieste nei casi di cui al comma 1 del medesimo
articolo, sia la «legittimazione di modalità di audizione tutelanti, volte ad
evitare tanto l’esame diretto, tanto i contatti tra accusato e dichiarante» di
cui all’art. 398, comma 5-bis, cod. proc. pen. Tale ultima previsione, in particolare, abilita il
giudice a conformare discrezionalmente le modalità di escussione del minore
tanto con riferimento al luogo dell’assunzione della prova (che può avvenire
anche extra moenia), quanto al tempo dell’esame (che
può avvenire anche oltre il termine di dieci giorni stabilito dall’art. 398,
comma 2, lett. c, cod. proc.
pen.), quanto, infine, alle specifiche «modalità
particolari» di escussione.
Con riguardo alle
medesime finalità andrebbero poi considerati gli specifici presupposti per la
rinnovazione dibattimentale della testimonianza prevista dal richiamato art.
190-bis, comma 1-bis, cod. proc. pen.
Dalle disposizioni
richiamate e da quella censurata in particolare, tutte poste a tutela dei
soggetti minorenni coinvolti nel processo penale, non si potrebbe tuttavia
ricavare alcun obbligo del giudice a fare ricorso alle forme e modalità di
assunzione delle prove ivi previste, «dovendosi lasciare spazio alla
discrezionalità del giudice nel valutare il corretto bilanciamento dei valori
costituzionali in gioco».
1.– Il Giudice per le
indagini preliminari del Tribunale ordinario di Macerata, con l’ordinanza
indicata in epigrafe, solleva, in riferimento agli artt. 3 e 111 della
Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 392, comma
1-bis, del codice di procedura penale, nella parte in cui prevede che, nei
procedimenti per i delitti ivi indicati, l’assunzione della testimonianza in
sede di incidente probatorio, richiesta dal pubblico ministero o dalla persona
offesa dal reato, debba riguardare la persona minorenne che non sia anche
persona offesa dal reato.
1.1.– Il rimettente
ritiene che l’ammissione, ai sensi della norma censurata e nei casi ivi
previsti, della testimonianza del minorenne mero testimone in sede di incidente
probatorio sottrarrebbe l’audizione del teste alla ordinaria sede
dibattimentale, senza che ciò possa trovare una giustificazione né nella «mera
veste» di minorenne del teste, né nella gravità dei reati per i quali si
procede, né, infine, nella necessità che questi venga tutelato a priori e
indistintamente nel caso in cui non sia la persona offesa dal reato.
2.– È intervenuto in
giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione venga
dichiarata manifestamente infondata. L’ordinanza di rimessione, infatti,
muoverebbe da un erroneo presupposto interpretativo, consistente nell’asserito
obbligo, per il giudice, di ammettere l’assunzione anticipata della
testimonianza richiesta ai sensi della disposizione censurata. Al contrario,
dalla ricostruzione del tessuto normativo in cui quest’ultima si inserisce si
ricaverebbe che al giudice debba essere attribuito il potere di valutare
discrezionalmente se ammettere la testimonianza del minorenne mero testimone e
di stabilire le idonee modalità di assunzione, alla luce del bilanciamento che
questi è chiamato a operare tra le esigenze di tutela del minore e il rispetto
delle garanzie dell’indagato.
