Sentenza n. 273 del 2015

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SENTENZA N. 273

ANNO 2015

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Alessandro                 CRISCUOLO                                   Presidente

-           Giuseppe                    FRIGO                                     Giudice

-           Paolo                          GROSSI                                        ”

-           Giorgio                       LATTANZI                                   ”

-           Aldo                           CAROSI                                        ”

-           Marta                          CARTABIA                                  ”

-           Mario Rosario             MORELLI                                     ”

-           Giancarlo                    CORAGGIO                                 ”

-           Giuliano                      AMATO                                        ”

-           Silvana                        SCIARRA                                     ”

-           Daria                           de PRETIS                                     ”

-           Nicolò                         ZANON                                         ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 11, della legge 23 giugno 2014, n. 89 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, recante misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale. Deleghe al Governo per il completamento della revisione della struttura del bilancio dello Stato, per il riordino della disciplina per la gestione del bilancio e il potenziamento della funzione del bilancio di cassa, nonché per l’adozione di un testo unico in materia di contabilità di Stato e di tesoreria), e dell’art. 50, comma 10, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 (Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 23 giugno 2014, n. 89, promosso dalla Regione siciliana con ricorso notificato il 22 agosto 2014, depositato in cancelleria il 28 agosto 2014 ed iscritto al n. 66 del registro ricorsi 2014.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 1° dicembre 2015 il Giudice relatore Marta Cartabia;

uditi l’avvocato Paolo Chiapparrone per la Regione siciliana e l’avvocato dello Stato Maria Gabriella Mangia per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato il 22 agosto 2014, depositato il successivo 28 agosto e iscritto al n. 66 del registro ricorsi 2014, la Regione siciliana ha promosso, ai sensi dell’art. 127 della Costituzione, tra le altre, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 11, della legge 23 giugno 2014, n. 89 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, recante misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale. Deleghe al Governo per il completamento della revisione della struttura del bilancio dello Stato, per il riordino della disciplina per la gestione del bilancio e il potenziamento della funzione del bilancio di cassa, nonché per l’adozione di un testo unico in materia di contabilità di Stato e di tesoreria), e dell’art. 50, comma 10, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 (Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 23 giugno 2014, n. 89, per violazione degli artt. 14, 17, 36, 37, 38 e 43 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito dalla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, e dell’art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia finanziaria), nonché del principio di leale collaborazione.

La prima disposizione censurata, modificatrice dell’art. 16 della legge 11 marzo 2014, n. 23 (Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita), stabilisce che qualora uno o più decreti legislativi attuativi della delega determinino nuovi o maggiori oneri, che non trovino compensazione nel proprio ambito, si provvede mediante compensazione con le risorse finanziarie recate da decreti legislativi presentati prima o contestualmente a quelli che comportano i nuovi o maggiori oneri. Al fine di garantire la compensazione, le maggiori entrate confluiscono in un apposito fondo istituito nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze. La ricorrente lamenta la violazione dell’art. 36 dello statuto speciale e dell’art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965, di attuazione dell’autonomia finanziaria, in quanto è previsto che «le iniziative legislative dirette ad alleggerire la pressione tributaria, che si traducono in minori entrate tributarie spettanti alla Regione ricorrente, trovino compensazione in risorse riservate al Ministero».

La seconda disposizione, modificata in sede di conversione, stabilisce che agli oneri derivanti dai commi precedenti «ai fini della compensazione degli effetti in termini di fabbisogno ed indebitamento netto, si provvede mediante utilizzo delle maggiori entrate e dalle minori spese derivanti dal presente provvedimento».

