Sentenza n. 191 del 2019

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SENTENZA N. 191

ANNO 2019

Commento alla decisione di

Eleonora Labbro Francia

Responsabilità del pubblico ufficiale per danno all’immagine della p.a.: un’occasione persa per la Corte?

per g.c. di Forum di Quaderni Costituzionali

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Presidente: Giorgio LATTANZI;

Giudici: Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Luca ANTONINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 51, commi 6 e 7, dell’Allegato 1 al decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174 (Codice di giustizia contabile, adottato ai sensi dell’articolo 20 della legge 7 agosto 2015, n. 124), promosso dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Liguria, nel procedimento vertente tra il Procuratore regionale della Corte dei conti per la Liguria e V. C., con ordinanza del 29 maggio 2018, iscritta al n. 165 del registro ordinanze 2018 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell’anno 2018.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 22 maggio 2019 il Giudice relatore Augusto Antonio Barbera.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza depositata il 29 maggio 2018 (reg. ord. n. 165 del 2018), la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Liguria, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 51, commi 6 e 7, dell’Allegato 1 al decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174, recante «Codice di giustizia contabile, adottato ai sensi dell’articolo 20 della legge 7 agosto 2015, n. 124» (da ora in poi, anche: cod. giust. contabile), in riferimento agli artt. 3, 76, 97 e 103 della Costituzione, «nella parte in cui esclude l’esercizio dell’azione del PM contabile per il risarcimento del danno all’immagine conseguente a reati dolosi commessi da pubblici dipendenti a danno delle pubbliche amministrazioni, dichiarati prescritti con sentenza passata in giudicato pienamente accertativa della responsabilità dei fatti ai fini della condanna dell’imputato al risarcimento dei danni patiti dalle parti civili costituite».

2.– Il rimettente ha osservato in premessa che la Procura contabile aveva citato in giudizio un ufficiale della Polizia di Stato, per sentirlo condannare al risarcimento, in favore del Ministero dell’interno, del danno patrimoniale e del danno all’immagine; il convenuto, in particolare, era stato ritenuto responsabile dal Tribunale di Genova del reato continuato di violenza privata aggravata ai sensi dell’art. 61 numero 9 del codice penale, perché − durante una manifestazione svoltasi a Genova nel luglio del 2001, in occasione del vertice dei Capi di Stato e di Governo denominato “G8” – quale comandante del VII Nucleo antisommossa del I Reparto mobile, mediante violenza consistita nell’utilizzazione di una bomboletta di gas urticante, in dotazione quale armamento personale di servizio, aveva costretto alcuni manifestanti ad allontanarsi dal luogo ove sostavano.

Successivamente, la Corte d’appello di Genova aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti dell’imputato in quanto il reato si era estinto per prescrizione, condannando tuttavia il medesimo, in solido con il Ministero dell’interno, al risarcimento dei danni ed al pagamento delle spese in favore delle parti civili costituite; detta sentenza era poi divenuta definitiva a seguito del rigetto del ricorso per cassazione proposto dall’imputato.

3.– Con riferimento al danno all’immagine, il rimettente ha rilevato anzitutto che la sussistenza dei presupposti per la proponibilità della relativa domanda risarcitoria doveva essere verificata sulla base di quanto disposto dal decreto legislativo n. 174 del 2016, in quanto disciplina vigente al momento dell’instaurazione del giudizio principale.

3.1.– Tale decreto, all’art. 4, comma 1, lettera h), dell’Allegato 3 (Norme transitorie e abrogazioni), pur abrogandone il primo periodo, non aveva inciso, quanto all’individuazione dei presupposti sostanziali, sulla previgente disciplina, contenuta nell’art. 17, comma 30-ter, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini), convertito, con modificazioni, nella legge 3 agosto 2009, n. 102, come modificato dall’art. 1, comma 1, lettera c), numero 1), del decreto-legge 3 agosto 2009, n. 103 (Disposizioni correttive del decreto-legge anticrisi n. 78 del 2009), convertito, con modificazioni, nella legge 3 ottobre 2009, n. 141.

