Sentenza n. 246 del 2013

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SENTENZA N. 246

ANNO 2013

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Gaetano                       SILVESTRI                                     Presidente

-           Luigi                            MAZZELLA                                      Giudice

-           Sabino                         CASSESE                                                 "

-           Paolo Maria                 NAPOLITANO                                        "

-           Giuseppe                     FRIGO                                                      "

-           Alessandro                  CRISCUOLO                                           "

-           Paolo                           GROSSI                                                    "

-           Giorgio                        LATTANZI                                               "

-           Aldo                            CAROSI                                                    "

-           Sergio                          MATTARELLA                                        "

-           Mario Rosario              MORELLI                                                 "

-           Giancarlo                     CORAGGIO                                             "

-           Giuliano                       AMATO                                                    "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 5, commi 1 e 2, della legge della Regione Umbria 4 aprile 2012, n. 7 (Disposizioni collegate alla manovra di bilancio 2012 in materia di entrate e di spese - Modificazioni ed integrazioni di leggi regionali), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 4-6 giugno 2012, depositato in cancelleria il 7 giugno 2012 ed iscritto al n. 88 del registro ricorsi 2012.

         Visto l’atto di costituzione della Regione Umbria; 

         udito nell’udienza pubblica del 24 settembre 2013 il Giudice relatore Paolo Grossi;

         uditi l’avvocato dello Stato Gianni De Bellis per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Paola Manuali per la Regione Umbria.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato il 4-6 giugno 2012 e depositato il successivo 7 giugno, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso – per violazione degli articoli 9 e 117, primo comma e secondo comma, lettera s), della Costituzione – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5 della legge della Regione Umbria 4 aprile 2012, n. 7 (Disposizioni collegate alla manovra di bilancio 2012 in materia di entrate e di spese - Modificazioni ed integrazioni di leggi regionali), che ai commi 1 e 2, definisce un modello procedimentale semplificato per la proroga delle autorizzazioni all’esercizio dell’attività estrattiva vigenti alla data del 31 dicembre 2011 e per le quali è in corso, ovvero si è concluso positivamente, il procedimento di accertamento di giacimento di cava (comma 1), e delle autorizzazioni all’esercizio dell’attività estrattiva vigenti alla data del 31 dicembre 2011, per le quali non sia stato completato il progetto autorizzato e non sia stata presentata richiesta di accertamento di giacimento di cava (comma 2). Il ricorrente rileva che, in entrambi i casi, la norma regionale prevede espressamente che si tratti di una proroga ulteriore rispetto ai termini biennali di cui agli artt. 8, comma 4, della legge della Regione Umbria 3 gennaio 2000, n. 2 (Norme per la disciplina dell’attività di cava e per il riuso di materiali provenienti da demolizioni) e 4, comma 1, della legge della Regione Umbria 12 febbraio 2010, n. 9 (Disposizioni collegate alla manovra di bilancio 2010 in materia di entrate e di spese).

La difesa dello Stato osserva preliminarmente che, secondo la consolidata giurisprudenza costituzionale (confermata dalla sentenza n. 67 del 2010), spetta allo Stato disciplinare l’ambiente e l’ecosistema come entità organiche, attraverso una disciplina unitaria e complessiva (inerente ad un interesse pubblico di valore costituzionale primario ed assoluto) tesa a garantire, come prescrive il diritto dell’Unione europea, un elevato livello di tutela, in quanto tale inderogabile da altre discipline di settore; sicché la disciplina ambientale, che scaturisce dall’esercizio di una competenza esclusiva dello Stato, investendo l’ambiente nel suo complesso, costituisce un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza, sottoposte al rispetto degli standard minimi ed uniformi di tutela posti in essere in materia dalla legislazione nazionale e da quella comunitaria di riferimento.

