Sentenza n. 117 del 2020

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SENTENZA N. 117

ANNO 2020

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente: Marta CARTABIA;

 

Giudici: Aldo CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 7, comma 1, e 11 della legge della Regione Basilicata 13 marzo 2019, n. 2 (Legge di stabilità regionale 2019), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il 10-16 maggio 2019, depositato in cancelleria il 15 maggio 2019, iscritto al n. 57 del registro ricorsi 2019 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25, prima serie speciale, dell’anno 2019.

 

Visto l’atto di costituzione della Regione Basilicata;

 

udito il Giudice relatore Daria de Pretis ai sensi del decreto della Presidente della Corte del 20 aprile 2020, punto 1), lettere a) e c), in collegamento da remoto, senza discussione orale, in data 19 maggio 2020;

 

deliberato nella camera di consiglio del 19 maggio 2020.

 

Ritenuto in fatto

 

1.– Con ricorso notificato il 10-16 maggio 2019 e depositato il 15 maggio 2019, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt. 7, comma 1, e 11 della legge della Regione Basilicata 13 marzo 2019, n. 2 (Legge di stabilità regionale 2019), in riferimento all’art. 117, commi primo e secondo, lettera s), della Costituzione.

 

Il ricorrente, dopo aver rilevato che le disposizioni recate dalla legge impugnata riguardano «svariati ambiti di intervento», illustra le ragioni per le quali ritiene che due di esse siano in contrasto con la Costituzione.

 

1.1.– L’art. 7, comma 1, della legge reg. Basilicata n. 2 del 2019 dispone il riconoscimento in favore dei comuni macrofornitori di risorse idriche, individuati ai sensi della deliberazione della Giunta della Regione Basilicata 10 aprile 2015, n. 459 (Misure di compensazione ambientale – Annualità 2015-2016), di un contributo di compensazione ambientale pari a due centesimi di euro (euro 0,02) per ogni metro cubo di acqua immessa in rete eccedente il fabbisogno comunale. Questo beneficio è erogato al dichiarato fine di assicurare il «mantenimento delle condizioni ambientali delle fonti di approvvigionamento idrico da acquifero, [di] dare seguito all’implementazione di politiche tese allo sviluppo sostenibile nonché [di consentire] il completamento delle opere afferenti le reti di distribuzione».

 

Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, la previsione di un contributo di compensazione ambientale destinato ai comuni affinché svolgano attività dirette al mantenimento delle condizioni ambientali delle fonti di approvvigionamento idrico «è in linea astratta perfettamente ammissibile in quanto rientrante nelle politiche di sviluppo sostenibile». Si tratterebbe, infatti, di una misura di tutela della risorsa idrica non confliggente con lo spirito e le previsioni del decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare 24 febbraio 2015, n. 39 (Regolamento recante i criteri per la definizione del costo ambientale e del costo della risorsa per i vari settori d’impiego dell’acqua).

 

Il ricorrente dubita, invece, della legittimità costituzionale di quella parte della previsione secondo cui il contributo di compensazione ambientale è destinato al completamento delle opere afferenti alle reti di distribuzione. Queste ultime, infatti, quando riguardano l’acqua ad uso potabile, sono elementi del servizio idrico integrato e i relativi interventi sono realizzati dal gestore affidatario del servizio e non dai comuni. Inoltre, i costi devono trovare copertura nella tariffa, secondo quanto disposto dall’art. 154 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale) e dalla normativa di settore emanata dall’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente (ARERA).

 

La difesa statale, pur ritenendo «in linea teorica ammissibile il concorso di fondi pubblici, che unitamente alla tariffa possono finanziare interventi infrastrutturali nel settore idrico», sostiene che con la norma impugnata la Regione Basilicata abbia effettuato «un’attribuzione impropria del contributo di compensazione ambientale, erogandolo ai comuni invece che al gestore unico del servizio, che nel caso di specie è l’Acquedotto Lucano nell’ambito dell’ATO regionale».

 

Il ricorrente ricorda in proposito che la normativa statale ha privato i singoli comuni delle competenze in materia, attribuendole agli enti di governo dell’ambito, cui pure i primi partecipano (art. 147 del d.lgs. n. 152 del 2006). Spettano pertanto agli enti di governo dell’ambito l’organizzazione e la pianificazione degli interventi nel settore idrico, ivi compresa la loro realizzazione. Inoltre, la scelta legislativa censurata produrrebbe l’inconveniente della duplicazione dei costi relativi a questi interventi, che «ricadrebbero sia sul contributo sia sulla tariffa».

 

In definitiva, secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, la norma regionale impugnata si porrebbe in contrasto con le disposizioni in materia di tutela delle acque contenute nella Parte III del d.lgs. n. 152 del 2006, che, per costante giurisprudenza costituzionale, attengono alla materia della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema. Di qui la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

 

1.2.– L’art. 11 della legge reg. Basilicata n. 2 del 2019, rubricato «Disposizioni in materia di consorzi industriali», dispone lo stanziamento di una somma a valere sul bilancio triennale, finalizzata a garantire il conseguimento degli obiettivi del piano di risanamento del consorzio per lo sviluppo industriale della Provincia di Potenza, approvato dalla Giunta regionale con la deliberazione 10 settembre 2018, n. 918 (Art. 1, comma 4, L.R. n. 34/2017 – Approvazione della proposta del Commissario Straordinario del Piano di Risanamento per il Consorzio per lo Sviluppo Industriale della Provincia di Potenza), e prevede le modalità di erogazione di quelle somme in favore del menzionato consorzio.