Detta norma, in particolare, prevede che le procure regionali della Corte dei conti possono esercitare l’azione per il risarcimento del danno all’immagine soltanto quando sia intervenuta una sentenza irrevocabile di condanna del pubblico dipendente per uno dei delitti di cui all’art. 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97 (Norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche), vale a dire per uno dei delitti contro la pubblica amministrazione previsti nel Capo I del Titolo II del Libro II del codice penale.

Quest’ultima disposizione, tuttavia, era stata abrogata dall’art. 4, lettera g), dell’Allegato 3 al cod. giust. contabile. Per tale ragione, onde integrare il contenuto della disposizione previgente, occorreva aver riguardo a quanto previsto dal comma 2 del medesimo articolo, a mente del quale «[q]uando disposizioni vigenti richiamano disposizioni abrogate dal comma 1, il riferimento agli istituti previsti da queste ultime si intende operato ai corrispondenti istituti disciplinati nel presente codice»; e l’istituto corrispondente a quello previsto dalla disposizione abrogata andava rinvenuto nel combinato disposto dell’art. 51, comma 6, del predetto codice – che fa espresso riferimento al danno all’immagine – e del comma 7, secondo cui «la sentenza irrevocabile di condanna pronunciata nei confronti dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nonché degli organismi e degli enti da esse controllati, per i delitti commessi a danno delle stesse, è comunicata al competente procuratore regionale della Corte dei conti affinché promuova l’eventuale procedimento di responsabilità per danno erariale nei confronti del condannato».

3.2.– In conclusione, ad avviso del rimettente, nella vigenza della nuova disciplina la domanda di risarcimento del danno all’immagine della pubblica amministrazione (PA) sarebbe proponibile per tutti i delitti commessi a danno della stessa che siano accertati con sentenza penale definitiva.

In ciò la fattispecie si differenziava da quella posta ad oggetto di due ordinanze antecedenti, con le quali il medesimo giudice a quo aveva sollevato, innanzi a questa Corte, analoghe questioni di legittimità riferite alla disciplina previgente, contenuta nell’17, comma 30-ter, del d.l. n. 78 del 2009 (poi decise con le ordinanze n. 167 e n. 168 del 2019).

4.– Ciò posto, venendo ad illustrare la rilevanza della questione, il rimettente osserva che nel caso di specie sussisterebbe il presupposto sostanziale, poiché il fatto accertato a carico del convenuto nel giudizio principale, in quanto commesso da questo nell’esercizio delle proprie funzioni, non aveva leso soltanto «l’integrità fisica dei pacifici astanti», ma aveva altresì «inferto alla reputazione pubblica dell’Amministrazione della Polizia di Stato un grave pregiudizio di immagine».

Difetterebbe, pertanto, il solo requisito della condanna penale irrevocabile, in presenza di una sentenza dichiarativa della prescrizione del reato; detta sentenza, rileva infatti il rimettente, pur avendo «pienamente accertato la responsabilità dei fatti di reato ascritti al funzionario di Polizia», non consente l’esperibilità dell’azione da parte della Procura contabile, stante il chiaro tenore della norma impugnata, che richiede una condanna in sede penale come «limite legislativo invalicabile e imprescindibile per l’interprete» e non rivela alcun intento del legislatore di prendere in considerazione un «surrogato normativo».

Di qui la rilevanza della questione, in quanto l’applicazione delle disposizioni censurate determinerebbe l’improponibilità della domanda di risarcimento del danno all’immagine per carenza del presupposto della condanna penale irrevocabile.

5.– In ordine alla non manifesta infondatezza, il rimettente assume anzitutto che le norme censurate violerebbero l’art. 3 Cost. Esse sarebbero infatti intrinsecamente irragionevoli laddove escludono l’esercizio dell’azione risarcitoria quando il danno consegue a reati dolosi dichiarati prescritti con sentenza irrevocabile che ha comunque accertato la responsabilità dei fatti ai fini della condanna dell’imputato al risarcimento dei danni alle parti civili.