In particolare, per il ricorrente, i censurati commi 1 e 2 dell’art. 5 si pongono in contrasto sia con le disposizioni della direttiva 27 giugno 1985, n. 85/337/CEE (Direttiva del Consiglio concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati), sia con la vigente normativa nazionale di settore recata dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale) ed in particolare con le disposizioni di cui agli artt. da 20 a 28 ed agli Allegati III, lettera s), e IV, punto 8, lettera i), secondo le quali – se è ammissibile sottrarre alla procedura VIA quei rinnovi di autorizzazione per progetti estrattivi autorizzati sulla base di una previa valutazione di impatto ambientale ovvero di una verifica di assoggettabilità a VIA (tenendo comunque presente il termine di decadenza quinquennale stabilito dall’art. 26, comma 6, di detto decreto legislativo) – tuttavia ciò non può avvenire nel caso in cui l’originaria autorizzazione alla realizzazione dell’impianto e la conseguente autorizzazione all’esercizio risultino rilasciate anteriormente all’entrata in vigore della normativa nazionale in esame, di recepimento della disciplina comunitaria.

Richiamata la giurisprudenza costituzionale e comunitaria in tema di proroghe automatiche delle attività estrattive in assenza di procedure di VIA, che «equivarrebbe(ro) a rinunciare al controllo amministrativo dei requisiti che, medio tempore, potrebbero essersi modificati o essere venuti meno, con esclusione, peraltro, di qualsiasi sindacato in sede giurisdizionale comune» (vengono citate le sentenze n. 67 del 2010 e n. 273 del 1998; nonché le decisioni della Corte di giustizia 3 luglio 2008, C-215/06; 7 gennaio 2004, C-201/02; 16 settembre 1999, C-435/07; 2 maggio 1996, C-133/94), e ribadito che la censurata normativa regionale prevede che l’attività di estrazione di materiale di scavo possa avvenire senza la prescritta autorizzazione ambientale, il ricorrente deduce la lesione: a) dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., che attribuisce potestà legislativa esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente e del territorio; b) dell’art. 117, primo comma, Cost., in ragione della lesione delle disposizioni di derivazione comunitaria (la direttiva comunitaria n.  85/337/CEE) di cui i testi normativi statali (il d.lgs. n. 152 del 2006) costituiscono attuazione; c) dell’art. 9 Cost., in quanto non viene assicurata la dovuta tutela dell’ambiente, rimanendo sostanzialmente esclusa la possibilità di verificare l’eventuale compromissione del territorio conseguente alla prosecuzione dell’attività estrattiva dopo la naturale scadenza dell’autorizzazione o in sua assenza.

2.– Si è costituita la Regione Umbria, in persona del Presidente pro-tempore della Giunta regionale, concludendo preliminarmente per l’inammissibilità della censura di violazione dell’art. 9 Cost. alla quale la relazione del Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport, allegata alla delibera di impugnazione delle norme de quibus, non fa alcun riferimento.

Nel merito, la resistente – analizzata la normativa regionale pregressa e vigente riguardante il procedimento di rilascio e la durata delle autorizzazioni alle attività di cava – rileva che le proroghe contenute nei due commi impugnati sono espressamente ed esclusivamente riferite alle sole autorizzazioni contemplate dall’art. 8 della legge reg. n. 2 del 2000, per le quali è stata già espletata la procedura di valutazione di impatto ambientale (ovvero la verifica di assoggettabilità) prevista per la prima volta dalla legge della Regione Umbria 9 aprile 1998, n. 11 (Norme in materia di impatto ambientale), e non già a quelle rilasciate ai sensi della precedente legge della Regione Umbria 8 aprile 1980, n. 28 (Coltivazione di cave e torbiere), senza il rispetto della normativa di impatto ambientale ove il procedimento di autorizzazione fosse stato svolto prima del 23 aprile 1998, data di entrata in vigore della citata legge reg. n. 11 del 1998.

Secondo la resistente, dunque, le proroghe disposte dalle norme impugnate (finalizzate a fronteggiare la crisi economica congiunturale che ha portato a drastiche riduzioni nella produzione di materiali, come emerge dai lavori preparatori) riguarderebbero le autorizzazioni previste dal combinato disposto dell’art. 6, comma 1, e dell’art. 3, comma 1, lettera a), del regolamento 17 febbraio 2005, n. 3 (Modalità di attuazione della legge regionale 3 gennaio 2000, n. 2 - Norme per la disciplina dell’attività di cava e per il riuso di materiali provenienti da demolizioni), rilasciate tra il momento di entrata in vigore della legge reg. n. 2 del 2000 (27 gennaio 2000), nella sua stesura originaria, e la data di approvazione del P.R.A.E. con delib. Cons. reg. 9 febbraio del 2005, n. 465 (Piano regionale delle attività estrattive), a seguito della quale il rilascio delle autorizzazioni stesse doveva essere necessariamente preceduto dal procedimento di accertamento di giacimento di cava, secondo l’articolo 5-bis della medesima legge reg. n. 2 del 2000, introdotto dalla legge della Regione Umbria 29 dicembre 2003, n. 26 (Ulteriori modificazioni, nonché integrazioni, della legge regionale 3 gennaio 2000, n. 2. Norme per la disciplina dell’attività di cava e per il riuso di materiali provenienti da demolizioni).

