Ordinanza n. 115 del 2015

 CONSULTA ONLINE 

ORDINANZA N. 115

ANNO 2015

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-    Alessandro             CRISCUOLO                                     Presidente

-    Paolo Maria            NAPOLITANO                                    Giudice

-    Giuseppe                FRIGO                                                       ”

-    Paolo                      GROSSI                                                     ”

-    Giorgio                   LATTANZI                                                ”

-    Aldo                       CAROSI                                                     ”

-    Marta                     CARTABIA                                               ”

-    Mario Rosario        MORELLI                                                  ”

-    Giancarlo               CORAGGIO                                              ”

-    Giuliano                 AMATO                                                     ”

-    Silvana                   SCIARRA                                                  ”

-    Daria                      de PRETIS                                                 ”

-    Nicolò                    ZANON                                                     ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 14-bis, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, e dell’art. 2, comma 5-ter, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 102 (Disposizioni urgenti in materia di IMU, di altra fiscalità immobiliare, di sostegno alle politiche abitative e di finanza locale, nonché di cassa integrazione guadagni e di trattamenti pensionistici), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 28 ottobre 2013, n. 124, promossi dalla Commissione tributaria regionale della Toscana con due ordinanze del 16 aprile 2014, iscritte ai nn. 128 e 129 del registro ordinanze 2014 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 35, prima serie speciale, dell’anno 2014.

Visti l’atto di costituzione di Poggio Antico srl nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 12 maggio 2015 e nella camera di consiglio del 13 maggio 2015 il Giudice relatore Giancarlo Coraggio;

uditi l’avvocato Guglielmo Fransoni per Poggio Antico srl e l’avvocato dello Stato Roberta Tortora per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto che con due ordinanze del 16 aprile 2014, iscritte ai nn. 128 e 129 del registro ordinanze 2014, la Commissione tributaria regionale della Toscana ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 14-bis, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, e dell’art. 2, comma 5-ter, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 102 (Disposizioni urgenti in materia di IMU, di altra fiscalità immobiliare, di sostegno alle politiche abitative e di finanza locale, nonché di cassa integrazione guadagni e di trattamenti pensionistici), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 28 ottobre 2013, n. 124, in riferimento agli artt. 3, 24 e 97, primo comma, della Costituzione, «nella parte in cui tali disposizioni consentono al contribuente di ottenere, con un semplice, proprio atto, l’esenzione dall’ici, senza che l’Erario comunale possa, davanti al giudice tributario, essere ammesso a sostenere e a provare l’assenza delle condizioni sostanziali di legge alle quali dovrebbe essere subordinato il beneficio di cui trattasi»;

che con l’ordinanza iscritta al n. 128 del registro ordinanze 2014 il giudice rimettente ha premesso in punto di fatto che la società ricorrente in primo grado, Fattoria di Cerreto di Laudomia Pucci di Barsento & C. sas, aveva impugnato un avviso di accertamento per mancata dichiarazione di sei fabbricati e correlativo omesso versamento dell’imposta comunale sugli immobili (ICI) per l’anno 2006, deducendo la non debenza del tributo per essere gli immobili in questione rurali, a prescindere dalle risultanze catastali, e che la Commissione tributaria provinciale aveva accolto il ricorso con sentenza gravata in appello dal Comune di Castelnuovo Berardenga;

che con l’ordinanza iscritta al n. 129 del registro ordinanze 2014 la Commissione tributaria regionale della Toscana ha premesso in punto di fatto che il primo giudice, uniformandosi alla giurisprudenza delle sezioni unite della Corte di cassazione secondo cui sarebbe decisivo il dato catastale, aveva respinto il ricorso della Poggio Antico srl avverso l’avviso di accertamento con cui l’Etruria servizi srl, concessionaria del servizio di accertamento e riscossione dei tributi per il Comune di Montalcino, aveva richiesto il pagamento dell’ICI per gli anni 2007 e 2008;

che, in punto di rilevanza, entrambe le ordinanze, con motivazioni di identico tenore, ricostruiscono l’evoluzione della disciplina normativa e della giurisprudenza in materia, evidenziando in particolare che:

