Sentenza n. 93 del 2013

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SENTENZA N. 93

ANNO 2013

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Franco                         GALLO                                            Presidente

-           Luigi                            MAZZELLA                                      Giudice

-           Gaetano                       SILVESTRI                                             

-           Sabino                         CASSESE                                                

-           Giuseppe                     TESAURO                                               

-           Paolo Maria                 NAPOLITANO                                       

-           Alessandro                  CRISCUOLO                                          

-           Paolo                           GROSSI                                                   

-           Giorgio                        LATTANZI                                              

-           Aldo                            CAROSI                                                   

-           Marta                           CARTABIA                                             

-           Sergio                          MATTARELLA                                       

-           Mario Rosario              MORELLI                                                

-           Giancarlo                     CORAGGIO                                            

 

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 2, comma 1, lettera c), 3, comma 4, 5, comma 1, lettera c), e comma 10, 8, comma 4, 9, comma 2, lettera d), 12, comma 1, lettere c) ed e), e 13, nonché degli allegati A1, A2, B1 e B2 nel loro complesso ed in specie degli allegati A1, punto n), A2, punto h), B1, punto 2h), B2, punti 7p) e 7q), della legge della Regione Marche 26 marzo 2012, n. 3 (Disciplina regionale della valutazione di impatto ambientale – VIA), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il 30 maggio-1° giugno 2012, depositato in cancelleria il 7 giugno 2012 ed iscritto al n. 87 del registro ricorsi 2012.

Udito nell’udienza pubblica del 26 febbraio 2013 il Giudice relatore Giuseppe Tesauro;

uditi l’avvocato dello Stato Vittorio Cesaroni per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Stefano Grassi per la Regione Marche.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso, spedito per la notifica il 30 maggio-1°giugno 2012, depositato nella cancelleria di questa Corte il successivo 7 giugno, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, in via principale, questione di legittimità costituzionale degli articoli 2, comma 1, lettera c), 3, comma 4, 5, comma 1, lettera c), e comma 10, 8, comma 4, 9, comma 2, lettera d), 12, comma 1, lettere c) ed e), 13, nonché degli allegati A1, A2, B1 e B2 nel loro complesso ed in specie degli allegati A1, punto n), A2, punto h), B1, punto 2h), B2, punti 7p) e 7q), della legge della Regione Marche 26 marzo 2012, n. 3 (Disciplina regionale della valutazione di impatto ambientale – VIA), in riferimento agli artt. 9 e 117, primo e secondo comma, lettera s), della Costituzione.

2.– Il ricorrente sostiene che alcune tra le norme introdotte con la citata legge n. 3 del 2012 della Regione Marche in materia di procedure di competenza regionale per la valutazione di impatto ambientale si prestino a censure di illegittimità costituzionale sotto diversi profili.

3.– Un primo gruppo di disposizioni della predetta legge regionale è censurato in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., poiché tali disposizioni conterrebbero una disciplina non conforme a quanto stabilito dalla direttiva 13 dicembre 2011, n. 2011/92/UE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati – codificazione) e, quindi, si porrebbero in contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost.

3.1.– Fra queste vi sarebbe, in primo luogo, l’art. 2, comma 1, lettera c), nella parte in cui definisce il progetto quale «insieme di elaborati tecnici concernenti la realizzazione di impianti opere o interventi», laddove la citata direttiva, all’art. 1, paragrafo 2, qualifica il progetto come «la realizzazione dei lavori di costruzione, di impianti od opere» ovvero di «altri interventi sull’ambiente naturale o sul paesaggio, compresi quelli destinati allo sfruttamento delle risorse del suolo». Sostiene il ricorrente che tali definizioni non siano equivalenti dal momento che la norma regionale confonderebbe la nozione di "progetto” con quella di "documentazione progettuale” (l’insieme degli elaborati tecnici) che deve essere preparata dal committente e trasmessa nel corso della procedura di VIA alle autorità competenti ed inoltre non comprenderebbe né i lavori di costruzione, ritenuti dalla normativa europea distinti dagli impianti, dalle opere e dagli altri interventi sull’ambiente e sul paesaggio, né gli interventi sull’ambiente e sul paesaggio destinati allo sfruttamento delle risorse del suolo.

3.2.– Il ricorrente impugna, altresì, gli allegati A1, A2, B1 e B2 nel loro complesso, nella parte in cui individuano i progetti assoggettati alla procedura di VIA, limitandosi a stabilire delle soglie di tipo dimensionale, senza tener conto degli altri criteri indicati dall’art. 4, paragrafo 3, della direttiva, fra i quali vi sono: 1) le caratteristiche dei progetti, che devono essere considerate tenendo conto, in particolare, delle loro dimensioni, del cumulo con altri progetti, dell’utilizzazione di risorse naturali, della produzione di rifiuti, dell’inquinamento e disturbi ambientali; 2) la localizzazione dei progetti, così che la sensibilità ambientale possa essere considerata tenendo conto, in particolare, dell’utilizzazione attuale del territorio e delle capacità di carico dell’ambiente naturale; 3) le caratteristiche dell’impatto potenziale, con riferimento, tra l’altro, all’area geografica e alla densità della popolazione interessata.

