Sentenza n. 192 del 2017

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SENTENZA N. 192

ANNO 2017

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Paolo                          GROSSI                                Presidente

-           Giorgio                       LATTANZI                             Giudice

-           Aldo                           CAROSI                                       

-           Marta                          CARTABIA                                 

-           Mario Rosario MORELLI                                                

-           Giancarlo                    CORAGGIO                                

-           Giuliano                      AMATO                                       

-           Silvana                        SCIARRA                                    

-           Daria                           de PRETIS                                    

-           Nicolò                         ZANON                                        

-           Franco                        MODUGNO                                 

-           Augusto Antonio       BARBERA                                   

-           Giulio                         PROSPERETTI                            

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi da 524 a 529, da 531 a 536, 553, 555 e 568, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», promosso dalla Regione Veneto, con ricorso notificato il 29 febbraio 2016, depositato in cancelleria l’8 marzo 2016 ed iscritto al n. 17 del registro ricorsi 2016.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 20 giugno 2017 il Giudice relatore Marta Cartabia;

uditi gli avvocati Luca Antonini e Andrea Manzi per la Regione Veneto e l’avvocato dello Stato Andrea Fedeli per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato il 29 febbraio 2016 e depositato l’8 marzo 2016 (r.r. n. 17 del 2016), la Regione Veneto ha impugnato diversi commi dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)».

Sono oggetto di censura, tra gli altri, i commi da 524 a 529 e da 531 a 536, per violazione degli artt. 3, 32, 97, 117, terzo e quarto comma, 118, 119 e 123 della Costituzione, nonché del principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost.; i commi 553 e 555, per violazione degli artt. 3, 32, 97, 117, secondo, terzo e quarto comma, 118 e 119 Cost., del principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost., nonché dell’art. 5, comma 1, lettera g), della legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 (Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale), e dell’art. 11 della legge 24 dicembre 2012, n. 243 (Disposizioni per l’attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell’articolo 81, sesto comma, della Costituzione); il comma 568, per violazione degli artt. 3, 32 e 97, 117, terzo e quarto comma, 118 e 119 Cost., del principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost., nonché dell’art. 5, comma 1, lettera g), della legge cost. n. 1 del 2012 e dell’art. 11 della legge n. 243 del 2012.

1.1.– I commi da 524 a 529 e da 531 a 536 riguardano l’individuazione degli enti sanitari inefficienti e l’adozione e attuazione dei relativi piani di rientro.

1.1.1.– Nella sintesi esposta dalla ricorrente, a norma del censurato comma 524, entro il 30 giugno di ciascun anno le Regioni, con provvedimento della Giunta, devono individuare le aziende ospedaliere, le aziende universitarie, gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico pubblici, nonché gli altri enti pubblici che erogano prestazioni di ricovero e cura (ad eccezione di quelli di cui ai commi 535 e 536), per i quali ricorra almeno una delle seguenti condizioni (di cui alle lettere a e b del citato comma 524): uno scostamento tra costi e ricavi non inferiore al 10 per cento dei ricavi o, in valore assoluto, a 10 milioni di euro; il mancato rispetto dei parametri relativi a volumi, qualità ed esiti delle cure. Per il solo anno 2016, in sede di prima applicazione, è previsto il termine del 31 marzo al fine di provvedere a quanto sopra, con specificazione dei dati da utilizzare (comma 525).

La metodologia di valutazione dello scostamento tra costi e ricavi, gli ambiti assistenziali e i parametri di riferimento per volumi, qualità ed esiti delle cure, nonché le linee guida per la predisposizione dei piani di rientro sono definiti (comma 526) con decreto del Ministro della salute, da emanare di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano (di seguito, Conferenza Stato-Regioni). A un distinto decreto del Ministro della salute, emanato di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni, è demandato (comma 527) il compito di apportare i necessari aggiornamenti, ai sensi dell’art. 34 del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118 (Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42), agli schemi di contabilità allegati allo stesso decreto legislativo.

Gli enti che le Regioni hanno individuato, entro 90 giorni dal relativo provvedimento, devono presentare un piano di rientro, di durata non superiore al triennio, che definisca «le misure atte al raggiungimento dell’equilibrio economico-finanziario e patrimoniale e al miglioramento della qualità delle cure o all’adeguamento dell’offerta» (comma 528). Nelle Regioni non in piano di rientro, la Giunta valuta l’adeguatezza delle misure proposte e la loro coerenza con la programmazione regionale e approva i piani entro 30 giorni, rendendoli così efficaci ed esecutivi (comma 529). Se la Regione non si è già avvalsa della facoltà di istituire una gestione sanitaria accentrata (ai sensi dell’art. 19, comma 2, lettera b, del d.lgs. n. 118 del 2011), deve farlo in seguito all’approvazione dei piani di rientro; la stessa Regione deve comunicare l’approvazione dei piani di rientro ai «tavoli tecnici di cui agli articoli 9 e 12 dell’Intesa sancita in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano in data 23 marzo 2005»; la gestione iscrive nel proprio bilancio una quota del Fondo sanitario regionale corrispondente alla somma degli eventuali scostamenti negativi di cui ai piani di rientro (comma 531).

Gli interventi previsti nei piani sono vincolanti per gli enti interessati e possono comportare variazioni dei provvedimenti già adottati, anche in materia di programmazione e pianificazione aziendale (comma 532). La Regione verifica trimestralmente l’adozione e la realizzazione delle misure previste: in caso di esito positivo, può erogare a titolo di anticipazione all’ente una quota parte delle risorse iscritte nel bilancio della gestione accentrata; in caso di esito negativo, adotta misure per la riconduzione in equilibrio della gestione; comunque, al termine di ogni esercizio, la Regione pubblica nel proprio sito internet i risultati economici dei singoli enti, raffrontati agli obiettivi del piano di rientro (comma 533).

«[T]utti i contratti dei direttori generali, ivi inclusi quelli in essere, prevedono la decadenza automatica del direttore generale» degli enti interessati, se i direttori generali non adempiono all’obbligo di trasmettere il piano di rientro, oppure se ha esito negativo la verifica annuale dell’attuazione (comma 534).

Dal 2017, la disciplina illustrata dovrebbe trovare applicazione anche «alle aziende sanitarie locali e ai relativi presìdi a gestione diretta, ovvero ad altri enti pubblici che erogano prestazioni di ricovero e cura, individuati da leggi regionali, che presentano un significativo scostamento tra costi e ricavi ovvero il mancato rispetto dei parametri relativi a volumi, qualità ed esiti delle cure» (comma 535). La definizione dei parametri e degli altri elementi necessari allo scopo sono demandate a un decreto del Ministro della salute, emanato di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-Regioni, da adottare entro il 30 giugno 2016 (comma 536, primo periodo). A un successivo decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni, da adottare entro il 31 dicembre 2016, è affidato il compito di apportare i necessari aggiornamenti ai modelli di rilevazione dei costi dei presidi ospedalieri gestiti direttamente dalle aziende sanitarie (comma 536, secondo periodo).

1.1.2.– Ad avviso della ricorrente, la normativa così riassunta, «mentre non presenta profili di criticità costituzionale in relazione alle Regioni assoggettate a piani di rientro», è lesiva dell’autonomia regionale «nella misura in cui pretende di applicarsi anche alle Regioni in equilibrio finanziario».

Nella legislazione statale precedente, a partire dall’art. 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 2005), il presupposto dell’applicazione dei piani di rientro è sempre stato una situazione di grave disavanzo dell’intero comparto della spesa sanitaria di una Regione, tale da rendere necessario un accordo per vincolare la stessa Regione sia al rientro del disavanzo, sia alla garanzia dei livelli essenziali di assistenza. Solo in presenza di questo presupposto la giurisprudenza costituzionale ha legittimato la compressione dell’autonomia regionale che deriva dai piani di rientro, «le cui disposizioni spesso risultano molto più dettagliate di quanto dovrebbe essere proprio delle norme di principio».

In assenza di una siffatta situazione di disavanzo, o addirittura in presenza di una situazione di equilibrio certificato (come sarebbe per il Veneto, selezionato tra le Regioni di riferimento per il calcolo dei costi standard nella sanità), non sussisterebbero i presupposti per la denunciata ingerenza dello Stato, che comporta l’imposizione di piani di rientro, nonché l’arbitraria specificazione dei parametri vincolanti per gli enti del Servizio sanitario regionale. Sarebbe altrimenti destabilizzato l’equilibrio complessivamente assicurato dalla Regione, nell’ambito del quale il disavanzo di un ente può risultare non inefficiente ma, al contrario, giustificato da specifiche decisioni politiche. La ricorrente fa l’esempio dell’Azienda ospedaliera di Padova, strutturalmente in disavanzo perché rappresenta, in determinati settori (come quello dei trapianti), un’eccellenza a livello europeo, «cui fa fronte con D.r.g. [Diagnosis related group] fissati dal Ministero in misura notoriamente sottostimata». Imporre a questo ente un piano di rientro produrrebbe un grave danno al sistema sanitario regionale e alla sua capacità di cura; sinora, invece, la Regione «ha potuto identificare un punto di equilibrio nella programmazione e gestione della spesa sanitaria, che consente di fare fronte al deficit non inefficiente» dell’azienda citata.

Pertanto, il meccanismo delineato dalle norme impugnate, «in quanto applicabili anche alle Regioni non sottoposte a piano di rientro», sarebbe in contrasto con il principio di proporzionalità: non è legittimo lo scopo perseguito, in assenza del presupposto che in passato ha legittimato l’imposizione dei piani di rientro; né sussistono la connessione razionale e la necessità rispetto a obiettivi di efficienza qualitativa e quantitativa della spesa, essendo al contrario probabili (o, in alcuni casi, certi) risultati opposti.

Mancherebbero poi, ad avviso della ricorrente, gli «standard minimi» per la legittimità costituzionale delle norme statali in materia di «coordinamento della finanza pubblica»: segnatamente, l’attitudine di tali norme a porre un limite complessivo alla spesa delle Regioni, lasciando a queste ultime ampia libertà di allocazione fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa; nonché il rispetto di canoni di ragionevolezza e proporzionalità rispetto agli obiettivi prefissati. Nel caso, non residua uno spazio aperto all’esercizio dell’autonomia regionale, indispensabile affinché il coordinamento della finanza pubblica non si traduca in menomazione irragionevole e sproporzionata dell’autonomia e della capacità di programmazione della Regione.

1.1.3.– Sarebbe altresì violato il principio di leale collaborazione. Infatti, è previsto che sia solo sentita la Conferenza Stato-Regioni, e non che sia raggiunta in seno ad essa un’intesa, per l’emanazione del decreto che definisce la valutazione dello scostamento tra costi e ricavi, i parametri relativi a volumi, qualità ed esiti delle cure, nonché le linee guida per la predisposizione dei piani di rientro (comma 526). Lo stesso è previsto per i decreti relativi alle aziende sanitarie locali e ai presidi da esse direttamente gestiti, per cui, inoltre, la legge menziona con formula generica un «significativo scostamento tra costi e ricavi» (comma 535).