Tale scelta del legislatore pare al rimettente contraria al «canone di conformità dell’ordinamento a valori di giustizia ed equità […] ed a criteri di coerenza logica, teleologica e storico-cronologica», poiché consente che la tutela dell’immagine dell’amministrazione venga accordata o meno non già in base all’accertata sussistenza di fatti lesivi, bensì in forza di un diverso fattore, estraneo a tali profili.

5.1.– Sempre in relazione all’art. 3 Cost., il rimettente denunzia inoltre la violazione del principio di eguaglianza sostanziale con riferimento al diverso trattamento – per i medesimi fatti storici – riservato ai privati cittadini lesi nell’integrità fisica, rispetto al diritto alla reputazione dell’amministrazione, atteso che i primi possono ottenere il risarcimento di tutti i danni patiti anche a fronte di una sentenza dichiarativa della prescrizione del reato.

5.2.– Ad avviso del rimettente, inoltre, dall’irragionevolezza delle norme impugnate deriverebbe una violazione del principio di buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa, di cui all’art. 97 Cost.

Al riguardo, l’ordinanza osserva che il pur condivisibile obiettivo, già affermato in proposito da questa Corte, di circoscrivere il perimetro della responsabilità amministrativa dei pubblici dipendenti, onde consentire «un esercizio dell’attività di amministrazione della cosa pubblica, oltre che più efficace e più efficiente, il più possibile scevro da appesantimenti» (sentenza n. 355 del 2010), non può essere ottenuto precludendo l’azione risarcitoria per fatti di reato commessi da un pubblico dipendente «sottrattosi alla sanzione penale solo per intervenuta prescrizione»; in tal senso, la restrizione dei confini della responsabilità per i danni causati all’amministrazione entro il dato formale di una condanna penale irrevocabile, con esclusione dell’obbligo risarcitorio perché quest’ultima «non è stata raggiunta per intervenuta prescrizione, dopo condanna nel merito», costituirebbe una «misura eccessiva ed esuberante rispetto allo scopo e, pertanto, secondo il parametro dell’art. 97, intrinsecamente irrazionale».

5.3.– Infine, il rimettente deduce che il combinato disposto delle norme censurate, nel ridurre l’area della proponibilità della domanda risarcitoria, arrecherebbe un vulnus al principio di effettività della tutela in sede giudiziaria, con conseguente violazione degli artt. 103, secondo comma, e 76 Cost., atteso che la delega affidata al Governo con la legge 7 agosto 2015, n. 124 (Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche), prodromica all’emanazione del cod. giust. contabile, prescriveva, all’art. 20, comma 2, lettera b), l’adozione di norme idonee a garantire il rispetto dei principi di concentrazione ed effettività della tutela.

6.– Con memoria depositata l’11 dicembre 2018 è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha anzitutto eccepito l’inammissibilità delle questioni per omessa interpretazione delle norme in senso conforme a Costituzione da parte del giudice a quo.

La difesa erariale ha infatti sostenuto che l’art. 51 cod. giust. contabile non si riferisce in via generale al danno all’immagine, cui è specificamente dedicato il solo comma 6, peraltro irrilevante nell’ottica del giudizio di legittimità, ma attiene all’individuazione degli obblighi di trasmissione di sentenze irrevocabili per l’eventuale promovimento di azione di ogni danno patito dall’erario. Il richiamo alla sentenza irrevocabile contenuto nel comma 7 sarebbe pertanto riconducibile all’acquisizione della notizia di danno, e non alle condizioni per la promovibilità dell’azione di risarcimento del danno all’immagine.

