Ordinanza n. 181 del 2018

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Commento alla decisione di

 

Alessandro Lauro

Il conflitto fra poteri dello Stato e la forma di governo parlamentare: a margine delle ordinanze 163 e 181 del 2018

 

per g.c del Forum di Quaderni Costituzionali

 

ORDINANZA N. 181

ANNO 2018

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Giorgio                LATTANZI                                        Presidente

- Aldo                    CAROSI                                               Giudice

- Marta                   CARTABIA                                               ”

- Mario Rosario      MORELLI                                                  ”

- Giancarlo             CORAGGIO                                              ”

- Silvana                 SCIARRA                                                  ”

- Daria                    de PRETIS                                                 ”

- Nicolò                  ZANON                                                     ”

- Franco                  MODUGNO                                              ”

- Augusto Antonio BARBERA                                                ”

- Giulio                   PROSPERETTI                                          ”

- Giovanni              AMOROSO                                               ”

- Francesco             VIGANÒ                                                   ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della legge 6 maggio 2015, n. 52 (Disposizioni in materia di elezione della Camera dei deputati), e relativo iter di approvazione, e della legge 3 novembre 2017, n. 165 (Modifiche al sistema di elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Delega al Governo per la determinazione dei collegi elettorali uninominali e plurinominali), e relativo iter di approvazione, promosso da Felice Carlo Besostri e altri soggetti, sia cittadini elettori che parlamentari in carica nella XVII legislatura, con ricorso depositato in cancelleria il 14 dicembre 2017 e iscritto al n. 8 del registro conflitti tra poteri 2017 (fase di ammissibilità).

Visti gli atti di intervento di Federica Giulia Besostri e altri, di Michele Durante e altri, di Maria Paola Patuelli e altri, di Rosario Musmeci e altri, di Adriana Eden Susanna Galgano e altri, di Emanuele Petracca e altra, di Paolo Perrini e altri, di Paolo Grgic e altri e di Luigi De Magistris e altri;

udito nella camera di consiglio del 4 luglio 2018 il Giudice relatore Marta Cartabia.

Ritenuto che, con ricorso depositato in data 14 dicembre 2017, dodici cittadini elettori e dieci membri del Parlamento della XVII legislatura (di cui sette deputati e tre senatori), «nella duplice qualità di elettori e rappresentanti della Nazione» e «con la plurima variante della loro legittimazione come elettore, soggetto politico e parlamentare», hanno sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato «nei confronti delle due Camere che compongono il Parlamento nazionale e, ove occorra, del Governo»;

che i ricorrenti chiedono che la Corte costituzionale dichiari l’avvenuta «menomazione delle loro attribuzioni in quanto componenti del Corpo elettorale, organo del popolo sovrano», la cui espressione ex art. l, secondo comma, della Costituzione sarebbe stata ostacolata indebitamente e, nel caso dei parlamentari, «altresì come rappresentanti della Nazione senza vincoli di mandato ex art. 67 Cost. (e come tali titolari pro quota del potere di determinare la politica nazionale, nel rispetto del Regolamento di cui all’articolo 64 Cost., e nella funzione legislativa ex articolo 70 Cost.)»;

che tale menomazione discenderebbe da tre ordini di circostanze;

che, in primo luogo, le attribuzioni dei ricorrenti sarebbero state menomate dall’approvazione con procedura incostituzionale delle due ultime leggi elettorali – la legge 6 maggio 2015, n. 52 (Disposizioni in materia di elezione della Camera dei deputati), e la legge 3 novembre 2017, n. 165 (Modifiche al sistema di elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Delega al Governo per la determinazione dei collegi elettorali uninominali e plurinominali) – «in particolare per aver richiesto il Governo, e la Presidenza delle Camere indebitamente ammesso», la questione di fiducia su disegni di legge in materia elettorale (tre volte alla Camera dei deputati per quanto riguarda la legge n. 52 del 2015 e tre volte ancora alla Camera dei deputati e cinque volte al Senato della Repubblica per quanto riguarda la legge n. 165 del 2017), in violazione dell’art. 72, quarto comma, Cost., con conseguente indebito ostacolo dell’espressione della sovranità del popolo di cui all’art. 1, secondo comma, Cost.;

