Ordinanza n. 196 del 2020

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ORDINANZA N. 196

 

ANNO 2020

 

 

Commento alla decisione di

 

 

Pierdomenico Logroscino

 

Le ordinanze sui conflitti contro le consultazioni elettoral-referendarie del 2020: una risposta a mosaico con tessere diverse?

 

 

per g.c. di Federalismi.it

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente: Marta CARTABIA;

 

Giudici: Aldo CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,

 

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito dell’inserimento dell’art. 1-bis, comma 5, nel testo del decreto-legge 20 aprile 2020, n. 26, recante «Disposizioni urgenti in materia di consultazioni elettorali per l’anno 2020», con la legge di conversione 19 giugno 2020, n. 59, promosso dall’Associazione «+Europa», con ricorso depositato in cancelleria il 29 luglio 2020 e iscritto al n. 10 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2020, fase di ammissibilità.

 

Udito il Giudice relatore Daria de Pretis nella camera di consiglio del 12 agosto 2020, svolta ai sensi del decreto della Presidente della Corte del 23 giugno 2020, punto 4);

 

deliberato nella camera di consiglio del 12 agosto 2020.

 

Ritenuto che l’Associazione «+Europa», in persona del tesoriere Valerio Federico e del segretario Benedetto Della Vedova, ha promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, in relazione all’art. 1-bis, comma 5, del decreto-legge 20 aprile 2020, n. 26 (Disposizioni urgenti in materia di consultazioni elettorali per l’anno 2020), convertito, con modificazioni, nella legge 19 giugno 2020, n. 59, secondo cui «[i]n considerazione della situazione epidemiologica derivante dalla diffusione del COVID-19 e tenuto conto dell’esigenza di assicurare il necessario distanziamento sociale per prevenire il contagio da COVID-19 nel corso del procedimento elettorale, nonché di garantire il pieno esercizio dei diritti civili e politici nello svolgimento delle elezioni delle regioni a statuto ordinario dell’anno 2020, il numero minimo di sottoscrizioni richiesto per la presentazione delle liste e delle candidature è ridotto a un terzo»;

 

che la ricorrente chiede a questa Corte di dichiarare, «previa concessione delle più idonee misure cautelari», che il Parlamento – approvando, in sede di conversione, l’impugnato art. 1-bis, comma 5, del d.l. n. 26 del 2020 – «ha illegittimamente esercitato, facendone cattivo utilizzo, il potere legislativo, […] per non aver ivi introdotto, in favore dei partiti politici già presenti in seno al Parlamento nazionale, la deroga rispetto all’obbligo della raccolta delle sottoscrizioni necessarie per poter presentare le proprie liste e candidature nell’ambito delle elezioni delle Regioni a statuto ordinario previste per l’anno 2020»;

 

che l’Associazione ricorrente dichiara di essere stata costituita il 10 gennaio 2018; di essersi presentata alle ultime elezioni politiche del 4 marzo 2018 ottenendo l’elezione di tre deputati e un senatore; e di essere iscritta nel registro dei partiti politici di cui all’art. 4 del decreto-legge 28 dicembre 2013, n. 149 (Abolizione del finanziamento pubblico diretto, disposizioni per la trasparenza e la democraticità dei partiti e disciplina della contribuzione volontaria e della contribuzione indiretta in loro favore), convertito, con modificazioni, nella legge 21 febbraio 2014, n. 13;

 

che, quanto all’ammissibilità del conflitto sotto il profilo soggettivo, la ricorrente afferma di agire nella veste di partito politico, in quanto associazione iscritta nel registro di cui al citato art. 4 del d.l. n. 149 del 2013, come convertito, e, pur mostrandosi consapevole del costante orientamento di questa Corte sfavorevole alla legittimazione dei partiti politici a sollevare conflitto di attribuzione, ne auspica il superamento, in ragione della peculiarità del caso di specie e della criticità dell’attuale momento storico, caratterizzato dal diffondersi di una pandemia che ha indotto il legislatore ad adottare misure eccezionali come quella contestata, oltre che per le considerazioni di seguito illustrate;