Quanto alla durata del giudizio di compatibilità ambientale, la Regione rileva che lo stesso art. 26, comma 6, del d.lgs. n. 152 del 2006, nel testo introdotto dal decreto legislativo 16 gennaio 2008, n. 4 (Ulteriori disposizioni correttive ed integrative del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale), se da un lato prevede in via generale che i progetti sottoposti alla fase di valutazione devono essere realizzati entro cinque anni dalla pubblicazione del provvedimento di valutazione dell’impatto ambientale, dall’altro lato stabilisce che tenuto conto delle caratteristiche del progetto il provvedimento può stabilire un periodo più lungo, prevedendo altresì la possibilità di proroga del provvedimento. Laddove poi, ai sensi dell’ultimo periodo del comma 6 del citato art. 26 (introdotto dal comma 21-quinquies dell’art. 23 del decreto-legge 1 luglio 2009, n. 78, recante «Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini»), tali termini si applicano ai procedimenti avviati successivamente alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 4 del 2008, sicché (come affermato dal T.a.r. Lazio, sez. II, 15 novembre 2010, n. 33437) «il decreto VIA, formatosi in un tempo anteriore, perdura sine die anche dopo l’entrata in vigore del d.lgs. 4/2008 per evidenti ragioni di tutela dell’affidamento legittimamente ingenerato nel destinatario circa la stabilità».

La resistente, infine, osserva che comunque la norma censurata non dispone (come nei casi esaminati dalla sentenza n. 67 del 2010, che sarebbe quindi inconferente) una automatica proroga di diritto delle autorizzazioni, ma prevede la possibilità di proroghe (ovvero di nuove autorizzazioni), riferite ad attività di cava già in corso, che potranno essere rilasciate da parte dei Comuni previo espletamento delle procedure necessarie, ivi compresa quella in materia di VIA.

3.– La Regione ribadisce le proprie difese in una memoria di udienza, in cui (al fine di fugare i timori del Governo, ritenuti peraltro privi di fondamento) sottolinea che, con la sopravvenuta legge della Regione Umbria 30 gennaio 2013, n. 2 (Disposizioni collegate alla manovra di bilancio 2012 in materia di entrate e spese - Modificazioni e integrazioni di leggi regionali), è stato aggiunto al censurato art. 5 il comma 2-bis del seguente tenore letterale: «Le proroghe di cui ai commi 1 e 2 sono concesse dai Comuni previa verifica del rispetto della normativa vigente in materia di Valutazione di Impatto ambientale».

Considerato in diritto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri censura l’articolo 5, commi 1 e 2, della legge della Regione Umbria 4 aprile 2012, n. 7 (Disposizioni collegate alla manovra di bilancio 2012 in materia di entrate e di spese - Modificazioni ed integrazioni di leggi regionali).

Il comma 1 prevede che «Le autorizzazioni all’esercizio dell’attività estrattiva vigenti alla data del 31 dicembre 2011 e per le quali è in corso ovvero si è concluso positivamente il procedimento di accertamento di giacimento di cava possono essere ulteriormente prorogate rispetto ai termini di cui all’articolo 8, comma 4 della legge regionale 3 gennaio 2000, n. 2 (Norme per la disciplina dell’attività di cava e per il riuso di materiali provenienti da demolizioni), e di cui all’articolo 4, comma 1 della legge regionale 12 febbraio 2010, n. 9 (Disposizioni collegate alla manovra di bilancio 2010 in materia di entrate e di spese), con le modalità stabilite dallo stesso comma 4 dell’articolo 8 per un periodo non superiore ad anni due, nel rispetto della superficie e dei volumi autorizzati» (comma 1). Il comma 2 dispone che «Le autorizzazioni all’esercizio dell’attività estrattiva vigenti alla data del 31 dicembre 2011, per le quali non sia stato completato il progetto autorizzato e non sia stata presentata richiesta di accertamento di giacimento di cava possono essere ulteriormente prorogate rispetto ai termini di cui all’articolo 8, comma 4 della L.R. 2/2000, e di cui all’articolo 4, comma 1 della L.R. 9/2010, con le modalità stabilite dallo stesso comma 4 dell’articolo 8 per un periodo non superiore ad anni due, ovvero possono essere ulteriormente autorizzate ai sensi dell’articolo 8 della L.R. 2/2000, nel rispetto della superficie e dei volumi autorizzati e per un periodo commisurato al volume residuo da estrarre».