1.1.4.– È infine denunciata la violazione di quanto statuito dalla Corte costituzionale in merito agli ambiti riservati all’organizzazione interna della Regione, in riferimento all’obbligo che sia un provvedimento della Giunta regionale a individuare gli enti inefficienti (commi 524 e 525) e ad approvarne i piani di rientro (comma 529). L’individuazione dell’organo titolare di una determinata funzione amministrativa rientrerebbe nella normativa di dettaglio attinente all’organizzazione interna della Regione.

1.1.5.– Per i motivi anzidetti, conclude la ricorrente, le disposizioni censurate violano gli artt. 3, 32 e 97 Cost., con ridondanza sull’autonomia amministrativa, legislativa, finanziaria e programmatoria della Regione, e violano pure gli artt. 117, terzo e quarto comma, 118, 119 e 123 Cost., nonché il principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost.

1.2.– La ricorrente censura altresì i commi 553 e 555 dell’art. 1 della legge n. 208 del 2015, che dispongono in merito all’aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza sanitaria e al relativo finanziamento.

1.2.1.– Il comma 553 prevede, entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge n. 208 del 2015, l’aggiornamento degli anzidetti livelli essenziali, di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 novembre 2001, «in misura non superiore a 800 milioni di euro annui». Ai sensi del successivo comma 555, per l’anno 2016 «è finalizzato» all’attuazione del comma 553 l’importo di 800 milioni di euro, a valere sulla quota indistinta del fabbisogno sanitario standard nazionale.

1.2.2.– La Regione Veneto lamenta che questa quantificazione finanziaria è avvenuta in difetto di una preventiva intesa, in contrasto con quanto previsto dall’art. 10, comma 7, del Patto per la salute 2014-2016 («Intesa, ai sensi dell’articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano concernente il nuovo Patto per la salute per gli anni 2014-2016», sancita dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano nella seduta del 10 luglio 2014) e che la relativa istruttoria è stata contraddittoria e inadeguata.

In data 2 ottobre 2015, in un’audizione presso la XII Commissione permanente del Senato della Repubblica, il Ministro della salute aveva stimato adeguato un importo di 900 milioni di euro. Alle Regioni è stato sottoposto uno schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, in data 2 febbraio 2015, integralmente sostitutivo del precedente decreto 29 novembre 2011, ma non era sopraggiunta un’intesa sulla quantificazione finanziaria e, in seguito, non è stata sottoposta alcuna ulteriore versione del decreto.

Pertanto, la determinazione dell’importo di 800 milioni è arbitraria e contraddittoria, a maggior ragione perché questo finanziamento non è aggiuntivo, ma consiste in risorse già ricomprese nel finanziamento predeterminato. Benché un’intesa sia richiesta dall’art. 1, comma 554, della legge n. 208 del 2015 (ai fini della definizione e dell’aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza sanitaria), l’intesa stessa è assoggettata al limite massimo stabilito dal censurato comma 553, sottostimato, ad avviso della ricorrente.

Ciò sarebbe conforme all’art. 1, comma 3, del Patto per la salute 2014-2016, il quale prevede che i livelli essenziali di assistenza siano aggiornati nell’ambito delle complessive disponibilità. Tuttavia, considerata la riduzione di cui al successivo comma 568 dell’art. 1 della legge n. 208 del 2015, alla ricorrente pare evidente la sostanziale violazione del Patto: esso prevedeva per il 2016 un finanziamento pari a 115.444 milioni di euro; invece, a questo valore è stata applicata una significativa riduzione, senza seguire le procedure di concertazione stabilite nel Patto stesso in caso di variazione degli importi. Dunque, paradossalmente, l’aggiornamento dei livelli essenziali sarebbe divenuto l’occasione per un ulteriore contenimento della spesa, capace di compromettere quegli stessi livelli. A titolo di esempio, la ricorrente riferisce che il già citato schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri «stimava in 1 mln di euro l’importo per la fecondazione eterologa, quando la sola regione Sicilia aveva stanziato 3,8 mln al riguardo» (come risulta da un decreto del competente Assessore).

1.2.3.– Ciò sarebbe in contraddizione con quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 10 del 2016 («la quantificazione delle risorse in modo funzionale e proporzionato alla realizzazione degli obiettivi previsti dalla legislazione vigente diventa fondamentale canone e presupposto del buon andamento dell’amministrazione, cui lo stesso legislatore si deve attenere puntualmente») e determinerebbe, per irragionevolezza e difetto di istruttoria e proporzionalità, violazione degli artt. 3, 32 e 97 Cost., con ridondanza sulle competenze legislative, amministrative e finanziaria regionali, nonché degli artt. 117, secondo, terzo e quarto comma, 118 e 119 Cost., e infine del principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost.

1.2.4.– Sarebbero altresì violati l’art. 5, comma 1, lettera g), della legge cost. n. 1 del 2012 e l’art. 11 della legge n. 243 del 2012. Sia pure in linea di principio e nella dinamica dell’equilibrio di bilancio, queste disposizioni rafforzano l’impegno della Repubblica nella garanzia dei livelli essenziali, imprescindibili nella prospettiva dei principi fondamentali di eguaglianza e solidarietà. Invece, le disposizioni censurate contrastano con i presupposti che la dinamica dell’equilibrio di bilancio deve rispettare, definanziando l’autonomia regionale senza che, in nessuna sede, siano state minimamente considerate le ipotesi previste nelle disposizioni di cui è denunciata la violazione.

1.3.– È pure oggetto di censura il comma 568, il quale fissa il livello del finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale standard cui concorre lo Stato.

1.3.1.– La disposizione censurata ridetermina in 111.000 milioni di euro, per l’anno 2016, la misura dell’anzidetto finanziamento, in precedenza determinata dall’art. 1, commi 167 e 556, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)», e dall’art. 9-septies, comma 1, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, recante «Disposizioni urgenti in materia di enti territoriali. Disposizioni per garantire la continuità dei dispositivi di sicurezza e di controllo del territorio. Razionalizzazione delle spese del Servizio sanitario nazionale nonché norme in materia di rifiuti e di emissioni industriali», convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n. 125.

1.3.2.– La ricorrente precisa che il fabbisogno sanitario nazionale standard, in passato, era sempre stato definito con accordi tra Regioni e Stato, da quest’ultimo annualmente recepiti con legge. Il già citato Patto per la salute ha definito il relativo quadro finanziario per il triennio 2014-2016 e ha specificato (art. 30, comma 2) che, in caso di modifiche agli importi, la stessa intesa sul Patto per la salute avrebbe dovuto essere oggetto di revisione. In particolare, erano previsti i seguenti importi: per il 2014, 109.928 milioni di euro; per il 2015, 112.062 milioni di euro; per il 2016, 115.444 milioni di euro.

Gli importi per gli anni 2015 e 2016 erano stati, poi, confermati dall’art. 1 della legge n. 190 del 2014 (comma 556), la quale ne aveva però contestualmente prefigurato una rideterminazione, in ragione del contributo aggiuntivo alla finanza pubblica richiesto alle Regioni per gli anni 2015-2018, prevedendo altresì (comma 398) l’individuazione, con intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni, degli ambiti di spesa cui attingere le risorse necessarie all’anzidetto maggiore contributo. In data 26 febbraio 2015, è stata raggiunta un’intesa, intitolata «Intesa tra Governo, Regioni e Province autonome di Trento e di Bolzano in merito all’attuazione della legge 23 dicembre 2014, n. 190[,] recante: "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)[”] (articolo 1, commi 398, 465 e 484)», che riduceva le risorse destinate al servizio sanitario nazionale, mentre la successiva intesa in data 2 luglio 2015 («Intesa ai sensi dell’articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano concernente la manovra sul settore sanitario») ha individuato gli ambiti su cui operare un «efficientamento» della spesa sanitaria: ma ciò solo con riguardo all’anno 2015. Per il 2016, il finanziamento avrebbe dovuto assestarsi nell’importo di 113.097 milioni di euro.

1.3.3.– Richiamando decisioni della Corte costituzionale, e anche deduzioni svolte in altri ricorsi, la Regione Veneto lamenta che il censurato art. 1, comma 568, della legge n. 208 del 2015 riduce l’importo predetto in via permanente e non transitoria; opera in difetto del raggiungimento di un’intesa ai sensi dell’art. 30, comma 2, del Patto per la salute; realizza un taglio di tipo puramente lineare, senza alcun riguardo ai costi standard (di cui agli artt. 25-32 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68, recante «Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario») o ai volumi di spesa delle Regioni che abbiano già raggiunto un’elevata efficienza nella gestione sanitaria.

Pertanto, la disposizione censurata non sarebbe assistita da un’adeguata istruttoria sulla sostenibilità del definanziamento. Anzi, prosegue la ricorrente, contraddittoriamente, nello stesso momento in cui aumentano le esigenze di servizio (in relazione all’aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza), la disposizione determina una riduzione (sia in termini assoluti, sia in termini di previsioni tendenziali) del finanziamento della principale spesa regionale, così compromettendo l’inviolabile diritto alla salute, che quella spesa è diretta a tutelare. Inoltre, la riduzione inciderebbe allo stesso modo sia sulle realtà inefficienti, sia su quelle efficienti, in cui nessuna ulteriore razionalizzazione delle spese è possibile, senza mettere a repentaglio la garanzia del diritto alla salute.

In proposito, la Regione Veneto cita nuovamente la sentenza della Corte costituzionale n. 10 del 2016, laddove osserva che «[i]n assenza di adeguate fonti di finanziamento a cui attingere per soddisfare i bisogni della collettività di riferimento in un quadro organico e complessivo, è arduo rispondere alla primaria e fondamentale esigenza di preordinare, organizzare e qualificare la gestione dei servizi a rilevanza sociale da rendere alle popolazioni interessate»; che «la quantificazione delle risorse in modo funzionale e proporzionato alla realizzazione degli obiettivi previsti dalla legislazione vigente» è «fondamentale canone e presupposto del buon andamento dell’amministrazione, cui lo stesso legislatore si deve attenere puntualmente»; e che, altrimenti, l’art. 3 Cost. risulta violato anche «sotto il principio dell’eguaglianza sostanziale a causa dell’evidente pregiudizio al godimento dei diritti conseguente al mancato finanziamento dei relativi servizi» e, dunque, in relazione a un profilo di garanzia che «presenta un carattere fondante nella tavola dei valori costituzionali».

1.3.4.– Sarebbero dunque violati, per irragionevolezza e difetto di proporzionalità, gli artt. 3, 32 e 97 Cost., con ridondanza sulle competenze regionali di cui agli artt. 117, terzo e quarto comma, 118 e 119 Cost., i quali risultano anche autonomamente violati, come pure il principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost.