– ai sensi degli artt. 1 e 2, comma 1, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 (Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell’articolo 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), presupposto dell’ICI era il possesso di fabbricati, di aree fabbricabili e di terreni agricoli a qualsiasi uso destinati, iscritti o da iscriversi nel catasto edilizio urbano;

– l’art. 1, comma 5, del d.P.R. 23 marzo 1998, n. 139 (Regolamento recante norme per la revisione dei criteri di accatastamento dei fabbricati rurali, a norma dell’articolo 3, comma 156, della legge 23 dicembre 1996, n. 662) aveva previsto che «Le costruzioni strumentali all’esercizio dell’attività agricola diverse dalle abitazioni» andavano censite nella categoria speciale D/10 «fabbricati per funzioni produttive connesse alle attività agricole»;

– con il comma 1-bis dell’art. 23 del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni finanziarie urgenti), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 27 febbraio 2009, n. 14, si era stabilito che «non si considerano fabbricati le unità immobiliari, anche iscritte o iscrivibili nel catasto fabbricati, per le quali ricorrono i requisiti di ruralità» di cui all’art. 9 del decreto-legge 30 dicembre 1993, n. 557 (Ulteriori interventi correttivi di finanza pubblica per l’anno 1994), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 26 febbraio 1994, n. 133;

– le sezioni unite civili della Corte di cassazione, con la sentenza 21 agosto 2009, n. 18565, avevano affermato che non era consentito al giudice tributario verificare in concreto la sussistenza delle condizioni di ruralità dei fabbricati disapplicando l’atto di classamento catastale e che era onere del contribuente o dell’ente locale impugnare l’atto di classamento medesimo;

– l’art. 7, commi 2-bis, 2-ter e 2-quater, del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 (Semestre Europeo − Prime disposizioni urgenti per l’economia), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 12 luglio 2011, n. 106, aveva previsto che, ai fini del riconoscimento della ruralità, gli interessati potevano presentare all’Agenzia delle entrate una domanda di variazione della categoria catastale, con allegata un’autocertificazione attestante la circostanza che l’immobile possedeva i relativi requisiti, in via continuativa, a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda;

– il comma 14-bis dell’art. 13 del d.l. n. 201 del 2011, inserito, in sede di conversione, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, aveva quindi disposto che le domande in questione, presentate anche dopo la scadenza dei termini originariamente previsti e fino alla data di entrata in vigore della stessa legge di conversione «producono gli effetti previsti in relazione al riconoscimento del requisito di ruralità»;

– l’art. 2, comma 5-ter, del d.l. n. 102 del 2013 aveva poi precisato che l’art. 13, comma 14-bis sopra citato, «deve intendersi nel senso che le domande di variazione catastale presentate ai sensi dell’art. 7, comma 2-bis, del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 […] e l’inserimento dell’annotazione negli atti catastali producono gli effetti previsti per il riconoscimento del requisito di ruralità […], a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda»;

che, sempre in punto di rilevanza, il giudice rimettente riferisce che le società contribuenti avevano nei termini di legge proposto domanda di variazione catastale per ottenere il riconoscimento della ruralità, sì che esse, con riferimento agli anni oggetto di accertamento dovrebbero usufruire dell’esclusione dall’ICI concessa dalle norme censurate, senza che la Commissione tributaria adita possa verificare la ricorrenza delle condizioni sostanziali della ruralità contestata dal Comune (r.o. n. 128 del 2014) e dalla concessionaria (r.o. n. 129 del 2014);

che, in punto di non manifesta infondatezza, secondo la Commissione tributaria regionale della Toscana:

– la disciplina in esame, contrariamente a quella abrogata dettata dal d.l. n. 70 del 2011, annette alla domanda del privato l’effetto automatico di esclusione dall’assoggettamento all’ICI e non prevede che in caso di sua infondatezza gravino sul contribuente indennità o sanzioni di sorta: non vi è, quindi, alcun deterrente alla proposizione di domande pretestuose;

