ORDINANZA N. 197
ANNO 2020
Commento alla decisione di
Pierdomenico Logroscino
per g.c. di Federalismi.it
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai
signori:
Presidente: Marta
CARTABIA;
Giudici: Aldo
CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana
SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio
BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO’, Luca
ANTONINI, Stefano PETITTI,
ha pronunciato la
seguente
ORDINANZA
nel giudizio per
conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito dell’iter di
approvazione, al Senato della Repubblica, nei giorni 18 e 19 giugno 2020,
mediante voto di fiducia ex art. 161, comma 3-bis del regolamento del Senato,
dell’articolo unico di conversione del decreto-legge
20 aprile 2020 n. 26 (Disposizioni urgenti in materia di consultazioni
elettorali per l’anno 2020), convertito, con modificazioni, nella legge 19
giugno 2020, n. 59, nonché degli atti conseguenti, cioè l’indizione dei
comizi referendari, mediante il d.P.R. 17
luglio 2020 (Indizione del referendum popolare confermativo del testo della
legge costituzionale recante «Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della
Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari», approvato
dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana
n. 240 del 12 ottobre 2019), per i giorni 20 e 21 settembre 2020, promosso
da Gregorio De Falco, nella qualità di senatore, con ricorso depositato in
cancelleria il 28 luglio 2020 ed iscritto al n. 9 del registro conflitti tra
poteri 2020, fase di ammissibilità.
Visto l’atto
d’intervento del Partito Radicale Nonviolento Transnazionale Transpartito;
udito il Giudice
relatore Nicolò Zanon nella camera di consiglio del 12 agosto 2020, svolta ai
sensi del decreto della Presidente della Corte del 23 giugno 2020, punto 4);
deliberato nella
camera di consiglio del 12 agosto 2020.
Ritenuto che, con ricorso depositato il 28 luglio 2020, il senatore Gregorio De
Falco ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei
confronti del Senato della Repubblica, nonché, «se dichiarato ammissibile», nei
confronti del Governo della Repubblica e dei Ministri dell’interno e della
giustizia, «in quanto responsabili, insieme con il Presidente del Consiglio ex
art. 89 c.1 Cost. degli atti del Presidente della Repubblica, che non può
essere chiamato a rispondere, nemmeno in giudizio, per gli atti compiuti
nell’esercizio delle sue funzioni (art. 90 c.1 Cost.) e/o del Presidente della
Repubblica in caso di diniego dei Ministri responsabili di rappresentarlo in
giudizio o di sua autonoma determinazione di costituirsi nel giudizio stesso»;
che il ricorrente
chiede che la Corte costituzionale dichiari che non spettava al Senato
approvare la legge 19 giugno 2020, n. 59, di conversione, con modificazioni,
del decreto-legge 20 aprile 2020, n. 26 (Disposizioni urgenti in materia di
consultazioni elettorali per l’anno 2020), poiché tale legge avrebbe introdotto
previsioni in «materia referendaria» estranee al testo originario del citato
decreto-legge, che avrebbe disciplinato soltanto la «materia elettorale»;
che, in
particolare, le doglianze del ricorrente si appuntano sull’art. 1-bis, commi 1
e 3, del su citato decreto-legge, in base al quale, «al fine di assicurare il
necessario distanziamento sociale, le operazioni di votazione per le
consultazioni elettorali e referendarie dell’anno 2020 si svolgono […] nella
giornata di domenica […] e nella giornata di lunedì»;
che tale
previsione applica anche al referendum costituzionale «il principio di
concentrazione delle scadenze elettorali», previsto dall’art. 7 del
decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione
finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n.
111;
che l’approvazione
e la conversione del citato d.l. n. 26 del 2020, contenendo disposizioni in
«materia costituzionale ed elettorale», determinerebbero la violazione
dell’art. 72, primo e quarto comma, della Costituzione;
che l’approvazione
al Senato della legge n. 59 del 2020 attraverso il voto di fiducia avrebbe
impedito al ricorrente di esaminare e approvare nel merito «tutte le parti aggiunte,
mediante emendamento modificativo o soppressivo delle disposizioni originarie»
del d.l. n. 26 del 2020;
che il ricorrente
chiede che la Corte costituzionale disponga l’annullamento del d.P.R. 17 luglio
2020 (Indizione del referendum popolare confermativo relativo all’approvazione
del testo della legge costituzionale recante «Modifiche agli articoli 56, 57 e
59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari»,
approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
italiana n. 240 del 12 ottobre 2019), con il quale è stato indetto il
referendum costituzionale e sono stati convocati i relativi comizi per i giorni
20 e 21 settembre 2020;
che l’indizione
dei comizi referendari confliggerebbe con il diritto del ricorrente «di
partecipare alle sessioni parlamentari con pienezza di poteri di emendamento di
disposizioni incostituzionali»;
che il ricorrente
sollecita altresì la Corte costituzionale ad adottare una misura cautelare che
sospenda, nelle more della decisione del conflitto, l’indizione del referendum
costituzionale, eventualmente sollevando di fronte a sé stessa questione di
legittimità costituzionale dell’art. 12 della legge
25 maggio 1970, n. 352 (Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e
sulla iniziativa legislativa del popolo) «nella parte in cui non prevede il
controllo di compatibilità della revisione costituzionale con l’art. 139 Cost.,
che è limite insuperabile per ogni revisione costituzionale come l’art. 75 c. 2
Cost. lo è per il referendum abrogativo»;
che, nel periodo
intercorrente tra il deposito del ricorso per conflitto di attribuzione tra
poteri e la camera di consiglio convocata per valutarne l’ammissibilità, è
pervenuto un atto di «intervento adesivo dipendente», con il quale il Partito
Radicale Nonviolento Transnazionale Transpartito ha
chiesto di intervenire nel giudizio davanti alla Corte costituzionale.