che, in secondo luogo, le attribuzioni dei ricorrenti sarebbero state menomate a causa della compromissione del «loro diritto di votare secondo Costituzione», perché la legge n. 165 del 2017 sarebbe «stata adottata, promulgata ed entrata in vigore a meno di un anno dal termine naturale della legislatura iniziata il 15 marzo 2013», con conseguente violazione del punto II del «Codice di buona condotta in materia elettorale», adottato dalla Commissione europea della democrazia attraverso il diritto (Commissione di Venezia) del Consiglio d’Europa con il parere n. 190/2002;

che, in terzo luogo, le attribuzioni dei ricorrenti sarebbero state menomate per il fatto che entrambe le leggi elettorali conterrebbero «norme che violano/limitano/comprimono compromettono il diritto di esprimere un voto eguale, libero e personale (art. 48 Cost.), di candidarsi in condizioni di eguaglianza (art. 51 Cost.), per eleggere direttamente la Camera dei Deputati (art. 56 Cost.) e il Senato della Repubblica (art. 58 Cost.) e di partecipare alle elezioni grazie al “diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale” (art. 49 Cost.)»;

che, di conseguenza, i ricorrenti chiedono alla Corte costituzionale di annullare gli «atti lesivi» e «ogni altro atto presupposto, connesso o collegato», «riportando la situazione parlamentare a prima del 28 aprile 2015» e quindi determinando la reviviscenza della legge 21 dicembre 2005, n. 270 (Modifiche alle norme per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica), così come risultante dalla sentenza di questa Corte n. 1 del 2014, in quanto, con la posizione della questione di fiducia, sarebbero decaduti tutti gli emendamenti proposti che, se esaminati e approvati, avrebbero ricondotto le leggi nei parametri di costituzionalità, in conformità al «diritto dei cittadini elettori» già accertato dalla sentenza della Corte di cassazione, sezione prima civile, 16 aprile 2014, n. 8878 e dalle sentenze di questa Corte n. 1 del 2014 e n. 35 del 2017;

che, quanto all’ammissibilità del conflitto, i ricorrenti premettono di essersi determinati alla scelta dello strumento del conflitto tra poteri dello Stato avverso atto legislativo perché nel caso delle leggi elettorali «l’attivazione del meccanismo incidentale», benché possibile, può rivelarsi «difficoltosa o tardiva in concreto», come avrebbe dimostrato la vicenda della legge elettorale n. 270 del 2005, pervenuta al giudizio della Corte costituzionale «dopo tre applicazioni e otto anni di vigenza»;

che, quanto al requisito soggettivo del conflitto, i sottoscrittori del ricorso promuovono conflitto di attribuzione «nella loro qualità di cittadini componenti dell’organo Corpo elettorale, e di difensori nominati dai primi che hanno dato loro il relativo mandato», per affermare le ragioni della sovranità popolare, che sarebbero state conculcate dal Parlamento mediante le illegittime procedure di approvazione delle due leggi elettorali e, insieme, il diritto «dei singoli parlamentari […] di poter svolgere il proprio mandato entro una cornice costituzionale rispettosa dei principi, dei valori delle regole (anche di procedura) fissate dalla Costituzione, nonché da singole norme che violano, limitano o comprimono il diritto degli/delle elet/tori/trici di votare in conformità alla Costituzione»;

che, quanto alla legittimazione dei ricorrenti «come cittadini elettori», il ricorso insiste sulla qualificazione del Corpo elettorale quale potere dello Stato-comunità ben distinto dal Parlamento, le cui attribuzioni si concentrerebbero «nel diritto-dovere di “eleggere” la “rappresentanza politica” attraverso una “espressione di voto”, che sia “personale ed eguale, libero e segreto” (art. 48 Cost.), “a suffragio universale e diretto” (art. 56 e 58 Cost.) e idoneo, peraltro, a “concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale” (art. 49 Cost.)» e che dunque, avrebbe «la “funzione pubblica” di “eleggere i rappresentanti del Popolo”»;