1.3.5.– La ricorrente denuncia, inoltre, la violazione dell’art. 5, comma 1, lettera g), della legge cost. n. 1 del 2012 e dell’art. 11 della legge n. 243 del 2012, i quali affermano la necessità dello Stato di concorrere al finanziamento dei livelli essenziali nelle fasi avverse del ciclo economico, mentre il censurato comma 568 determina uno scollamento tra il finanziamento statale, che viene ridotto, e la necessità di garantire i livelli essenziali, peraltro anch’essi quantificati inadeguatamente, come già dedotto. Osserva la Regione Veneto che, se sussistono fasi avverse del ciclo economico (le quali comunque non giustificherebbero tagli non proporzionati, né preceduti da intesa), sarebbe almeno necessario attivare il meccanismo di cui ai parametri ora in esame.

1.3.6.– La violazione del principio di leale collaborazione e il difetto di istruttoria sarebbero altresì comprovati dal mancato coinvolgimento della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, di cui all’art. 5 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione): coinvolgimento invece necessario in virtù delle competenze di tale organo di cui al comma 1, lettera a), dell’art. 5 appena citato, nonché all’art. 33 del d.lgs. n. 68 del 2011.

2.– Con atto depositato il 7 aprile 2016, si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che siano dichiarate inammissibili o infondate le censure addotte dalla Regione Veneto nei confronti dell’art. 1 della legge n. 208 del 2015.

2.1.– La difesa statale si sofferma, tra l’altro, sul contenuto dei commi da 524 a 536 e sulle relative censure.

2.1.1.– Secondo la difesa, tali disposizioni rappresentano la trasposizione in legge di misure condivise nell’intesa del 2 luglio 2015. Ivi, nel punto «J» e in particolare alla lettera a), Stato e Regioni concordano sull’opportunità di «misure di governance», da sviluppare nell’ambito dei «lavori per la spending review», che concorrano all’«efficientamento del sistema», tra l’altro, sotto il seguente profilo: «riorganizzazione e ripensamento del sistema aziendale pubblico in una logica di valutazione e miglioramento della produttività, intesa quale rapporto tra il valore prodotto (in termini quantitativi e economici) ed i fattori produttivi utilizzati (in termini quantitativi e economici)».

A propria volta, questo indirizzo sarebbe volto a garantire la piena applicazione di quanto previsto nel decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), all’art. 4, comma 8, in merito all’obbligo del pareggio di bilancio per le aziende ospedaliere, nel rispetto del principio della remunerazione a prestazione, di cui all’art. 8-sexies. I principi di efficacia, efficienza ed economicità, nonché di rispetto dei vincoli di bilancio attraverso l’equilibrio tra costi e ricavi, sarebbero altresì ripresi dal decreto legislativo 16 ottobre 2003, n. 288 (Riordino della disciplina degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, a norma dell’articolo 42, comma 1, della L. 16 gennaio 2003, n. 3).

La disposizione censurata avrebbe dunque l’obiettivo di far rispettare un principio sancito sin dal 1992 nella legislazione sanitaria nazionale, ma disatteso da alcune aziende sanitarie, le quali avrebbero ricevuto quote di finanziamento regionale «"svincolate” dalla remunerazione in senso lato (tariffe e funzioni, come definite e quantificate ai sensi dell’art. 8-sexies del decreto legislativo 502/92 e successive modificazioni)», al solo scopo di dare copertura agli squilibri gestionali, ex ante oppure ex post, «per portare il bilancio in pareggio, in misura contabile». Può accadere, esemplifica la difesa statale, che una Regione abbia un bilancio sanitario consolidato in equilibrio, ma che non in tutte le sue aziende sanitarie la produzione resa e i finanziamenti a funzione equivalgano ai costi. Sovente, l’equilibrio è garantito non tramite un efficace ed efficiente governo delle risorse da parte dei singoli enti, ma attraverso gli utili generati dalla Gestione sanitaria accentrata della Regione: proprio questo sarebbe accaduto in Veneto, nel periodo 2013-2015. Lo scopo della normativa in questione, dunque, sarebbe quello di fornire alle Regioni gli strumenti per ricondurre i propri enti a una corretta gestione dei fattori produttivi, nella prospettiva del riequilibrio costi-ricavi e nel rispetto della programmazione regionale.

Inoltre, le norme censurate hanno riguardo alle cure prestate e ai loro volumi, qualità ed esiti, e dunque mirano a garantire l’erogazione dei livelli essenziali di assistenza in condizioni di efficacia, efficienza, appropriatezza e qualità, sicché risultano «anche, e soprattutto», espressione della competenza legislativa statale esclusiva di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost.

2.1.2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri svolge poi alcune deduzioni sulla specifica situazione dell’Azienda ospedaliera di Padova, richiamata dalla difesa regionale. Tale situazione, diversamente da quanto sostenuto da parte ricorrente, non sarebbe imputabile «alle tariffe nazionali che remunerano i DRG dei trapianti trattati in misura non adeguata». L’azienda sarebbe attualmente remunerata in base a tariffe regionali, più alte di quelle massime nazionali, e ciononostante registrerebbe comunque un «disavanzo strutturale» di 25 milioni di euro all’anno. Qualora, come previsto nella metodologia ministeriale (di cui oltre), fossero applicate le tariffe massime nazionali e, inoltre, il valore massimo consentito per la remunerazione delle funzioni (a norma dell’art. 8-sexies, comma 1-bis, del d.lgs. n. 502 del 1992), in luogo dell’attuale contributo della Regione in conto di esercizio (iscritto nel conto economico tra i ricavi), il disavanzo da ripianare (da intendere come «disavanzo gestionale» e non civilistico) sarebbe pari a 15 milioni di euro all’anno.

2.1.3.– La difesa statale prosegue con alcuni rilievi circa lo schema di decreto ministeriale, attuativo del censurato art. 1, comma 526, della legge n. 208 del 2015, che riferisce essere in corso di esame.

Lo schema prevede la possibilità di piani di rientro con durata più che triennale (salva in tal caso l’evidenziazione dei finanziamenti regionali aggiuntivi per la copertura della perdita non ripianata), nonché obiettivi «consigliati» e articolati per scaglioni, in base all’incidenza percentuale dello scostamento dei costi rispetto ai ricavi. I conseguenti risparmi, a norma dell’art. 30 del d.lgs. n. 118 del 2011, resteranno nell’ambito del Servizio sanitario regionale. Ben lungi dall’essere arbitraria, la metodologia di valutazione dei costi e dei ricavi si basa su evidenze quantitative derivanti dai flussi nazionali di informazioni gestionali ed economico-finanziarie e provvede ad omogeneizzare i sistemi di remunerazione adottati, sterilizzando le differenze dipendenti dalle politiche regionali e prendendo a riferimento le tariffe nazionali (di cui al decreto ministeriale 18 ottobre 2012, «Remunerazione delle prestazioni di assistenza ospedaliera per acuti, assistenza ospedaliera di riabilitazione e di lungodegenza post acuzie e di assistenza specialistica ambulatoriale»), nonché la già citata percentuale massima di finanziamento a funzione.

Intanto, la «Commissione permanente tariffe» (costituita con decreto del Ministero della salute 18 gennaio 2016) prosegue, a norma dell’art. 9 del Patto per la salute 2014-2016, i propri lavori in merito ai criteri per l’individuazione della remunerazione delle funzioni assistenziali e delle classi tariffarie. Inoltre, attraverso la futura revisione dei modelli economici vigenti, si darà evidenza alle diversità delle forme di finanziamento (da produzione, da finanziamento a funzione, da entrate proprie, da finanziamento aggiuntivi regionali per la copertura programmata del disavanzo), aggiornando gli schemi di bilancio civilistico e i modelli di rilevazione dei costi.

L’emanando decreto prevede la possibilità per le Regioni di sottoporre al Ministero della salute documentazione, ed eventualmente provvedimenti, che consentano di tenere conto di specificità regionali nella remunerazione di alcune prestazioni, nonché delle eventuali modifiche ai sistemi di remunerazione avvenute nel 2015. Solo dopo la chiusura del confronto tecnico e dell’istruttoria, potranno considerarsi definiti i criteri per l’individuazione delle singole aziende da sottoporre a piani di rientro.

2.1.4.– Con riguardo alla doglianza (che la difesa statale ritiene riferita in particolare al comma 536) relativa alla previsione del solo parere da parte della Conferenza Stato-Regioni, in luogo dell’intesa, il Presidente del Consiglio dei ministri osserva che, benché sia quasi sistematica la previsione, nella legislazione statale, di «intese "deboli”», anche i riferimenti ai pareri sono numerosi, e ne fa alcuni esempi.

La giurisprudenza costituzionale, dal canto proprio, avrebbe affermato che l’esercizio dell’attività legislativa sfugge alle procedure di leale collaborazione, quando non è la stessa Costituzione a imporne, direttamente o indirettamente, l’osservanza; e, dunque, avrebbe ricollegato alla volontà della legge statale la previsione di eventuali forme di cooperazione, per l’approvazione di atti amministrativi. Il principio di leale collaborazione non richiederebbe specifici strumenti, costituzionalmente vincolati, di concretizzazione, per cui è rimessa alla discrezionalità del legislatore la scelta delle regole di coinvolgimento delle Regioni. Nella materia sanitaria, con precipuo riguardo alla remunerazione per l’erogazione di farmaci, rientrante nei livelli essenziali di assistenza, la Corte ha altresì rilevato intrecci con le materie dell’«ordinamento civile» (art. 117, secondo comma, lettera l, Cost.), della «tutela della salute» e del «coordinamento della finanza pubblica» (art. 117, terzo comma, Cost.) e, pertanto, ha ritenuto necessario il coinvolgimento delle Regioni.

A questi fini, prosegue il Presidente del Consiglio dei ministri, spesso sono state ritenute adeguate «forme "deboli” di negoziazione, in specie di pareri o intese da raggiungere in Conferenza Stato-regioni, ai sensi dell’art. 3 del d.lgs. n. 281 del 1997»: sono citate, al riguardo, la sentenza n. 31 del 2005, nonché la sentenza n. 278 del 2010, nella quale il parere è stato giudicato sufficiente per l’elevato coefficiente tecnico che caratterizzava la funzione amministrativa allora in questione.

Nel caso odierno, la metodologia di cui all’adottando decreto ministeriale si fonda sull’art. 8-sexies del d.lgs. n. 502 del 1992 e sul decreto ministeriale 2 aprile 2015, n. 70 (Regolamento recante definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera), concordato con le Regioni; mentre i parametri di riferimento per volumi, qualità ed esiti sono già indicati nell’ambito del «Programma Nazionale Esiti», elaborato dall’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (organo tecnico che opera sulla base degli indirizzi della Conferenza unificata, ai sensi dell’art. 9, comma 2, lettera g, del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, «Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali», e al quale sono stati conferiti compiti di supporto tecnico-operativo delle politiche sanitarie condivise tra Stato e Regioni).

Né sarebbe generico il concetto di «significativo scostamento tra costi e ricavi», enunciato nel censurato comma 535 con riguardo alle aziende sanitarie locali e ai presidi da esse direttamente gestiti: l’emanando decreto ministeriale avrà la funzione di rendere applicabili anche a questi enti le previsioni dei commi 524 e 525, sicché vi è un’evidente correlazione con i parametri previsti nelle disposizioni testé citate.

