Ordinanza n. 260 del 2019

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ORDINANZA N. 260

ANNO 2019

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Presidente: Aldo CAROSI;

Giudici: Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 4-bis, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471 (Riforma delle sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione dei tributi, a norma dell’articolo 3, comma 133, lettera q, della legge 23 dicembre 1996, n. 662), introdotto dall’art. 1, comma 383, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005)», promosso dalla Commissione tributaria regionale della Toscana nel procedimento vertente tra la Niccoli srl e l’Agenzia delle entrate - Direzione provinciale di Firenze, con ordinanza del 29 settembre 2014, iscritta al n. 76 del registro ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell’anno 2019.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 23 ottobre 2019 il Giudice relatore Giancarlo Coraggio.

Ritenuto che con ordinanza del 9 giugno 2014, iscritta al n. 76 del reg. ord. 2019, la Commissione tributaria regionale della Toscana ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 4-bis, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471 (Riforma delle sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione dei tributi, a norma dell’articolo 3, comma 133, lettera q, della legge 23 dicembre 1996, n. 662), introdotto dall’art. 1, comma 383, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005)», a norma del quale «[è] punito con la sanzione prevista nel comma 3 il cedente o il prestatore che omette di inviare, nei termini previsti, la comunicazione di cui all’articolo 1, comma 1, lettera c), ultimo periodo, del decreto-legge 29 dicembre 1983, n. 746, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 1984, n. 17, o la invia con dati incompleti o inesatti»;

che la questione è sorta nel corso di un giudizio tributario promosso avverso un atto di contestazione dell’Agenzia delle entrate con il quale era stata irrogata una sanzione pari al cento per cento del tributo dovuto per tardiva trasmissione dei dati relativi alle dichiarazioni di intento previste dall’art. 1, comma 1, lettera c), del decreto legge 29 dicembre 1983, n. 746 (Disposizioni urgenti in materia di imposta sul valore aggiunto), trasmesse da società esportatrici abituali nei cui confronti erano state eseguite forniture emettendo fatture senza addebito di IVA ai sensi dell’art. 8 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto);

che, in particolare, la Commissione tributaria regionale della Toscana – investita dell’appello proposto avverso la decisione di primo grado con la quale veniva respinto il ricorso avente ad oggetto il predetto atto di contestazione – solleva dubbi di costituzionalità dell’art. 7, comma 4-bis, del d.lgs. n. 471 del 1997 in relazione all’art. 3 Cost., «sotto il profilo della violazione del principio di ragionevolezza nella sua manifestazione in termini di proporzionalità, quale emerge dal quadro complessivo del sistema sanzionatorio», in quanto viene comminata la medesima sanzione (dal cento al duecento per cento del tributo) a «comportamenti diversi e produttivi di diversi effetti», individuati dai commi 3, 4, 4-bis e 5 dello stesso art. 7 del d.lgs. n. 471 del 1997;

che, a parere del giudice a quo, il contrasto con l’evocato parametro costituzionale risiederebbe nella asserita sproporzione della sanzione comminata per il ritardo nella comunicazione – «comportamento omissivo, che è del tutto estraneo all’adempimento degli obblighi tributari in termini di versamento delle imposte dovute» – equiparata a quelle comminate per «comportamenti che con varie modalità rendono emergente l’infedeltà del contribuente proprio perché finalizzati ad evitare il pagamento dei tributi»;

che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, per chiedere che la questione venga dichiarata inammissibile o comunque infondata o manifestamente infondata;

che, in via preliminare, l’Avvocatura dello Stato, a conclusione di una articolata ricostruzione dei diversi interventi normativi che hanno interessato la disposizione censurata successivamente all’ordinanza di rimessione, si sofferma sulla loro incidenza nel giudizio a quo, escludendola in ragione della mancata operatività del principio del favor rei nel caso in esame;

che, a parere dell’Avvocatura dello Stato, la Commissione regionale tributaria afferma l’irragionevolezza dell’equiparazione, a livello sanzionatorio, della condotta omissiva in esame con altre violazioni partendo dall’erronea premessa secondo la quale il criterio per misurare la gravità di una condotta rispetto ad altre, pure sanzionate, è legato unicamente alla capacità delle medesime di incidere in modo diretto sul gettito, mentre, in realtà, non necessariamente tale attitudine è da reputarsi più grave rispetto a quella di condizionare pesantemente l’esercizio del potere di controllo dell’Agenzia delle entrate.