che si sarebbe in presenza della tipica actio popularis dei Romani, e si tratterebbe «di una azione, per così dire, a double face: l’elettore, da un lato agisce come titolare di un diritto fondamentale individuale e d’altro lato, come “parte” della intera Comunità degli elettori, cioè come membro del “Corpo elettorale”»;

che, secondo i ricorrenti, la situazione che discende dalla violazione delle regole costituzionali poste a garanzia di una buona legge elettorale sarebbe particolarissima, perché verrebbero «a “coincidere”, nello stesso tempo, “il vizio di costituzionalità” della legge elettorale e la “violazione” delle “attribuzioni proprie” del Corpo elettorale» in quanto, dal momento della entrata in vigore della legge elettorale, «il Corpo elettorale si è visto privato della possibilità di “incidere” in modo libero e diretto sulla “nomina” dei propri “rappresentanti”, dando luogo a un Parlamento che sia effettivamente “rappresentativo”»;

che, quanto alla legittimazione di alcuni dei ricorrenti «come parlamentari», la giurisprudenza costituzionale avrebbe lasciato finora impregiudicata la questione se siano configurabili attribuzioni individuali di potere costituzionale per la cui tutela il singolo parlamentare sia legittimato a ricorrere alla Corte costituzionale per conflitto tra poteri dello Stato, e il potere legislativo sarebbe un potere diffuso tra i singoli membri del Parlamento, allo stesso modo del potere giudiziario;

che «la rilevanza della funzione costituzionale del singolo parlamentare (e di un certo numero di essi)» sarebbe assicurata da alcune previsioni della Costituzione (artt. 67, 68, 69, 71, primo comma, e 72, primo e terzo comma, Cost.) e da numerose norme dei regolamenti parlamentari attributive di diritti e competenze (artt. 29, comma 8, 30, commi 1, 2 e 3, 36, comma 2, 41, comma 1, 55, comma 7, 56, commi 3 e 4, 62, comma 2, 67, 68, 69, 71, comma 1, 72, commi 1 e 3, 77, comma 1, 81, comma 1, 99, commi 2 e 3, 100, comma 4, 102-bis, comma 1, 107, comma 2, 113, comma 2, del Regolamento del Senato della Repubblica 17 febbraio 1971 e successive modificazioni, e artt. 30, comma 3, 44, comma 1, 46, commi 1 e 4, 51, comma 2, 83, comma 2, 86, comma 5, del Regolamento della Camera dei deputati 18 febbraio 1971 e successive modificazioni);

che, quanto al requisito oggettivo del conflitto, ricorrerebbero i profili della attualità e concretezza della lesione della sovranità popolare «nelle manifestazioni di volontà del Parlamento (che produssero l’Italicum) coartate dal Governo. L’effetto di totale costrizione fu ottenuto, in sede di esame dell’Italicum, respingendo le molteplici proposte emendative di una legge elettorale unitaria per le due Camere», e tale «reiezione» sarebbe stata «conseguita adoperando congiuntamente il ricatto politico delle elezioni anticipate (usurpando con ciò le prerogative del Presidente della Repubblica, e calpestando il senso costituzionale della forma di governo parlamentare), la questione di fiducia, nonché altre varie forzature regolamentari, in ispregio delle procedure fissate in Costituzione per l’approvazione delle leggi»;

che proprio a causa della coartazione della volontà parlamentare il ricorso per conflitto di attribuzione non sarebbe stato sollevato dai Presidenti della Camera e del Senato, i quali anzi sarebbero proprio i «legittimati passivi» del presente conflitto, oltre al Governo e alle due Camere;

che, quanto alla possibilità di sollevare conflitto avverso un atto legislativo, essa sarebbe ammessa da una giurisprudenza costituzionale ventennale;

che, quanto al merito del conflitto, i ricorrenti svolgono innanzitutto due ampi motivi di doglianza riguardanti, rispettivamente, la «violazione della forma di governo, che sottrae all’indirizzo politico di maggioranza l’endiadi “leggi in materia costituzionale ed elettorale”», e la «violazione del giudicato costituzionale reso con la sentenza n. 1 del 2014», e poi si concentrano sull’illegittimità costituzionale di singole disposizioni delle due leggi elettorali;