 

che la ricorrente – richiamando la giurisprudenza costituzionale che ha esteso la nozione di potere dello Stato anche a figure soggettive esterne allo Stato apparato, allorché l’ordinamento conferisca ad esse la titolarità e l’esercizio di funzioni pubbliche costituzionalmente rilevanti e garantite (è citata la sentenza n. 69 del 1978) – ritiene che la Corte costituzionale debba adottare un «approccio sostanzialistico» e quindi riconoscere anche ai partiti politici la natura di potere dello Stato, in quanto titolari di funzioni pubbliche costituzionalmente rilevanti;

 

che i partiti, quali «protagonisti indefettibili della vita politica ed istituzionale del [P]aese», godrebbero, infatti, di una sfera di attribuzioni costituzionalmente riservata e protetta, svolgendo funzioni pubbliche direttamente fondate sul disposto dell’art. 49 della Costituzione e costituenti la principale modalità di partecipazione democratica dei cittadini alla determinazione della politica nazionale;

 

che la mancata menzione in Costituzione delle «funzioni elettorali» svolte dai partiti – come quella di procedere alla raccolta delle firme per la partecipazione alle elezioni regionali – non potrebbe ostacolare la loro legittimazione a promuovere conflitti di attribuzione, trattandosi di funzioni essenziali e imprescindibili per l’esercizio della sovranità popolare, che giustificano, del resto, il godimento a favore degli stessi partiti del finanziamento pubblico;

 

che, in tale prospettiva, l’intervento del legislatore di regolamentazione dell’attività pubblica dei partiti avrebbe trasformato in costituzionalmente rilevante quanto prima era affidato all’autonoma determinazione del privato;

 

che il conflitto sarebbe ammissibile anche sotto il profilo oggettivo, rivendicando, la ricorrente, prerogative costituzionali che le deriverebbero direttamente dagli artt. 48 e 49 Cost. e lamentandone la lesione per effetto dell’entrata in vigore dell’art. 1-bis, comma 5, del d.l. n. 26 del 2020, come convertito, che renderebbe impossibile o estremamente difficile, a causa della pandemia in atto, la raccolta delle firme necessarie per presentare le liste alle prossime elezioni per il rinnovo degli organi delle Regioni a statuto ordinario;

 

che il Parlamento avrebbe dunque esercitato illegittimamente il proprio potere «nella misura in cui, volendo introdurre disposizioni di favore in materia elettorale legate all’attuale situazione emergenziale, ha legiferato in maniera irragionevole, non avendo espressamente imposto, a livello nazionale, l’esonero dall’obbligo di raccolta delle firme per tutti i partiti già presenti in seno al Parlamento nazionale, finendo in tal modo per ingenerare […] anche un’irragionevole disparità di trattamento tra partiti nell’ambito delle differenti Regioni chiamate al voto»;

 

che il fondamento del conflitto dovrebbe essere ricercato proprio nelle premesse di fatto, relative ai rischi connessi all’emergenza epidemica, da cui ha preso le mosse il legislatore per disporre la riduzione del numero delle sottoscrizioni necessarie, trattandosi di premesse oggettive (come risulterebbe da un «parere tecnico» allegato al ricorso) che condizionano la coerenza interna delle norme introdotte in sede di conversione del d.l. n. 26 del 2020;

 

che ciò varrebbe a dimostrare l’esistenza della materia di un conflitto ex art. 37, quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), per menomazione della sfera di attribuzioni costituzionalmente assegnate alla ricorrente (è citata la sentenza di questa Corte n. 110 del 1970);

 

che sarebbe rispettato, altresì, il requisito concernente la residualità del conflitto, risultando «impraticabile» ogni altra forma di tutela degli interessi fatti valere dalla ricorrente;