2.1.– Preliminarmente,
occorre rilevare come la questione sollevata nell’odierno giudizio,
contrariamente a quanto eccepito dall’Avvocatura, muova da un presupposto
interpretativo non privo di plausibilità. L’interpretazione della disposizione
censurata contenuta nell’ordinanza di rimessione, nella parte in cui assume che
il giudice sia tenuto ad ammettere la testimonianza del minorenne in sede di
incidente probatorio, pur in assenza di diritto vivente trova riscontro nella
giurisprudenza di legittimità (Corte di cassazione, sezione terza penale,
sentenza 26 luglio 2019, n. 34091, richiamata nell’ordinanza di rimessione,
sezione terza penale, sentenza 22 novembre 2019, n. 47572), sebbene in
riferimento alla testimonianza della persona offesa minorenne e nonostante il
contrasto, sul distinto profilo dell’impugnabilità o meno del rigetto della
richiesta di incidente probatorio, con altra giurisprudenza, peraltro
successiva all’ordinanza di rimessione (Corte di cassazione, sezione sesta
penale, sentenza 2 settembre 2020, n. 25996). E ciò, in ossequio alla costante
giurisprudenza di questa Corte, deve ritenersi sufficiente ai fini della
valutazione di ammissibilità della questione prospettata (ex multis, sentenze n. 187 del
2019, n. 135
del 2018, n.
42 del 2017, n.
262 del 2015).
3.– Ciò chiarito, è
necessario, prima di esaminare le censure, ricostruire il tenore e la ratio
della disposizione censurata, oltre che le caratteristiche essenziali del
sistema normativo al cui interno essa si inserisce.
3.1.– L’art. 392, comma
1-bis, cod. proc. pen.
prevede che «[n]ei procedimenti per i delitti di cui agli articoli 572, 600,
600-bis, 600-ter e 600-quater, anche se relativi al materiale pornografico di
cui all’articolo 600-quater.1, 600-quinquies, 601, 602, 609-bis, 609-quater,
609-quinquies, 609-octies, 609-undecies e 612-bis del codice penale il pubblico
ministero, anche su richiesta della persona offesa, o la persona sottoposta
alle indagini possono chiedere che si proceda con incidente probatorio
all’assunzione della testimonianza di persona minorenne ovvero della persona
offesa maggiorenne, anche al di fuori delle ipotesi previste dal comma 1. In
ogni caso, quando la persona offesa versa in condizione di particolare
vulnerabilità, il pubblico ministero, anche su richiesta della stessa, o la
persona sottoposta alle indagini possono chiedere che si proceda con incidente
probatorio all’assunzione della sua testimonianza».
Con tale disposizione,
introdotta dall’art. 13 della legge 15 febbraio 1996, n. 66 (Norme contro la
violenza sessuale), il legislatore ha inteso dettare presupposti e condizioni
per l’assunzione in sede di incidente probatorio del contributo testimoniale
proveniente da soggetti vulnerabili (quali, elettivamente, i minorenni) in
vario modo coinvolti in procedimenti penali diretti all’accertamento di reati
riguardanti la sfera sessuale. La deroga che in questo modo è stata introdotta
rispetto agli ordinari presupposti che governano la formazione anticipata della
prova rispetto al dibattimento (disciplinati dal comma 1 del medesimo art. 392
cod. proc. pen.) ha visto
allargarsi nel tempo la sua portata, come è dimostrato dalle numerose modifiche
legislative, che non solo hanno ampliato il novero dei reati indicati quali
presupposto per la formulazione della richiesta dello strumento incidentale, ma
hanno anche esteso la categoria dei soggetti tutelati da audire.
L’originaria limitazione alla testimonianza resa dal minore di anni sedici, in
particolare, è venuta meno a seguito della sostituzione del comma in parola
disposta dall’art. 9, comma 1, lettera b), del decreto-legge 23 febbraio 2009,
n. 11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza
sessuale, nonché in tema di atti persecutori) convertito, con modificazioni,
nella legge 23 aprile 2009, n. 38, che ha esteso a tutti i minori, anche ultrasedicenni (siano o meno persone offese dal reato),
nonché alle persone offese maggiorenni, la possibilità di essere auditi come testimoni in sede di incidente probatorio. Da
ultimo, per effetto della modifica apportata dall’art. 1, comma 1, lettera h),
del decreto legislativo 15 dicembre 2015, n. 212 (Attuazione della direttiva
2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, che
istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle
vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI), tale
possibilità è stata ulteriormente estesa, senza che peraltro rilevi il reato
per cui si procede, alla persona offesa che versi in condizione di «particolare
vulnerabilità».