6.1.– Nel merito, la difesa erariale ha poi dedotto l’infondatezza delle questioni, richiamandosi ai precedenti di questa Corte (sono richiamate la sentenza n. 355 del 2010 e le ordinanze n. 219, n. 220, n. 221 e n. 286 del 2011) che hanno ricondotto i limiti all’esercizio dell’azione risarcitoria da parte del pubblico ministero contabile ad una scelta discrezionale del legislatore, non sindacabile se non per arbitrarietà od irragionevolezza, nella specie non sussistenti.

Al riguardo, il Presidente del Consiglio ha evidenziato che, nel valutare i profili attinenti alla responsabilità amministrativa, il legislatore deve necessariamente contemperare l’esigenza di una tutela risarcitoria con quella del buon andamento della pubblica amministrazione, che potrebbe vedersi gravemente incisa da un’estensione dell’area della responsabilità dei suoi dipendenti.

In tale ottica, ha peraltro sottolineato che non appare illogico e discriminatorio, rispetto ad altre fattispecie di danno, prevedere come necessario un giudicato penale, al fine di circoscrivere obiettivamente i casi nei quali si è in presenza di un danno all’immagine risarcibile e distinguere fra i vari soggetti autori del comportamento, selezionandone alcuni, onde sottoporli alla giurisdizione contabile. Quest’ultima, d’altro canto, non perde la propria efficacia, che nei casi diversi dalle materie di contabilità pubblica è limitata agli specifici casi previsti dalla legge.

Considerato in diritto

1.– Con ordinanza depositata il 29 maggio 2018 (reg. ord. n. 165 del 2018), la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Liguria, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 51, commi 6 e 7, dell’Allegato 1 al decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174, recante «Codice di giustizia contabile, adottato ai sensi dell’articolo 20 della legge 7 agosto 2015, n. 124» (da ora in poi anche: cod. giust. contabile), nella parte in cui esclude l’esercizio dell’azione del pubblico ministero (PM) contabile per il risarcimento del danno all’immagine conseguente a delitti commessi da pubblici dipendenti a danno delle pubbliche amministrazioni, dichiarati prescritti con sentenza passata in giudicato ma pienamente accertativa della responsabilità dei fatti, ai fini della condanna dell’imputato al risarcimento dei danni patiti dalle parti civili costituite.

1.1.– Secondo il rimettente, tale disposizione violerebbe l’art. 3 della Costituzione, in quanto escluderebbe in modo irragionevole l’esercizio dell’azione risarcitoria, pur a fronte di un danno conseguente a condotte delittuose accertate in giudizio ed in base ad un fattore, il mero decorso del tempo, completamente estraneo alla loro efficacia lesiva.

L’art. 3 Cost. sarebbe violato anche sotto il profilo del principio di eguaglianza sostanziale, poiché, in forza dei limiti imposti alla tutela risarcitoria, l’amministrazione riceve un trattamento diverso rispetto a quello riservato ai privati cittadini, i quali – in relazione ai medesimi fatti storici – possono ottenere il risarcimento di tutti i danni patiti anche a fronte di una declaratoria di prescrizione del reato.

1.2.– I profili di irrazionalità della norma determinerebbero inoltre un contrasto con il principio di efficacia e buon andamento dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 Cost.; una tale restrizione del perimetro della responsabilità dei pubblici dipendenti, infatti, trascenderebbe i confini del pur legittimo scopo di non appesantire le conseguenze della loro attività, e finirebbe per lasciare senza conseguenze la loro scelta di approfittare delle funzioni svolte per delinquere, a detrimento dell’imparzialità e dell’obiettività dell’azione amministrativa.

1.3.– Infine, la norma impugnata, impedendo l’esercizio dell’azione risarcitoria pur a fronte di accertate condotte lesive, sarebbe contraria al principio di effettività della tutela giudiziaria in sede contabile, con conseguente violazione dell’art. 103, secondo comma, Cost.; ne risulterebbe altresì violato l’art. 76 Cost., atteso che la legge delega prodromica all’emanazione del cod. giust. contabile prescriveva l’adozione di norme idonee a garantire il rispetto dei principi di concentrazione ed effettività della tutela.