2.2.– In merito ai commi 553 e 555, la cifra di 800 milioni di euro, a valere sulla quota indistinta del fabbisogno sanitario, non sarebbe affatto arbitraria o frutto di un’istruttoria difettosa.

2.2.1.– Al contrario, con riguardo alle prestazioni specialistiche ambulatoriali, sarebbe stata compiuta una valutazione dell’impatto sulla base dei dati relativi alle prestazioni incluse nei nomenclatori regionali, «come risultano dal sistema Tessera Sanitaria anno 2014», previa richiesta alle Regioni per la «transcodifica» delle prestazioni stesse rispetto agli elenchi di cui al nomenclatore nazionale vigente e allo schema di quello nuovo (da allegare all’adottando decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza). Quasi tutte le Regioni hanno fornito i dati necessari. Per contro, dopo l’emanazione del decreto ministeriale 9 dicembre 2015 (Condizioni di erogabilità e indicazioni di appropriatezza prescrittiva delle prestazioni di assistenza ambulatoriale erogabili nell’ambito del Servizio sanitario nazionale) e il susseguente dibattito, non è stato quantificato il risparmio atteso dall’applicazione delle condizioni di erogabilità e delle prescrizioni di adeguatezza delle nuove prestazioni inserite nel nuovo nomenclatore. Questa attività istruttoria e decisoria ha avuto luogo dopo l’audizione parlamentare menzionata dalla Regione Veneto.

Pure con riguardo all’assistenza ospedaliera, la valutazione fatta nel febbraio 2015, sui dati del 2013, è stata in seguito rideterminata in base ai nuovi dati disponibili per il 2014, frattanto consolidati.

2.2.2.– In ogni caso, a norma dell’art. 1, comma 554, della legge n. 208 del 2015, lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza è adottato previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni, assicurando dunque il pieno coinvolgimento delle autonomie territoriali.

Inoltre, già il Patto per la salute 2014-2016 prevedeva che la revisione dei livelli essenziali avvenisse nell’ambito della cornice finanziaria programmata. L’importo di 800 milioni di euro è il limite massimo di spesa derivante dall’aggiornamento dei livelli essenziali. Il previsto decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dovrà essere adottato previa puntuale verifica dei costi, nonché degli ulteriori risparmi attesi da interventi di razionalizzazione.

2.3.– Infine, a proposito della quantificazione del finanziamento del servizio sanitario nazionale per l’anno 2016, fissato in 111.000 milioni di euro, tale valore rappresenterebbe un incremento di circa l’1,2 per cento rispetto a quello fissato per l’anno precedente e invertirebbe la tendenza alla riduzione operata nell’anno 2015 rispetto al 2014.

La rideterminazione per il 2016 è avvenuta in applicazione dell’art. 46, comma 6, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 (Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale), convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, e dell’art. 1, comma 398, della legge n. 190 del 2014, disposizioni a loro volta poste a fondamento del Patto per la salute 2014-2016 (artt. 1 e 30) e dell’intesa del 2 luglio 2015 (punto «G»).

Inoltre, soggiunge la difesa statale, sebbene per la prima volta la legge di stabilità 2016 non quantifichi gli effetti finanziari delle «misure di governance» introdotte, comunque queste misure concorrono a rendere sostenibile la rideterminazione del finanziamento (in riduzione rispetto al Patto per la salute ma in aumento rispetto all’anno precedente), con l’espressa indicazione che le Regioni possono sostituire le misure stesse con altre, di impatto finanziario equivalente.

3.– In data 31 maggio 2017, la Regione Veneto ha depositato una memoria, con allegati, con cui insiste nelle proprie conclusioni. Insieme alla memoria sono stati depositati, tra l’altro, i messaggi di posta elettronica con cui la ricorrente ha chiesto alla controparte l’assenso al deposito tardivo e la difesa statale ha comunicato il proprio assenso.

4.– Alla pubblica udienza del 20 giugno 2017, anche in risposta a domande del relatore, le parti hanno ribadito le proprie argomentazioni e fornito informazioni aggiuntive, in particolare in merito ai piani aziendali di rientro.

4.1.– Questi istituti, secondo la parte ricorrente, sarebbero frutto di scelte di revisione della spesa orientate principalmente a conseguire risultati in termini di performance delle singole aziende, ma insensibili alle particolari esigenze della politica sanitaria, che risponde anche ad ulteriori interessi pubblici.

Diversamente da quanto dedotto dalla difesa statale, gli istituti in esame non costituirebbero attuazione del punto «J», lettera a), dell’intesa del 2 luglio 2015, che si limita a riportare che Stato e Regioni condividono la necessità di introdurre misure per favorire l’«efficientamento del sistema», tra cui «riorganizzazione e ripensamento del sistema aziendale pubblico in una logica di valutazione e miglioramento della produttività, intesa quale rapporto tra il valore prodotto (in termini quantitativi e economici) ed i fattori produttivi utilizzati (in termini quantitativi e economici)». Nulla è previsto specificamente in merito a piani aziendali di rientro o all’estesa normativa poi approvata dallo Stato e oggetto di censura.

La ricorrente non contesta il principio (di cui all’art. 4, comma 8, del d.lgs. n. 502 del 1992) secondo cui le aziende ospedaliere devono evitare «ingiustificati disavanzi di gestione», né mette in dubbio la legittima applicabilità delle norme in questione alle Regioni sottoposte a piano di rientro; ma contesta le norme stesse in quanto pretendono di applicarsi anche a una Regione, come il Veneto, il cui sistema sanitario assicura sia il rispetto dei livelli essenziali di assistenza, sia il complessivo equilibrio economico e finanziario.

In merito all’Azienda ospedaliera di Padova, la Regione riferisce che, dopo l’emanazione del decreto ministeriale 21 giugno 2016, recante «Piani di cui all’articolo 1, comma 528, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, per le aziende ospedaliere (AO), le aziende ospedaliere universitarie (AOU), gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico pubblici (IRCCS) o gli altri enti pubblici», è stata avviata un’interlocuzione con il Ministero della salute, in esito alla quale si è acclarato che l’Azienda non è obbligata a presentare un piano di rientro per l’anno 2016. La verifica, tuttavia, dovrebbe essere rinnovata in futuro, con esiti incerti. Parimenti incerti sarebbero gli scenari che deriverebbero dall’applicazione delle norme in questione (segnatamente, dei censurati commi 535 e 536) alle aziende sanitarie locali e ai presidi da esse direttamente gestiti. La Regione Veneto teme di trovarsi costretta ad assoggettare a piano di rientro anche quei presidi che essendo ubicati in zone montuose, a bassa densità demografica o insulari, difficilmente rispondono a criteri di efficienza economica, ma sono necessari per assicurare un servizio capillare sul territorio e che, peraltro, sono già stati sottoposti a misure di riorganizzazione coerenti con il d.m. n. 70 del 2015. La Regione sottolinea inoltre che, come riconosciuto dalla stessa Avvocatura generale dello Stato, gli ipotetici risparmi conseguenti all’applicazione dei piani di rientro resterebbero nella disponibilità della Regione, ma quest’ultima si troverebbe nella condizione paradossale di liberare risorse dagli ambiti territoriali di cui si è detto, senza poterle reinvestire negli stessi presidi.

Da ultimo, la Regione osserva che l’applicazione delle norme sui piani aziendali di rientro comporta a sua volta dei costi per l’amministrazione sanitaria: essendo insufficiente la collaborazione dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (AGENAS), potrebbe infatti essere necessario rivolgersi a società di revisione private.

In merito all’aggiornamento dei livelli essenziali delle prestazioni, la Regione ribadisce che la dialettica tra Stato e Regioni non può derogare il censurato limite di 800 milioni di euro, di cui all’art. 1, comma 553, della legge n. 208 del 2015 e che, comunque, queste non sono risorse aggiuntive rispetto a quelle stanziate a titolo di concorso dello Stato al fabbisogno sanitario nazionale standard. A quest’ultimo proposito, la ricorrente ribadisce che il valore di tale concorso è stato ridotto unilateralmente dallo Stato, in violazione dell’art. 30 del Patto per la salute 2014-2016.

4.2.– La difesa statale, convenendo con la controparte sul fatto che la normativa sui piani aziendali di rientro ha origine negli sforzi di revisione della spesa, riferisce alcuni dati sulla sua attuazione.

Per quanto riguarda le fattispecie di cui all’art. 1, comma 524, della legge n. 208 del 2015, nove Regioni hanno individuato enti da assoggettare a piani di rientro, in un numero totale di 33. Tre piani aziendali sono stati effettivamente approvati dalle Regioni Emilia-Romagna, Basilicata e Sardegna, benché queste ultime non siano a propria volta soggette a piani di rientro o commissariamenti. Lo stesso Veneto ha provveduto a un’istruttoria, in esito alla quale ha escluso di dover sottoporre alcuna delle proprie aziende ospedaliere a piano di rientro.

Per quanto riguarda le fattispecie di cui all’art. 1, comma 535, della legge n. 208 del 2015, l’adozione dei decreti ministeriali di cui al comma 536 procede più a rilento del previsto: in particolare, è atteso l’assenso degli uffici del Ministero dell’economia e delle finanze sugli aggiornamenti ai modelli di rilevazione dei costi dei presidi ospedalieri a gestione diretta delle aziende sanitarie locali.

L’art. 1, comma 579, della legge n. 208 del 2015 prevede che «[i]l Ministero della salute, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, avvalendosi dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (AGENAS), assicura, su richiesta della regione interessata, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, il necessario supporto agli enti interessati dai piani di rientro di cui ai commi da 528 a 536 e mette a disposizione, ove necessario, strumenti operativi per la presentazione del piano ed il perseguimento dei suoi obiettivi, nonché per l’affiancamento, da parte dell’AGENAS con oneri a carico del bilancio della medesima Agenzia, degli enti del Servizio sanitario nazionale per tutta la durata dei piani di rientro […]». Per azioni finalizzate all’avvio delle attività di affiancamento, l’AGENAS avrebbe già sostenuto spese complessivamente superiori a 1 milione e 800 mila euro: ciò comprova quanto lo Stato, lungi dal limitarsi a imposizioni nei confronti delle Regioni, si impegni ad assisterle nei processi di riorganizzazione.

In merito ai censurati commi 553 e 555, la difesa statale si è riportata agli argomenti già svolti, mentre in merito al comma 568 ha rilevato, oltre all’infondatezza, l’inammissibilità dei motivi di parte ricorrente, per le modalità della loro formulazione.

Considerato in diritto

1. La Regione Veneto ha impugnato diverse parti dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», tra cui i commi da 524 a 529 e da 531 a 536, per violazione degli artt. 3, 32, 97, 117, terzo e quarto comma, 118, 119 e 123 della Costituzione, nonché del principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost.; i commi 553 e 555, per violazione degli artt. 3, 32, 97, 117, secondo, terzo e quarto comma, 118, 119 Cost., del principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost., nonché dell’art. 5, comma 1, lettera g), della legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 (Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale), e dell’art. 11 della legge 24 dicembre 2012, n. 243 (Disposizioni per l’attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell’articolo 81, sesto comma, della Costituzione); il comma 568, per violazione degli artt. 3, 32, 97, 117, terzo e quarto comma, 118, 119 Cost., del principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost., nonché dell’art. 5, comma 1, lettera g), della legge cost. n. 1 del 2012 e dell’art. 11 della legge n. 243 del 2012.