che, in proposito, i ricorrenti ribadiscono che «vogliono evitare che il conflitto di attribuzione diventi uno strumento generale d’impugnazione diretta di norme di legge di sospetta costituzionalità», e affermano che il «ricorso diretto» alla Corte costituzionale da parte del «popolo sovrano» deve essere ammesso soltanto «quando di leggi elettorali si tratti, non di qualsiasi legge che violi la Costituzione»;

che l’obiettivo perseguito dai ricorrenti sarebbe quello di far sì che le leggi elettorali tramite le quali il popolo esercita «collettivamente» la sua sovranità siano conformi a Costituzione;

che, a tale scopo, i ricorrenti elencano numerosi vizi di costituzionalità delle due leggi elettorali ricordando che la Corte costituzionale dispone anche dello strumento dell’autorimessione dei singoli dubbi di costituzionalità relativi a entrambe le leggi elettorali investite dal presente conflitto tra poteri;

che, dunque, «ogni qualvolta nel testo del ricorso si richiede l’auto-rimessione essa va considerata quale richiesta subordinata, destinata ad essere attivata soltanto laddove non si ritenga idoneo, all’esame di merito dei singoli vizi contenutistici della legge, il riconoscimento del popolo sovrano, che si esprime come corpo elettorale, quale potere dello Stato, comunità politica»;

che, qualora fossero dichiarate incostituzionali per vizi del procedimento di formazione sia la legge n. 165 del 2017 che la legge n. 52 del 2015, rivivrebbe la precedente legge elettorale n. 270 del 2005, della quale i ricorrenti espongono un ulteriore motivo di incostituzionalità;

che, nel periodo intercorrente tra il deposito del ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri e la camera di consiglio, sono pervenuti alla Corte costituzionale nove atti di intervento, con i quali hanno chiesto di intervenire nel giudizio davanti a questa Corte un totale di centotrentacinque «elettori/elettrici», che negli stessi atti si denominano «intervenienti/ricorrenti»;

che gli interventi, di identico tenore, sono spiegati «per aderire in toto alle domande dei ricorrenti che hanno promosso conflitto di attribuzione nei confronti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica e, ove occorra, del Governo, per la declaratoria dell’illegittimità della menomazione del loro potere/diritto di votare in conformità alla Costituzione»;

che nell’imminenza della camera di consiglio i ricorrenti hanno depositato un «atto integrativo del ricorso» nel quale hanno svolto ulteriori argomenti in relazione sia alla ammissibilità che al merito del conflitto, ritenendo che sia giunto «il tempo del maggior attivismo della Corte costituzionale» sulle leggi elettorali, «magari stimolato anche dall’entità delle forzature sul piano delle norme parlamentari e dall’essenzialità delle norme adottate per la tenuta del sistema democratico».

Considerato che in questa fase del giudizio la Corte costituzionale è chiamata a verificare, ai sensi dell’art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), in camera di consiglio e senza contraddittorio, se sussistono i requisiti soggettivo e oggettivo di un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, e a valutare l’esistenza della «materia di un conflitto la cui risoluzione spetti alla sua competenza»;

che i molteplici vizi dell’atto introduttivo, di seguito indicati, non mettono la Corte costituzionale in condizione di deliberare sul merito del conflitto (per un caso analogo, ordinanza n. 280 del 2017);

che, sotto il profilo soggettivo, la legittimazione ad adire la Corte con lo strumento del conflitto si fonda sull’esistenza di una sfera di attribuzioni protetta dalla Costituzione, delle quali si lamenta la lesione;

che, di conseguenza, ai fini della ammissibilità del ricorso per conflitto tra poteri dello Stato non è sufficiente censurare l’illegittimità costituzionale dell’atto impugnato, ma occorre che il ricorrente individui con chiarezza la sfera di potere asseritamente lesa, avendo cura di motivare la ridondanza delle asserite violazioni dei principi costituzionali invocati sulla propria sfera di attribuzioni costituzionali, a difesa della quale questa Corte è chiamata a pronunciarsi (da ultima, ordinanza n. 280 del 2017);