 

In proposito, il ricorrente rileva che, ai sensi dell’art. 36 della legge 5 ottobre 1991, n. 317 (Interventi per l’innovazione e lo sviluppo delle piccole imprese) e dell’art. 10 della legge della Regione Basilicata 5 febbraio 2010, n. 18 (Misure finalizzate al riassetto ed al risanamento dei consorzi per lo sviluppo industriale), i consorzi industriali sono enti pubblici economici; si tratta quindi di soggetti che esercitano attività imprenditoriale.

 

In ragione di ciò, la dazione di denaro pubblico, al fine di risanare la situazione economico-finanziaria dell’ente, si configura come aiuto di Stato. Peraltro – aggiunge la difesa statale – lo stesso legislatore lucano avrebbe espressamente ricondotto le erogazioni in questione alla materia degli aiuti di Stato (è citata la legge reg. Basilicata n. 18 del 2010).

 

Pertanto, gli aiuti di cui alla norma impugnata avrebbero dovuto essere notificati alla Commissione europea per la preventiva autorizzazione sulla base della verifica della sussistenza dei presupposti stabiliti dalla Comunicazione della Commissione stessa «Orientamenti sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione di imprese non finanziarie in difficoltà» (2014/C 249/01). In ogni caso, la norma che li prevede avrebbe dovuto contenere la cosiddetta clausola di stand still. Inoltre, gli aiuti per il salvataggio e la ristrutturazione possono essere concessi solo una volta nel decennio.

 

Per le ragioni anzidette la norma impugnata violerebbe l’art. 117, primo comma, Cost.

 

2.– La Regione Basilicata si è costituita in giudizio chiedendo che le questioni promosse siano dichiarate inammissibili e, in ogni caso, infondate.

 

2.1.– Quanto alla prima censura, la resistente sostiene che essa è inammissibile in quanto il ricorrente avrebbe omesso di accedere a un’interpretazione costituzionalmente conforme della disposizione.

 

In particolare, il Presidente del Consiglio dei ministri avrebbe operato un’«evidente trasposizione concettuale e [un] salto logico» ritenendo che la norma impugnata attribuisca illegittimamente ai comuni le funzioni relative al servizio idrico integrato. Inoltre, il ricorrente avrebbe omesso di considerare che il contributo di compensazione ambientale è dichiaratamente finalizzato, in via prioritaria, «all’implementazione di politiche tese allo sviluppo sostenibile», a cui, secondo la difesa regionale, «sono partecipi anche i Comuni».

 

La resistente rileva, inoltre, una contraddizione tra quanto riportato nel ricorso e quanto affermato nella delibera del Consiglio dei ministri di impugnazione della disposizione in esame, là dove si afferma che «[i]n linea astratta, la norma può dirsi legittima nella previsione dell’utilizzo dei contributi di “compensazione ambientale” attribuito ai Comuni per lo svolgimento delle attività volte al mantenimento delle condizioni ambientali delle fonti di approvvigionamento idrico ai fini delle politiche per uno sviluppo sostenibile». La difesa regionale aggiunge che la misura del compenso potrebbe essere determinata «per destinarla anche interamente alla finalità prioritaria», cioè per la tutela e la garanzia del mantenimento delle condizioni ambientali delle fonti di approvvigionamento idrico da acquifero.

 

Inoltre, la misura del contributo di compensazione ambientale sarebbe stata determinata con la deliberazione della Giunta della Regione Basilicata 22 luglio 2002, n. 1321 (Determinazione di misure di compensazione ambientale in campo idrico), ben prima, quindi, dell’intervento della previsione normativa impugnata. Successivamente, tale contributo sarebbe stato riconosciuto e liquidato ai comuni nei trienni 2008-2010 e 2011-2013 e nel biennio 2015-2016. In definitiva, la misura del contributo sarebbe stata stabilita antecedentemente alla norma in esame, con atti mai impugnati, e non produrrebbe alcuna duplicazione di costo, come sostenuto dal ricorrente.

 

Nel merito, la difesa regionale precisa che la competenza statale in materia ambientale non assorbe interamente altre competenze comunque riconducibili anche alla Regione e che intersecano la prima; fra queste rientrerebbero quelle relative al governo del territorio e alla valorizzazione dei beni culturali e ambientali (è richiamata in proposito la sentenza n. 215 del 2015). In particolare, la sussistenza nella materia de qua della competenza regionale relativa al governo del territorio sarebbe desumibile dagli artt. 142, comma 2, 153 e 157 del d.lgs. n. 152 del 2006.

 

La resistente aggiunge che il riferimento al «completamento delle opere afferenti le reti di distribuzione» deve pur sempre intendersi come relativo «a quelle di residuata competenza comunale, vale a dire – in una prospettiva costituzionalmente conforme – anche alle opere di completamento adduttivo di risorse idriche dei cosiddetti “acquedotti rurali” e/o captazioni di sorgenti minori, a totale carico delle Amministrazioni Comunali che non interferiscono e soprattutto non recapitano nelle reti di adduzione primaria e secondaria gestite dal Gestore Unico del Servizio Idrico Integrato».

 

Pertanto, la natura del contributo regionale non sarebbe desumibile dall’improprio nomen iuris utilizzato nella disposizione impugnata, ma dalla sua funzione; esso, infatti, non costituirebbe propriamente un costo ambientale, bensì «un mero sostegno a favore di quei comuni nei cui territori ricadono le più importanti sorgenti che alimentano gli schemi idrici della Basilicata».

 

2.2.– Quanto alla seconda censura, essa sarebbe inammissibile «per la sua generica ed insufficiente prospettazione ed indicazione delle norme interposte che si assumono violate». Tale sarebbe il riferimento alla Comunicazione della Commissione europea «Orientamenti sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione di imprese non finanziarie in difficoltà» (2014/C 249/01), stante il suo carattere non vincolante per gli Stati membri e le loro articolazioni interne.

