Ordinanza n. 147 del 2020

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ORDINANZA N. 147

ANNO 2020

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente: Marta CARTABIA;

 

Giudici: Aldo CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,

 

 

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 6 del decreto-legge 22 ottobre 2016, n. 193 (Disposizioni urgenti in materia fiscale e per il finanziamento di esigenze indifferibili), convertito, con modificazioni, nella legge 1° dicembre 2016, n. 225, promosso dalla Commissione tributaria provinciale di Trieste nel procedimento vertente tra R. D.R. e Agenzia delle entrate-Riscossione, con ordinanza del 28 maggio 2019, iscritta al n. 216 del registro ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 49, prima serie speciale, dell’anno 2019.

 

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito il Giudice relatore Luca Antonini nella camera di consiglio del 26 maggio 2020, svolta ai sensi del decreto della Presidente della Corte del 20 aprile 2020, punto 1), lettera a);

 

deliberato nella camera di consiglio del 26 maggio 2020.

 

Ritenuto che la Commissione tributaria provinciale (CTP) di Trieste, con ordinanza del 28 maggio 2019 (r. o. n. 216 del 2019), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 6 del decreto-legge 22 ottobre 2016, n. 193 (Disposizioni urgenti in materia fiscale e per il finanziamento di esigenze indifferibili), convertito, con modificazioni, nella legge 1° dicembre 2016, n. 225;

 

che nel giudizio a quo il ricorrente ha impugnato il rigetto della domanda di definizione agevolata, presentata ai sensi del richiamato art. 6, di debiti iscritti a ruolo a suo nome, oggetto di una cartella di pagamento notificatagli nel 1997;

 

che, da quanto riferisce il rimettente, l’Agenzia delle entrate-Riscossione ha motivato il rigetto con l’anteriorità del carico in questione rispetto al termine iniziale considerato dalla disposizione censurata – la quale, difatti, ammette la definizione agevolata «[r]elativamente ai carichi affidati agli agenti della riscossione dal 2000 al 2016» – ma che, ad avviso del giudice a quo, questa sarebbe in contrasto con gli evocati parametri costituzionali, nella parte in cui consente il beneficio per i soli carichi affidati agli agenti della riscossione dal 2000 al 2016 e non per quelli affidati anteriormente;

 

che, ai fini della definizione della controversia, il giudice rimettente ritiene innegabile la rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale ed esclude di potere dare alla disposizione censurata una interpretazione diversa da quella fatta propria dall’amministrazione;

 

che, in punto di non manifesta infondatezza, l’ordinanza di rimessione motiva che l’impossibilità di accedere alla definizione agevolata per i carichi affidati prima del 2000 si porrebbe in contrasto con l’art. 3 Cost., realizzando una discriminazione e determinando un’ingiustificata disparità di trattamento, in quanto l’accesso alla definizione agevolata sarebbe condizionato a un «evento, l’affidamento del debito tributario all’agente della riscossione, il cui realizzarsi può dipendere da circostanze casuali»;

 

che, inoltre, sempre in violazione dell’art. 3 Cost. sarebbe la previsione del termine iniziale, quale «requisito ulteriore per accedere alla definizione agevolata», in quanto «arbitraria e non giustificata»;

 

che, quanto al contrasto con l’art. 53 Cost., l’ordinanza censura la disposizione dell’art. 6 del d.l. n. 193 del 2016, come convertito, perché diversificherebbe «il trattamento tributario di contribuenti in posizioni similari, condizionando l’applicazione dell’istituto della definizione agevolata al semplice fatto che l’affidamento del debito tributario sia [avvenuto] dopo una determinata data, senza che detto affidamento sia collegato con la capacità contributiva dei diversi contribuenti»;

 

che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la inammissibilità o comunque la manifesta infondatezza delle questioni;

 

che, ad avviso dell’Avvocatura, la disposizione censurata si inserirebbe nell’ambito del processo di riforma di cui all’art. 1 dello stesso d.l. n. 193 del 2016, come convertito, che, a decorrere dal 1° luglio 2017, ha disposto lo scioglimento delle società del Gruppo Equitalia, e conseguentemente attribuito le relative funzioni ad Agenzia delle entrate-Riscossione;

