Sentenza n. 267 del 2016

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SENTENZA N. 267

ANNO 2016

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Paolo                       GROSSI                                                         Presidente

- Alessandro              CRISCUOLO                                                  Giudice

- Giorgio                    LATTANZI                                                           ”

- Aldo                        CAROSI                                                                ”

-Marta                       CARTABIA                                                          ”

- Mario Rosario         MORELLI                                                             ”

- Giancarlo                CORAGGIO                                                         ”

- Giuliano                  AMATO                                                                ”

- Silvana                    SCIARRA                                                             ”

- Daria                       de PRETIS                                                            ”

- Nicolò                     ZANON                                                                ”

- Augusto Antonio    BARBERA                                                           ”

- Giulio                      PROSPERETTI                                                     ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 10 della legge della Regione Puglia 14 giugno 2007, n. 17 (Disposizioni in campo ambientale, anche in relazione al decentramento delle funzioni amministrative in materia ambientale), promosso dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione di Lecce, nel procedimento vertente tra Energia Rinnovabile Italia Surl, la Regione Puglia e altri, con ordinanza del 20 novembre 2014, iscritta al n. 41 del registro ordinanze 2015 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell’anno 2015.

Visto l’atto di costituzione della Regione Puglia;

udito nell’udienza pubblica del 18 ottobre 2016 il Giudice relatore Aldo Carosi;

udito l’avvocato Tiziana Teresa Colelli per la Regione Puglia.

Ritenuto in fatto

1.– Il Tribunale amministrativo regionale (TAR) per la Puglia, sezione di Lecce – dopo aver accolto le impugnazioni proposte avverso i provvedimenti (ed i relativi atti istruttori) con cui l’amministrazione regionale aveva dapprima comunicato i motivi ostativi alla conclusione favorevole del procedimento e successivamente negato l’autorizzazione unica per la costruzione e l’esercizio di un impianto di produzione di energia elettrica da fonte eolica – ha sollevato questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2 (recte: art. 2, comma 1, lettera h, numero 3) e 10 della legge della Regione Puglia 14 giugno 2007, n. 17 (Disposizioni in campo ambientale, anche in relazione al decentramento delle funzioni amministrative in materia ambientale), in riferimento agli artt. 41, 97 e 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.

Il giudice a quo riferisce di dover decidere sui motivi aggiunti con cui parte attrice ha censurato il diniego della proroga del provvedimento di esclusione dalla procedura di valutazione di impatto ambientale (VIA), originariamente disposta per cinque aerogeneratori del campo eolico.

Secondo il rimettente, il censurato art. 2 della legge reg. Puglia n. 17 del 2007, disponendo che «La pronuncia di esclusione dalla procedura di VIA ha efficacia per il periodo massimo di tre anni; trascorso detto periodo senza che sia stato dato inizio ai lavori, le procedure di cui al presente articolo devono essere rinnovate», violerebbe innanzitutto l’art. 41 Cost. In particolare, la previsione del ristretto termine di efficacia contenuto nella disposizione non troverebbe ragionevole giustificazione nell’utilità sociale e neppure nella tutela della libertà, della sicurezza e della dignità umana, unici limiti opponibili alla libertà di iniziativa economica in tutti i settori interferenti con l’ambiente, ivi compreso quello in considerazione della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. In definitiva la disposizione avrebbe un mero effetto pregiudizievole sull’investimento economico richiesto da tali interventi.

Ad avviso del giudice a quo la medesima norma violerebbe anche l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in quanto, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la procedura di VIA rientrerebbe nella competenza esclusiva del legislatore statale in materia di «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali».