3.2.– Strettamente
correlate a quella censurata sono poi le disposizioni mediante le quali il
legislatore ha disciplinato le modalità speciali di acquisizione della
testimonianza del minore in sede di incidente probatorio.
A tal riguardo, viene
innanzi tutto in rilievo l’art. 398, comma 5-bis, cod. proc.
pen., introdotto dall’art. 14, comma 2, della legge
n. 66 del 1996, secondo il quale ove si proceda per i reati ivi elencati (oggi
in larga parte coincidenti, pur non senza difetti di coordinamento, con quelli
di cui all’art. 392, comma 1-bis, cod. proc. pen. a seguito delle modifiche medio tempore intervenute),
«il giudice, ove fra le persone interessate all’assunzione della prova vi siano
minorenni, con l’ordinanza di cui al comma 2, stabilisce il luogo, il tempo e
le modalità particolari attraverso cui procedere all’incidente probatorio,
quando le esigenze di tutela delle persone lo rendono necessario od opportuno».
Tale previsione costituisce il correlato procedurale della norma censurata, nel
senso che prevede la necessità di apprestare modalità e condizioni “protette”
di assunzione della testimonianza del minore (e non più del solo minore di
sedici anni, per effetto della modifica disposta dall’art. 9, comma 1, lettera
c, n. 2 del d.l. n. 11 del 2009) che siano rispettose
della sua libertà e dignità, demandandone al giudice l’individuazione in
concreto.
Nella medesima
direzione, perché caratterizzate dallo stesso intento legislativo, devono poi
essere richiamate le disposizioni contenute nell’art. 498, commi 4 e seguenti,
cod. proc. pen., mediante
le quali il legislatore ha introdotto modalità di audizione del testimone
minorenne incentrate sull’esame “attutito” di cui al comma 4 (che assegna al
presidente il compito di condurre l’esame «su domande e contestazioni proposte
dalle parti», anche avvalendosi dell’ausilio di un familiare del minore o di un
esperto in psicologia infantile) e su quello “protetto” di cui al comma 4-bis
(che a sua volta rimanda alle modalità previste dal già richiamato art. 398,
comma 5-bis, cod. proc. pen.).
Entrambe tali previsioni, applicabili anche all’esame testimoniale condotto in
sede di incidente probatorio per effetto del rinvio contenuto nell’art. 401,
comma 5, cod. proc. pen.,
unitamente a quella contenuta nel comma 4-ter del medesimo articolo, riferita
però all’esame del minore ovvero del maggiorenne infermo di mente che siano
vittime del reato, sono infatti contrassegnate da un’analoga esigenza di
graduazione delle modalità di protezione dei testimoni minorenni in sede di
assunzione della testimonianza, la cui individuazione in concreto è, anche
rispetto ad esse, affidata al giudice procedente.
3.3.– Come emerge dai
lavori parlamentari che hanno condotto all’approvazione della citata legge n.
66 del 1996, l’introduzione della nuova ipotesi di incidente probatorio di cui
alla norma oggi censurata – ritenuto «speciale o atipico» (sentenza n. 92 del
2018) perché svincolato dall’ordinario presupposto della non rinviabilità della prova al dibattimento – era rivolta
soprattutto a tutelare la personalità del minore, consentendogli di uscire al
più presto dal circuito processuale per aiutarlo a liberarsi più rapidamente
dalle conseguenze psicologiche dell’esperienza vissuta. Tale ratio
giustificatrice è stata, in seguito, ulteriormente avvalorata
dall’introduzione, operata con l’art. 13, comma 2, della legge 3 agosto 1998,
n. 269 (Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia,
del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in
schiavitù), del comma 1-bis all’art. 190-bis, cod. proc.
pen., che stabilisce oggi che, laddove si proceda per
alcuni dei reati di cui all’art. 392, comma 1-bis, cod. proc.
pen., il minore degli anni diciotto, già escusso in
sede di incidente probatorio, possa essere chiamato a deporre nuovamente in
dibattimento «solo se [l’esame] riguarda fatti o circostanze diversi da quelli
oggetto delle precedenti dichiarazioni ovvero se il giudice o taluna delle
parti lo ritengano necessario sulla base di specifiche esigenze».