Il ricorrente – sulla premessa che, in entrambi i casi, la norma regionale prevede espressamente una proroga ulteriore della attività estrattiva rispetto ai termini biennali previsti dall’art. 8, comma 4, della legge reg. n. 2 del 2000 e dall’art. 4, comma 1, della legge reg. n. 9 del 2010, la quale consentirebbe che l’attività di estrazione di materiale di scavo possa avvenire senza la prescritta autorizzazione ambientale – ritiene in sintesi che i commi impugnati si pongano in contrasto sia con le disposizioni della direttiva 27 giugno 1985, n. 85/337/CEE (Direttiva del Consiglio concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati), sia con la vigente normativa nazionale in materia ambientale dettata dagli artt. da 20 a 28 e dagli Allegati III, lettera s), e IV, punto 8, lettera i), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale). E, di conseguenza (richiamata la giurisprudenza costituzionale e comunitaria in tema di proroghe automatiche delle attività estrattive in assenza di procedure di VIA: sentenza n. 67 del 2010), deduce la lesione: a) dell’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, che attribuisce potestà legislativa esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente e del territorio; b) dell’art. 117, primo comma, Cost., in ragione della lesione delle disposizioni di derivazione comunitaria (la direttiva n. 85/337/CEE) di cui i testi normativi statali (il d.lgs. n. 152 del 2006) costituiscono attuazione; c) dell’art. 9 Cost., in quanto non viene assicurata la dovuta tutela dell’ambiente, rimanendo sostanzialmente esclusa la possibilità di verificare l’eventuale compromissione del territorio conseguente alla prosecuzione dell’attività estrattiva dopo la naturale scadenza dell’autorizzazione o in sua assenza.

2.– La Regione resistente ha pregiudizialmente dedotto l’inammissibilità della censura riferita alla violazione dell’art. 9 Cost., in ragione del fatto che la relazione del Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport, allegata alla deliberazione del Consiglio dei ministri di impugnazione delle norme de quibus, non contiene alcun richiamo a detto parametro.

L’eccezione è fondata. Questa Corte ha più volte statuito che nei giudizi di legittimità costituzionale in via principale deve sussistere, a pena d’inammissibilità, una piena e necessaria corrispondenza tra la deliberazione con cui l’organo legittimato si determina all’impugnazione ed il contenuto del ricorso, attesa la natura politica dell’atto di impugnazione (sentenza n. 149 del 2012), e che «tale principio non riguarda solamente l’individuazione della norma censurata, ma anche l’esatta delimitazione dei parametri del ricorso» (sentenza n. 198 del 2012). L’assenza di qualsiasi riferimento, nella specie, alla sussistenza di una volontà politica di impugnare la normativa de qua anche con riferimento all’art. 9 Cost., rende dunque inammissibile la relativa censura.

3.– Sempre preliminarmente, va rilevato che, successivamente alla proposizione del ricorso in via principale, l’art. 1 della legge della Regione Umbria 30 gennaio 2013, n. 2, recante «Ulteriore integrazione della legge regionale 4 aprile 2012, n. 7 (Disposizioni collegate alla manovra di bilancio 2012 in materia di entrate e spese - Modificazioni e integrazioni di leggi regionali)», ha aggiunto all’impugnato art. 5 il comma 2-bis, secondo cui «Le proroghe di cui ai commi 1 e 2 sono concesse dai Comuni previa verifica del rispetto della normativa vigente in materia di Valutazione di Impatto Ambientale».