Venendo in rilievo tale ambito materiale, le Regioni, nell’esercizio delle competenze di loro spettanza, non potrebbero in alcun modo derogare o ridurre il livello di tutela previsto dallo Stato. Al contrario, la norma censurata, prevedendo un termine triennale di efficacia del provvedimento di esclusione dalla procedura di VIA, si discosterebbe dalla disciplina statale e, segnatamente, dall’art. 20, comma 5, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale) – secondo cui «Se il progetto non ha impatti negativi e significativi sull’ambiente, l’autorità competente dispone l’esclusione dalla procedura di valutazione ambientale e, se del caso, impartisce le necessarie prescrizioni» – e dal successivo art. 26, comma 6, secondo cui «I progetti sottoposti alla fase di valutazione devono essere realizzati entro cinque anni dalla pubblicazione del provvedimento di valutazione dell’impatto ambientale. Tenuto conto delle caratteristiche del progetto il provvedimento può stabilire un periodo più lungo. Trascorso detto periodo, salvo proroga concessa, su istanza del proponente, dall’autorità che ha emanato il provvedimento, la procedura di valutazione dell’impatto ambientale deve essere reiterata. I termini di cui al presente comma si applicano ai procedimenti avviati successivamente alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 16 gennaio 2008, n. 4».

Secondo il giudice a quo – sebbene l’originaria formulazione dell’art. 10, comma 5, della legge reg. Puglia n. 17 del 2007 escludesse l’applicabilità del termine di cui all’art. 2 alle istanze presentate prima dell’entrata in vigore della legge – la sostituzione della norma ad opera dell’art. 3, comma 12, primo periodo, della legge della Regione Puglia 31 dicembre 2007, n. 40 (Disposizioni per la formazione del bilancio previsione 2008 e bilancio pluriennale 2008-2010 della Regione Puglia), comportando l’eliminazione della precedente previsione di applicazione della normativa previgente alle istanze anteriori, evidenzierebbe l’operatività del termine triennale nella fattispecie concreta, in cui il provvedimento di esclusione è intervenuto il 14 maggio 2009 ed è stato pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione Puglia del 24 luglio 2009, n. 114.

Dalle considerazioni che precedono emergerebbe la rilevanza delle questioni, posto che alla stregua della disciplina statale il provvedimento di esclusione dalla procedura di VIA sarebbe ancora efficace, in quanto adottato all’esito di procedimento iniziato con istanza del 30 novembre 2006, protocollata l’11 dicembre 2006.

2.– Si è costituita in giudizio la Regione Puglia, parte costituita in quello principale, deducendo l’inammissibilità o, comunque, la non fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal rimettente.

La Regione premette che già prima delle norme censurate l’art. 15, commi 3 e 4, della legge della Regione Puglia 12 aprile 2001, n. 11 (Norme sulla valutazione dell’impatto ambientale) – nella versione antecedente alla sostituzione operata dall’art. 7, comma 1, della legge della Regione Puglia 12 febbraio 2014, n. 4, recante «Semplificazioni del procedimento amministrativo. Modifiche e integrazioni alla legge regionale 12 aprile 2001, n. 11 (Norme sulla valutazione dell’impatto ambientale), alla legge regionale 14 dicembre 2012, n. 44 (Disciplina regionale in materia di valutazione ambientale strategica) e alla legge regionale 19 luglio 2013, n. 19 (Norme in materia di riordino degli organismi collegiali operanti a livello tecnico-amministrativo e consultivo e di semplificazione dei procedimenti amministrativi)» – prevedeva un termine massimo di efficacia pari a tre anni, prorogabile per una volta, per i provvedimenti di VIA e che, sebbene quello in esame di esclusione dalla procedura di VIA nulla disponesse al riguardo, doveva ritenervisi assoggettato, sia in ragione della prassi amministrativa di richiamare nel contesto dell’atto la citata normativa, sia in relazione all’insopprimibile esigenza di verificare la persistenza nel tempo dei presupposti dell’esclusione.

L’art. 16, comma 7, della legge reg. Puglia n. 11 del 2001 – come dapprima modificato dal censurato art. 2, comma 1, lettera h), numero 3), della legge reg. Puglia n. 17 del 2007 e successivamente sostituito dall’art. 26, comma 1, lettera b), della legge della Regione Puglia 19 febbraio 2008, n. 1, recante «Disposizioni integrative e modifiche della legge regionale 31 dicembre 2007, n. 40 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione 2008 e bilancio pluriennale 2008-2010 della Regione Puglia) e prima variazione al bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2008» – avrebbe inteso semplicemente esplicitare l’operatività del termine massimo triennale per l’efficacia dell’esclusione dalla procedura di VIA.