Considerato che il senatore Gregorio De Falco ha sollevato
conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Senato della
Repubblica, e, «se dichiarato ammissibile», nei confronti del Governo della
Repubblica e dei Ministri dell’interno e della giustizia, «in quanto
responsabili, insieme con il Presidente del Consiglio» degli atti del
Presidente della Repubblica, «e/o del Presidente della Repubblica» stesso, per
chiedere che questa Corte dichiari che non spettava al Senato approvare con
voto di fiducia la legge 19 giugno 2020, n. 59 che ha convertito, con
modificazioni, in legge il decreto-legge 20 aprile 2020, n. 26 (Disposizioni
urgenti in materia di consultazioni elettorali per l’anno 2020);
che, secondo il
ricorrente, la legge n. 59 del 2020, essendo stata approvata a seguito di voto
di fiducia e contenendo un emendamento in materia asseritamente estranea al
contenuto originario del d.l. n. 26 del 2020, avrebbe determinato la lesione
delle prerogative costituzionali attribuitegli in quanto parlamentare;
che il d.l. n. 26
del 2020, come convertito, contenendo previsioni in materia costituzionale ed
elettorale, sarebbe stato adottato in violazione dell’art. 72 della
Costituzione;
che il ricorrente
chiede che questa Corte annulli anche il d.P.R. 17 luglio 2020 (Indizione del
referendum popolare confermativo relativo all’approvazione del testo della
legge costituzionale recante «Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della
Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari», approvato
dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana
n. 240 del 12 ottobre 2019), sospendendone con misura cautelare l’applicazione
ed eventualmente sollevando innanzi a sé questione di legittimità
costituzionale dell’art. 12 della legge 25 maggio 1970, n. 352 (Norme sui
referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del
popolo);
che, in questa
fase del giudizio, la Corte costituzionale è chiamata esclusivamente a
deliberare, in camera di consiglio, senza contraddittorio e senza possibilità
di interventi di terzi, se sussistano i requisiti, soggettivo e oggettivo,
prescritti dall’art. 37, primo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme
sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), ossia a
decidere se il conflitto insorga tra organi competenti a dichiarare
definitivamente la volontà del potere cui appartengono e per la delimitazione
della sfera di attribuzioni delineata per i vari poteri da norme
costituzionali;
che questa Corte
non può esimersi dal rilevare, preliminarmente, la scarsa chiarezza e coerenza
del percorso argomentativo seguito dal ricorso, contraddistinto da salti logici
e da passaggi privi di conseguenzialità;
che il ricorso
contiene, infatti, sommarie critiche: a) all’adozione del d.l. n. 26 del 2020
per la disciplina di ambiti attinenti alla «materia costituzionale ed
elettorale»; b) all’approvazione, da parte delle «Commissioni Affari
Costituzionali di Camera e Senato», di un emendamento asseritamente estraneo al
testo originario del decreto-legge; c) all’approvazione con voto di fiducia, da
parte del Senato, della legge di conversione del citato decreto-legge; d) agli
effetti che tale decreto-legge avrebbe determinato sul successivo d.P.R. del 17
luglio 2020; e) alle conseguenze che l’accorpamento delle consultazioni
elettorali e di quella referendaria avrebbe sulla genuinità del procedimento di
revisione costituzionale; f) agli effetti sulla forma di governo parlamentare che
la revisione costituzionale determinerebbe, anche alla luce della legge
elettorale attualmente vigente;
che il ricorso
espone, dunque, in modo non ordinato, critiche alla legge elettorale, alla
riforma costituzionale, all’accorpamento delle consultazioni, all’utilizzo dei
decreti-legge e, infine, al procedimento di conversione in legge degli stessi,
sovrapponendo non solo argomenti giuridico-costituzionali tra loro ben
distinti, ma altresì avanzando valutazioni politiche in questa sede non
conferenti;
che coerenza di
contenuti e chiarezza di forma costituiscono requisiti di ogni atto
introduttivo di un giudizio, e non possono non valere per il ricorso
introduttivo di un giudizio per conflitto di attribuzioni tra poteri dello
Stato che aspiri a superare il vaglio preliminare di ammissibilità;
che, invece, il
ricorso non individua né l’atto lesivo (o gli atti lesivi), né le attribuzioni
del ricorrente che sarebbero state lese (in senso analogo, ordinanze n. 181
del 2018 e n.