4.– Poste tali
premesse, la questione deve essere dichiarata non fondata.
4.1.– La disposizione
censurata disciplina i presupposti e le condizioni per l’ammissione della
testimonianza del soggetto minorenne in sede di incidente probatorio, nel caso
in cui si proceda per alcuni delitti contro l’assistenza familiare (art. 572
cod. pen.) ovvero contro la libertà individuale
(artt. 600, 600-bis, 600-ter e 600-quater, anche se relativi al materiale
pornografico di cui all’articolo 600-quater.1, 600-quinquies, 601, 602,
609-bis, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies, 609-undecies e 612-bis, cod. pen.). Essa si inserisce, come si è visto, in un più ampio
sistema normativo, che testimonia nel suo complesso, anche in conseguenza
dell’adozione di normative di fonte sovranazionale (tra cui, in particolare, la
direttiva n. 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce
norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di
reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI), lo spazio dato
dall’ordinamento, anche con riguardo al processo penale, a «provvedimenti e
misure tesi a garantire una risposta più efficace verso i reati contro la
libertà e l’autodeterminazione sessuale, considerati di crescente allarme
sociale, anche alla luce della maggiore sensibilità culturale e giuridica in
materia di violenza contro le donne e i minori», cui si è associata «la volontà
di approntare un sistema più efficace per sostenere le vittime, agevolandone il
coinvolgimento nell’emersione e nell’accertamento delle condotte penalmente
rilevanti» (sentenza
n. 1 del 2021).
4.2.– Questa Corte ha
più volte preso in esame il complesso normativo in cui si inserisce la norma
censurata e ha rinvenuto, in particolare, il fondamento dei presupposti e delle
modalità di assunzione della testimonianza del minorenne in sede di incidente
probatorio, nonché dei bilanciamenti che esso sottende, in due ordini di
concomitanti finalità.
4.2.1.– La prima
finalità, di natura extraprocessuale, è quella di tutelare la libertà e la
dignità del minorenne rispetto al rischio che l’assunzione della testimonianza
esponga quest’ultimo al trauma psicologico associato alla sua esperienza in un
contesto giudiziario penale, nel quale «[i] fattori atti a provocare una
maggiore tensione emozionale sono il dover deporre in pubblica udienza
nell’aula del tribunale, l’essere sottoposti all’esame e al controesame
condotto dal pubblico ministero e dai difensori e il trovarsi a testimoniare di
fronte all’imputato, la cui sola presenza può suggestionare e intimorire il
dichiarante» (sentenza
n. 92 del 2018).
Come questa Corte ha
infatti ritenuto nella sentenza n. 63 del
2005, «[r]endere testimonianza in un procedimento
penale, nel contesto del contraddittorio, su fatti e circostanze legati
all’intimità della persona e connessi a ipotesi di violenze subìte, è sempre
esperienza difficile e psicologicamente pesante: se poi chi è chiamato a
deporre è persona particolarmente vulnerabile, più di altre esposta ad
influenze e a condizionamenti esterni, e meno in grado di controllare tale tipo
di situazioni, può tradursi in un’esperienza fortemente traumatizzante e lesiva
della personalità». Tale assunto, che come si è detto era all’origine delle
scelte compiute con la legge n. 66 del 1996, costituisce quindi la prima ratio
giustificatrice di un’opzione legislativa che, pur rappresentando «una
eccezione rispetto alla regola generale per cui la prova si forma nel
dibattimento» (ordinanza
n. 108 del 2003), trova nondimeno la sua giustificazione nel fatto che essa
è riferita a «reati rispetto ai quali si pone con maggiore intensità ed
evidenza l’esigenza di proteggere la personalità del minore, nell’ambito del
suo coinvolgimento processuale» (sentenza n. 529 del
2002).