2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto in giudizio, ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità delle questioni per omessa interpretazione delle norme in senso conforme a Costituzione da parte del rimettente e ha dedotto, in ogni caso, l’infondatezza delle questioni nel merito.

3.– Le questioni, ad avviso di questa Corte, sono inammissibili per inadeguata rappresentazione del quadro normativo entro il quale la disposizione impugnata è ricompresa, restando assorbita l’ulteriore eccezione di inammissibilità dedotta in causa.

3.1.– Conviene, in tal senso, riassumere l’evoluzione della disciplina dell’esercizio, da parte delle procure della Corte dei conti, dell’azione di risarcimento del danno all’immagine della pubblica amministrazione (PA) come componente ulteriore del danno erariale.

3.1.1.– Il risarcimento del danno all’immagine della PA ha origine pretoria. Tale forma di lesione fu infatti inizialmente riconosciuta dalla giurisprudenza della Corte dei conti, che ritenne proponibile la relativa domanda risarcitoria da parte del PM senza alcun limite, né in ordine al fatto generatore di responsabilità, né, tantomeno, con riguardo alla necessità che tale fatto venisse preventivamente accertato in sede penale.

3.1.2.– In siffatto contesto intervenne il legislatore, con l’art. 17, comma 30-ter, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini), convertito, con modificazioni, nella legge 3 agosto 2009, n. 102, come modificato, in pari data, dall’art. 1, comma 1, lettera c), numero 1), del decreto-legge 3 agosto 2009, n. 103 (Disposizioni correttive del decreto-legge anticrisi n. 78 del 2009), convertito, con modificazioni, nella legge 3 ottobre 2009, n. 141 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 3 agosto 2009, n. 103, recante disposizioni correttive del decreto-legge anticrisi n. 78 del 2009).

Tale norma, nella parte inerente ai presupposti per l’esercizio dell’azione risarcitoria ad opera del procuratore contabile, così stabiliva: «Le procure della Corte dei conti possono iniziare l’attività istruttoria ai fini dell’esercizio dell’azione di danno erariale a fronte di specifica e concreta notizia di danno, fatte salve le fattispecie direttamente sanzionate dalla legge. Le procure della Corte dei conti esercitano l’azione per il risarcimento del danno all’immagine nei soli casi e nei modi previsti dall’articolo 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97».

Il legislatore individuò pertanto i presupposti per l’esercizio dell’azione mediante un espresso rinvio all’art. 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97 (Norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche); disposizione che, a sua volta, prevedeva che la sentenza irrevocabile di condanna pronunciata nei confronti dei pubblici dipendenti per i delitti contro la pubblica amministrazione (previsti dal Capo I del Titolo II del Libro II del codice penale) venisse comunicata al competente procuratore regionale della Corte dei conti per il successivo avvio, entro trenta giorni, dell’eventuale procedimento di responsabilità per danno erariale nei confronti del condannato.

3.1.3.– Conclusivamente, all’esito di questo primo intervento normativo la risarcibilità del danno all’immagine era limitata all’ipotesi di condanna irrevocabile del pubblico dipendente per uno dei menzionati delitti commessi dai pubblici ufficiali contro la PA (artt. da 314 a 335-bis del codice penale).

3.1.4.– Tale disciplina ha subito una trasformazione per effetto della successiva entrata in vigore del cod. giust. contabile, di cui fanno parte le norme censurate.

Per quanto in questa sede interessa, in particolare, il codice – pur abrogando il primo periodo del primo comma dell’art. 17, comma 30-ter, del d.l. n. 78 del 2009 – ha lasciato invariato il secondo periodo, contenente la limitazione dell’azione per il risarcimento del danno all’immagine; e tuttavia, con l’art. 4, comma 1, lettera g), dell’Allegato 3 (Norme transitorie e abrogazioni), ha abrogato l’art. 7 della legge n. 97 del 2001, cui tale previsione faceva rinvio nel delimitare i casi nei quali il PM contabile poteva promuovere l’azione risarcitoria.