La Regione, ricostruita l’evoluzione della normativa statale in materia di VIA dettata dal d.lgs. n. 152 del 2006 come successivamente modificato nel corso del tempo, ritiene che nel territorio pugliese essa trovi applicazione solo per le istanze proposte a decorrere dal 13 febbraio 2009, nel cui novero sarebbe da ricomprendere anche quella di proroga dei termini, mentre fino a detta data opererebbe la disciplina regionale, applicabile, dunque, alla fattispecie oggetto del giudizio a quo ratione temporis.

Da tanto conseguirebbe l’inammissibilità delle questioni sollevate o, comunque, l’infondatezza delle stesse.

Sotto quest’ultimo profilo, in particolare, la Regione esclude la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in quanto sarebbe la medesima normativa statale ed, in particolare, l’art. 35, comma 2-ter, del d.lgs. n. 152 del 2006, come sostituito dall’art. 1, comma 3, del decreto legislativo 16 gennaio 2008, n. 4 (Ulteriori disposizioni correttive ed integrative del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale), a richiamare la normativa regionale. Inoltre, il termine quinquennale previsto dall’art. 26, comma 6, del d.lgs. n. 152 del 2006 e quello triennale previsto dalla norma censurata non sarebbero in contrasto tra loro, attesa la diversità del dies ad quem: nell’un caso l’ultimazione dei lavori; nell’altro l’inizio degli stessi.

In riferimento all’asserita violazione dell’art. 41 Cost., la Regione deduce l’inammissibilità della questione o, in ogni caso, l’infondatezza della stessa per erroneità del presupposto interpretativo. A suo avviso, infatti, il rimettente avrebbe omesso di motivare in ordine al fatto che il termine triennale sarebbe comunque prorogabile – così come concretamente richiesto dal ricorrente nel giudizio principale – circostanza idonea a smentire l’assunto secondo cui l’iniziativa economica privata dovrebbe svolgersi nel ristretto termine previsto dalla disposizione regionale a dispetto del cospicuo investimento che comporta l’intervento da realizzare. Inoltre, i termini previsti dalla normativa regionale e da quella statale non sarebbero incompatibili, l’uno riferendosi all’inizio dei lavori e l’altro alla conclusione degli stessi, onde la mera esigenza di coordinamento normativo attraverso la loro integrazione, possibilità non considerata dal giudice a quo.

Considerato in diritto

1.– Con il provvedimento indicato in epigrafe il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione di Lecce, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2 (recte: art. 2, comma 1, lettera h, numero 3) e 10 della legge della Regione Puglia 14 giugno 2007, n. 17 (Disposizioni in campo ambientale, anche in relazione al decentramento delle funzioni amministrative in materia ambientale), in riferimento agli artt. 41, 97 e 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.

L’art. 2, comma 1, lettera h), numero 3), della legge reg. Puglia n. 17 del 2007 dispone, nel periodo finale, che la pronuncia di esclusione dalla procedura di valutazione di impatto ambientale (VIA) ha efficacia per il periodo massimo di tre anni, trascorso il quale senza che sia stato dato inizio ai lavori le procedure di cui al citato articolo devono essere rinnovate.

Il successivo art. 10 della medesima legge regionale dispone, al comma 5, che le istanze di verifica di assoggettabilità a procedura di VIA presentate alla Regione alla data di entrata in vigore della legge, nonché le relative istanze di integrazione e variazione progettuale, anche se successive a tale data, siano esaminate e definite dalla Regione.