 

che, in particolare, non si potrebbe percorrere la via del giudizio incidentale, in mancanza di processi pendenti nei quali proporre l’eccezione di illegittimità costituzionale della norma contestata, né sarebbe possibile incardinare un nuovo processo, trattandosi di norma «immediatamente precettiv[a]», non bisognosa di provvedimenti attuativi suscettibili di impugnazione davanti a un giudice;

 

che non sarebbe «praticabile» il rimedio dell’impugnazione giudiziale del provvedimento che escludesse la ricorrente dalle competizioni elettorali a causa della mancata raccolta delle firme, giacché questa soluzione comporterebbe l’inevitabile e irreparabile pregiudizio derivante dalla sua mancata partecipazione alle elezioni, determinando la definitiva lesione del bene della vita alla cui tutela essa aspira;

 

che, nel merito, la ricorrente lamenta, in primo luogo, la violazione degli artt. 3, 48 e 49 Cost.;

 

che, per i partiti politici già presenti in Parlamento, il radicamento nel tessuto sociale, al cui accertamento è finalizzata la raccolta delle firme, dovrebbe essere considerato in re ipsa, come presuppongono le normative regionali che esonerano da tale attività le liste e i gruppi costituiti in Consiglio regionale nella legislatura in corso alla data di indizione delle elezioni;

 

che, secondo la ricorrente, questi profili dovevano essere considerati dal legislatore soprattutto nel periodo attuale, in cui le misure di distanziamento sociale rendono estremamente difficile, se non impossibile, procedere alla raccolta delle firme, sia pure in numero ridotto, con grave pregiudizio per i partiti – tra i quali «+Europa» – non esistenti all’epoca delle ultime elezioni regionali, che non possono perciò avvalersi delle eventuali deroghe previste dalla normativa elettorale delle singole Regioni a statuto ordinario;

 

che da quanto detto deriverebbe il contrasto dell’art. 1-bis, comma 5, del d.l. n. 26 del 2020, come convertito, con l’art. 3 Cost., per irragionevolezza e per irrazionale disparità di trattamento tra i partiti che, «in quanto esistenti nel corso delle precedenti elezioni», potrebbero beneficiare dell’eventuale deroga prevista a favore di quelli già presenti nel Consiglio regionale e i partiti di più recente costituzione, ai quali «simile beneficio» verrebbe negato pur a fronte di una situazione di emergenza diffusa e di carattere oggettivo, che colpisce tutti i partiti in eguale misura;

 

che la denunciata disparità di trattamento emergerebbe in modo evidente dal confronto tra le situazioni in cui versa «+Europa» con riguardo alle elezioni nelle Regioni Liguria, Marche e Campania, da un lato, e nelle Regioni Veneto, Toscana e Puglia, dall’altro lato; potendo, nelle prime, sfruttare le previsioni delle rispettive normative elettorali di favore per i partiti rappresentati in Parlamento, e beneficiare così dell’esonero dalla raccolta delle firme, non potendo invece, nelle seconde, beneficiare dell’esonero previsto solo per i partiti o i movimenti già presenti in Consiglio regionale;

 

che sarebbe in tal modo precluso, o comunque reso molto difficile, l’esercizio del principale ruolo attribuito ai partiti dagli artt. 48 e 49 Cost., «ossia quello di rendersi strumento attraverso cui si esprime il pluralismo politico dei cittadini»;

 

che la ricorrente lamenta, altresì, la violazione dell’art. 3 del Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, e degli artt. 13 e 15 CEDU, in quanto lo Stato italiano, attraverso l’organo parlamentare, avrebbe leso il diritto a libere elezioni ex art. 3 del Protocollo addizionale alla CEDU, in mancanza della dichiarazione prevista all’art. 15 CEDU, che consente una deroga agli obblighi previsti dalla medesima Convenzione solo «[i]n caso di guerra o […] di pericolo pubblico che minacci la vita della nazione»;

 

che ciò giustificherebbe, nell’ipotesi di mancato accoglimento del conflitto, il ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo per violazione del diritto a un ricorso effettivo previsto all’art. 13 CEDU;