1.1. Preliminarmente, riservate a separate trattazioni le questioni promosse in riferimento ad altri commi della legge n. 208 del 2015, occorre rilevare la tardività della memoria depositata dalla ricorrente il 31 maggio 2017. Il termine previsto nell’art. 10 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale (sia nella versione originaria, sia in quella attualmente in vigore, approvata il 7 ottobre 2008) è posto a presidio non solo del contraddittorio, ma anche dell’ordinato lavoro della Corte. Pertanto, esso ha carattere perentorio e non è nella disponibilità delle parti, come è comprovato dal controllo che sul suo rispetto viene svolto, d’ufficio, dalla Cancelleria (art. 10, comma 2, delle norme integrative vigenti).

2. I commi da 524 a 529 e da 531 a 536 della legge n. 208 del 2015 introducono nell’ordinamento l’istituto dei piani di rientro per le singole aziende sanitarie che si trovino in determinate condizioni.

Nella versione originaria, vigente al momento del ricorso, le disposizioni in esame riguardano, in prima battuta, le aziende ospedaliere, le aziende ospedaliero-universitarie, gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico pubblici e tutti gli altri enti pubblici che eseguono prestazioni di ricovero e cura (tranne le aziende sanitarie locali e i presidi da esse gestiti): ogni anno le Regioni (attraverso le Giunte) individuano, tra questi enti, quelli per i quali ricorre uno scostamento tra costi e ricavi superiore al 10 per cento o a 10 milioni di euro, oppure il mancato rispetto dei parametri relativi a volumi, qualità ed esiti delle cure (comma 524). Un decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome (di seguito, Conferenza Stato-Regioni), definisce la metodologia per la determinazione dello scostamento tra costi e ricavi, i parametri relativi a volumi, qualità ed esiti delle cure, nonché le linee guida per la redazione dei piani di rientro (comma 526).

Gli enti sanitari così individuati propongono entro 90 giorni, e le Regioni approvano (con provvedimento della Giunta) entro 30 giorni, un piano di rientro di durata non superiore a tre anni, che definisca le misure per il raggiungimento dell’equilibrio, il miglioramento della qualità delle cure o l’adeguamento dell’offerta (commi 528 e 529). I piani sono vincolanti per gli enti interessati e possono comportare variazioni di atti già adottati dagli stessi enti, compresi gli atti di programmazione e pianificazione aziendale (comma 532).

Ai sensi del comma 533, la Regione verifica trimestralmente l’adozione e la realizzazione delle misure previste nel piano e, in caso di esito positivo, può anticipare all’ente una quota parte delle risorse appositamente iscritte nel bilancio della Gestione sanitaria accentrata (che la Regione, se non aveva già scelto di farlo, è obbligata a istituire, ai sensi del comma 531), mentre, in caso di esito negativo, deve adottare misure per la riconduzione in equilibrio della gestione. La Regione verifica altresì alla fine di ciascun esercizio, e rende pubblici, i risultati dei singoli enti raffrontati agli obiettivi del piano di rientro (ancora comma 533).

I contratti dei direttori generali, anche in essere, prevedono la decadenza automatica se i direttori generali non adempiono all’obbligo di presentare il piano di rientro, oppure se ha esito negativo la verifica annuale (comma 534).

Il comma 525 detta norme transitorie, in materia di termini e dati utilizzabili, volte a consentire l’applicazione di questa disciplina già nell’anno 2016.

Il comma 535 prevede che, dal 2017, la stessa disciplina si applichi alle aziende sanitarie locali e ai presidi da esse gestiti (nonché ad altri enti pubblici che eroghino prestazioni di ricovero e cura, individuati da leggi regionali) i quali presentino un significativo scostamento tra costi e ricoveri o il mancato rispetto dei parametri relativi a volumi, qualità ed esiti: criteri, dati rilevanti, modalità di calcolo e parametri di riferimento a tal fine sono definiti con un ulteriore decreto emanato dal Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-Regioni (comma 536, primo periodo).

È altresì previsto (comma 527) un aggiornamento degli schemi di bilancio (di cui all’art. 34 del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, recante «Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42») e dei modelli di rilevazione dei costi dei presidi gestiti direttamente dalle Aziende sanitarie locali (comma 536, secondo periodo) per dare evidenza ai risultati di gestione rilevanti ai fini della normativa in questione. A ciò si provvede con ulteriori decreti emanati dal Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni.

3. Avverso queste disposizioni, la Regione Veneto solleva tre ordini di questioni, differenti sia per l’oggetto, sia per i parametri evocati.

3.1. Prima di esaminare le singole questioni, tuttavia, occorre rilevare come, nel formularle, la ricorrente – terminata l’esposizione dei motivi di censura – evochi in modo cumulativo una pluralità di norme costituzionali, senza motivare esplicitamente le ragioni di asserito contrasto tra le disposizioni impugnate e ciascuno dei singoli parametri (sentenze n. 244 del 2016 e n. 251 del 2015), alcuni dei quali dotati di particolare ampiezza espressiva (sentenza n. 239 del 2016). Uno stile siffatto, al contempo pletorico e contratto nell’evocazione dei parametri, richiede a questa Corte di ricostruire analiticamente gli esatti lineamenti giuridici di ciascuna delle questioni promosse. Nondimeno, poiché in questo caso tali lineamenti sono comunque evincibili, nei termini esposti di seguito, questa modalità espositiva, seppure non del tutto perspicua, non causa di per sé l’inammissibilità delle questioni.

3.2. Venendo ora alle singole censure, i commi da 524 a 529 e da 531 a 536, nell’insieme, in quanto si applicano anche alle Regioni non soggette a piano di rientro, violerebbero gli artt. 3, 32 e 97 della Costituzione per difetto di proporzionalità – con ridondanza sulle attribuzioni regionali in materia sanitaria – e gli artt. 117, terzo e quarto comma, 118 e 119 Cost., in quanto non sarebbe legittimo lo scopo perseguito, per l’assenza dei presupposti che in passato hanno giustificato l’imposizione dei piani di rientro alle Regioni; non sussisterebbe alcuna connessione razionale, o necessità, rispetto a obiettivi di efficienza della spesa; difetterebbero i requisiti costituzionalmente necessari per le norme statali di coordinamento della finanza pubblica e, in particolare, l’attitudine di esse a porre un limite complessivo alla spesa delle Regioni, lasciando a queste ultime libertà di allocazione fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa.

3.3. I commi 526 e 536 violerebbero il principio di leale collaborazione, di cui agli artt. 5 e 120 Cost., nella parte in cui prevedono che i decreti ministeriali di attuazione sono adottati sentita la Conferenza Stato-Regioni, anziché previa intesa in seno alla stessa.

3.4. I commi 524, 525 e 529 violerebbero gli artt. 117, quarto comma, e 123 Cost., nella parte in cui prevedono che un provvedimento della Giunta regionale individui gli enti da sottoporre a piani di rientro e approvi i piani stessi, in quanto l’individuazione dell’organo titolare di una determinata funzione amministrativa rientrerebbe nella normativa di dettaglio attinente all’organizzazione interna della Regione.

4. Le questioni sollevate in relazione agli artt. 3, 32 e 97 Cost., sull’art. 1, commi da 524 a 529 e da 531 a 536, della legge n. 208 del 2015 sono inammissibili per insufficienza e genericità della motivazione.

La Regione non adduce argomenti sufficienti a illustrare perché gli eventuali processi di riorganizzazione (oltre che imposti alla Regione, e non da questa autonomamente determinati) sarebbero altresì irrazionali o tali da compromettere il buon andamento dei servizi sanitari e la loro capacità di tutelare la salute. Non bastano, allo scopo, né il riferimento ai risultati già raggiunti dal Servizio sanitario regionale nel complesso, che non escludono di per sé la persistenza di margini di ulteriore miglioramento dell’efficienza; né deduzioni del tutto aneddotiche ed esplorative su singole strutture, che la stessa ricorrente ignora se e come potrebbero essere interessate, in futuro, da riorganizzazioni. Sotto questo profilo, il ricorso si presenta lacunoso e generico: dunque, carente di quelle argomentazioni sul merito delle censure, le quali sono necessarie, nei giudizi di legittimità costituzionale in via principale, in termini ancora più stringenti che nei giudizi in via incidentale (fra le tante, vedi sentenze n. 273 del 2016, n. 233, n. 218, n. 153 e n. 142 del 2015), a maggior ragione quando si denunci la violazione di parametri costituzionali estranei al Titolo V della Parte seconda della Costituzione, della quale occorre che la parte ricorrente dimostri, e questa Corte verifichi, la ridondanza sulle attribuzioni regionali.

5. Prima di esaminare nel merito le altre censure, occorre illustrare alcune vicende normative, riguardanti le norme in questione, intervenute dopo il ricorso.

5.1. Le norme sono state modificate dall’art. 1, commi 390 e 391, della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019).

Il comma 390, «[a]l fine di migliorare le performance e di perseguire l’efficienza dei fattori produttivi e dell’allocazione delle risorse delle aziende ospedaliere, delle aziende ospedaliere universitarie, degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico pubblici o degli altri enti pubblici che erogano prestazioni di ricovero e cura», ha sostituito, nell’art. 1, comma 524, lettera a), della legge n. 208 del 2015, alle parole «pari o superiore al 10 per cento dei suddetti ricavi, o, in valore assoluto, pari ad almeno 10 milioni di euro», le parole «pari o superiore al 7 per cento dei suddetti ricavi, o, in valore assoluto, pari ad almeno 7 milioni di euro».

Il comma 391 ha previsto che «[l]e disposizioni di cui ai commi da 524 a 536 dell’articolo 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208, si applicano alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano, che provvedono al finanziamento del servizio sanitario esclusivamente con risorse dei propri bilanci, compatibilmente con le disposizioni dei rispettivi statuti e delle conseguenti norme di attuazione».

Nessuna di queste modifiche incide sull’oggetto del giudizio. In particolare, è da escludere, in conformità a principi pacifici (sentenze n. 141, n. 65 e n. 40 del 2016, nonché n. 239 del 2015), che l’esame di questa Corte possa essere esteso al comma 524, lettera a), della legge n. 208 del 2015 nel testo modificato dall’art. 1, comma 390, della legge n. 232 del 2006, in quanto il citato art. 1, comma 390, è stato oggetto di specifica impugnazione da parte della stessa Regione Veneto con distinto ricorso (r.r. n. 19 del 2017).

5.2. Inoltre, è stato emanato dal Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, il decreto in data 21 giugno 2016, recante «Piani di cui all’articolo 1, comma 528, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, per le aziende ospedaliere (AO), le aziende ospedaliere universitarie (AOU), gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico pubblici (IRCCS) o gli altri enti pubblici», previo parere favorevole della Conferenza Stato-Regioni in data 21 aprile 2016. Come risulta dalle premesse del parere, in precedenza erano state diramate altre versioni dello schema di decreto ministeriale, oggetto di richieste di modifica da parte delle Regioni.