Ad avviso del rimettente, le norme impugnate contrasterebbero con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. in quanto questa Corte, nel delineare i confini della materia «tutela dell’ambiente», avrebbe ribadito che la competenza legislativa in detto ambito, pur presentandosi sovente connessa ed intrecciata inestricabilmente con altri interessi e competenze regionali concorrenti, spetta esclusivamente dello Stato. Un «bene della vita» materiale e complesso quale l’ambiente sarebbe così sottoposto ad una disciplina organica ed uniforme su tutto il territorio nazionale in quanto riservata al legislatore statale, che ne garantirebbe un elevato livello di tutela, come tale inderogabile da altre discipline di settore.

A parere del TAR rimettente, l’art. 2, comma 1, lettera h), numero 3), della legge reg. Puglia n. 17 del 2007, oltre ad invadere indebitamente la competenza esclusiva statale in materia di ambiente, nella parte in cui stabilisce che «La pronuncia di esclusione dalla procedura di VIA ha efficacia per il periodo massimo di tre anni, trascorso il quale senza che sia stato dato inizio ai lavori le procedure di cui al presente articolo devono essere rinnovate», sarebbe in diretto contrasto con l’art. 20, comma 5, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale) – secondo cui «Se il progetto non ha impatti negativi e significativi sull’ambiente, l’autorità competente dispone l’esclusione dalla procedura di valutazione ambientale e, se del caso, impartisce le necessarie prescrizioni» – e con l’art. 26, comma 6, del medesimo decreto, secondo cui «I progetti sottoposti alla fase di valutazione devono essere realizzati entro cinque anni dalla pubblicazione del provvedimento di valutazione dell’impatto ambientale. Tenuto conto delle caratteristiche del progetto il provvedimento può stabilire un periodo più lungo. Trascorso detto periodo, salvo proroga concessa, su istanza del proponente, dall’autorità che ha emanato il provvedimento, la procedura di valutazione dell’impatto ambientale deve essere reiterata. I termini di cui al presente comma si applicano ai procedimenti avviati successivamente alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 16 gennaio 2008, n. 4».

Anche quest’ultima disposizione subirebbe, infatti, un’interferenza irragionevole dall’introduzione di un termine non coordinato e di difficile compatibilità con ulteriore profilo di violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. Ciò senza considerare che la limitazione introdotta dalla norma impugnata andrebbe ad incidere su una procedura di valutazione di impatto ambientale avviata prima dell’entrata in vigore del decreto legislativo 16 gennaio 2008, n. 4 (Ulteriori disposizioni correttive ed integrative del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale).

Secondo il giudice a quo le norme impugnate sarebbero altresì in contrasto con l’art. 41 Cost., in quanto limiterebbero in maniera del tutto irragionevole la libertà di iniziativa economica degli imprenditori interessati ad ottenere i permessi per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. Il privato si troverebbe a dover rispettare il ristretto termine temporale posto dalla disposizione regionale citata per la messa in opera di un intervento che richiede un cospicuo investimento economico, in ordine alla cui realizzazione la normativa statale gli attribuirebbe un termine più appropriato e ragionevole in quanto parametrato alla conclusione dell’iniziativa. La norma regionale risulterebbe un mero appesantimento nell’ambito di una procedura autorizzatoria notevolmente complessa.

In un sistema informato al principio della libertà dell’iniziativa economica, i limiti consentiti dovrebbero essere funzionali alla tutela dell’utilità sociale e della libertà, sicurezza e dignità umana; in altri termini, i condizionamenti all’iniziativa economica dovrebbero essere articolati in modo da permettere il raggiungimento di finalità sociali e di benessere collettivo. Nel caso specifico, invece, la citata limitazione temporale non troverebbe ragionevole fondamento sotto il profilo della tutela di altri valori o diritti costituzionalmente protetti.

2.– Ai fini dell’ammissibilità delle questioni sollevate non è rilevante che il termine triennale fissato per l’efficacia dei provvedimenti di esclusione dalla procedura di VIA non fosse previsto all’epoca in cui era in vigore l’art. 10, comma 5, della legge reg. Puglia n. 17 del 2007 nel testo originario, secondo cui «Le istanze di verifica di assoggettabilità a procedura di VIA presentate alla Regione alla data di entrata in vigore della presente legge sono esaminate e definite dalla Regione in applicazione della disciplina in vigore al momento della presentazione». Detto termine, introdotto nella legislazione regionale dall’art. 2, comma 1, lettera h), numero 3), della legge reg. Puglia n. 17 del 2007 era comunque in vigore al momento della presentazione della istanza di proroga del provvedimento di esclusione. In quanto vigente, avrebbe dovuto essere applicato dal giudice a quo, il quale tuttavia – dubitando della sua legittimità – ha rimesso la relativa questione a questa Corte.