 

che, infine, la ricorrente chiede alla Corte costituzionale di «adottare le misure cautelari ritenute più idonee ad evitare» che, nelle more della definizione del presente giudizio, gli interessi dell’Associazione «+Europa» siano «definitivamente ed irrimediabilmente pregiudicati dall’impossibilità di procedere alla raccolta delle sottoscrizioni necessarie per poter presentare le proprie liste e candidature nell’ambito delle elezioni delle Regioni a statuto ordinario previste per l’anno 2020»;

 

che sussisterebbero le «gravi ragioni» cui il citato art. 40 della legge n. 87 del 1953 (applicabile, secondo la ricorrente, anche ai conflitti tra poteri, in ragione di quanto affermato da questa Corte con l’ordinanza n. 225 del 2017) subordina la tutela cautelare, in quanto se non fosse disposta la sospensione dell’efficacia della disposizione contenuta all’art. 1-bis, comma 5, del d.l. n. 26 del 2020, come convertito, sarebbe preclusa alla ricorrente la possibilità di presentarsi alle prossime elezioni indette in Veneto, Toscana e Puglia, a causa dell’impossibilità di raccogliere, in un periodo di crisi sanitaria come quella attuale, le sottoscrizioni necessarie, con conseguente grave e irreparabile danno «alla rappresentanza popolare e, quindi, al corpo elettorale».

 

Considerato che l’Associazione «+Europa» ha promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato affinché venga dichiarato che non spettava alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica, quali titolari della funzione legislativa, omettere di introdurre, «in favore dei partiti politici già presenti in seno al Parlamento nazionale, la deroga rispetto all’obbligo della raccolta delle sottoscrizioni necessarie per poter presentare le proprie liste e candidature nell’ambito delle elezioni delle Regioni a statuto ordinario previste per l’anno 2020», e, per l’effetto, sia annullato l’art. 1-bis, comma 5, del decreto-legge 20 aprile 2020, n. 26 (Disposizioni urgenti in materia di consultazioni elettorali per l’anno 2020), convertito, con modificazioni, nella legge 19 giugno 2020, n. 59, nella parte in cui non prevede siffatta deroga;

 

che, in questa fase del giudizio, la Corte è chiamata a deliberare, in camera di consiglio e senza contraddittorio, sulla sussistenza dei requisiti soggettivo e oggettivo prescritti dall’art. 37, primo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), ossia a decidere se il conflitto insorga tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono e per la delimitazione della sfera di attribuzioni delineata per i vari poteri da norme costituzionali;

 

che il conflitto è inammissibile sotto il profilo soggettivo;

 

che, secondo quanto affermato da questa Corte, «i partiti politici vanno considerati come organizzazioni proprie della società civile, alle quali sono attribuite dalle leggi ordinarie talune funzioni pubbliche, e non come poteri dello Stato ai fini dell’art. 134 Cost.; […] pertanto, ai partiti politici non è possibile riconoscere la natura di organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà di un potere dello Stato per la delimitazione di una sfera di attribuzioni determinata da norme costituzionali» (ordinanza n. 79 del 2006; in senso analogo, sentenza n. 1 del 2014 e ordinanza n. 120 del 2009); né, del resto, l’indubbia funzione di «rappresentanza di interessi politicamente organizzati» (così ancora ordinanza n. 79 del 2006), svolta dai partiti politici, consente di riconoscere la legittimazione di questi ultimi quali poteri dello Stato;

 

che, pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

 

che la dichiarazione di inammissibilità del ricorso preclude l’esame di ogni altra domanda in esso articolata, compresa quindi l’istanza cautelare (ordinanza n. 256 del 2016).

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, promosso dall’Associazione «+Europa».

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 agosto 2020.

 

F.to:

 

Marta CARTABIA, Presidente

 

Daria de PRETIS, Redattore

 

Filomena PERRONE, Cancelliere

 

Depositata in Cancelleria il 13 agosto 2020.