280 del 2017);
che, soprattutto,
il ricorso non contiene alcuno specifico riferimento alle prerogative del
singolo parlamentare, asseritamente violate durante l’iter di conversione in
legge del d.l. n. 26 del 2020;
che la
giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che, affinché il ricorso per
conflitto tra poteri dello Stato presentato dal singolo parlamentare risulti
ammissibile, è necessario che il ricorrente alleghi «“una sostanziale negazione
o un’evidente menomazione” delle proprie funzioni costituzionali» (ordinanza n. 176
del 2020 e, in senso simile, ordinanza n. 275
del 2019);
che, in
particolare, deve essere motivata «la ridondanza delle asserite violazioni dei
principi costituzionali invocati sulla propria sfera di attribuzioni
costituzionali, a difesa della quale questa Corte è chiamata a pronunciarsi»
(ordinanze n.
176 e n. 129
del 2020, nonché n. 181 del 2018);
che, invece, il
ricorrente omette qualsiasi riferimento ai lavori parlamentari svoltisi presso
il Senato della Repubblica, da cui risulti l’evidenza delle numerose lesioni
lamentate;
che peraltro,
durante tali lavori, l’applicazione del principio della concentrazione delle
scadenze elettorali (cosiddetto election day) anche
al referendum costituzionale è stata oggetto di ampia discussione, essendosene
proposta l’esclusione in due diverse questioni pregiudiziali (respinte, con
unica votazione, durante la seduta del Senato n. 231 del 18 giugno 2020),
questioni sulle quali risulta che anche il ricorrente abbia potuto regolarmente
votare;
che, inoltre, il
voto favorevole sulla questione di fiducia posta al Senato sull’articolo unico
del disegno di legge di conversione del d.l. n. 26 del 2020 ha legittimamente
determinato, secondo quanto previsto dall’art. 161, comma 3-bis, del
regolamento del Senato, l’approvazione dell’articolo unico del disegno di legge
di conversione, con conseguente preclusione dei restanti emendamenti, degli
ordini del giorno e delle proposte di stralcio;
che, anche sotto
questo profilo, in seguito all’applicazione delle norme del regolamento
parlamentare conseguenti alla posizione della questione di fiducia, non risulta
prospettata alcuna specifica lesione delle attribuzioni costituzionali del
singolo parlamentare nell’ambito del procedimento di conversione (analogamente,
ordinanza n. 275
del 2019);
che, comunque,
sempre con riferimento agli effetti dell’approvazione della questione di
fiducia sui tempi di discussione parlamentare, questa Corte ha già avuto modo
di evidenziare che «in nessun caso sarebbe sindacabile […] la questione di
fiducia ai fini dell’approvazione senza emendamenti di un disegno di legge in
seconda lettura» (ordinanza
n. 60 del 2020);
che, ancora,
nessuna argomentazione è contenuta nel ricorso in merito alla ritenuta
estraneità dell’art. 1-bis, approvato nel corso dell’iter di conversione,
rispetto al testo originario del d.l. n. 26 del 2020, mentre questa Corte ha
già chiarito che, in simili evenienze, il ricorso stesso deve offrire «elementi
tali da portare all’evidenza […] l’asserito difetto di omogeneità
dell’emendamento oggetto» del conflitto, non essendo sufficiente, a tal fine,
«un mero raffronto tra la materia regolata dall’emendamento stesso e il titolo
del decreto-legge» (ordinanza n. 274
del 2019);
che, in
definitiva, pur asserendo la violazione di plurimi principi costituzionali
inerenti sia il procedimento legislativo sia quello di revisione
costituzionale, il ricorso non chiarisce quali attribuzioni costituzionali del
singolo parlamentare siano state in concreto lese nel corso di tali
procedimenti, e nemmeno enuncia quali siano, in astratto, tali attribuzioni;
che, per questo
insieme di ragioni, esso deve essere dichiarato inammissibile;
che la presente
pronuncia assorbe l’esame dell’istanza di sospensione cautelare del d.P.R. 17
luglio 2020.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello
Stato promosso dal senatore Gregorio De Falco.
Così deciso in
Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12
agosto 2020.
F.to:
Marta CARTABIA,
Presidente
Nicolò ZANON,
Redattore
Filomena PERRONE,
Cancelliere
Depositata in
Cancelleria il 13 agosto 2020.