Considerato che, con ordinanza del 9 giugno 2014, iscritta al n. 76 del reg. ord. 2019, la Commissione tributaria regionale della Toscana ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 4-bis, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471 (Riforma delle sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione dei tributi, a norma dell’articolo 3, comma 133, lettera q, della legge 23 dicembre 1996, n. 662), introdotto dall’art. 1, comma 383, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005)», a norma del quale «[è] punito con la sanzione prevista nel comma 3 il cedente o il prestatore che omette di inviare, nei termini previsti, la comunicazione di cui all’articolo 1, comma 1, lettera c), ultimo periodo, del decreto-legge 29 dicembre 1983, n. 746, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 1984, n. 17, o la invia con dati incompleti o inesatti»;

che, successivamente all’ordinanza di rimessione, la disposizione censurata è stata oggetto di diversi interventi legislativi:

− l’art. 20, comma 2, del decreto legislativo 21 novembre 2014, n. 175 (Semplificazione fiscale e dichiarazione dei redditi precompilata), che ha complessivamente ridisegnato il sistema relativo all’obbligo di comunicazione della dichiarazione di intento all’Agenzia delle entrate, individuando come destinatario di tale obbligo non più il cedente o prestatore ma direttamente l’esportatore abituale – il quale è tenuto a trasmettere telematicamente la predetta dichiarazione di intento all’amministrazione finanziaria e a consegnarla, poi, unitamente alla ricevuta telematica di presentazione rilasciata dall’Agenzia delle entrate, al proprio cedente o prestatore – ponendo a carico di quest’ultimo unicamente l’obbligo di riscontrare telematicamente l’avvenuta presentazione prima di effettuare le cessioni o prestazioni in regime di non imponibilità, senza peraltro modificare, per l’ipotesi di inadempimento, la sanzione già prevista dal cento al duecento per cento dell’imposta;

− l’art. 15, comma 1, lettera g), del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158 (Revisione del sistema sanzionatorio, in attuazione dell’articolo 8, comma 1, della legge 11 marzo 2014, n. 23), il quale, ferma restando la conformazione dell’obbligo nel senso individuato dal d.lgs. n. 175 del 2014, ha modificato l’entità della sanzione posta a carico del cedente o prestatore per l’ipotesi in cui effettui l’operazione in regime di non imponibilità prima di aver ricevuto da parte del cessionario/committente la dichiarazione d’intento e aver riscontrato telematicamente l’avvenuta presentazione all’Agenzia, fissandola nella cifra da 250 a 2.000 euro;

− l’art. 12-septies, comma 2, del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34 (Misure urgenti di crescita economica e per la risoluzione di specifiche situazioni di crisi), convertito, con modificazioni, nella legge 28 giugno 2019, n. 58, che ha nuovamente determinato l’entità della sanzione dal cento al duecento per cento dell’imposta;

che le plurime modifiche del sistema sanzionatorio, e della stessa entità della sanzione, impongono un riesame della questione per verificare la possibile applicazione delle norme sopravvenute;

che va quindi disposta la restituzione degli atti al giudice a quo per un nuovo esame della rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione sollevata (ex plurimis, ordinanze n. 182 del 2019 e n. 154 del 2018).

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

ordina la restituzione degli atti alla Commissione tributaria regionale della Toscana.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 novembre 2019.

F.to:

Aldo CAROSI, Presidente

Giancarlo CORAGGIO, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 6 dicembre 2019.