3.– La questione sollevata in riferimento all’art. 97 Cost. è inammissibile, atteso che il rimettente si è limitato ad indicare il parametro costituzionale senza minimamente enunciare le ragioni del preteso contrasto tra la normativa censurata ed il parametro invocato.

Deve essere altresì ritenuta inammissibile la censura rivolta all’art. 10 della legge regionale in esame, in quanto la disposizione viene menzionata nel dispositivo dell’ordinanza senza che nel corpo motivazionale della stessa sia articolata alcuna argomentazione in ordine alla sua rilevanza ai fini della decisione che il giudice rimettente è chiamato ad assumere.

4.– Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, lettera h), numero 3), della legge reg. Puglia n. 17 del 2007, in riferimento agli artt. 41 e 117, secondo comma, lettera s), Cost., sono fondate.

Esse possono essere scrutinate contestualmente, dal momento che si pongono tra loro in un rapporto di vera e propria compenetrazione. Detta compenetrazione discende da un preciso nesso funzionale tra le esigenze di tutela ambientale che riguardano il reperimento di fonti energetiche alternative ed il coinvolgimento dell’iniziativa privata per la realizzazione di tale interesse di natura strategica (emblematica in tal senso è la previsione normativa contenuta nell’art. 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, recante «Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità», secondo cui la conformità delle istanze private ai presupposti di legge ed il corredo delle autorizzazioni necessarie implicano – ai fini della realizzazione del sistema alternativo di approvvigionamento energetico – la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza per i progetti attuativi degli interventi). La disposizione legislativa che determina tale coinvolgimento è, infatti, il risultato di una scelta di politica programmatoria nella quale l’obiettivo di interesse generale, la realizzazione di impianti energetici alternativi, anziché essere affidato esclusivamente alla mano pubblica, viene ritenuto perseguibile attraverso l’iniziativa economica privata, quando non ostino altri interessi di carattere generale.

È utile ricordare come, nel caso di specie, l’attività di sfruttamento dell’energia eolica costituisce iniziativa economica comportante la destinazione di capitali privati ad un processo produttivo, il quale implica la creazione di risorse materiali di interesse pubblico strategico. Il fatto che lo scopo del privato sia diretto a fini lucrativi è aspetto che non può inficiare la rilevanza del citato profilo strategico. Pertanto, deve essere considerata costituzionalmente illegittima l’imposizione di condizionamenti e vincoli, anche di carattere temporale, non collegati funzionalmente alla cura di interessi ambientali. Infatti, l’assenza di un nesso teleologico con la salvaguardia di detti interessi finisce per costituire una grave interferenza con l’iniziativa dell’imprenditore (in tal senso sentenze n. 20 del 1980 e n. 78 del 1958).

4.1.– Peraltro, la disciplina dello sfruttamento dell’energia eolica è caratterizzata da una valutazione frammentata e parcellizzata dei vari interessi pubblici, la quale si manifesta nell’espletamento di procedimenti minori, la cui definizione è tuttavia necessaria per ottenere l’autorizzazione unica finale. Questa soluzione adottata dal legislatore statale, se da un lato è giustificata dalla complessità e dalla dialettica degli interessi in gioco nel pur unitario scenario della tutela ambientale, dall’altro determina obiettivamente effetti dilatori sull’iniziativa di sfruttamento dell’energia eolica, favorendo indirettamente tipologie di impianti connotati da minori barriere amministrative. Tutto ciò pesa inevitabilmente sugli indirizzi imprenditoriali in ordine alla scelta delle singole fonti di energia rinnovabile, determinando una tendenziale preferenza per iniziative alla cui realizzazione si frappongono in misura minore ostacoli burocratici.