Il decreto, articolato in tre parti, stabilisce le metodologie per individuare i costi e i ricavi di ciascuna azienda ospedaliera (anche universitaria) o IRCCS, al fine di verificare l’esistenza di uno scostamento rilevante, ai sensi dell’art. 1, comma 524, lettera a), della legge n. 208 del 2015; determina gli ambiti e i parametri per la valutazione di volumi, esiti e qualità delle cure, ai sensi della lettera b) dello stesso comma 524; definisce le linee guida per l’elaborazione dei piani di rientro per ciascuna delle due situazioni.

6. Nel merito, occorre considerare congiuntamente le censure aventi ad oggetto l’art. 1, commi da 524 a 529 e da 531 a 536.

Sono fondate le questioni aventi ad oggetto l’art. 1, commi 526 e 536, nella parte in cui prevedono che i decreti ministeriali ivi contemplati siano emanati «sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano», anziché d’intesa con la stessa Conferenza.

Viceversa, non sono fondate le questioni sollevate in relazione alle ulteriori parti dei commi da 524 a 529 e da 531 a 536.

La normativa in questione si pone al crocevia di una pluralità di competenze, ciascuna, a sua volta, connotata da autonomi profili di complessità.

6.1. Viene in rilievo, anzitutto, l’organizzazione sanitaria come componente fondamentale della «tutela della salute» (sentenza n. 54 del 2015), in quanto la relativa normativa traccia la cornice funzionale ed operativa che garantisce la qualità e l’adeguatezza delle prestazioni erogate (sentenza n. 207 del 2010). In particolare, questa Corte (sentenza n. 124 del 2015) ha già ricondotto ai principi fondamentali in materia di «tutela della salute», tra l’altro, l’art. 8-sexies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), il quale dispone in merito al finanziamento delle strutture che erogano assistenza ospedaliera e ambulatoriale a carico del Servizio sanitario nazionale, secondo un ammontare determinato in base alle funzioni assistenziali e alle attività svolte. Al citato art. 8-sexies la normativa in questione fa riferimento sia letteralmente, in più punti, sia teleologicamente, come è comprovato, del resto, dal d.m. 21 giugno 2016.

In questa materia, la legislazione dello Stato deve esprimersi attraverso norme di principio, sicché sono censurabili le norme statali che non lasciano «alcuno spazio di intervento alla Regione non solo per un’ipotetica legiferazione ulteriore, ma persino per una normazione secondaria di mera esecuzione» (sentenza n. 207 del 2010). Tuttavia, in questa stessa materia ha anche trovato applicazione il canone generale, secondo cui è vincolante per le Regioni ogni previsione che, sebbene a contenuto specifico e dettagliato, per la finalità perseguita si pone in rapporto di coessenzialità e necessaria integrazione con le norme-principio che connotano il settore (sentenze n. 301 del 2013, n. 79 del 2012 e n. 108 del 2010).

6.2. In secondo luogo, con precipuo riferimento all’equilibrio tra costi e ricavi dell’attività sanitaria, viene in rilievo la competenza legislativa dello Stato in materia di principi fondamentali per il «coordinamento della finanza pubblica». In più occasioni, misure riguardanti la spesa sanitaria e la sua razionalizzazione sono state ricondotte all’ambito del «coordinamento della finanza pubblica» (ad esempio, sentenza n. 183 del 2016), singolarmente individuata o unitamente alla materia della «tutela della salute» (ad esempio, sentenze n. 125 del 2015 e n. 289 del 2010). Ciò è stato riassuntivamente ricordato ancora di recente (nella sentenza n. 203 del 2016) ed è confermato dalla costante giurisprudenza in materia di piani di rientro per le Regioni in disavanzo (ad esempio, sentenze n. 266 del 2016 e n. 278 del 2014), benché, come correttamente rilevato dalla parte ricorrente, sussistano differenze significative tra quei piani di rientro e quelli oggi in esame.

La pertinenza del «coordinamento della finanza pubblica» non è esclusa dal rilievo che il meccanismo complessivamente delineato dalle norme in questione ha come obiettivo principale non tanto il contenimento della spesa di per sé, ma piuttosto l’incremento della sua efficienza, definita e valutata secondo parametri uniformi, con riguardo alle singole strutture. Infatti, la materia del «coordinamento della finanza pubblica» non è limitata alle norme aventi lo scopo di limitare la spesa pubblica, ma comprende anche quelle aventi la funzione di orientarla verso una complessiva maggiore efficienza (sentenza n. 272 del 2015): obiettivo che può legittimamente essere perseguito anche stabilendo indirizzi di razionalizzazione rivolti ai singoli enti sanitari, non soltanto ai sistemi regionali nel complesso.

I vincoli di coordinamento finanziario imposti dallo Stato possono considerarsi rispettosi dell’autonomia regionale quando stabiliscono un limite complessivo che lasci agli enti stessi una sufficiente libertà di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa, sempre purché conforme a canoni di ragionevolezza e proporzionalità (fra le molte, sentenze n. 64 del 2016, n. 250 del 2015, n. 22 del 2014). Nondimeno, la competenza statale può comprendere anche l’esercizio di poteri puntuali, necessari perché la finalità che essa persegue venga concretamente realizzata, anche con misure di ordine amministrativo, specie nell’ambito della regolazione tecnica (sentenze n. 229 e n. 112 del 2011, n. 57 del 2010, n. 190 e n. 159 del 2008, n. 376 del 2003).

Conviene aggiungere che proprio alle due competenze sin qui considerate («tutela della salute» e «coordinamento della finanza pubblica») sono state ricondotte norme dello Stato che prevedevano la decadenza degli organi amministrativi di vertice di aziende e amministrazioni sanitarie (sentenze n. 124 del 2015 e n. 219 del 2013), in particolare come conseguenza di gravi inadempienze regionali.

6.3. Inoltre, laddove considerano «volumi, qualità ed esiti delle cure», le norme in questione sono riconducibili ai livelli essenziali delle prestazioni, di competenza statale (art. 117, secondo comma, lettera m). Le norme impugnate, infatti, contengono un riferimento implicito, ma trasparente, a quanto previsto a tale riguardo dal decreto ministeriale 2 aprile 2015, n. 70 (Regolamento recante definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera), adottato a norma dell’art. 1, comma 169, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 2005), che questa Corte, con la sentenza n. 134 del 2006, ha già ricollegato alla competenza esclusiva statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. Il collegamento con gli standard dell’assistenza ospedaliera è ancor più evidente dalla lettura del d.m. 21 giugno 2016: in particolare dell’allegato tecnico b), che definisce la metodologia per l’individuazione degli ambiti assistenziali e la definizione dei parametri di riferimento relativi a volumi, qualità ed esiti delle cure.

Anche dopo la sentenza n. 134 del 2006, si è ribadito che questa competenza si riferisce alla determinazione degli standard strutturali e qualitativi di prestazioni che, concernendo il soddisfacimento di diritti civili e sociali, devono essere garantiti, con carattere di generalità, a tutti gli aventi diritto; e che essa, avendo carattere trasversale, è idonea ad investire tutte le materie, rispetto alle quali il legislatore statale deve poter porre le norme necessarie per assicurare a tutti, sull’intero territorio nazionale, il godimento di determinate prestazioni, senza che la legislazione regionale possa limitarle o condizionarle (sentenze n. 125 del 2015, n. 111 del 2014, n. 207, n. 203 e n. 164 del 2012).

La competenza statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., in linea di massima, concerne la fissazione del livello strutturale e qualitativo delle prestazioni; solo in circostanze eccezionali, segnatamente quando ricorrano imperiose necessità sociali, può spingersi oltre, ad esempio legittimando l’erogazione di provvidenze ai cittadini o la gestione di sovvenzioni direttamente da parte dello Stato (sentenze n. 273 e n. 62 del 2013, n. 203 del 2012, n. 121 e n. 10 del 2010). Dunque, la deroga alla competenza legislativa delle Regioni, in favore di quella dello Stato, è ammessa nei limiti necessari ad evitare che, in parti del territorio nazionale, gli utenti debbano assoggettarsi ad un regime di assistenza sanitaria inferiore, per quantità e qualità, a quello ritenuto intangibile dallo Stato (sentenza n. 125 del 2015). In questa prospettiva, le norme oggi in esame prevedono la fissazione di parametri relativi a volumi, esiti e qualità delle cure e ne prescrivono il monitoraggio, intervenendo poi a imporre e disciplinare gli interventi necessari qualora, in determinate strutture, si registrassero scostamenti significativi.

6.4. Infine, le censure investono anche i commi 527 e 536 dell’art. 1 della legge n. 208 del 2015, i quali (il comma 536, in particolare, al secondo periodo), saldandosi al resto della normativa qui in esame, prevedono che siano apportati i «necessari aggiornamenti» ai modelli per la contabilità delle strutture sanitarie, al fine di dare evidenza a determinati dati, in coerenza con quanto previsto dall’art. 4, commi 8 e 9, e dall’art. 8-sexies del d.lgs. n. 502 del 1992. Viene dunque in rilievo la competenza esclusiva statale in materia di «armonizzazione contabile» (art. 117, secondo comma, lettera e, Cost.): essa è connotata da un peculiare carattere polifunzionale, che risulta del tutto coerente con la rilevata pluralità degli interessi e delle competenze coinvolte, ed esprime particolari esigenze di omogeneità nei confronti di tutte le Regioni (sentenze n. 80 e n. 6 del 2017, n. 184 del 2016).

6.5. In conclusione, la normativa in questione tesse in una trama unitaria competenze statali e regionali eterogenee; norme di principio, da un lato, e, dall’altro, previsioni e poteri strumentali; la determinazione di standard di assistenza e la disciplina degli interventi per i casi in cui gli standard siano sensibilmente disattesi; valutazioni politiche e profili tecnici.

In presenza di un intreccio così fitto e complesso, devono ritenersi fondate le sole censure rivolte specificamente nei confronti dei commi 526 e 536, nella parte in cui stabiliscono che i decreti ministeriali ivi previsti siano adottati «sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano», anziché previa intesa con la stessa Conferenza.

Infatti, in questi casi, il legislatore statale deve predisporre adeguati strumenti di coinvolgimento e garanzia delle Regioni, tra i quali – tenuto conto anche della tipologia delle funzioni in esame – può ritenersi sicuramente congruo quello dell’intesa in seno alla Conferenza Stato-Regioni (da ultimo, sentenze n. 251, n. 21, n. 7 e n. 1 del 2016).

7. Sono altresì fondate le censure, per violazione degli artt. 117, quarto comma (in relazione alla materia dell’organizzazione amministrativa regionale) e 123 Cost., rivolte nei confronti dei commi 524, 525 e 529, in quanto fanno riferimento alla Giunta regionale come organo competente a individuare gli enti da sottoporre a piani di rientro e ad approvare i piani stessi.