– pertanto, in violazione dell’art. 24 Cost., è irragionevole che i Comuni non siano ammessi a provare innanzi al giudice tributario il difetto sostanziale delle condizioni di ruralità, non potendosi reputare sufficiente la loro possibilità di intervento nel procedimento amministrativo, atteso l’ordinario ritardo che connota la sua definizione;

– la mancata possibilità di difendersi nel merito della pretesa di esclusione dall’ICI è irragionevole, anche in riferimento alla posizione degli altri contribuenti e in contrasto con il principio di buona amministrazione, attesa la posizione di impotenza in cui verrebbe a trovarsi l’ente impositore, in violazione degli artt. 3 e 97 Cost.;

che, con memorie depositate in entrambi i giudizi il 9 settembre 2014, è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, eccependo che la questione sarebbe inammissibile e comunque infondata nel merito, poiché:

– contrariamente a quanto ritenuto dalla Commissione tributaria, la normativa vigente consente all’Agenzia delle entrate, da un lato, e ai Comuni, dall’altro, di effettuare un pieno ed effettivo controllo sulla sussistenza della ruralità;

– quanto alla presunta violazione dell’art. 24 Cost., il decreto del Ministero dell’economia e delle finanze 26 luglio 2012 (Individuazione delle modalità di inserimento negli atti catastali della sussistenza del requisito della ruralità), ha disciplinato ex novo le modalità di presentazione delle domande di classamento, nonché di inserimento negli atti catastali dell’annotazione di ruralità, prevedendo, tra l’altro, che l’ufficio provinciale dell’Agenzia del territorio provvede, anche a campione, alle verifiche di competenza;

– lo scambio di informazioni tra l’Agenzia e i Comuni, attraverso la condivisione di un portale web dedicato, consente anche ai secondi di avere contezza delle domande di variazione catastale, di partecipare al controllo della relativa regolarità e di intervenire, se del caso, nel procedimento;

– l’art. 5 del citato decreto ministeriale prevede l’annotazione dell’avvenuta presentazione delle domande nonché dell’eventuale emanazione del provvedimento di mancato riconoscimento della ruralità: non è corretto, pertanto, quanto affermato dal rimettente in ordine al preteso automatismo dell’effetto giuridico di esclusione dal pagamento dell’ICI derivante da un semplice atto di volontà del privato;

– in ordine alla lamentata violazione del principio di eguaglianza, la domanda proposta dal contribuente non è diversa dalle altre dichiarazioni catastali, sostanziandosi in un atto soggetto a verifica da parte dell’amministrazione, sicché nessuna violazione dell’art. 3 Cost. sussiste; da altra angolazione, tutti i contribuenti proprietari di immobili rurali possono avvalersi della procedura in esame, il che realizza una piena eguaglianza dei cittadini;

– quanto alla lamentata violazione dell’art. 97 Cost., l’Agenzia delle entrate esercita regolarmente il potere di accertamento dei requisiti di ruralità e l’individuazione di un solo soggetto avente competenza in materia è coerente con i principi di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione;

– sotto il profilo sanzionatorio, infine, il decreto ministeriale 26 luglio 2012, richiama le disposizioni sull’accertamento generale dei fabbricati dettate dal regio decreto-legge 13 aprile 1939, n. 652 (Accertamento generale dei fabbricati urbani, rivalutazione del relativo reddito e formazione del nuovo catasto edilizio urbano), convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 1939, n. 1249, che punisce l’inadempimento agli obblighi di dichiarazione catastale; inoltre, l’autocertificazione a corredo della domanda di variazione è resa ai sensi degli artt. 46 e 47 del d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa – Testo A), con la conseguenza che, in caso di mendacio, si applicano le sanzioni penali previste dall’art. 76; d’altro canto, il mancato riconoscimento dei requisiti dichiarati legittima il Comune a irrogare le sanzioni previste per le ipotesi di omesso pagamento dell’imposta;

che, con memoria depositata nella cancelleria di questa Corte il 9 settembre 2014, si è costituita la Poggio Antico srl, parte appellante nel giudizio che ha dato luogo all’ordinanza n. 129 del 2014, eccependo che le questioni sarebbero manifestamente inammissibili per tre ordini di ragioni:

– in primo luogo, in quanto carenti della rilevanza ai fini della decisione nel giudizio a quo: quest’ultimo, infatti, non ha mai avuto ad oggetto la sussistenza delle condizioni sostanziali di ruralità o la possibilità per il Comune di Montalcino di accertare una eventuale discrasia tra risultanze catastali e realtà fattuale, poiché gli avvisi di accertamento impugnati si fondano unicamente sulla circostanza formale della mancata iscrizione in catasto nella categoria A/6; una volta presentata la domanda di variazione catastale in forza della riapertura dei termini operata dal legislatore, l’oggetto della controversia si era necessariamente ristretto alla decorrenza degli effetti del riconoscimento della ruralità dal momento dell’istanza ovvero dal quinto anno antecedente;

– in secondo luogo, il giudice rimettente, pur formalmente censurando «il combinato» disposto dell’art. 13, comma 14-bis, del d.l. n. 201 del 2011 e dell’art. 2, comma 5-ter, del d.l. n. 102 del 2013, incentra in realtà i suoi dubbi di incostituzionalità sul «sistema d’ancoraggio tra risultanze catastali e imposizione ICI»: è tale sistema, regolato da altre non impugnate disposizioni, che determina l’effetto vincolante censurato dal rimettente;

– in terzo luogo, la Commissione tributaria regionale della Toscana non ha tentato un’interpretazione costituzionalmente orientata che escluda l’effetto automatico di non assoggettamento ad ICI dell’atto di volontà del privato; né corrisponde al vero che la normativa releghi i Comuni in una condizione di mera passività; nell’ordinamento, infine, sono rinvenibili meccanismi idonei a scoraggiare dichiarazioni non veritiere, quali: 1) le sanzioni fiscali previste per il caso di mancato pagamento dell’imposta, comminabili in ipotesi di non riconoscimento dei requisiti della ruralità, oltre al recupero del tributo e degli interessi; 2) le sanzioni amministrative per la violazione degli obblighi dichiarativi di cui al r.d.l. n. 652 del 1939; 3) le sanzioni penali previste dall’art. 76 del d.P.R. n. 445 del 2000 in caso di dichiarazioni mendaci;

che, secondo le parti private, le questioni nel merito sarebbero non fondate per le medesime ragioni indicate dall’Avvocatura generale dello Stato;

che con memoria depositata il 31 marzo 2015 il Presidente del Consiglio dei ministri ha ulteriormente ribadito le eccezioni e sviluppato le argomentazioni svolte nella memoria di costituzione, evidenziando, in particolare, che il decreto ministeriale 26 luglio 2012, disciplina il procedimento per il riconoscimento della ruralità.

Considerato che, con due ordinanze del 16 aprile 2014, la Commissione tributaria regionale della Toscana ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 14-bis, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, e dell’art. 2, comma 5-ter, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 102 (Disposizioni urgenti in materia di IMU, di altra fiscalità immobiliare, di sostegno alle politiche abitative e di finanza locale, nonché di cassa integrazione guadagni e di trattamenti pensionistici), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 28 ottobre 2013, n. 124, in riferimento agli artt. 3, 24 e 97, primo comma, della Costituzione, «nella parte in cui tali disposizioni consentono al contribuente di ottenere, con un semplice, proprio atto, l’esenzione dall’ici, senza che l’Erario comunale possa, davanti al giudice tributario, essere ammesso a sostenere e a provare l’assenza delle condizioni sostanziali di legge alle quali dovrebbe essere subordinato il beneficio di cui trattasi»;

che i giudizi, data l’identità dell’oggetto, vanno riuniti;

che è assorbente il rilievo di inammissibilità delle questioni per incompleta ricostruzione, e conseguente mancata ponderazione, del quadro normativo di riferimento;

che, infatti, la Commissione tributaria regionale della Toscana non ha preso in considerazione, innanzitutto, la seconda parte dell’art. 13, comma 14-bis, del d.l. n. 201 del 2011, in forza del quale, «Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono stabilite le modalità per l’inserimento negli atti catastali della sussistenza del requisito di ruralità, fermo restando il classamento originario degli immobili rurali ad uso abitativo»;