 

che la definizione agevolata disciplinata dal censurato art. 6, come altre iniziative simili adottate negli anni dal legislatore, valorizzerebbe il principio di leale collaborazione tra contribuente e amministrazione finanziaria, consentendo allo Stato e agli altri enti creditori di incassare più rapidamente le somme oggetto dei carichi pendenti, e ai contribuenti in difficoltà di poter adempiere all’obbligo con una significativa riduzione del quantum;

 

che la questione sollevata con riferimento all’art. 3 Cost. sarebbe inammissibile, sotto un duplice profilo: per un verso, il ricorrente non avrebbe interesse a lamentare la mancata estensione del beneficio disposto dalla norma censurata, non avendo in passato ritenuto di avvalersi di disposizioni similari (richiamandosi, al riguardo, la previsione contenuta nell’art. 12 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2003», avente a oggetto la definizione dei carichi inclusi in ruoli emessi da uffici statali e affidati ai concessionari della riscossione fino al 31 dicembre 2000); per altro verso, l’ordinanza non motiverebbe in ordine alla rilevanza della questione, alla luce della citata possibilità, già offerta dal legislatore, di avvalersi di una definizione agevolata;

 

che anche la questione riferita all’art. 53 Cost. sarebbe inammissibile, atteso che il rimettente non avrebbe né precisato la natura (tributaria o non) del credito iscritto a ruolo, né adeguatamente argomentato la violazione del principio di capacità contributiva;

 

che, ai fini del rigetto nel merito, l’interveniente richiama l’ampia discrezionalità legislativa nella previsione di norme agevolative.

 

Considerato che la Commissione tributaria provinciale (CTP) di Trieste dubita della legittimità costituzionale dell’art. 6 del decreto-legge 22 ottobre 2016, n. 193 (Disposizioni urgenti in materia fiscale e per il finanziamento di esigenze indifferibili), convertito, con modificazioni, nella legge 1° dicembre 2016, n. 225, per violazione degli artt. 3 e 53 della Costituzione, in quanto al comma 1 prevede la definizione agevolata per i soli carichi affidati agli agenti della riscossione dal 2000 al 2016 e non per quelli affidati anteriormente;

 

che va disattesa l’eccezione d’inammissibilità della questione riferita all’art. 3 Cost., motivata affermando che il ricorrente nel giudizio a quo, non avendo aderito a previsioni di analogo contenuto in precedenza introdotte dal legislatore, non avrebbe interesse a dolersi della mancata estensione del beneficio previsto dalla disposizione censurata, e che, in relazione a tale profilo della rilevanza, l’ordinanza non conterrebbe una motivazione adeguata;

 

che, infatti, l’art. 6 del d.l. n. 193 del 2016, come convertito, non considera questa ipotesi come ostativa alla definizione agevolata, da ciò dovendosi escludere l’eccepito difetto motivazionale dell’ordinanza;

 

che, tuttavia, la questione stessa è comunque manifestamente inammissibile per la carente descrizione della fattispecie oggetto del giudizio;

 

che, infatti, sotto un primo profilo, l’ordinanza di rimessione non precisa la natura del carico affidato in riscossione, che è genericamente indicato come «tributario», ma senza chiarire l’assenza delle ipotesi ostative alla definizione agevolata previste dal comma 10 dell’art. 6 del d.l. n. 193 del 2016, come convertito, tra le quali la lettera a) menziona le risorse proprie dell’Unione europea e l’imposta sul valore aggiunto riscossa all’importazione;

 

che siffatta lacuna descrittiva non consente a questa Corte di verificare l’effettiva rilevanza della questione sollevata dal rimettente, la quale richiede che la definizione agevolata oggetto del giudizio a quo non sia altrimenti esclusa in forza della previsione dianzi richiamata;

 

che, per costante giurisprudenza costituzionale, l’omessa o insufficiente descrizione della fattispecie oggetto del giudizio a quo – non emendabile mediante la diretta lettura degli atti, preclusa dal principio di autosufficienza dell’ordinanza di rimessione (ex plurimis, ordinanze n. 64 del 2019 e n. 185 del 2013) – determina l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale, in quanto impedisce di verificare la sua effettiva rilevanza (da ultimo, ex plurimis, ordinanze n. 108 del 2020, n. 203 e n. 64 del 2019, n. 191 e n. 64 del 2018, n. 210 del 2017);