Poiché il thema decidendum riguarda specificamente l’illegittimità derivante dalla dedotta mancata previsione della applicabilità delle procedure di VIA alle proroghe de quibus, se la sopravvenuta modifica normativa risulta pienamente satisfattiva delle pretese del ricorrente (ricorrendo pertanto una delle due condizioni che la giurisprudenza di questa Corte ha enucleato per pervenire alla declaratoria di cessazione della materia del contendere: sentenze n. 93 e n. 3 del 2013, n. 300 del 2012), tuttavia, l’ulteriore requisito della mancata applicazione medio tempore delle norme censurate è esplicitamente escluso dalla stessa Regione resistente che, attraverso il Servizio Avvocatura regionale, ha comunicato che, dalle risposte avute da alcuni dei Comuni interpellati in merito, «emerge che le norme citate, pur se in rari casi, hanno trovato applicazione».

Tale riscontro (che, peraltro, di per sé non contiene alcuna specificazione in ordine al fatto che le proroghe siano state concesse con o senza la previa verifica del rispetto della normativa di VIA) non consente di addivenire ad una pronuncia di cessazione della materia del contendere (sentenze n. 93 e n. 22 del 2013 e ordinanza n. 31 del 2013), e rende dunque necessario esaminare nel merito le proposte questioni, sulle quali la Regione resistente, nonostante la sopravvenuta modifica normativa («introdotta per fugare i timori […] che hanno indotto il Governo a proporre il ricorso») ha continuato a difendersi, ritenendole comunque prive di fondamento (memoria illustrativa di udienza).

4.– La questione non è fondata.

4.1.– Il ricorrente deduce che la censurata proroga ulteriore della attività estrattiva rispetto ai termini biennali previsti dall’art. 8, comma 4, della legge reg. n. 2 del 2000 e dall’art. 4, comma 1, della legge reg. n. 9 del 2010, consentirebbe l’attività di estrazione di materiale di scavo senza la prescritta autorizzazione ambientale. Ed osserva che – se è ammissibile sottrarre alla procedura di VIA quei rinnovi di autorizzazione per progetti estrattivi autorizzati sulla base di una previa valutazione di impatto ambientale ovvero di una verifica di assoggettabilità a VIA – ciò, tuttavia, non potrebbe avvenire nel caso in cui l’originaria autorizzazione alla realizzazione dell’impianto e la conseguente autorizzazione all’esercizio risultino rilasciate anteriormente all’entrata in vigore della normativa nazionale in esame, di recepimento della disciplina comunitaria.

          4.2.– Dalla analisi della copiosa normativa regionale in materia di cave e relative procedure di VIA, ovvero di verifica di assoggettabilità, tali doglianze risultano frutto di una erronea premessa interpretativa.

Preliminarmente, si sottolinea come non sia affatto in discussione che la potestà legislativa residuale spettante alla Regione resistente in materia di cave (ai sensi del quarto comma dell’art. 117 Cost.) trovi un limite nella competenza affidata in via esclusiva allo Stato, ex art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., di disciplinare l’ambiente nella sua interezza, in quanto entità organica che inerisce ad un interesse pubblico di valore costituzionale primario ed assoluto; e che, pertanto, ad essa Regione sia consentito, in tale assetto di attribuzioni, soltanto di incrementare eventualmente i livelli della tutela ambientale, allorquando «essa costituisce esercizio di una competenza legislativa della Regione e non compromette un punto di equilibrio tra esigenze contrapposte espressamente individuato dalla norma dello Stato» (sentenze n. 145 del 2013, n. 66 del 2012 e n. 225 del 2009).

Ciò premesso, va rilevato che la Regione Umbria ha dato attuazione alla direttiva n. 85/337/CEE, come modificata dalla direttiva 3 marzo 1997, n. 97/11/CE (Direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 85/337/CEE concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati), con la legge della Regione Umbria 9 aprile 1998, n. 11 (Norme in materia di impatto ambientale), entrata in vigore il 23 aprile 1998, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 12. Da tale data, i progetti relativi ad attività di cava sono sottoposti a procedura di VIA, ovvero a verifica di assoggettabilità, anche secondo quanto disposto successivamente dalla legge della Regione Umbria 16 febbraio 2010, n. 12, recante «Norme di riordino e semplificazione in materia di valutazione ambientale strategica e valutazione di impatto ambientale, in attuazione dell’articolo 35 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale) e successive modificazioni ed integrazioni», che nell’abrogare la legge reg. n. 11 del 1998, ne ha mantenuto il contenuto precettivo conformandolo ed aggiornandolo anche alle sopravvenute norme statali in materia di tutela ambientale.