Secondo la Regione ricorrente, tali previsioni lederebbero l’autonomia finanziaria regionale, in quanto mirano a un assestamento della finanza statale «mediante contributi derivanti dal taglio di risorse regionali o attribuzione allo Stato di aliquote di tassazione aggiuntiva di imposte di spettanza regionale». Osserva a tal proposito la Regione siciliana che la previsione di una riserva statale sulle maggiori entrate attese (quali sono ad esempio quelle derivanti dall’imposta sul valore aggiunto in conseguenza di misure adottate ai sensi dello stesso provvedimento – art. 50, comma 11, del d.l. n. 66 del 2014, come convertito – e dall’innalzamento al 26 per cento dell’imposta sui redditi di natura finanziaria – art. 3, comma 1, dello stesso decreto-legge, come modificato in sede di conversione) contrasta con la previsione statutaria secondo la quale «spettano alla Regione siciliana, oltre le entrate tributarie da essa direttamente deliberate, tutte le entrate tributarie erariali riscosse nell’ambito del suo territorio, dirette o indirette, comunque denominate, ad eccezione delle nuove entrate tributarie il cui gettito sia destinato con apposite leggi alla copertura di oneri diretti a soddisfare particolari finalità contingenti o continuative dello Stato specificate nelle leggi medesime» (art. 36 dello statuto siciliano, come integrato dall’art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965). Ciò perché, anche a voler qualificare gli interventi previsti dalle disposizioni censurate entrate tributarie nuove, mancherebbe l’indicazione della loro specifica destinazione, non potendosi ritenere il riferimento a una generica esigenza di copertura finanziaria degli oneri derivanti da determinate disposizioni del provvedimento impugnato sufficiente a soddisfare il requisito della specificità. Ritiene, inoltre, la ricorrente che sussista violazione del principio costituzionale di leale collaborazione, non potendo lo Stato raggiungere l’equilibrio di bilancio «mediante l’imposizione alla Regione di oneri di importo determinato d’imperio e senza preventiva consultazione o con la sottrazione di maggiori entrate di imposte alla stessa spettanti».

2.– Con atto depositato il 30 settembre 2014, si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o infondato.

2.1.– Preliminarmente, l’Avvocatura generale dello Stato eccepisce tre profili di inammissibilità del ricorso.

2.1.1.– In primo luogo, viene richiamato l’art. 50-bis del d.l. n. 66 del 2014, introdotto in sede di conversione, ai sensi del quale «Le disposizioni del presente decreto si applicano alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano secondo le procedure previste dai rispettivi statuti e dalle relative norme di attuazione». Tale disposizione conterrebbe una clausola di salvaguardia, nel cui ambito rientrano le disposizioni censurate, che assicura, secondo il resistente, «il pieno rispetto delle norme statutarie».

2.1.2.– In via subordinata, l’inammissibilità del ricorso deriverebbe dal fatto che «tutte le disposizioni censurate, in ragione del loro contenuto, costituiscono principi fondamentali della finanza pubblica che, come tali, non possono non imporsi a tutti i livelli di governo».

2.1.3.– Infine, il ricorso sarebbe inammissibile per la genericità delle censure.

2.2.– Secondo la difesa statale, inoltre, sarebbe cessata la materia del contendere alla luce dell’accordo in materia di finanza pubblica, sottoscritto tra il Ministero dell’economia e delle finanze e il Presidente della Regione siciliana in data 9 giugno 2014, con il quale sono stati definiti gli impegni per il periodo 2014-2017.

2.3.– Nel merito, il Presidente del Consiglio dei ministri deduce l’infondatezza delle censure.

2.3.1.– La doglianza nei confronti dell’art. 1, comma 11, della legge n. 89 del 2014 sarebbe infondata in quanto, per come formulata, fa riferimento «ad una presunta lesione dell’autonomia finanziaria regionale che non deriva, in via diretta ed immediata, dalla disposizione censurata ma potrà eventualmente originare da futuri decreti legislativi». Inoltre, secondo il resistente, la norma non determina una riduzione delle entrate regionali nel loro complesso, ma introduce un meccanismo di compensazione, volto a «garantire, da un lato, la copertura integrale delle esigenze della spesa regionale e, per altro verso, evitare aumenti della pressione fiscale complessiva a carico dei contribuenti».