 

Inoltre, il ricorrente non avrebbe indicato la somma stanziata, indicazione, questa, che sarebbe rilevante per escludere che si tratti di un aiuto in regime de minimis, né avrebbe specificato a quale delle disposizioni contenute nei vari commi dell’art. 11 della legge reg. Basilicata n. 2 del 2019 faccia riferimento. Al riguardo la difesa regionale precisa che il comma 1 dell’art. 11 prevede «solo uno “stanziamento” di risorse triennale per l’attuazione degli obiettivi del Piano di risanamento approvato in linea tecnica dalla Giunta regionale con D.G.R. n. 918 del 10 settembre 2018 e che non interessa esclusivamente il Consorzio di Sviluppo Industriale di Potenza»; il comma 2 prevede le modalità di impegno delle risorse e di liquidazione dell’importo al fine di dare immediata attuazione al piano di risanamento; i commi 3 e 4 si riferiscono al rappresentante legale del consorzio per lo sviluppo industriale della Provincia di Potenza, imponendogli, rispettivamente, di presentare «apposita relazione descrittiva dello stato di attuazione del Piano di risanamento» (comma 3) e di formulare una richiesta di trasferimento delle risorse entro il 15 febbraio, accompagnata dalla relazione di cui al comma 3 (comma 4).

 

Sempre secondo la Regione, il ricorrente avrebbe dedotto la qualificazione come aiuto di Stato dello stanziamento previsto dalla norma impugnata dalla sua natura di ente pubblico economico, «omettendo di considerarne gli ulteriori elementi costitutivi che connotano e qualificano l’intervento come aiuto di Stato, sul piano soggettivo (soggetto beneficiario operatore economico che agisce in libero mercato), finalistico (idoneità dell’intervento ad incidere sugli scambi tra Stati membri) ed effettuale (idoneità dell’intervento a falsare o a minacciare di falsare la concorrenza)».

 

La resistente sottolinea, inoltre, che la censurata mancata comunicazione alla Commissione europea del finanziamento al consorzio di sviluppo industriale della Provincia di Potenza sarebbe «atto tutto da venire e non predeterminato nella sua precisa entità».

 

Ancora, secondo la difesa regionale, un’attenta disamina delle funzioni attribuite al consorzio di sviluppo industriale, ente strumentale della Regione, «avrebbe evidenziato che non si tratt[a] di effettivo operatore economico sul libero mercato o di vera e propria “impresa”, come afferma semplicisticamente la Presidenza ricorrente e che il finanziamento concesso alla Provincia di Potenza, per la sua specifica destinazione e configurazione, per un verso non incide assolutamente negli scambi fra Stati e non altera minimamente la concorrenza, né costituisce rischio di sua alterazione».

 

In particolare, il ricorrente trascurerebbe di considerare il nucleo essenziale di esclusive funzioni assegnate ai consorzi di sviluppo industriale e la loro configurazione quali organismi di diritto pubblico ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera i), della legge reg. Basilicata n. 18 del 2010. Ed ancora, la difesa statale non avrebbe considerato la specifica finalità dei contributi previsti dalla norma impugnata, che non sono destinati a sovvenzionare attività imprenditoriali ma il conseguimento generale degli obiettivi del piano di risanamento approvato con la delib. Giunta reg. n. 918 del 2018.

 

La resistente sottolinea, quindi, come la Comunicazione della Commissione europea sulla nozione di aiuto di Stato di cui all’articolo 107, paragrafo 1, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (2016/C 262/01), «legittim[i] una valutazione sostanziale di impresa, che prescinde da qualificazioni formali o dal nomen juris, valorizzando l’esercizio effettivo di produzione di beni e servizi destinati allo scambio sul mercato».

 

Muovendo da questa prospettiva la difesa regionale sostiene che i consorzi industriali di sviluppo industriale della Basilicata «non sono attivi sul mercato di produzione e scambio di beni o servizi» e quindi «non sono configurabili quali impresa pubblica». Inoltre, le principali funzioni a essi assegnate «non costituiscono “servizi” in senso economico; […] si svolgono limitatamente al territorio di competenza e nell’interesse generale; sono di competenza esclusiva e non si svolgono in regime concorrenziale». In definitiva, la loro natura di enti strumentali all’esercizio di «funzioni precipuamente pubbliche» escluderebbe che la previsione di finanziamenti volti alla ristrutturazione dei suddetti consorzi possa incidere sugli scambi e sul mercato falsando la concorrenza.

 

Per le ragioni esposte la Regione resistente ritiene che la censura mossa dal ricorrente «si limiti ad asserire una presunta natura di aiuto di stato incompatibile col regime comunitario, senza alcun approfondimento in ordine agli elementi che concretamente lo connotano, anche in ragione di una puntuale considerazione della disciplina comunitaria atta a costituire parametro interposto nemmeno indicata nel ricorso». Di conseguenza, la questione promossa si rivelerebbe inammissibile e infondata.

 

Da ultimo, la difesa regionale precisa che, in caso di «dubbi in ordine alla qualificazione esatta del contenuto della previsione e della riconducibilità alla violazione di norme comunitarie», occorrerebbe sollevare «una questione comunitaria pregiudiziale».

 

Considerato in diritto

 

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt. 7, comma 1, e 11 della legge della Regione Basilicata 13 marzo 2019, n. 2 (Legge di stabilità regionale 2019), in riferimento all’art. 117, commi primo e secondo, lettera s), della Costituzione.