Tale fenomeno di obiettiva penalizzazione normativa (sotto il profilo dei maggiori ma doverosi adempimenti istruttori) di questa fonte energetica, connotata da criticità soprattutto estetiche ma anche da aspetti evolutivi in termini di efficienza produttiva e di vantaggi per l’ambiente, non può essere accentuato da ulteriori incombenze amministrative che non siano giustificate dall’esigenza di coordinare e rendere compatibili e congruenti i subprocedimenti propedeutici al provvedimento finale di autorizzazione unica.

Sotto tale profilo, dunque, la norma regionale impugnata risulta in contrasto sia con l’art. 41 Cost. – in quanto, con l’apposizione di termini e decadenze, frappone un ostacolo alla libera iniziativa privata come “funzionalizzata” alla cura di interessi ambientali dalla specifica normativa statale – sia con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in quanto invasiva della competenza statale in materia ambientale.

4.2.– Non può essere richiamata nella fattispecie in esame la giurisprudenza di questa Corte secondo cui le Regioni hanno facoltà di adottare livelli di tutela ambientale più elevati rispetto a quelli previsti dalla legislazione statale (ex plurimis, sentenza n. 67 del 2010).

Fermo restando che la disciplina statale relativa alla tutela dell’ambiente «viene a funzionare come un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza» (sentenza n. 67 del 2010) e che «le Regioni stesse, purché restino nell’ambito dell’esercizio delle loro competenze, possono pervenire a livelli di tutela più elevati (sentenze n. 104 del 2008, n. 12, n. 30 e n. 61 del 2009), così incidendo, in modo indiretto sulla tutela dell’ambiente» (sentenza n. 225 del 2009), nel caso in esame risulta impossibile ipotizzare un miglioramento della tutela statale ad opera della norma regionale impugnata per l’obiettiva assenza di una scala di valori idonea a consentire una comparazione, in termini qualitativi e quantitativi, tra la protezione ambientale assicurata dallo Stato e quella aggiunta dalla Regione.

È utile osservare come per lo sfruttamento dell’energia eolica la legge statale disciplini una sorta di “procedimento dei procedimenti”, determinando la forma, il tipo degli atti e la tempistica amministrativa che regolano l’autorizzazione e lo svolgimento dell’attività imprenditoriale coinvolta nella realizzazione delle finalità ambientali di settore.

Quest’ultima rimane pur sempre attività economica, la cui rilevanza sociale ed ambientale non è compatibile con ulteriori vincoli imposti dal legislatore regionale al di fuori della competenza legislativa costituzionalmente assegnata. In tale prospettiva la norma regionale impugnata non costituisce livello di tutela ambientale superiore a quello fissato dallo Stato, bensì addizione normativa priva di coordinamento con le finalità in concreto perseguite dal legislatore statale.

La dimensione dei valori e degli interessi che lo Stato ha assunto come primari nel disciplinare lo sfruttamento dell’energia eolica (tra i quali spiccano appunto la tutela dell’ambiente, del paesaggio e della salute ed il coinvolgimento dell’iniziativa economica privata) comporta infatti un elevato grado di complessità nella regolazione dei rapporti giuridici chiamati in causa dai procedimenti a carattere autorizzatorio. Tale complessità della scala di interessi impedisce di verificare i pretesi miglioramenti apportati dalla norma impugnata. Ciò anche in considerazione del fatto che, nel caso dell’energia eolica, la tutela degli interessi ambientali non è una tutela meramente statica, ma si concreta in una serie di attività che devono essere compatibili con gli altri profili di garanzia interni alla stessa materia ambientale (tra cui, appunto, la tutela del paesaggio).