3.1.5.– Dopo l’entrata in vigore del cod. giust. contabile, pertanto, è rimasta in vita la norma che circoscrive la proponibilità della domanda a casi specifici; a tale scopo, tuttavia, detta norma continua a fare rinvio ad una previsione che lo stesso codice ha contestualmente abrogato.

3.2.– Il frastagliato quadro che emerge all’esito di tale percorso esige quindi di essere adeguatamente rappresentato, al fine di offrire a questa Corte una valutazione adeguata a sorreggere la motivazione sulla rilevanza e sulla non manifesta infondatezza delle questioni di costituzionalità.

È infatti onere del rimettente confrontarsi con ogni elemento normativo che incida su tali requisiti di ammissibilità, chiarendo in termini non implausibili il preliminare percorso logico compiuto, e soffermandosi poi sulle ragioni che rendono possibile l’applicazione della norma impugnata nel giudizio principale.

3.2.1.– Nel caso di specie, il giudice a quo assume che il reato per il quale è stato condannato il pubblico dipendente, e dal quale ha preso avvio l’azione del procuratore contabile (ovvero una violenza privata – art. 610 cod. pen. – aggravata dall’abuso del pubblico potere ai sensi dell’art. 61, numero 9, cod. pen.), è un reato «a danno» della pubblica amministrazione, e consente perciò, in base all’art. 51 cod. giust. contabile, di agire per il risarcimento del danno all’immagine.

Sulla base di questo presupposto, attinente alla rilevanza, vengono formulate le questioni di legittimità costituzionale, che investono un diverso profilo del regime della responsabilità, vale a dire la necessità che vi sia stata condanna penale, quand’anche i fatti siano stati accertati ai fini dell’azione spiegata dalla parte civile.

Sennonché, come si vedrà, l’interpretazione prescelta dal rimettente in ordine alla nozione di reato «a danno» della PA non considera numerosi elementi normativi, astrattamente idonei ad incidere su di essa, fino potenzialmente ad inficiarla.

3.2.2.– Il giudice a quo, infatti, a fronte di una disposizione di dubbia lettura, introdotta attraverso l’esercizio di una delega legislativa, avrebbe dovuto prendere in considerazione anche la legge delegante, e in particolare l’ambito operativo della delega conferita al Governo, come tracciato dall’art. 20 della legge 7 agosto 2015, n. 124 (Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche).

3.2.3.– Ed ancora, nell’ottica di una pur possibile interpretazione restrittiva della nozione di reato «a danno» della PA, se anche non desumibile dalla legge delega, il rimettente non tiene in alcuna considerazione l’art. 17, comma 30-ter, del d.l. n. 78 del 2009, citato ad altro proposito, ma non posto a base del processo ermeneutico qui in discussione, nella parte in cui prevede la risarcibilità del danno all’immagine «nei soli casi» previsti dalla legge.

3.2.4.– Né, infine, può trascurarsi che, a sua volta, sarebbe stato necessario confrontare la nozione di reato «a danno» della PA con i parametri normativi offerti dall’ordinamento ai fini di definire cosa debba intendersi per delitto «a danno» di taluno.

Si tratta di profili che assumono un rilievo decisivo nell’ottica della preliminare valutazione in ordine alla sufficienza della motivazione offerta dal rimettente sulla rilevanza delle questioni.

4.– Le considerazioni svolte dal rimettente sulla rilevanza sono incentrate sul rapporto fra sentenza di condanna e declaratoria di prescrizione del reato pur in presenza dell’accertamento del fatto; alle stesse, tuttavia, l’ordinanza necessariamente premette che nel caso di specie la condotta accertata nel giudizio presupposto consentirebbe al PM contabile di agire per il risarcimento del danno all’immagine dell’amministrazione.