2.3.2.– Sarebbe altresì infondata la censura nei confronti dell’art. 50, comma 10, del d.l. n. 66 del 2014, nella versione modificata in sede di conversione, per tre ordini di motivi: sussiste in capo allo Stato la possibilità di disporre dei tributi da esso istituiti, anche se il correlativo gettito sia di spettanza regionale, «purché non sia alterato il rapporto tra complessivi bisogni regionali e mezzi finanziari per farvi fronte»; le disposizioni censurate specificano la finalità erariale delle maggiori entrate, «essendo destinate alla copertura dei nuovi e maggiori oneri per il finanziamento di interventi, volti a soddisfare le particolari finalità contingenti o continuative dello Stato»; il principio di leale collaborazione di cui all’art. 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione) non può reputarsi violato, trattandosi di norma ordinaria soggetta alle regole della successione delle leggi nel tempo.

Considerato in diritto

1.– Con il ricorso iscritto al n. 66 del registro ricorsi del 2014, la Regione siciliana ha promosso, tra le altre, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 11, della legge 23 giugno 2014, n. 89 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, recante misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale. Deleghe al Governo per il completamento della revisione della struttura del bilancio dello Stato, per il riordino della disciplina per la gestione del bilancio e il potenziamento della funzione del bilancio di cassa, nonché per l’adozione di un testo unico in materia di contabilità di Stato e di tesoreria), e dell’art. 50, comma 10, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 (Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 23 giugno 2014, n. 89, per violazione degli artt. 14, 17, 36, 37, 38 e 43 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito dalla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, e dell’art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia finanziaria), nonché del principio di leale collaborazione.

La Regione siciliana lamenta la previsione di una illegittima riserva all’erario di maggiori entrate. Più precisamente, la prima disposizione, nella parte in cui prevede la compensazione degli oneri derivanti dall’entrata in vigore dei decreti legislativi di attuazione della delega di cui all’art. 1 della legge 11 marzo 2014 n. 23 (Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita), realizzerebbe una diminuzione delle entrate spettanti alla regione in violazione delle norme statutarie. La seconda disposizione, laddove dispone che le maggiori entrate derivanti dall’entrata in vigore del d.l. n. 66 del 2014, come convertito, possono essere utilizzate al fine di compensare gli oneri derivanti dai commi precedenti del medesimo articolo, condurrebbe a includere - attraverso una lettura sistematica delle disposizioni dello stesso decreto - nel novero delle maggiori entrate riservate allo Stato anche quelle che dovrebbero spettare alla Regione ai sensi delle norme statutarie e delle relative norme di attuazione, quali quelle derivanti dall’imposta sul valore aggiunto in conseguenza di misure adottate ai sensi dello stesso provvedimento (art. 50, comma 11) e dall’aumento al 26 per cento dell’imposta sui redditi di natura finanziaria (art. 3, comma 1). Entrate, quelle indicate, che, se pur di natura tributaria e connotate della qualifica della novità, non soddisfarebbero il requisito della specificazione della loro destinazione.

2.– Riservata a separate pronunce la decisione sulle altre questioni promosse dalla ricorrente, vanno preliminarmente esaminate le eccezioni di inammissibilità sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri.

2.1.– Secondo l’Avvocatura generale dello Stato, il ricorso sarebbe in primo luogo inammissibile alla luce della clausola di salvaguardia contenuta nell’art. 50-bis del d.l. n. 66 del 2014.

L’eccezione non può essere accolta. È pur vero che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, una clausola di tale tenore «non costituisce una mera formula di stile, priva di significato normativo, ma ha la “precisa funzione di rendere applicabile il decreto agli enti ad autonomia differenziata solo a condizione che siano ‘rispettati’ gli statuti speciali” (sentenza n. 241 del 2012) ed i particolari percorsi procedurali ivi previsti per la modificazione delle norme di attuazione degli statuti medesimi» (sentenza n. 236 del 2013). Tuttavia, la riserva all’erario introdotta dalle disposizioni impugnate rinviene il proprio fondamento direttamente nell’art. 36 dello statuto siciliano e nell’art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965, che consentono al legislatore statale – a determinate condizioni – di destinare a specifiche esigenze dell’erario il gettito dei propri tributi riscossi sul territorio siciliano. Ciò significa che, a prescindere da ogni altra considerazione, la clausola di salvaguardia non esime questa Corte dall’esame nel merito del ricorso promosso dalla Regione siciliana, il quale verte proprio sul rispetto delle norme statutarie da parte della norma statale impugnata.