4.3.– A tale normativa regionale si aggiunge e si correla quella specificamente riguardante la disciplina delle attività di cava – originariamente posta dalla legge della Regione Umbria 8 aprile 1980, n. 28 (Coltivazione di cave e torbiere), integrata dalla legge della Regione Umbria 26 aprile 1985, n. 27 (Norme transitorie per l’esercizio delle attività di cava e integrazione della legge regionale 8 aprile 1980, n. 28) – di cui alla legge della Regione Umbria 3 gennaio 2000, n. 2 (Norme per la disciplina dell’attività di cava e per il riuso di materiali provenienti da demolizioni) come successivamente modificata ed integrata.

In particolare, la legge della Regione Umbria 29 dicembre 2003, n. 26 (Ulteriori modificazioni, nonché integrazioni, della legge regionale 3 gennaio 2000 n. 2. Norme per la disciplina dell’attività di cava e per il riuso di materiali provenienti da demolizioni), ha introdotto nella legge reg. n. 2 del 2000 l’art. 5-bis, il quale regolamenta una speciale procedura dell’accertamento dei giacimenti di cava, preliminare all’approvazione del progetto ed al successivo rilascio dell’autorizzazione (comma 1), nel cui àmbito si svolge anche, ove necessaria, la procedura di verifica di assoggettabilità a VIA (comma 7). Il procedimento di approvazione del progetto resta regolato dall’art. 7, anch’esso modificato dalla legge reg. n. 26 del 2003, che ne prevede la sospensione «nei casi in cui il progetto deve essere sottoposto alla procedura di VIA» (comma 5).

Sotto altro aspetto, va poi evidenziato che – diversamente dalla legge reg. n. 28 del 1980, che stabiliva la durata massima dell’attività di cava in venti anni, con possibilità di rinnovo a richiesta del titolare, da presentarsi almeno sei mesi prima della scadenza, con l’osservanza delle norme previste per il rilascio (art. 7), senza prevedere la possibilità di proroghe – l’art. 8 della legge reg. n. 2 del 2000, come modificato dalla legge reg. n. 26 del 2003, stabilisce che «Il termine massimo di durata dell’autorizzazione è fissato in anni dieci, prorogabile per non più di due anni nel solo caso in cui alla data prevista per la scadenza non siano state estratte le quantità autorizzate», e che «La domanda di proroga è inoltrata al Comune trenta giorni prima della data di scadenza, con indicazione delle quantità non estratte e dei tempi occorrenti per completare l’escavazione» (comma 4). Viceversa, le proroghe delle autorizzazioni rilasciate sotto il vigore della normativa precedente alla legge reg. n. 2 del 2000 sono disciplinate nell’art. 19, comma 6, della legge stessa, che non ha subito modifiche, e che prevede la possibilità di prosecuzione dell’attività alla scadenza per un periodo non superiore a due anni «per consentire l’estrazione della quantità massima di materiale di cava in banco autorizzata ovvero per le aree autorizzate».

4.4.– Ciò premesso (analogamente a quanto ritenuto nella sentenza n. 145 del 2013), anche in questo contesto erroneamente viene richiamata dal Governo ricorrente, a sostegno della illegittimità delle norme impugnate, la sentenza n. 67 del 2010, che si fonda sulla riscontrata illegittimità di normative regionali, le quali, nella materia de qua, avevano introdotto eccezionali ed automatiche “proroghe di diritto” per autorizzazioni all’esercizio di cave, rilasciate in assenza di procedure di VIA, e per di più già soggette a “rinnovi”, in una situazione dunque di sicuro contrasto con l’effetto utile della direttiva n. 85/337/CEE, perché manteneva «inalterato lo status quo, sostanzialmente sine die, superando qualsiasi esigenza di “rimodulare” i provvedimenti autorizzatori in funzione delle modifiche subite, nel tempo, dal territorio e dall’ambiente».

Al contrario, le norme impugnate (come quelle della Provincia autonoma di Trento scrutinate nella citata sentenza n. 145 del 2013) risultano immuni dai dedotti profili di incostituzionalità, potendo essere inquadrate, e doverosamente lette in senso costituzionalmente conforme, nel contesto (teso a dare sollecita ed effettiva attuazione alla direttiva n. 85/337/CEE) delle richiamate normative regionali in tema di regolamentazione della disciplina della valutazione di impatto ambientale e della attività di cava.