che i ricorrenti hanno sollevato il presente conflitto di attribuzioni alcuni come cittadini elettori e altri «nella duplice qualità di elettori e rappresentanti della Nazione», «con la plurima variante della loro legittimazione come elettore, soggetto politico e parlamentare»;

che nel lungo testo del ricorso e dell’«atto integrativo del ricorso» stesso, depositato nell’imminenza della camera di consiglio, sono esposte numerose censure di legittimità costituzionale delle leggi elettorali 6 maggio 2015, n. 52 (Disposizioni in materia di elezione della Camera dei deputati) e 3 novembre 2017, n. 165 (Modifiche al sistema di elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Delega al Governo per la determinazione dei collegi elettorali uninominali e plurinominali) aventi a oggetto sia asseriti vizi del procedimento di formazione della legge, sia aspetti di contenuto del sistema elettorale;

che tali numerose censure sono riferite indistintamente a tutti i ricorrenti, una parte dei quali, tuttavia, si presenta nella veste di semplice cittadino elettore, mentre altri ricorrono nella loro qualità di cittadini elettori e, insieme, di parlamentari, alcuni dei quali deputati e altri senatori;

che anche sotto il profilo della legittimazione passiva, il conflitto di attribuzione si rivolge cumulativamente avverso una pluralità di soggetti, essendo stato sollevato nei confronti delle Camere che hanno approvato le leggi elettorali «e, ove occorra», del Governo che ha posto più volte la questione di fiducia e, in qualche passaggio, anche contro i Presidenti delle due Camere che l’hanno ammessa, senza operare distinzioni a seconda dei ricorrenti e delle censure;

che, di conseguenza, «la prospettazione dei ricorrenti è resa incerta dal carattere cumulativo e congiunto del ricorso e dalla circostanza che le censure in esso contenute sono presentate senza considerazione della diversità delle rispettive qualificazioni» (ordinanza n. 277 del 2017);

che, in ogni caso, l’inammissibilità del ricorso emerge anche considerando partitamente la distinta posizione dei ricorrenti;

che, infatti, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il singolo cittadino elettore non è legittimato a sollevare conflitto di attribuzione, «non essendogli conferita, in quanto singolo, alcuna attribuzione costituzionalmente rilevante» (ordinanza n. 277 del 2017);

che, inoltre, il singolo parlamentare non è titolare di attribuzioni individuali costituzionalmente protette nei confronti dell’esecutivo, pur restando «impregiudicata la questione se in altre situazioni siano configurabili attribuzioni individuali di potere costituzionale, per la cui tutela il singolo parlamentare sia legittimato a ricorrere allo strumento del conflitto tra poteri dello Stato» (ordinanze n. 163 del 2018 e n. 177 del 1998);

che, sempre in riferimento al singolo parlamentare, deve escludersi che un membro di uno dei due rami del Parlamento possa lamentare la violazione del procedimento parlamentare svoltosi presso l’altro ramo (sempre ordinanza n. 277 del 2017), circostanza che si verifica in ordine alle censure rivolte dai senatori nei confronti del procedimento legislativo relativo alla legge n. 52 del 2015, nel quale il voto della questione di fiducia si è avuto nella sola Camera dei deputati, e per tutti i parlamentari ricorrenti in ordine alle censure rivolte nei confronti del procedimento legislativo relativo alla legge n. 165 del 2017 svoltosi nella Camera diversa da quella di appartenenza;

che, in ogni caso, le lacune generali del ricorso, già portate all’evidenza, non consentono a questa Corte di esaminare ulteriori profili attinenti alla legittimazione del singolo parlamentare, sicché, per le complessive ragioni illustrate, il ricorso è inammissibile, restando assorbito l’esame di ogni altro profilo.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 luglio 2018.

F.to:

Giorgio LATTANZI, Presidente

Marta CARTABIA, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 27 luglio 2018.