2.2.– Secondo la difesa statale, il ricorso sarebbe inammissibile in quanto «tutte le disposizioni censurate, in ragione del loro contenuto, costituiscono principi fondamentali della finanza pubblica che, come tali, non possono non imporsi a tutti i livelli di governo», e richiama, a sostegno della sua argomentazione, la sentenza n. 88 del 2014, nella quale si riconosce che il nuovo sistema delineato dalla legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 (Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale) impone «il coinvolgimento e il rispetto dei nuovi principi sui vincoli di finanza pubblica da parte di tutti gli enti territoriali».

Anche tale eccezione non può essere accolta. È pur vero che la giurisprudenza costituzionale ha più volte precisato che i principi di coordinamento della finanza pubblica recati dalla legislazione statale si applicano anche ai soggetti ad autonomia speciale (sentenze n. 82 e n. 77 del 2015). Deve tuttavia precisarsi che quand’anche, in ipotesi, la disposizione impugnata fosse ritenuta un principio di coordinamento della finanza pubblica, da tale qualificazione discenderebbe, secondo quanto affermato dalla giurisprudenza costituzionale, proprio con riguardo alla Regione siciliana, «semmai, l’infondatezza e non già l’inammissibilità del ricorso» (sentenza n. 176 del 2015).

2.3.– L’Avvocatura generale dello Stato ritiene altresì inammissibili le questioni per genericità delle censure.

2.3.1.– Tale eccezione deve essere accolta con riferimento alla questione di legittimità promossa sull’art. 1, comma 11, della legge n. 89 del 2014. Secondo una costante giurisprudenza di questa Corte, i termini delle questioni di legittimità costituzionale debbono essere ben identificati, individuando le disposizioni impugnate, i parametri evocati e le ragioni dei dubbi di legittimità costituzionale (sentenze n. 176 e n. 131 del 2015; n. 241 del 2012). Questa Corte ha infatti più volte chiarito che l’esigenza di una adeguata motivazione a fondamento della richiesta declaratoria di illegittimità costituzionale si pone in termini perfino più pregnanti nei giudizi diretti rispetto a quelli incidentali (ex multis, sentenze n. 233, n. 218, n. 153, n. 142 e n. 82 del 2015). Nel caso di specie la ricorrente si è limitata a lamentare la violazione dell’art. 36 dello statuto speciale e dell’art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965, in quanto la disposizione impugnata stabilisce che i decreti legislativi ivi previsti miranti «ad alleggerire la pressione tributaria, che si traducono in minori entrate tributarie spettanti alla Regione ricorrente, trovino compensazione in risorse riservate al Ministero». La genericità e l’assertività della censura, secondo la giurisprudenza di questa Corte (ex multis, sentenze n. 184 del 2014; n. 185, n. 129, n. 114 e n. 68 del 2011; n. 278 e n. 45 del 2010), implicano l’inammissibilità del ricorso in parte qua.

2.3.2.– Similmente generiche e assertive sono le promosse questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 11, della legge n. 89 del 2014 e dell’art. 50, comma 10, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, in riferimento agli artt. 14, 17, 37 e 38 dello statuto speciale, richiamati nel ricorso senza ulteriori sviluppi argomentativi. Pertanto, in relazione a tali parametri, le questioni devono essere dichiarate inammissibili per le ragioni sopra esposte.

2.3.3.– L’eccezione di inammissibilità per genericità del ricorso, al contrario, si rileva priva di fondamento per la questione promossa sull’art. 50, comma 10, del d.l. n. 66 del 2014, come convertito, per violazione dell’art. 36 dello statuto regionale e dell’art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965.