L’assunzione anticipata
della testimonianza del minorenne, attraverso il ricorso all’incidente
probatorio speciale, deve essere pertanto in primo luogo ricondotta al rilievo
costituzionale da attribuirsi ad «esigenze di salvaguardia della personalità
del minore» (sentenza
n. 262 del 1998), che nella norma censurata si traducono in una presunzione
di indifferibilità o di non ripetibilità del relativo contributo testimoniale,
rivolta in prima battuta a preservare il minore «dagli effetti negativi che la
prestazione dell’ufficio di testimone può produrre in rapporto alla [sua]
peculiare condizione» (sentenza n. 92 del
2018), mediante la sua sottrazione, in linea di principio, allo strepitus fori e la previsione di una sua rapida
fuoriuscita dal circuito processuale.
4.2.2.– La seconda e
concorrente finalità perseguita dall’art. 392, comma 1-bis, cod. proc. pen., è invece di natura endoprocessuale ed è connessa alla circostanza che
l’anticipazione della testimonianza alla sede incidentale, tanto più laddove si
proceda per reati attinenti alla sfera sessuale, è rivolta anche a garantire la
genuinità della formazione della prova, atteso che la assunzione di essa in un
momento quanto più prossimo alla commissione del fatto costituisce anche una
garanzia per l’imputato, perché lo tutela dal rischio di deperimento
dell’apporto cognitivo che contrassegna, in particolare, il mantenimento del
ricordo del minore. Come questa Corte ha ritenuto, da ultimo, nella già
richiamata sentenza
n. 92 del 2018, «[i]l trauma cui il minore è esposto durante l’esame
testimoniale si ripercuote, d’altronde, negativamente sulla sua capacità di
comunicare e di rievocare correttamente e con precisione i fatti che lo hanno
coinvolto, o ai quali ha assistito, rischiando così di compromettere la
genuinità della prova». Ma già nell’ordinanza di
questa Corte n. 583 del 2000, il meccanismo di cui alla norma censurata,
pur nella sua eccezionalità rispetto alle ordinarie forme e modalità di
assunzione delle prove, è stato giustificato sulla base dell’assunto per cui
«la possibilità – prevista dalla norma impugnata – di anticipare, attraverso il
ricorso all’incidente probatorio, l’assunzione di testimonianze appare,
piuttosto, essenzialmente intesa ad assicurare efficacia e genuinità della prova,
quando si tratti di raccogliere testimonianze potenzialmente soggette a subire,
col decorso del tempo, per le particolari condizioni del minore,
condizionamenti che le possano rendere meno genuine o meno utili al fine degli
accertamenti cui è volto il processo» (così, analogamente, sentenze n. 529 del 2002
e n. 114 del
2001).
Va inoltre considerato
che ove la richiesta, presentata ai sensi del citato art. 392, comma 1-bis, sia
avanzata dal pubblico ministero, l’art. 393, comma 2-bis, cod. proc. pen. (introdotto dall’art.
13, comma 2, della legge n. 66 del 1996) obbliga quest’ultimo a depositare,
all’atto della richiesta, tutti gli atti di indagine compiuti, e l’art. 398,
comma 3-bis, cod. proc. pen.
(introdotto dall’art. 14, comma 1, della legge n. 66 del 1996) attribuisce alla
persona sottoposta alle indagini e ai difensori delle parti il diritto di
ottenere copia degli atti depositati. Ciò consente che l’indagato abbia quindi
accesso agli atti di indagine compiuti sino a quel momento, così da essere in
condizione di esercitare il suo diritto al contraddittorio in sede di esame
testimoniale del minorenne.