A tanto l’ordinanza perviene muovendo dall’assunto secondo cui l’intervenuta abrogazione dell’art. 7 della legge n. 97 del 2001, ad opera dell’art. 4, lettera g), dell’Allegato 3 al cod. giust. contabile, comporterebbe l’impossibilità di prendere ulteriormente a riferimento la disposizione abrogata per l’individuazione dei casi in cui le procure contabili possono esercitare l’azione risarcitoria.

Conseguenza di tale impostazione è che il perimetro dei reati che consentono l’azione risarcitoria andrebbe rinvenuto, secondo il rimettente, nello stesso cod. giust. contabile, ed in particolare nel censurato art. 51, comma 7.

La nuova disciplina consentirebbe dunque il risarcimento del danno all’immagine della PA in conseguenza di un delitto commesso dal pubblico impiegato «a danno» della stessa, che sia stato accertato con sentenza penale definitiva.

Questa lettura del contesto normativo esaurisce il contenuto dell’ordinanza.

4.1.– A fronte di ciò, osserva questa Corte che il giudice a quo non ha vagliato la possibilità che il dato normativo di riferimento legittimi un’interpretazione secondo cui, nonostante l’abrogazione dell’art. 7 della legge n. 97 del 2001, che si riferisce ai soli delitti dei pubblici ufficiali contro la PA, non rimanga privo di effetto il rinvio ad esso operato da parte dell’art. 17, comma 30-ter, del d.l. n. 78 del 2009, e non si è chiesto se si tratta di rinvio fisso o mobile. L’ordinanza, quindi, trascura di approfondire la natura del rinvio, per stabilire se è tuttora operante o se, essendo venuto meno, la norma di riferimento è oggi interamente costituita dal censurato art. 51, comma 7.

4.2.– In ogni caso, anche a voler ritenere che l’entrata in vigore del cod. giust. contabile abbia esteso il novero dei reati che legittimano l’esercizio dell’azione risarcitoria, occorre stabilire quali fattispecie delittuose consentono al PM contabile l’esercizio dell’azione per il risarcimento del danno all’immagine.

Si tratta, infatti, di un’attività indispensabile anche ove si ritenga che, in base alla disciplina vigente, la domanda risarcitoria non richieda la commissione di uno dei delitti dei pubblici ufficiali contro la PA, ma solo la commissione di un delitto «a danno» della stessa. Anche questa previsione rivela infatti l’intento del legislatore di delimitare l’ambito della relativa responsabilità.

In proposito, il rimettente qualifica il fatto accertato a carico del convenuto come «delitto a danno della pubblica amministrazione» sulla sola base del fatto che lo stesso «ha inferto alla reputazione pubblica dell’Amministrazione della Polizia di Stato un grave pregiudizio di immagine»; ma a supporto di una simile ricostruzione non offre alcuno spunto ermeneutico, limitandosi a compiere un ragionamento di tipo tautologico.

5.– Nei profili evidenziati, l’ordinanza di rimessione offre dunque un’inadeguata rappresentazione della normativa donde trarre l’indicazione dei presupposti per l’esercizio, da parte del PM contabile, dell’azione di risarcimento del danno all’immagine della PA, e, segnatamente, l’indicazione dei reati per i quali debba essere intervenuta sentenza di condanna.

Tale carenza, pertanto, non consente di ritenere compiutamente rappresentato il quadro normativo di riferimento in ordine ad un elemento della fattispecie che si configura come requisito indefettibile per la valutazione di rilevanza delle questioni sottoposte; e tanto non può che condurre alla dichiarazione d’inammissibilità delle stesse, in applicazione della giurisprudenza di questa Corte relativa a casi analoghi (sentenze n. 154 del 2019 e n. 133 del 2017).

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 51, commi 6 e 7, dell’Allegato 1 al decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174 (Codice di giustizia contabile, adottato ai sensi dell’articolo 20 della legge 7 agosto 2015, n. 124), sollevate dalla Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Regione Liguria, in relazione agli artt. 3, 76, 97 e 103 della Costituzione, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 luglio 2019.

F.to:

Giorgio LATTANZI, Presidente

Augusto Antonio BARBERA, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 19 luglio 2019.