In relazione a tale disposizione, la ricorrente ha specificamente indicato le disposizioni impugnate, i parametri evocati e le ragioni dei dubbi di legittimità costituzionale. In ordine a quest’ultimo aspetto, in particolare, la Regione non si è limitata a richiamare genericamente l’art. 36 dello statuto regionale e l’art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965, ma ha specificato le ragioni per cui la riserva allo Stato delle maggiori entrate violerebbe la previsione statutaria: il ricorso si sofferma in particolare sul requisito della specificità della finalizzazione delle entrate, che non sarebbe rispettato dalla disposizione impugnata. L’atto introduttivo del giudizio risulta, quindi, in parte qua, adeguatamente motivato con argomentazioni specifiche e del tutto autosufficienti.

3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, infine, invoca la cessazione della materia del contendere, alla luce dell’Accordo in materia di finanza pubblica sottoscritto tra il Ministero dell’economia e delle finanze e il Presidente della Regione siciliana in data 9 giugno 2014, con il quale è stato definito il concorso della Regione al rispetto del patto di stabilità interno per il periodo 2014-2017.

Tuttavia, il raggiunto Accordo non è sufficiente, di per sé, a determinare la cessazione della materia del contendere quando non sia seguito da rinuncia al ricorso da parte del ricorrente (ex multis, sentenze n. 176 e n. 19 del 2015).

4.– Nel merito, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 50, comma 10, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, come convertito, non è fondata.

Questa Corte ha più volte precisato che «L’evocato art. 36, primo comma, dello statuto, in combinato disposto con l’art. 2, primo comma, del d.P.R. n. 1074 del 1965, indica le seguenti tre condizioni per l’eccezionale riserva allo Stato del gettito delle entrate erariali: a) la natura tributaria dell’entrata; b) la novità di tale entrata; c) la destinazione del gettito “con apposite leggi alla copertura di oneri diretti a soddisfare particolari finalità contingenti o continuative dello Stato specificate nelle leggi medesime”» (ex multis, sentenze n. 176 del 2015; n. 145 del 2014 e n. 241 del 2012).

Occorre dunque verificare se la riserva allo Stato prevista dalla disposizione censurata sia conforme a tali presupposti. In particolare questa Corte è chiamata a valutare se il gettito derivante dalle maggiori entrate tributarie erariali sia destinato «a finalità contingenti o continuative dello Stato specificate nelle leggi medesime», mentre non risultano in discussione, nel presente giudizio, né la natura tributaria, né la novità dell’entrata.

Come più volte affermato da questa Corte, la condizione della specifica destinazione del gettito non può reputarsi soddisfatta da un generico riferimento agli obiettivi di finanza pubblica, «perché il raggiungimento del pareggio di bilancio è alla base di qualsiasi misura finanziaria adottata dallo Stato e perché comunque, nella visione unitaria del bilancio statale, tutto concorre al pareggio; e ciò a maggior ragione dopo la revisione dell’art. 81 Cost. che, con effetto dal 2014, ha elevato a dignità costituzionale la regola dell’equilibrio fra le entrate e le spese del bilancio statale» (ex multis, sentenza n. 241 del 2012). Nella disposizione in esame, tuttavia, non può riscontrasi il lamentato vizio di genericità della destinazione del gettito. L’art. 50, comma 10, del d.l. n. 66 del 2014, come convertito, infatti, dispone che le maggiori entrate (tra cui quelle derivanti dall’imposta sul valore aggiunto in conseguenza di misure adottate ai sensi dello stesso provvedimento e dall’aumento al 26 per cento dell’imposta sui redditi di natura finanziaria) saranno utilizzate a compensazione degli «oneri derivanti dagli articoli 1, 2, 4, comma 11, 5, 9, comma 9, 16, commi 6 e 7, 27, comma 1, 31, 32, 35, 36, 45, 48, comma 1, e dal comma 6 del presente articolo, ad esclusione degli oneri cui si provvede ai sensi del comma 9 del presente articolo, pari a 6.563,2 milioni di euro per l’anno 2014, a 6.184,7 milioni di euro per l’anno 2015, a 7.062.8 milioni di euro per l’anno 2016, a 6.214 milioni di euro per l’anno 2017 e a 4.069 a decorrere dall’anno 2018, che aumentano a 7.600,839 milioni di euro per l’anno 2014, a 6.229,8 milioni di euro per l’anno 2015, a 6.236 milioni di euro per l’anno 2017 e a 4.138,7 milioni di euro a decorrere dall’anno 2018».