5.– Il concorso di tali
finalità, peraltro, se da un lato sorregge la disposizione censurata e il
sistema normativo in cui essa si inserisce, dall’altro lato non fa tuttavia
venir meno la sua già richiamata natura eccezionale, poiché essa, nel momento
in cui consente l’ingresso di contenuti testimoniali in una fase antecedente a
quella dibattimentale, sulla base, peraltro, di una presunzione di
indifferibilità e di non rinviabilità di essi in
ragione della natura dei reati contestati e della condizione di vulnerabilità
dei soggetti da audire, introduce una deroga al
principio fondamentale di immediatezza della prova. Tale principio «postula –
salve le deroghe espressamente previste dalla legge – l’identità tra il giudice
che acquisisce le prove e quello che decide (ordinanze n. 431
e n. 399 del
2001)» (ordinanza
n. 318 del 2008) e risulta anche «strettamente correlato al principio di
oralità» (sentenza
n. 132 del 2019).
La natura eccezionale
dell’istituto in parola si apprezza, in particolare, anche in relazione allo
specifico profilo oggetto della censura di illegittimità costituzionale
sollevata dal rimettente, poiché l’equiparazione che, almeno in linea di
principio, l’art. 392, comma 1-bis, cod. proc. pen. introduce tra il contributo testimoniale del minorenne
persona offesa dal reato e quello del minorenne mero testimone non appare
affatto priva di giustificazione, poiché la presunzione di un’analoga
condizione di vulnerabilità che avvince le due categorie di soggetti, per il
fatto di essere chiamati a testimoniare su fatti legati all’intimità e connessi
a violenze subite o alle quali si è assistito, è da ritenersi conforme a dati
di esperienza generalizzati, riassumibili nella formula dell’id quod plerumque accidit (tra le altre, sentenze n. 253 del 2019
e n. 268 del
2016). È infatti tutt’altro che implausibile che
una medesima esigenza di protezione induca il giudice ad assumere in via
anticipata, ove i soggetti indicati dalla disposizione censurata lo richiedano,
la testimonianza non solo del minorenne che sia persona offesa dal reato, ma
anche del minorenne mero testimone, poiché la vulnerabilità che qualifica quasi
in re ipsa la posizione del primo, in ragione della
tipologia dei reati elencati nell’art. 392, comma 1-bis, cod. proc. pen., può ritenersi non
irragionevolmente sussistente anche in relazione al secondo, tenuto conto che
il minorenne può ben essere chiamato a riferire su fatti che ha appreso (senza
poterne spesso elaborare adeguatamente la portata) o a cui addirittura ha
assistito, e che peraltro si svolgono con frequenza nell’ambiente domestico o
comunque familiare.
Tale circostanza,
seppure conduce a ritenere che la norma censurata non sia in parte qua
costituzionalmente imposta, la pone tuttavia al riparo dall’incostituzionalità
prospettata dall’ordinanza di rimessione di cui al presente giudizio. L’aver in
linea di principio presuntivamente equiparato, quanto all’anticipazione
dell’assunzione testimoniale, il minorenne vittima del reato al minorenne mero
testimone risponde infatti ad una scelta che non trascende la sfera di
discrezionalità riservata al legislatore nella conformazione degli istituti
processuali anche in materia penale (sentenze n. 137 del 2020,
n. 31 e n. 20 del 2017,
n. 216 del 2016),
con la conseguenza che essa non può essere ritenuta manifestamente
irragionevole.
5.1.– È doveroso infine
osservare come l’eccezione che la disposizione censurata introduce rispetto al
principio di immediatezza della prova e alla sua conseguente formazione in
dibattimento risulta compensata dalla circostanza che le modalità di assunzione
anticipata della prova testimoniale del minore e, più in generale, del soggetto
vulnerabile sono disciplinate dalle disposizioni codicistiche
sopra richiamate in modo tale da garantire il diritto di difesa della persona
sottoposta alle indagini, con particolare riferimento al contributo che questi
può dare alla formazione della prova nel rispetto del principio costituzionale
del contraddittorio.