 

2.– L’art. 7, comma 1, della legge reg. Basilicata n. 2 del 2019 dispone il riconoscimento in favore dei comuni macrofornitori di risorse idriche, individuati ai sensi della deliberazione della Giunta della Regione Basilicata 10 aprile 2015, n. 459 (Misure di compensazione ambientale – Annualità 2015-2016), di un contributo di compensazione ambientale pari a due centesimi di euro (euro 0,02) per ogni metro cubo di acqua immessa in rete eccedente il fabbisogno comunale. Questo beneficio è riconosciuto «[p]er la tutela e la garanzia del mantenimento delle condizioni ambientali delle fonti di approvvigionamento idrico da acquifero, per dare seguito all’implementazione di politiche tese allo sviluppo sostenibile, nonché per il completamento delle opere afferenti le reti di distribuzione».

 

Il Presidente del Consiglio dei ministri non contesta né la generale previsione di «un contributo di compensazione ambientale destinato ai Comuni», né le sue specifiche destinazioni «al mantenimento delle condizioni ambientali delle fonti di approvvigionamento idrico» e «all’implementazione di politiche tese allo sviluppo sostenibile». Piuttosto, le censure statali si appuntano su quella parte della disposizione in cui si fa riferimento al «completamento delle opere afferenti le reti di distribuzione».

 

Secondo il ricorrente, infatti, queste ultime, quando riguardano l’acqua ad uso potabile, sono elementi del servizio idrico integrato e i relativi interventi sono realizzati dal gestore affidatario del servizio e non dai comuni. Si determinerebbero quindi, per un verso, «un’attribuzione impropria del contributo di compensazione ambientale, erogandolo ai comuni invece che al gestore unico del servizio, che nel caso di specie è l’Acquedotto Lucano nell’ambito dell’ATO regionale», e, per altro verso, «il non trascurabile inconveniente della duplicazione dei costi» relativi a questi interventi, che «ricadrebbero sia sul contributo sia sulla tariffa».

 

Di qui il contrasto con l’art. 147 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), che avrebbe privato i singoli comuni delle competenze in materia, attribuendole agli enti di governo dell’ambito, e con l’art. 154 dello stesso decreto, secondo cui i costi devono trovare copertura nella tariffa. Sarebbe quindi violato l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in ragione della costante giurisprudenza costituzionale che ha ricondotto la normativa in tema di tutela delle acque alla materia della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema.

 

La Regione Basilicata, costituita in giudizio, si difende sostenendo l’inammissibilità della questione per le ragioni indicate nel Ritenuto in fatto e precisando, nel merito, che la competenza statale in materia ambientale non assorbe interamente altre competenze comunque riconducibili anche alla Regione e che intersecano la prima, tra cui quelle relative al governo del territorio e alla valorizzazione dei beni culturali e ambientali. In particolare, la sussistenza nella materia de qua della competenza regionale relativa al governo del territorio sarebbe desumibile dagli artt. 142, comma 2, 153 e 157 del d.lgs. n. 152 del 2006.

 

Inoltre, il riferimento al «completamento delle opere afferenti le reti di distribuzione» dovrebbe pur sempre intendersi come relativo «a quelle di residuata competenza comunale, vale a dire – in una prospettiva costituzionalmente conforme – anche alle opere di completamento adduttivo di risorse idriche dei cosiddetti “acquedotti rurali” e/o captazioni di sorgenti minori, a totale carico delle Amministrazioni Comunali che non interferiscono e soprattutto non recapitano nelle reti di adduzione primaria e secondaria gestite dal Gestore Unico del Servizio Idrico Integrato».

 

Pertanto, la natura del contributo regionale non sarebbe desumibile dall’improprio nomen iuris utilizzato nella disposizione impugnata, ma dalla sua funzione; esso, infatti, non costituirebbe propriamente un costo ambientale, bensì «un mero sostegno a favore di quei comuni nei cui territori ricadono le più importanti sorgenti che alimentano gli schemi idrici della Basilicata».

 

3.– Preliminarmente, devono essere esaminate le eccezioni di inammissibilità formulate dalla difesa regionale.

 

Quanto all’asserita contraddizione tra il testo del ricorso e quello della delibera di impugnazione, dalla lettura di quest’ultima si evince che il Governo ha inteso distinguere le diverse previsioni recate dalla disposizione impugnata, affermando che solo quella relativa al completamento delle opere afferenti alle reti di distribuzione è passibile di censura di incostituzionalità, in linea quindi con quanto indicato nel ricorso. Non è dunque riscontrabile alcuna contraddizione e pertanto l’eccezione deve essere dichiarata non fondata.

 

Parimenti infondata è l’eccezione di inammissibilità che fa leva sul mancato accesso a un’interpretazione conforme a Costituzione. Secondo la difesa regionale, il ricorrente avrebbe operato un’«evidente trasposizione concettuale e [un] salto logico», deducendo dalla finalità indicata (il completamento delle opere afferenti alle reti di distribuzione) l’affermazione della competenza degli enti locali. In realtà – anche a prescindere dall’inesistenza nel giudizio di legittimità costituzionale promosso in via principale di un onere di esperire un tentativo di interpretazione conforme a Costituzione (tra le tante, sentenze n. 156 del 2016 e n. 62 del 2012) – dal dato letterale della disposizione impugnata si ricava chiaramente che il contributo di compensazione ambientale è riconosciuto ai comuni (anche) per il completamento delle opere afferenti alle reti di distribuzione, sul presupposto che essi siano competenti a tal fine. Se così non fosse (come appunto contesta il ricorrente), non si capirebbe perché questo contributo debba spettare ai comuni.