 

che, sotto altro profilo, l’ordinanza della rimettente Commissione tributaria non richiama affatto le previsioni di cui all’art. 1, commi 527 e 528, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2013)» e al decreto del Ministero dell’economia e delle finanze 15 giugno 2015 (Modalità di trasmissione agli enti creditori, con riferimento ai ruoli resi esecutivi fino al 31 dicembre 1999, dell’elenco delle quote annullate e di quelle di rimborso agli agenti della riscossione delle spese esecutive sostenute per tali ruoli);

 

che la citata normativa disciplina i crediti «iscritti in ruoli resi esecutivi fino al 31 dicembre 1999» disponendo l’automatico annullamento di quelli di importo fino a 2.000 euro, con decorrenza dal 1° luglio 2013, e prevedendo, per i crediti diversi, il discarico automatico dell’agente della riscossione, una volta esaurite le attività di sua competenza, secondo le modalità specificate dagli artt. 2 e 3 del richiamato decreto ministeriale;

 

che, avuto riguardo alla data del ruolo oggetto del giudizio, l’ordinanza di rimessione ha omesso di dare conto di tale disciplina, anche solo per escluderne l’applicazione;

 

che ciò integra una ulteriore carenza nella descrizione della fattispecie, parimenti impeditiva della verifica della effettiva rilevanza della questione;

 

che, peraltro, il rimettente avrebbe dovuto considerare le richiamate previsioni della legge n. 228 del 2012 e del d.m. 15 giugno 2015 anche ai fini della corretta ricostruzione del quadro normativo applicabile ai crediti affidati per la riscossione anteriormente al 2000;

 

che la disciplina censurata e quella ora citata perseguono entrambe la finalità di ottimizzare l’attività di riscossione, e, inoltre, l’ambito di applicazione della prima – relativa ai carichi affidati agli agenti della riscossione dal 2000 – si pone in diretta continuità temporale con quello della seconda – la quale attiene ai crediti «iscritti in ruoli resi esecutivi fino al 31 dicembre 1999»;

 

che, sempre ai fini della corretta ricostruzione del quadro normativo, l’ordinanza omette oltretutto di richiamare le disposizioni che hanno già consentito la definizione agevolata di carichi relativi al periodo temporale anteriore al 2000, a domanda dei debitori interessati (l’art. 12 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2003» e, più recentemente, l’art. 1, commi da 618 a 624, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge di stabilità 2014»);

 

che le suddette omissioni compromettono irrimediabilmente l’iter logico argomentativo posto a fondamento delle censure sollevate, in quanto incentrate proprio sull’arbitrarietà della previsione in sé di un termine iniziale per accedere al beneficio e sulla disparità di trattamento che ne conseguirebbe;

 

che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la divisata incompleta ricostruzione del quadro normativo rilevante e il mancato esame degli indicati profili di applicabilità della disciplina intervenuta anche se solo per negarne rilievo o consistenza precludono lo scrutinio, incidendo sull’ammissibilità delle questioni (ex plurimis, sentenza n. 150 del 2019; ordinanze n. 108 e n. 42 del 2020);

 

che anche la questione sollevata in riferimento all’art. 53 Cost. è manifestamente inammissibile, perché carente di adeguata motivazione;

 

che, infatti, l’art. 6 del d.l. n. 193 del 2016, come convertito, «non è principalmente diretto a disciplinare i tributi e le relative sanzioni», ma attiene alla materia della «riscossione mediante ruoli» (sentenza n. 29 del 2018);

 

che, pertanto, censurando il momento dell’affidamento del carico all’agente della riscossione quale criterio per l’accesso alla definizione agevolata, l’ordinanza non chiarisce in che modo il citato art. 6 produrrebbe l’asserita diversificazione del «trattamento tributario di contribuenti in posizioni similari» e la conseguente lesione dell’evocato art. 53 Cost. dal cui ambito, in ogni caso, è da ritenere esclusa la fase della riscossione (sentenze n. 464 del 1999, n. 480 del 1993 e n. 63 del 1982);

 

che le questioni devono, pertanto, essere dichiarate manifestamente inammissibili.

 

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 6 del decreto-legge 22 ottobre 2016, n. 193 (Disposizioni urgenti in materia fiscale e per il finanziamento di esigenze indifferibili), convertito, con modificazioni, nella legge 1° dicembre 2016, n. 225, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Trieste con l’ordinanza indicata in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 maggio 2020.

 

F.to:

 

Marta CARTABIA, Presidente

 

Luca ANTONINI, Redattore

 

Roberto MILANA, Cancelliere

 

Depositata in Cancelleria il 10 luglio 2020.