Le minori entrate e le maggiori spese, alla cui compensazione saranno riservate le maggiori entrate, risultano pertanto dettagliatamente indicate e rispondono a una pluralità di esigenze specifiche, tra loro eterogenee, di carattere ora contingente ed ora continuativo (sentenza n. 135 del 2012). La pluralità e l’eterogeneità degli oneri da compensare con la riserva delle nuove entrate non impediscono di ritenere soddisfatto il requisito statutariamente previsto della specificità della destinazione.

Ne consegue che la riserva all’erario è legittimamente disposta dal legislatore, in quanto rispettosa degli evocati parametri statutari.

4.1.– Dalle argomentazioni che precedono consegue che non possono ritenersi lesi, come argomentato dalla ricorrente, l’art. 43 dello statuto speciale e il principio di leale collaborazione, la cui invocazione è, rispetto alla questione sottoposta, inconferente.

A tale proposito la Regione lamenta l’imposizione unilaterale, da parte dello Stato, di tagli alle risorse regionali, in deroga alle disposizioni statutarie e alle norme di attuazione, in vista dell’obiettivo dell’equilibrio del bilancio. La disposizione impugnata, tuttavia, rientra nella diversa ipotesi della riserva del gettito derivante da nuovi tributi erariali a favore dello Stato, che trova il proprio fondamento direttamente nelle norme statutarie (e nelle relative norme di attuazione) e la cui legittimità deriva dal rispetto delle stesse norme. Trattandosi di riserva che soddisfa le condizioni stabilite dallo statuto speciale all’art. 36 e all’art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965, la questione prospettata in riferimento ai parametri sopra richiamati deve ritenersi non fondata.

5.– Alla luce delle argomentazioni suesposte, va pertanto dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 50, comma 10, del d.l. n. 66 del 2014, come convertito, promossa dalla Regione siciliana in riferimento agli artt. 36 e 43 dello statuto speciale e all’art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965, n. 1074, nonché al principio di leale collaborazione.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riservata a separate pronunce la decisione delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale promosse dalla Regione siciliana con il ricorso indicato in epigrafe;

1) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 11, della legge 23 giugno 2014, n. 89 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, recante misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale. Deleghe al Governo per il completamento della revisione della struttura del bilancio dello Stato, per il riordino della disciplina per la gestione del bilancio e il potenziamento della funzione del bilancio di cassa, nonché per l’adozione di un testo unico in materia di contabilità di Stato e di tesoreria), promossa dalla Regione siciliana con il ricorso indicato in epigrafe;

2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 50, comma 10, del d.l. n. 66 del 2014 (Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della l. n. 89 del 2014, promossa, in riferimento agli artt. 14, 17, 37 e 38 e del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito dalla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, dalla Regione siciliana con il ricorso in epigrafe;

3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 50, comma 10, del d.l. n. 66 del 2014, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della l. n. 89 del 2014, promossa, in riferimento agli artt. 36 e 43 del r.d.lgs. n. 455 del 1946, convertito dalla legge cost. n. 2 del 1948, e all’art. 2 del d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia finanziaria), nonché al principio di leale collaborazione, dalla Regione siciliana con il ricorso in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 1° dicembre 2015.

F.to:

Alessandro CRISCUOLO, Presidente

Marta CARTABIA, Redattore

Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 22 dicembre 2015.