Questa Corte ha ripetutamente affermato che sono costituzionalmente illegittime le norme statali che indichino specificamente l’organo regionale titolare di una funzione amministrativa, trattandosi di normativa attinente all’organizzazione interna della Regione (sentenze n. 293 e n. 22 del 2012, n. 95 del 2008 e n. 387 del 2007). Né si ravvisano (per la verità, nemmeno sono allegate dall’Avvocatura generale dello Stato) ragioni specifiche che giustifichino la decisione del legislatore statale di selezionare l’organo regionale deputato a provvedere all’adempimento degli obblighi che lo Stato pone a carico della Regione.

I censurati commi devono pertanto dichiararsi costituzionalmente illegittimi, nella parte in cui stabiliscono che i provvedimenti ivi previsti siano adottati dalla Giunta regionale; troverà applicazione, di conseguenza, la ripartizione di competenze stabilita autonomamente da ciascuna Regione tra i propri organi, in base alle proprie norme statutarie e legislative.

8. Non sono fondate le questioni aventi ad oggetto l’art. 1, commi 553 e 555, della legge n. 208 del 2015.

8.1. Le disposizioni censurate rientrano nelle previsioni che l’art. 1 della legge n. 208 del 2015 dedica all’aggiornamento del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 novembre 2001 (Definizione dei livelli essenziali di assistenza).

8.2. In attuazione dell’art. 1, comma 3, del Patto per la salute 2010-2014 («Intesa, ai sensi dell’articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano concernente il nuovo Patto per la salute per gli anni 2014-2016», sancita dalla Conferenza Stato-Regioni nella seduta del 10 luglio 2014) e nel rispetto dei vincoli finanziari posti nella precedente manovra finanziaria e nelle relative intese attuative, il censurato comma 553 prevede l’aggiornamento dei livelli essenziali dell’assistenza sanitaria «in misura non superiore a 800 milioni di euro annui». Ai sensi del comma 555, pure censurato, per l’anno 2016 un importo di 800 milioni di euro è «finalizzato» all’attuazione del comma 553, «a valere sulla quota indistinta del fabbisogno sanitario standard nazionale, di cui all’articolo 26 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68»; l’erogazione di questa quota è condizionata all’adozione del provvedimento di aggiornamento dei livelli essenziali. La relazione tecnica all’originario disegno di legge (XVII Legislatura, A.S. n. 2111) esplicita (pag. 161) che la funzione di questo meccanismo è di «rendere stringente» l’esigenza di aggiornamento.

Nello stesso art. 1 della legge n. 208 del 2015, il comma 554 disciplina la procedura per l’aggiornamento dei livelli essenziali dell’assistenza sanitaria, richiedendo, tra l’altro, una previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni; mentre i commi 556 e seguenti dettano norme ulteriori sui futuri aggiornamenti.

In applicazione dei predetti commi 553 e 554, è stato, in effetti, adottato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 gennaio 2017 (Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, di cui all’articolo 1, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502), previa intesa «sancita dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano nella seduta del 7 settembre 2016».

8.3. Avverso i censurati commi 553 e 555, la ricorrente deduce due ordini di censure.

8.3.1. In primo luogo, sarebbero violati gli artt. 3, 32 e 97 Cost. per irragionevolezza e difetto di istruttoria e proporzionalità – con ridondanza sulle competenze legislative, amministrative e finanziaria regionali – nonché gli artt. 117, secondo, terzo e quarto comma, 118 e 119 Cost., e il principio di leale collaborazione, di cui agli artt. 5 e 120 Cost.

Tali violazioni sono denunciate sotto i seguenti profili: innanzitutto, sarebbe mancata una preventiva intesa, in contrasto con quanto previsto all’art. 10, comma 7, dell’intesa sul richiamato Patto per la salute 2014-2016; in secondo luogo, il valore di 800 milioni di euro sarebbe inferiore a quello, pari a 900 milioni di euro, dichiarato congruo dal Ministro della salute in un’audizione parlamentare in data 2 ottobre 2015; infine, l’importo sarebbe sottostimato, dovendo valere sulla quota indistinta del finanziamento sanitario statale, anch’essa contestualmente ridotta senza seguire le procedure di concertazione previste nel Patto per la salute 2014-2016 in caso di variazione degli importi finanziari programmati.

In estrema sintesi, si contesta la mancanza di una previa intesa tra Stato e Regioni sul predetto limite di 800 milioni di euro, nonché la congruità di esso: l’imposizione di un limite finanziario al confronto sull’aggiornamento dei livelli essenziali, e alle determinazioni conseguenti, influirebbe non solo sulle attribuzioni regionali, ma anche sulla sostenibilità dei servizi sanitari.

8.3.1.1. In merito alla denunciata violazione del principio di leale collaborazione, occorre anzitutto osservare che tale principio non si impone nel procedimento mediante il quale il Parlamento, attraverso le due Camere, approva le leggi (fra le molte, sentenze n. 280, n. 251 e n. 65 del 2016, n. 63 del 2013, n. 79 del 2011).

Inoltre, la fissazione, da parte del censurato art. 1, comma 553, della legge n. 208 del 2015, del detto limite, nel momento in cui si dà impulso con apposite previsioni all’aggiornamento dei livelli essenziali, non è incompatibile con la logica di leale collaborazione tra Stato e Regioni, che, a norma della stessa legge n. 208 del 2015, presiede alla procedura di aggiornamento, conformemente a un indirizzo già presente nella legislazione e più volte riscontrato dalla giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 98 del 2007 e n. 134 del 2006, nonché, mutatis mutandis, sentenza n. 297 del 2012). Infatti, il principio di leale collaborazione, per la sua elasticità, consente di aver riguardo alle peculiarità delle singole situazioni, sicché il confronto tra Stato e Regioni è suscettibile di essere organizzato in modi diversi, per forme e intensità (sentenze n. 83 del 2016, n. 50 del 2005, n. 308 del 2003). Il limite finanziario massimo globale all’aggiornamento dei livelli essenziali pone senz’altro un parametro di riferimento per le scelte entro cui può svilupparsi la dialettica tra Stato e Regioni; ma è ben lungi dall’esaurire tale dialettica, per la quale restano spazi estremamente ampi, pure sui profili economici e finanziari.

Per quanto riguarda specificamente gli obblighi di cooperazione che si assumono derivare dal Patto per la salute 2014-2016, è inconferente il riferimento all’art. 10, comma 7, del Patto, riguardante l’aggiornamento del monitoraggio sull’assistenza sanitaria, non dei livelli essenziali. Qualora poi il riferimento fosse da intendere al più pertinente art. 1, comma 3 (anch’esso menzionato nelle argomentazioni di parte ricorrente), si dovrebbe rilevare che il requisito dell’intesa ai fini dell’aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, ivi previsto, ha riscontro nell’art. 1, comma 554, della legge n. 208 del 2015, come già rilevato; per di più, anche il citato art. 1, comma 3, fa salvo il «rispetto degli equilibri programmati della finanza pubblica».

8.3.1.2. Destituite di fondamento sono altresì le ulteriori questioni, con le quali la parte ricorrente afferma l’incongruità del valore di 800 milioni di euro, anche in collegamento con il complessivo concorso dello Stato al fabbisogno sanitario nazionale standard.

La ricorrente ritiene che sarebbe stato adeguato il diverso valore di 900 milioni di euro, cui aveva fatto riferimento il Ministro della salute in un’audizione parlamentare, non molti giorni prima della presentazione del disegno di legge poi promulgato come legge n. 208 del 2015. Tuttavia questo riferimento non è sufficiente ad attestare la fondatezza della doglianza: mettere in luce la richiamata contraddizione tra le dichiarazioni del Ministro e le successive determinazioni del Governo non equivale affatto, di per sé, a provare l’incongruità del minore dei due importi. Del tutto frammentario e inconcludente, invece, è il riferimento alle stime che la sola Regione autonoma siciliana ha effettuato in merito al costo di una delle prestazioni incluse nell’aggiornamento. Dunque, la ricorrente non ha assolto all’onere di provare l’oggettiva impossibilità di esercitare le proprie funzioni in materia, segnatamente attraverso dati quantitativi concreti, riguardanti, tra l’altro, i diversi importi in ipotesi necessari (da ultimo, tra le molte, sentenze n. 205, n. 151, n. 127, n. 65, n. 29 del 2016).

La conclusione di infondatezza si impone a maggior ragione in quanto la stessa legge n. 208 del 2015 ha predisposto un articolato meccanismo (art. 1, commi 556 e seguenti) per la valutazione sistematica e continuativa degli stessi livelli essenziali, che dovrebbe altresì facilitarne, qualora occorresse, l’aggiornamento, finalizzato anche alla corretta determinazione dei fabbisogni regionali.

8.3.2. In secondo luogo, i medesimi commi 553 e 555 violerebbero altresì l’art. 5, comma 1, lettera g), della legge cost. n. 1 del 2012 e l’art. 11 della legge n. 243 del 2012, in quanto non sono stati attivati i meccanismi, ivi previsti, che rafforzano il concorso finanziario dello Stato per la garanzia dei livelli essenziali, con riguardo alle fasi avverse del ciclo economico.

8.3.2.1. La questione è inammissibile.

Anche dopo le modifiche apportate al citato art. 11 dall’art. 3 della legge 12 agosto 2016, n. 164 (Modifiche alla legge 24 dicembre 2012, n. 243, in materia di equilibrio dei bilanci delle regioni e degli enti locali), peraltro anch’esse già contestate dinanzi a questa Corte, incombe sullo Stato, ai sensi dell’art. 5, comma 1, lettera g), della legge cost. n. 1 del 2012, il dovere di stabilire le modalità del proprio concorso, nelle fasi avverse del ciclo economico o al verificarsi di eventi eccezionali, al finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni inerenti ai diritti civili e sociali, anche con modalità diverse e aggiuntive rispetto a quelle di cui all’art. 119, quinto comma, Cost.

Tuttavia, la ricorrente non spiega né per quale motivo, e in base a quali presupposti fattuali, lo Stato avrebbe dovuto attivare, in suo favore, il meccanismo descritto (sentenza n. 154 del 2017); né perché, in attesa dell’attuazione di tale meccanismo, dovrebbe rimanere addirittura paralizzato l’aggiornamento dei livelli essenziali dell’assistenza sanitaria (più volte tentato dopo il 2001, senza successo), il quale oltretutto serve anche per orientare le scelte di bilancio delle stesse Regioni, in presenza di interventi statali di coordinamento della finanza pubblica (sentenza n. 141 del 2016).

9. Anche l’art. 1, comma 568, della legge n. 208 del 2015, il quale fissa in 111 miliardi di euro per l’anno 2016 il concorso dello Stato al fabbisogno sanitario nazionale standard, è oggetto di due ordini di censure.

9.1. Secondo la ricorrente, pure il comma 568 violerebbe l’art. 5, comma 1, lettera g), della legge cost. n. 1 del 2012 e l’art. 11 della legge n. 243 del 2012, in quanto, come già dedotto a proposito dei commi 553 e 555, non sono stati ancora attivati i meccanismi, previsti nei parametri evocati, che rafforzano il concorso finanziario dello Stato alla garanzia dei livelli essenziali durante le fasi avverse del ciclo economico.