 

Infine, la Regione Basilicata eccepisce che la misura del contributo di compensazione ambientale sarebbe stata determinata con la deliberazione della Giunta della Regione Basilicata 22 luglio 2002, n. 1321 (Determinazione di misure di compensazione ambientale in campo idrico), ben prima, quindi, dell’intervento della previsione normativa impugnata. Pertanto, la misura del contributo sarebbe stata stabilita antecedentemente alla norma in esame, con atti mai impugnati.

 

Nemmeno questa eccezione può essere accolta. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, infatti, nei giudizi in via principale non si applica l’istituto dell’acquiescenza, atteso che la norma impugnata, anche se riproduttiva, in tutto o in parte, di una norma anteriore non impugnata, ha comunque l’effetto di reiterare la lesione da cui deriva l’interesse a ricorrere (tra le più recenti, sentenze n. 56 e n. 16 del 2020, n. 290, n. 286 e n. 178 del 2019).

 

4.– Nel merito la questione è fondata.

 

4.1.– L’art. 9, paragrafo 1, della direttiva 2000/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2000, che istituisce un quadro per l’azione comunitaria in materia di acque, ha previsto per la prima volta il principio del recupero dei costi dei servizi idrici, compresi i costi ambientali e quelli relativi alle risorse (Environmental and Resource Costs, cosiddetti ERC). La direttiva è stata recepita dall’Italia con le disposizioni contenute nella Parte III del d.lgs. n. 152 del 2006 (ai sensi dell’art. 170, comma 4, lettera r, di quest’ultimo).

 

L’art. 119, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006 riproduce la formulazione dell’art. 9 della direttiva 2000/60/CE, e impegna «le Autorità competenti» a tenere conto «del principio del recupero dei costi dei servizi idrici, compresi quelli ambientali e relativi alla risorsa, prendendo in considerazione l’analisi economica effettuata in base all’Allegato 10 alla parte terza del presente decreto e, in particolare, secondo il principio “chi inquina paga”».

 

L’art. 154, comma 1, del medesimo d.lgs. n. 152 del 2006, stabilisce che «[l]a tariffa costituisce il corrispettivo del servizio idrico integrato ed è determinata tenendo conto della qualità della risorsa idrica e del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari, dell’entità dei costi di gestione delle opere, e dei costi di gestione delle aree di salvaguardia, nonché di una quota parte dei costi di funzionamento dell’ente di governo dell’ambito, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio secondo il principio del recupero dei costi e secondo il principio “chi inquina paga”».

 

Il decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare 24 febbraio 2015, n. 39 (Regolamento recante i criteri per la definizione del costo ambientale e del costo della risorsa per i vari settori d’impiego dell’acqua) ha stabilito i criteri tecnici e metodologici per determinare i costi ambientali e della risorsa tenendo conto dei diversi utilizzi.

 

In particolare, questi criteri sono definiti dall’Allegato A al d.m. n. 39 del 2015 (Linee guida per la definizione del costo ambientale e del costo della risorsa per i vari settori d’impiego dell’acqua, in attuazione degli obblighi di cui agli articoli 4, 5 e 9 della direttiva comunitaria 2000/60/CE).

 

4.2.– Nell’ambito della Regione Basilicata, stando a quanto risulta dall’epigrafe della deliberazione della Giunta 10 aprile 2015, n. 459 (Misure di compensazione ambientale – Annualità 2015-2016), con la delib. Giunta reg. n. 1321 del 2002 sono state determinate le misure di compensazione ambientale in campo idrico. A quest’ultima deliberazione hanno fatto seguito altre recanti misure attuative della prima e provvedimenti analoghi anche per gli anni successivi.

 

Sul piano legislativo, l’art. 39, comma 1, della legge della Regione Basilicata 18 agosto 2014, n. 26 (Assestamento del bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2014 e del bilancio pluriennale 2014/2016), ha previsto il riconoscimento ai comuni macrofornitori di un contributo di compensazione ambientale per gli esercizi 2015 e 2016 «[p]er garantire il mantenimento delle condizioni ambientali delle fonti di approvvigionamento idrico da acquifero e per dare seguito all’implementazione di politiche tese allo sviluppo sostenibile», quindi per le stesse finalità non censurate dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso in esame. Alla legge reg. Basilicata n. 26 del 2014 è poi stata data attuazione con la citata delib. Giunta reg. n. 459 del 2015.

 