In particolare, come detto, le proroghe di cui ai commi 1 e 2 dell’articolo 5 della legge reg. n. 7 del 2012 (così come la proroga di cui all’art. 4, comma 1, della legge reg. n. 9 del 2010) risultano espressamente ed esclusivamente riferite (non già alle autorizzazioni rilasciate sotto il vigore della legge reg. n. 28 del 1980, senza il rispetto della normativa relativa alla VIA, disciplinate dalla specifica normativa di cui all’art. 19, comma 6, della legge reg. n. 2 del 2000, in alcun modo richiamata, neppure per implicito, dalle disposizioni oggetto di impugnazione), bensì alle autorizzazioni disciplinate dall’art. 8 della legge reg. n. 2 del 2000, per le quali la legge vuole che sia stata già espletata la procedura, con esito positivo, di valutazione di impatto ambientale (ovvero la verifica di assoggettabilità), anch’essa espressamente prevista (dall’art. 7, comma 5), quale condizione per la definizione del procedimento per l’approvazione del relativo progetto.

4.5.– D’altronde, va ritenuta in sé non censurabile la scelta del legislatore regionale (in una materia di competenza residuale) di disporre una mera posticipazione della durata dell’autorizzazione, per un tempo che deve ritenersi non incongruo ove commisurato alle contingenti reali esigenze degli operatori del settore, in considerazione della «crisi economica congiunturale che ha portato a drastiche riduzioni nella produzione di materiali considerato anche l’attuale periodo di contrazione del mercato» (come evidenziato nei lavori preparatori).

Questa si configura quale scelta che non contrasta con quanto disposto dall’art. 26, comma 6, del d.lgs. n. 152 del 2006, né con i princípi della direttiva n. 85/337/CEE.

Rilevato, infatti che (per espressa previsione) i termini di cui al richiamato comma 6 dell’art. 26 si applicano solo ai procedimenti avviati successivamente alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 16 gennaio 2008, n. 4 (Ulteriori disposizioni correttive ed integrative del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale), va comunque sottolineato che tale norma – nel porre la regola della realizzazione entro cinque anni dalla pubblicazione del provvedimento di valutazione dell’impatto ambientale dei progetti sottoposti alla fase di valutazione – tiene, pur sempre, conto delle “caratteristiche del progetto” perché possa stabilirsi un periodo più lungo, prevedendo contestualmente che, solo trascorso detto periodo, salvo proroga concessa, su istanza del proponente, dall’autorità che ha emanato il provvedimento, la procedura di valutazione dell’impatto ambientale debba essere reiterata.

Non si tratta, quindi, né di una proroga automatica atta ad eludere l’osservanza nell’esercizio della attività di cava della normativa di VIA (come nel caso della sentenza n. 67 del 2010), né di un rinnovo, anch’esso non autorizzabile, in virtù di quanto disposto dalla legislazione regionale vigente, se non previa riedizione del procedimento di VIA (v. in tal senso, sentenza n. 114 del 2012), ma di un mero allungamento dei termini per il completamento delle attività già autorizzate.

4.6.– Tale assetto normativo risulta dunque rispondente ai livelli di tutela ambientale perseguita dal d.lgs. n. 152 del 2006, in coerenza con la salvaguardia dello “effetto utile” (sentenza n. 67 del 2010) perseguito dalla direttiva comunitaria n. 85/337/CE (di cui la normativa statale costituisce attuazione), e quindi le norme censurate non vulnerano nessuno dei parametri evocati dal ricorrente.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

1)  dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 5, commi 1 e 2, della legge della Regione Umbria 4 aprile 2012, n. 7 (Disposizioni collegate alla manovra di bilancio 2012 in materia di entrate e di spese - Modificazioni ed integrazioni di leggi regionali), promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe, in riferimento all’art. 9 della Costituzione;

2)  dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5, commi 1 e 2, della medesima legge reg. Umbria n. 7 del 2012, promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe, in riferimento all’art. 117, commi primo e secondo, lettera s), Cost.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 ottobre 2013.

F.to:

Gaetano SILVESTRI, Presidente

Paolo GROSSI, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 24 ottobre 2013.