La natura non
manifestamente irragionevole, nel senso anzidetto, dell’eccezione costituita
dalla disposizione oggetto di scrutinio si ricava, innanzi tutto, dal disposto
dell’art. 398, comma 5-bis, secondo periodo, cod. proc.
pen., là dove esso prevede che «[l]e dichiarazioni
testimoniali debbono essere documentate integralmente con mezzi di produzione
fonografica o audiovisiva». Contrariamente a quanto assume il rimettente, che
vede in tale norma un vulnus al potere del giudice, privato della percezione
diretta ed immediata del dichiarante, essa si pone in realtà a presidio dei
diritti del soggetto indagato, perché scongiura l’eventualità che i contenuti
della testimonianza assunta in sede incidentale nelle forme dell’audizione
protetta vengano documentati, in vista del loro utilizzo in dibattimento, nelle
ordinarie forme solamente scritte, connotando così ulteriormente l’incidente
probatorio, e in particolar modo quello speciale, quale «istituto che si
proietta verso l’utilizzazione dibattimentale» (ordinanza n. 358
del 2004).
Anche alla luce di tali
modalità più garantite di utilizzo in dibattimento delle dichiarazioni
testimoniali rese dal minore in sede di incidente probatorio, secondo quanto
prevede la disposizione da ultimo richiamata, assume rilievo la circostanza che
al giudice spetta un ampio margine di flessibilità nel definire modalità di
escussione del testimone minorenne idonee a garantire un adeguato bilanciamento
tra l’esigenza di preservare la libertà e la dignità di quest’ultimo e le
garanzie difensive dell’imputato.
Il combinato disposto
dei richiamati articoli 398, comma 5-bis, e 498, commi 4 e 4-bis, cod. proc. pen. attribuisce infatti al
giudice procedente un vasto spettro di soluzioni, che vanno dalla possibilità
di impiegare un contraddittorio pieno, con facoltà per il pubblico ministero e
per il difensore di porre domande dirette al minorenne, in particolare laddove
il giudice ritenga che «l’esame diretto del minore non possa nuocere alla
serenità del teste» (art. 498, comma 4, secondo periodo, cod. proc. pen.), alle forme contrassegnate
da un grado via via crescente di protezione per il soggetto vulnerabile, di cui
si è dato conto.
Così, ove il giudice
ritenga che né la condizione personale del minorenne mero testimone chiamato a
deporre (magari perché prossimo alla maggiore età, come nel giudizio a quo), né
la delicatezza o scabrosità del suo contributo testimoniale giustifichino forme
di audizione protetta, tali da comprimere legittime esigenze di contraddittorio
con la difesa della persona sottoposta alle indagini, egli potrà pur sempre
evitare che l’escussione avvenga nelle forme protette di cui al citato art.
398, comma 5-bis, cod. proc. pen.
(da disporre solo quando «le esigenze di tutela delle persone lo rendono
necessario od opportuno») o anche solo nella forma dell’esame attutito di cui
all’art. 498, comma 4, primo periodo, cod. proc. pen., ripristinando così il contraddittorio pieno con
l’indagato.
6.– In conclusione, la
questione di legittimità costituzionale dell’art. 392, comma 1-bis, cod. proc. pen. deve essere dichiarata
non fondata in riferimento a entrambi i parametri evocati dall’ordinanza di
rimessione.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata
la questione di legittimità costituzionale dell’art. 392, comma 1-bis, del
codice di procedura penale, sollevata dal Giudice per le indagini preliminari
del Tribunale ordinario di Macerata, in riferimento agli artt. 3 e 111 della
Costituzione, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma,
nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 gennaio
2021.
F.to:
Giancarlo CORAGGIO,
Presidente
Stefano PETITTI,
Redattore
Filomena PERRONE,
Cancelliere
Depositata in
Cancelleria il 5 febbraio 2021.