4.3.– Quanto allo specifico tema delle opere afferenti alle reti di distribuzione delle risorse idriche, occorre richiamare la normativa recata dal citato d.lgs. n. 152 del 2006, secondo la quale: «[g]li enti locali ricadenti nel medesimo ambito ottimale partecipano obbligatoriamente all’ente di governo dell’ambito, individuato dalla competente regione per ciascun ambito territoriale ottimale, al quale è trasferito l’esercizio delle competenze ad essi spettanti in materia di gestione delle risorse idriche, ivi compresa la programmazione delle infrastrutture idriche di cui all’articolo 143, comma 1» (art. 147, comma 1, secondo periodo); «[g]li acquedotti, le fognature, gli impianti di depurazione e le altre infrastrutture idriche di proprietà pubblica, fino al punto di consegna e/o misurazione, fanno parte del demanio ai sensi degli articoli 822 e seguenti del codice civile e sono inalienabili se non nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge» e «[s]petta anche all’ente di governo dell’ambito la tutela [di questi] beni» (art. 143, commi 1 e 2); «[…] l’ente di governo dell’ambito provvede alla predisposizione e/o aggiornamento del piano d’ambito», che è costituito, tra l’altro, dal «programma degli interventi», il quale «individua le opere di manutenzione straordinaria e le nuove opere da realizzare, compresi gli interventi di adeguamento di infrastrutture già esistenti, necessarie al raggiungimento almeno dei livelli minimi di servizio, nonché al soddisfacimento della complessiva domanda dell’utenza, tenuto conto di quella collocata nelle zone montane o con minore densità di popolazione», inoltre il «programma degli interventi, commisurato all’intera gestione, specifica gli obiettivi da realizzare, indicando le infrastrutture a tal fine programmate e i tempi di realizzazione» (art. 149, commi 1 e 3); «[i]l rapporto tra l’ente di governo dell’ambito ed il soggetto gestore del servizio idrico integrato è regolato da una convenzione predisposta dall’ente di governo dell’ambito sulla base delle convenzioni tipo, con relativi disciplinari, adottate dall’Autorità per l’energia elettrica, il gas ed il sistema idrico […]», le quali devono prevedere, tra l’altro, «g) l’obbligo di provvedere alla realizzazione del Programma degli interventi» (art. 151, commi 1 e 2, lettera g); «[n]el Disciplinare allegato alla Convenzione di gestione devono essere anche definiti, sulla base del programma degli interventi, le opere e le manutenzioni straordinarie, nonché il programma temporale e finanziario di esecuzione» (art. 151, comma 4); «[l]e infrastrutture idriche di proprietà degli enti locali ai sensi dell’articolo 143 sono affidate in concessione d’uso gratuita, per tutta la durata della gestione, al gestore del servizio idrico integrato, il quale ne assume i relativi oneri nei termini previsti dalla convenzione e dal relativo disciplinare» (art. 153, comma 1); «[…] [i]l gestore è tenuto a versare i relativi proventi, risultanti dalla formulazione tariffaria definita ai sensi dell’articolo 154, a un fondo vincolato intestato all’ente di governo dell’ambito, che lo mette a disposizione del gestore per l’attuazione degli interventi relativi alle reti di fognatura ed agli impianti di depurazione previsti dal piano d’ambito» (art. 155, comma 1); «[i] progetti definitivi delle opere, degli interventi previsti nei piani di investimenti compresi nei piani d’ambito di cui all’articolo 149 del presente decreto, sono approvati dagli enti di governo degli ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei […]» (art. 158-bis, comma 1).

 

Dal quadro normativo riassunto emerge una generale competenza degli enti di governo dell’ambito quanto alle reti di distribuzione e agli interventi ordinari e straordinari sulle stesse. Le uniche eccezioni a questo assetto sono costituite da quanto previsto dall’art. 147, comma 2-bis, che fa salve alcune gestioni autonome del servizio idrico, e dall’art. 157, comma 1, che riconduce alla competenza degli enti locali «le opere necessarie per provvedere all’adeguamento del servizio idrico in relazione ai piani urbanistici ed a concessioni per nuovi edifici in zone già urbanizzate […]».

 

Questa Corte è stata chiamata più volte a definire gli spazi di competenza degli enti locali e degli enti di governo dell’ambito e a pronunciarsi sul regime giuridico cui soggiacciono le infrastrutture idriche (sentenze n. 114 del 2012, n. 320 del 2011, n. 325 del 2010 e n. 246 del 2009), e in questo contesto ha affermato, tra l’altro, che il d.lgs. n. 152 del 2006 «non prevede né espressamente né implicitamente la possibilità di separazione della gestione della rete idrica da quella di erogazione del servizio idrico; mentre in varie disposizioni del decreto sono riscontrabili chiari elementi normativi nel senso della loro non separabilità» (sentenza n. 307 del 2009), e che, «[a]i sensi dell’art. 153, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, le infrastrutture idriche di proprietà degli enti locali devono essere affidate in concessione d’uso gratuita per tutta la durata della gestione al gestore del servizio idrico integrato che ne assume i relativi oneri secondo le clausole contenute nella convenzione (che regola i rapporti tra ente locale e gestore) e nel relativo disciplinare» (sentenza n. 93 del 2017).

 

4.4.– A fronte del quadro normativo descritto, la disposizione regionale impugnata non distingue tra la generale competenza degli enti di governo dell’ambito e quella marginale degli enti locali nelle circoscritte ipotesi sopra indicate, e utilizza invece una formula che, per la sua generalità, è idonea a comprendere qualsiasi opera afferente alle reti di distribuzione delle risorse idriche.

 

Per questa ragione, l’art. 7 della legge reg. Basilicata n. 2 del 2019 si pone in contrasto con le richiamate disposizioni in materia di tutela delle acque, contenute nella Parte III del d.lgs. n. 152 del 2006, che, per costante giurisprudenza di questa Corte, sono espressive della competenza statale in materia di tutela dell’ambiente ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. (sentenze n. 153, n. 65 e n. 44 del 2019, n. 68 del 2018 e n. 229 del 2017).

 

Si tratta infatti di «disposizioni aventi finalità di prevenzione e riduzione dell’inquinamento, risanamento dei corpi idrici inquinati, miglioramento dello stato delle acque, perseguimento di usi sostenibili e durevoli delle risorse idriche, mantenimento della capacità naturale di autodepurazione dei corpi idrici e della capacità di sostenere comunità animali e vegetali ampie e diversificate, mitigazione degli effetti delle inondazioni e della siccità, protezione e miglioramento dello stato degli ecosistemi acquatici, degli ecosistemi terrestri e delle zone umide direttamente dipendenti dagli ecosistemi acquatici sotto il profilo del fabbisogno idrico. Sono scopi che attengono direttamente alla tutela delle condizioni intrinseche dei corpi idrici e che mirano a garantire determinati livelli qualitativi e quantitativi delle acque» (sentenze n. 229 del 2017 e n. 254 del 2009; in senso analogo, sentenza n. 246 del 2009).