che le ordinanze di rimessione non hanno esaminato la conseguente regolamentazione data al procedimento di annotazione della ruralità dal decreto del Ministero dell’economia e delle finanze 26 luglio 2012 (Individuazione delle modalità di inserimento negli atti catastali della sussistenza del requisito della ruralità) e, in particolare, l’art. 1, comma 2, ai sensi del quale: «Ai fini dell’iscrizione negli atti del catasto della sussistenza del requisito di ruralità in capo ai fabbricati rurali di cui al comma 1, diversi da quelli censibili nella categoria D/10 (Fabbricati per funzioni produttive connesse alle attività agricole), è apposta una specifica annotazione»; e l’art. 4, rubricato «Verifica delle domande e delle autocertificazioni», il cui primo comma dispone: «L’Ufficio provinciale dell’Agenzia del territorio, per gli aspetti di diretta competenza, provvede, anche a campione, alla verifica delle autocertificazioni allegate alle domande di cui all’art. 2, comma 3 e alle richieste di cui all’art. 2, comma 6, nonché alla verifica del classamento e dei requisiti di ruralità per gli immobili dichiarati con le modalità previste dal decreto del Ministro delle finanze n. 701 del 1994»;

che, con riferimento alla pretesa posizione di mera passività degli enti locali, non sono state considerate quelle disposizioni che, nell’ambito del procedimento di verifica, di cui è titolare l’Agenzia del territorio, assegnano un ruolo importante proprio ai Comuni, cui sono rese disponibili «sul portale […] gestito dalla medesima Agenzia […] le domande presentate per il riconoscimento dei requisiti di ruralità di cui all’art. 2, al fine di agevolare le attività di verifica di rispettiva competenza» (art. 4, comma 2), e che, proprio tramite tale portale, possono offrire all’Agenzia del territorio le informazioni necessarie alle verifiche sulla sussistenza dei requisiti di ruralità (art. 4, comma 4);

che l’incompletezza ricostruttiva si aggrava ove si consideri che il rimettente non ha in alcun modo preso in esame l’esistenza dei generali rimedi impugnatori che consentono ai Comuni la contestazione in giudizio degli atti di annotazione, per come costantemente affermato dalla giurisprudenza della Corte di cassazione;

che neanche sono state prese in considerazione le sanzioni penali per il caso di dichiarazioni non veritiere rese in sede di autocertificazione, comminate dall’art. 76 del d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa – Testo A); né le sanzioni amministrative che assistono le dichiarazioni catastali previste dagli artt. 20 e 28 del regio decreto-legge 13 aprile 1939, n. 652 (Accertamento generale dei fabbricati urbani, rivalutazione del relativo reddito e formazione del nuovo catasto edilizio urbano), convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 1939, n. 1249, per come inasprite dall’art. 2, comma 12, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale); né, infine, la circostanza che il mancato riconoscimento dei requisiti di ruralità dichiarati legittima i Comuni, oltre al recupero dell’imposta dovuta con gli interessi legali, all’irrogazione delle sanzioni previste per l’ipotesi di mancato pagamento dell’imposta medesima;

che tale incompleta e inadeguata ricostruzione del quadro normativo di riferimento (tra le tante, sentenze n. 27 del 2015, n. 251 e n. 165 del 2014; ordinanza n. 194 del 2014) mina l’iter logico argomentativo posto a fondamento della valutazione di non manifesta infondatezza delle odierne questioni di legittimità costituzionale (sentenza n. 27 del 2015) e determina, pertanto, la loro manifesta inammissibilità.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 14-bis, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, e dell’art. 2, comma 5-ter, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 102 (Disposizioni urgenti in materia di IMU, di altra fiscalità immobiliare, di sostegno alle politiche abitative e di finanza locale, nonché di cassa integrazione guadagni e di trattamenti pensionistici), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 28 ottobre 2013, n. 124, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24 e 97, primo comma, della Costituzione, dalla Commissione tributaria regionale della Toscana, con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 maggio 2015.

F.to:

Alessandro CRISCUOLO, Presidente

Giancarlo CORAGGIO, Redattore

Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 18 giugno 2015.