In altre parole, nella tutela ambientale sono oggetto di dialettica e di bilanciamento legislativo vari interessi, per lo più interni alla materia. Detto carattere si riflette specularmente sulla forma di tutela parcellizzata introdotta dal legislatore statale per consentire in sede amministrativa un bilanciamento dei vari interessi coinvolti nello sfruttamento dell’energia eolica: ciò avviene attraverso l’incrocio di diverse tipologie di verifica, il cui coordinamento e la cui acquisizione sincronica, essendo necessari per l’autorizzazione unica finale, non tollerano ulteriori differenziazioni su base regionale.

Non è indifferente, nella scelta legislativa dello Stato di concentrare l’autorizzazione in un’unica disciplina procedimentale, il fatto che la dialettica degli interessi concretamente in gioco deve essere oggetto di bilanciamento, non solo in sede normativa, ma anche in quella amministrativa. È, infatti, necessario che i valori costituzionali in tensione siano ponderati nella misura strettamente necessaria ad evitare il completo sacrificio di uno di essi nell’ottica di un tendenziale principio di integrazione. Operazione quest’ultima che è stata realizzata dal legislatore statale attraverso una rete di subprocedimenti, dal cui esito positivo dipende appunto l’autorizzazione unica.

Ulteriormente esemplificando, emerge come – a livello di legislazione statale – il bilanciamento sia intervenuto, attraverso distinti subprocedimenti, tra l’intrinseca utilità degli impianti eolici, che producono energia senza inquinare l’ambiente, ed il principio di precauzione attuato mediante la separata verifica che detti impianti non danneggino il paesaggio, in particolare sotto il profilo dell’impatto visivo.

In definitiva – in un sistema articolato su una ponderazione tra una tutela tendenzialmente statica come quella del paesaggio ed una dinamica consistente nella produzione energetica da parte di impianti eolici (i quali devono inserirsi nel modo meno invasivo in ambito paesaggistico) – il legislatore regionale ha inserito una norma non coordinata, sotto il profilo logico e temporale, con l’esigenza di concentrare tempi e definitività degli accertamenti confluenti nell’autorizzazione finale. Il risultato di tale operazione non conforme al dettato costituzionale è quello di penalizzare, attraverso non ordinati “schermi burocratici”, quali il termine di efficacia dell’esclusione dalla procedura di VIA, le strategie industriali di settore, che non possono prescindere dal fattore tempo e dal grado di certezza degli esiti delle procedure amministrative.

5.– In conclusione, mentre la scelta legislativa dello Stato (di concentrare in una autorizzazione finale la tempistica e gli esiti delle procedure autorizzatorie in un settore di particolare complessità) supera il test di ragionevolezza in ordine alla congruità tra mezzi e fini – poiché risulta contemporaneamente idonea a sorreggere scelte strategiche in campo economico-ambientale ed a garantire le situazioni soggettive degli imprenditori di settore, sottraendole alla mutevole facoltà dell’amministrazione di parcellizzare e rendere incostanti le proprie determinazioni – la norma regionale impugnata – prevedendo che «La pronuncia di esclusione dalla procedura di VIA ha efficacia per il periodo massimo di tre anni, trascorso il quale senza che sia stato dato inizio ai lavori le procedure di cui al presente articolo devono essere rinnovate» ed istituendo così nuovi e non coordinati vincoli alla disciplina dello sfruttamento, nella fattispecie, dell’energia eolica – deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima per violazione sia della competenza legislativa esclusiva statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., sia dell’art. 41 Cost.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, lettera h), numero 3), della legge della Regione Puglia 14 giugno 2007, n. 17 (Disposizioni in campo ambientale, anche in relazione al decentramento delle funzioni amministrative in materia ambientale), nella parte in cui prevede che «La pronuncia di esclusione dalla procedura di VIA ha efficacia per il periodo massimo di tre anni, trascorso il quale senza che sia stato dato inizio ai lavori le procedure di cui al presente articolo devono essere rinnovate»;

2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 10 della legge reg. Puglia n. 17 del 2007, sollevata, in riferimento agli artt. 41, 97 e 117, secondo comma, lettera s), Cost., dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione di Lecce, con il provvedimento indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 ottobre 2016.

F.to:

Paolo GROSSI, Presidente

Aldo CAROSI, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 15 dicembre 2016.