9.1.1. La questione è inammissibile per ragioni analoghe a quelle esposte, appena sopra, a proposito delle censure similari rivolte ai commi 553 e 555. Infatti, la ricorrente non spiega perché lo Stato avrebbe dovuto attivare in suo favore il meccanismo previsto nelle disposizioni evocate come parametro; né perché la determinazione periodica del concorso dello Stato al fabbisogno sanitario nazionale standard dovrebbe risultare interdetta, in attesa della realizzazione di alcuni elementi dell’architettura dei rapporti finanziari con le Regioni, anch’essi orientati a garantire l’effettività dei livelli essenziali delle prestazioni stabiliti a norma dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost.

9.2. Sarebbero violati anche gli artt. 3, 32 e 97 Cost., per difetto di ragionevolezza e proporzionalità, con ridondanza sulle competenze regionali di cui agli artt. 117, terzo e quarto comma, 118 e 119 Cost., nonché direttamente i citati parametri relativi al riparto delle competenze fra Stato e Regioni, e altresì il principio di leale collaborazione, di cui agli artt. 5 e 120 Cost., sotto più profili: l’anzidetta riduzione sarebbe permanente e lineare; essa sarebbe avvenuta in assenza di una previa intesa, in contrasto con quanto previsto all’art. 30, comma 2, dell’intesa sul Patto per la salute 2014-2016, e senza il coinvolgimento della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, di cui all’art. 5 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione); sarebbe, infine, sganciata da qualsiasi considerazione dei costi standard o dei livelli di efficienza delle singole Regioni, carente di adeguata istruttoria e, contraddittoriamente, contemporanea a un incremento delle esigenze di servizio, causato dell’aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza.

9.2.1. Nemmeno tali questioni sono fondate.

9.2.2. La determinazione del concorso dello Stato al fabbisogno sanitario nazionale standard deve necessariamente avere carattere globale e, dato il dinamico evolversi delle molteplici esigenze da contemperare, non può fare a meno di collegarsi a un determinato orizzonte temporale di programmazione finanziaria: a ciò fa riferimento lo stesso art. 26, comma 1, del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 (Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario), quando stabilisce che il fabbisogno sanitario nazionale standard è determinato «in coerenza con il quadro macroeconomico complessivo e nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica e degli obblighi assunti dall’Italia in sede comunitaria».

9.2.3. Per quanto riguarda l’anno 2016, correttamente la Regione Veneto deduce che la misura del concorso era stata fissata dall’art. 1, comma 1, del Patto per la salute 2014-2016 in 115.444 milioni di euro, «salvo eventuali modifiche che si rendessero necessarie in relazione al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica e a variazioni del quadro macroeconomico, nel qual caso si rimanda a quanto previsto nell’articolo 30 comma 2».

Quest’ultima disposizione, a propria volta, prevedeva: «[i]n caso di modifiche normative sostanziali e/o degli importi di cui all’articolo 1, ove necessarie in relazione al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica e a variazioni del quadro macroeconomico, la presente Intesa dovrà essere altresì oggetto di revisione». In effetti, all’importo di 115.444 milioni di euro fa riferimento anche l’art. 1, comma 556, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)», il quale però fa salve eventuali rideterminazioni in conseguenza di quanto previsto al precedente comma 398, in virtù del quale il contributo delle Regioni agli obiettivi di finanza pubblica è stato incrementato di 3.452 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2015 al 2018, con rinvio a decisioni in sede di auto-coordinamento da recepire con intesa. L’intesa richiesta da questa disposizione è stata sancita il 26 febbraio 2015 e, tra l’altro, ha previsto che le risorse destinate al finanziamento del fabbisogno sanitario fossero ridotte di 2.000 milioni di euro, con riferimento alla quota di pertinenza delle Regioni ordinarie, e di 2.352 milioni di euro, includendo anche le autonomie speciali. Con successiva intesa del 2 luglio 2015 sono state individuate le specifiche misure di razionalizzazione necessarie allo scopo. Tenuto conto altresì che l’art. 1, comma 167, della legge n. 190 del 2014 aveva incrementato il finanziamento statale del fabbisogno sanitario di 5 milioni annui (per lo screening neonatale di patologie ereditarie), l’intesa del 2 luglio 2015, al punto «G», numero 1), prefigurava i seguenti livelli di finanziamento statale: 109.715 milioni di euro per il 2015; 113.097 milioni di euro per il 2016. Alle misure previste nelle due intese del 2015 hanno dato attuazione gli articoli da 9-bis a 9-octies, introdotti nel decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78 (Disposizioni urgenti in materia di enti territoriali. Disposizioni per garantire la continuità dei dispositivi di sicurezza e di controllo del territorio. Razionalizzazione delle spese del Servizio sanitario nazionale nonché norme in materia di rifiuti e di emissioni industriali) dalla legge di conversione 6 agosto 2015, n. 125. In particolare, l’art. 9-septies riduceva «il livello del finanziamento del Servizio sanitario nazionale a cui concorre lo Stato, come stabilito dall’articolo 1, comma 556, della legge 23 dicembre 2014, n. 190», dell’importo di 2.352 milioni di euro, con disposizione destinata a valere (anche) per il 2016 (si veda, al riguardo, la sentenza n. 169 del 2017).

Riassumendo, in punto di fatto è vero che la misura del concorso statale autorizzato dalla norma censurata, per l’anno 2016, è inferiore a quella prevista in precedenza, in una sequenza di atti normativi e convenzionali tra loro concatenati, gli ultimi dei quali non sono di molto anteriori alla presentazione del disegno di legge poi approvato come legge n. 208 del 2015.

In punto di diritto, tuttavia, ciò non comporta di per sé un vizio di legittimità costituzionale. Nessun accordo può condizionare l’esercizio della funzione legislativa (fra le molte, sentenze n. 205 del 2016, n. 79 del 2011 e n. 437 del 2001), né, come già osservato, il principio di leale collaborazione si impone nel procedimento legislativo parlamentare. È ben vero che, in base al già citato art. 26, comma 1, del d.lgs. n. 68 del 2011, il fabbisogno sanitario nazionale standard è determinato «tramite intesa», ma questo principio legislativo non vincola in modo assoluto e inderogabile le leggi successivamente approvate dalle due Camere.

D’altra parte, la determinazione del concorso statale al fabbisogno sanitario nazionale standard lascia ampio spazio, a valle, alle singole Regioni per disciplinare, programmare e organizzare i servizi sanitari. Perciò, non ha rilievo il mancato coinvolgimento della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica (sentenza n. 141 del 2016): a fronte di misure statali di coordinamento finanziario che incidono sull’autonomia delle Regioni, è necessario, ma anche sufficiente, contemperare le ragioni dell’esercizio unitario delle competenze statali e la garanzia delle funzioni costituzionalmente attribuite alle autonomie, assicurando il pieno coinvolgimento di queste ultime (vedi anche sentenza n. 65 del 2016); e ciò può avvenire anche riconoscendo loro poteri di determinazione in ordine alla modulazione delle necessarie riduzioni nei diversi ambiti di spesa.

9.2.4. Pure le censure regionali che riguardano l’asserita inadeguatezza del concorso statale alla spesa sanitaria non sono fondate: anche a questo proposito, la ricorrente non ha provato adeguatamente l’oggettiva impossibilità di esercitare le proprie funzioni in materia, né ha argomentato quale sarebbe stato il diverso importo allo scopo necessario, limitandosi a rinviare ai precedenti atti normativi e convenzionali, dei quali si è già detto.

Nondimeno, occorre confermare che la garanzia di servizi effettivi, che corrispondono a diritti costituzionali, richiede certezza delle disponibilità finanziarie, nel quadro dei compositi rapporti tra gli enti coinvolti (sentenza n. 275 del 2016). Anche la tutela del diritto alla salute non può non subire i condizionamenti che lo stesso legislatore incontra nel distribuire le risorse finanziarie disponibili (da ultimo, sentenza n. 203 del 2016), senza però che possa essere compromessa la garanzia del suo nucleo essenziale. A maggior ragione, tuttavia, la quantificazione delle risorse in modo funzionale alla realizzazione degli obiettivi previsti dalla legislazione vigente si impone, anche in questo ambito, come canone fondamentale e presupposto del buon andamento dell’amministrazione, che deve sempre essere rispettato da parte del legislatore (sentenza n. 10 del 2016).

Pertanto, le determinazioni sul fabbisogno sanitario complessivo non dovrebbero discostarsi in modo rilevante e repentino dai punti di equilibrio trovati in esito al ponderato confronto tra Stato e Regioni in ordine ai rispettivi rapporti finanziari, senza che tale scostamento appaia giustificabile alla luce di condizioni e ragioni sopraggiunte.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riservata a separate pronunce la decisione delle altre questioni di legittimità costituzionale promosse con il ricorso in epigrafe;

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, commi 526 e 536, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», nella parte in cui prevedono che i decreti ministeriali ivi contemplati siano emanati «sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano», anziché d’intesa con la stessa Conferenza;

2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, commi 524, 525 e 529, della legge n. 208 del 2015, nella parte in cui prevedono che i provvedimenti ivi contemplati siano adottati dalla Giunta regionale;

3) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi da 524 a 529 e da 531 a 536, della legge n. 208 del 2015, promosse, in riferimento agli artt. 3, 32 e 97 della Costituzione, dalla Regione Veneto, con il ricorso in epigrafe;

4) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi da 524 a 529 e da 531 a 536, della legge n. 208 del 2015, promosse, in riferimento agli artt. 117, terzo e quarto comma, 118 e 119 Cost., dalla Regione Veneto, con il ricorso in epigrafe;

5) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 553 e 555, della legge n. 208 del 2015, promosse, in riferimento agli artt. 3, 32, 97, 117, secondo, terzo e quarto comma, 118 e 119 Cost., nonché al principio di leale collaborazione, di cui agli artt. 5 e 120 Cost., dalla Regione Veneto, con il ricorso in epigrafe;

6) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 553 e 555, della legge n. 208 del 2015, promossa, in riferimento all’art. 5, comma 1, lettera g), della legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 (Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale), e all’art. 11 della legge 24 dicembre 2012, n. 243 (Disposizioni per l’attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell’articolo 81, sesto comma, della Costituzione), dalla Regione Veneto, con il ricorso in epigrafe;

7) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 568, della legge n. 208 del 2015, promossa, in riferimento all’art. 5, comma 1, lettera g), della legge cost. n. 1 del 2012 e all’art. 11 della legge n. 243 del 2012, dalla Regione Veneto, con il ricorso in epigrafe;

8) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 568, della legge n. 208 del 2015, promosse, in riferimento agli artt. 3, 32, 97, 117, secondo, terzo e quarto comma, 118 e 119 Cost., nonché al principio di leale collaborazione, di cui agli artt. 5 e 120 Cost., dalla Regione Veneto, con il ricorso in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 giugno 2017.

F.to:

Paolo GROSSI, Presidente

Marta CARTABIA, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 14 luglio 2017.