 

È appena il caso di osservare, inoltre, che la difformità della norma regionale impugnata rispetto a quanto disposto dal d.lgs. n. 152 del 2006 non si traduce in una differenziazione del livello (più o meno elevato) di tutela dell’ambiente, in relazione al quale potrebbe configurarsi una competenza regionale a introdurre una maggior tutela del bene ambientale, ma nell’implicita previsione di un modello organizzativo di gestione delle risorse idriche radicalmente diverso da quello predisposto dal legislatore statale in attuazione della disciplina comunitaria.

 

Per le ragioni anzidette deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 7, comma 1, della legge reg. Basilicata n. 2 del 2019, limitatamente alle parole «nonché per il completamento delle opere afferenti le reti di distribuzione».

 

5.– L’art. 11 della legge reg. Basilicata n. 2 del 2019, rubricato «Disposizioni in materia di consorzi industriali», dispone lo stanziamento di una somma a valere sul bilancio triennale 2019-2021, finalizzata a garantire il conseguimento degli obiettivi del piano di risanamento del consorzio per lo sviluppo industriale della Provincia di Potenza, approvato dalla Giunta regionale con la deliberazione 10 settembre 2018, n. 918 (Art. 1, comma 4, L.R. n. 34/2017 – Approvazione della proposta del Commissario Straordinario del Piano di Risanamento per il Consorzio per lo Sviluppo Industriale della Provincia di Potenza), e prevede le modalità di erogazione di quelle somme in favore del menzionato consorzio.

 

La disposizione in parola è impugnata sull’assunto che questa dazione di denaro pubblico consisterebbe in un aiuto di Stato che avrebbe dovuto essere notificato alla Commissione europea per la preventiva autorizzazione. Sarebbe pertanto violato l’art. 117, primo comma, Cost.

 

La Regione Basilicata eccepisce varie ragioni di inammissibilità della censura e nel merito contesta la riconducibilità della misura finanziaria disposta dalla norma impugnata al novero degli aiuti di Stato.

 

5.1.– Nelle more del presente giudizio l’intero art. 11 è stato abrogato dall’art. 5, comma 2, della legge della Regione Basilicata 20 marzo 2020, n. 12 (Collegato alla legge di stabilità regionale 2020), a decorrere dal 24 marzo 2020 (ai sensi dell’art. 12 della stessa legge reg. Basilicata n. 12 del 2020).

 

L’abrogazione dell’impugnato art. 11 si inserisce nel quadro di un progetto più ampio perseguito dal legislatore lucano, finalizzato a dotarsi di una legge di riordino per lo sviluppo industriale (art. 5, comma 1), nelle more della cui approvazione, «al fine di evitare l’interruzione dei servizi di interesse pubblico indispensabili per la gestione delle aree industriali», lo stesso art. 5, al comma 3, dispone «con le risorse già stanziate sul Titolo I, missione 14, programma 01, del bilancio regionale […] un’assegnazione una tantum di 2.500.000,00 euro al Consorzio Industriale di Potenza».

 

L’art. 11, oggetto dell’odierna impugnazione, è dunque rimasto in vigore dal 14 marzo 2019 (ai sensi dell’art. 23 della legge reg. Basilicata n. 2 del 2019) al 24 marzo 2020 (data di entrata in vigore della legge reg. Basilicata n. 12 del 2020).

 

Quanto alla sua applicazione medio tempore, occorre rilevare che, per il 2019, il comma 2 dell’art. 11 stabiliva che «[p]er dare immediata attuazione al piano di risanamento, l’ufficio competente provvede, entro 15 giorni dall’entrata in vigore della presente legge [id est, 29 marzo 2019], all’impegno delle risorse stanziate nel triennio 2019/2021 ed alla liquidazione dell’importo afferente l’esercizio 2019». Mentre, per il 2020 (come pure per il 2021), il comma 4 dell’art. 11 disponeva che «[l]e risorse afferenti gli esercizi finanziari 2020 e 2021 saranno trasferite entro il 31 marzo dell’anno di riferimento, previa richiesta del legale rappresentante pro tempore del consorzio per lo sviluppo industriale della provincia di Potenza, da produrre entro il 15 febbraio, accompagnata dalla relazione di cui al precedente comma».

 

Ne consegue che la norma censurata ha avuto applicazione per il 2019 ma non per il 2020, essendo intervenuta la sua abrogazione poco prima (24 marzo 2020) che scadesse il termine (31 marzo 2020) per il trasferimento delle risorse, che si deve ritenere non essere avvenuto. Infatti, il legislatore regionale, da un lato (comma 2 dell’art. 5 della legge reg. Basilicata n. 12 del 2020), ha abrogato l’art. 11 della legge reg. Basilicata n. 2 del 2019, dall’altro lato (comma 3 dell’art. 5 della medesima legge reg. Basilicata n. 12 del 2020), ha stanziato, «nelle more dell’approvazione della legge [di riordino del comparto]», la stessa somma (2.500.000,00 euro) che era prevista per il 2020 dall’art. 11, comma 1, della legge reg. n. 2 del 2019, non imputandola espressamente all’anno 2020 ma limitandosi a definirla «un’assegnazione una tantum».

 

Alla luce di quanto esposto si deve ritenere che sia cessata la materia del contendere in ordine alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 11 relativa alle somme stanziate per gli anni 2020 e 2021. Per costante orientamento di questa Corte, infatti, qualora la modifica intervenuta in pendenza di giudizio abbia carattere satisfattivo delle pretese del ricorrente e la norma abrogata non abbia trovato medio tempore applicazione, è pronunciata la cessazione della materia del contendere (tra le più recenti, sentenze n. 78, n. 70, n. 25 e n. 5 del 2020, ordinanza n. 101 del 2020).

 

Si deve invece escludere che sia cessata la materia del contendere in ordine alla questione di legittimità costituzionale relativa alla parte della disposizione impugnata che si riferisce all’anno 2019, dovendosi ritenere che essa abbia avuto applicazione nel periodo di vigenza dell’art. 11 (tra le più recenti, sentenza n. 16 del 2020).

 

5.2.– Preliminarmente, devono essere esaminati i profili di inammissibilità eccepiti dalla difesa regionale.

 

La Regione resistente osserva, tra l’altro, che il ricorrente avrebbe dedotto la qualificazione come aiuto di Stato dello stanziamento previsto dalla norma impugnata dalla natura di ente pubblico economico del citato consorzio, «omettendo di considerarne gli ulteriori elementi costitutivi che connotano e qualificano l’intervento come aiuti di Stato, sul piano soggettivo (soggetto beneficiario operatore economico che agisce in libero mercato), finalistico (idoneità dell’intervento ad incidere sugli scambi tra Stati membri) ed effettuale (idoneità dell’intervento a falsare o a minacciare di falsare la concorrenza)».

 

L’eccezione è fondata. Il ricorrente si limita infatti ad affermare che nel caso di specie si tratta di «ente pubblico economico, soggetto quindi che esercita attività imprenditoriale», e che «la stessa Regione Basilicata, nella sua legge n. 18/2020 […] espressamente riconduce le erogazioni in questione alla materia degli aiuti di Stato».

 

Si tratta di una motivazione che non può essere ritenuta sufficiente a sostenere la censura prospettata, gravando sul ricorrente l’onere di provare l’esistenza dei requisiti che possano consentire di ritenere integrabile la nozione di aiuto di Stato vietato dall’art. 107 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) (sentenza n. 185 del 2011).

 

Gli aiuti di Stato incompatibili con il mercato interno, secondo la nozione ricavabile dall’art. 107 TFUE, consistono in agevolazioni di natura pubblica, rese in qualsiasi forma, in grado di favorire talune imprese o talune produzioni e di falsare o minacciare di falsare in tal modo la concorrenza, nella misura in cui incidono sugli scambi tra gli Stati membri.

 

Questa Corte ha ripetutamente affermato che «i requisiti costitutivi di detta nozione, individuati dalla legislazione e dalla giurisprudenza comunitaria, possono essere così sintetizzati: a) intervento da parte dello Stato o di una sua articolazione o comunque impiego di risorse pubbliche a favore di un operatore economico che agisce in libero mercato; b) idoneità di tale intervento ad incidere sugli scambi tra Stati membri; c) idoneità dello stesso a concedere un vantaggio al suo beneficiario in modo tale da falsare o minacciare di falsare la concorrenza (Corte di giustizia dell’Unione europea, sentenza 17 novembre 2009, C-169/08); d) dimensione dell’intervento superiore alla soglia economica minima che determina la sua configurabilità come aiuto “de minimis” ai sensi del regolamento della Commissione n. 1998/2006, del 15 dicembre 2006 (Regolamento della Commissione relativo all’applicazione degli articoli 87 e 88 del trattato agli aiuti d’importanza minore “de minimis”)» (sentenza n. 299 del 2013; in senso analogo sentenze n. 179 del 2015 e n. 249 del 2014).

 

Per un verso, dunque, la nozione di aiuto di Stato ha natura complessa, sicché la sua applicazione richiede una valutazione articolata, per altro verso l’ordinamento dell’Unione europea riserva alla competenza esclusiva della Commissione la verifica della compatibilità dell’aiuto con il mercato interno, nel rispetto dei regolamenti di procedura in vigore. Per parte sua, questa Corte ha già precisato che «[a]i giudici nazionali spetta solo l’accertamento dell’osservanza dell’art. 108, n. 3, TFUE, e cioè dell’avvenuta notifica dell’aiuto. Ed è solo a questo specifico fine che il giudice nazionale, ivi compresa questa Corte, ha una competenza limitata a verificare se la misura rientri nella nozione di aiuto» (sentenza n. 185 del 2011) ed in particolare «se i soggetti pubblici conferenti gli aiuti rispettino adempimenti e procedure finalizzate alle verifiche di competenza della Commissione europea» (sentenza n. 299 del 2013).

 

Alla luce di queste considerazioni, l’onere di motivazione che grava sul ricorrente non può ritenersi assolto dalla mera affermazione della natura di aiuto di Stato della misura finanziaria prevista dalla legge regionale, che finirebbe per far gravare sulla resistente l’onere di dimostrare la mancata riconducibilità dello stanziamento al novero degli aiuti di Stato e su questa Corte un indebito compito di ricostruzione della ratio e delle caratteristiche della misura censurata, al fine della verifica del rispetto dell’art. 108, paragrafo 3, TFUE.

 

La mancata indicazione degli argomenti atti a suffragare la censura proposta è causa di inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 11 della legge reg. Basilicata n. 2 del 2019, nella parte in cui fa riferimento all’esercizio finanziario 2019.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 7, comma 1, della legge della Regione Basilicata 13 marzo 2019, n. 2 (Legge di stabilità regionale 2019), limitatamente alle parole «nonché per il completamento delle opere afferenti le reti di distribuzione»;

 

2) dichiara cessata la materia del contendere in ordine alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 11 della legge reg. Basilicata n. 2 del 2019, relativa agli esercizi finanziari 2020 e 2021, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 117, primo comma, della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe;

 

3) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 11 della legge reg. Basilicata n. 2 del 2019, relativa all’esercizio finanziario 2019, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 117, primo comma, della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 maggio 2020.

 

F.to:

 

Marta CARTABIA, Presidente

 

Daria de PRETIS, Redattore

 

Roberto MILANA, Cancelliere

 

Depositata in Cancelleria il 23 giugno 2020.