3.3.– Anche l’art. 3, comma 4, della citata legge regionale sarebbe in contrasto con la direttiva comunitaria 2011/92/UE, nella parte in cui stabilisce che le soglie dimensionali fissate per le attività produttive di cui agli allegati B1 e B2 sono incrementate del 30% quando: a) i progetti siano localizzati nelle aree produttive ecologicamente attrezzate, individuate ai sensi della legge regionale 23 febbraio 2005, n. 16 (Disciplina degli interventi di riqualificazione urbana e indirizzi per le aree produttive ecologicamente attrezzate); b) si tratti di progetti di trasformazione o ampliamento di impianti che abbiano ottenuto la registrazione EMAS ai sensi del Regolamento (CE) 19 marzo 2001, n. 761/2001 (Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sull’adesione volontaria delle organizzazioni a un sistema comunitario di ecogestione e audit – EMAS), sull’adesione volontaria delle organizzazioni a un sistema comunitario di ecogestione e audit; c) si tratti di progetti di trasformazione o ampliamento di impianti in possesso di certificazione ambientale UNI EN ISO 14001. Gli incrementi delle soglie dimensionali di cui agli allegati B1 e B2 non prenderebbero, infatti, in considerazione tutti gli elementi indicati nell’allegato III della direttiva, ma solo alcuni di essi (la localizzazione dei progetti oppure le caratteristiche inquinanti degli stessi), escludendo, tra l’altro, il cumulo con altri progetti, la sostenibilità ambientale delle aree geografiche e il loro impatto su zone di importanza storica, culturale o archeologica.

3.4.– Sono, inoltre, impugnati l’art. 8, comma 4, e l’art. 13 della citata legge regionale in quanto non contemplerebbero alcuni degli obblighi informativi previsti a carico del proponente dalla direttiva comunitaria 2011/92/UE, art. 6, paragrafo 2. In particolare, in contrasto con quanto prescritto dal predetto art. 6, paragrafo 2, della direttiva (che recepisce la Convenzione di Aarhus, ratificata dall’Unione europea il 17 febbraio 2005), l’art. 8, comma 4, della legge regionale n. 3 del 2012, non prevedrebbe nell’ambito della procedura di verifica di assoggettabilità a VIA, per il proponente, l’obbligo di specificare: i termini entro i quali potranno essere ottenute tutte le informazioni relative al progetto; le modalità con cui le informazioni sono rese disponibili al pubblico (orari di accesso agli uffici pubblici e possibilità di estrarne copia, scaricare file etc.); la natura delle possibili decisioni o l’eventuale progetto di decisione finale. L’art. 13 non contemplerebbe, tra le informazioni che devono essere pubblicate a cura del proponente, l’indicazione specifica del fatto che il progetto sia soggetto ad una procedura di VIA, i termini per l’acquisizione dei pareri da parte delle competenti amministrazioni, le modalità, i giorni e gli orari in cui tutte le informazioni relative alla procedura possono essere acquisite dal pubblico interessato, la natura delle possibili decisioni o l’eventuale progetto di decisione.

4.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna, inoltre, un altro complesso di disposizioni della medesima legge regionale n. 3 del 2012, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in quanto dette disposizioni sarebbero in contrasto con le norme statali di riferimento contenute nel decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale).

4.1.– In particolare, il ricorrente censura, in primo luogo, l’art. 5, comma 1, lettera c), in quanto esso, disciplinando i casi in cui l’intervento soggetto alla procedura di VIA deve acquisire anche l’autorizzazione integrata ambientale (AIA) e le autorità competenti per le due procedure coincidono, subordinerebbe l’unicità della pubblicazione e della consultazione del pubblico alla circostanza di una specifica evidenza dell’integrazione tra le procedure, in contrasto con l’obbligo di coordinamento delle procedure e di unicità della consultazione del pubblico di cui all’art. 10, comma 2, del d.lgs. 152 del 2006 e quindi in violazione della competenza statale esclusiva in materia di tutela dell’ambiente.

4.2.– Anche l’art. 9, comma 2, lettera d), della citata legge regionale sarebbe, poi, in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in quanto, limitando l’elenco dei documenti da allegare alla domanda per l’avvio della fase di consultazione con l’autorità e i soggetti competenti in materia ambientale, alle sole autorizzazioni ambientali, si porrebbe in contrasto con l’art. 21, comma 1, secondo periodo, del d.lgs. n. 152 del 2006, che invece prescrive che sia allegato «l’elenco delle autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri, nulla osta e assensi comunque denominati necessari alla realizzazione ed esercizio del progetto».

4.3.– Sono, inoltre, impugnati per violazione della competenza statale esclusiva in materia di tutela dell’ambiente: l’art. 12, comma 1, lettera c), in quanto, consentendo che la pubblicazione dell’avviso a mezzo stampa, che deve essere allegato alla domanda del proponente il progetto, ai fini della procedura di VIA, sia successiva alla presentazione della domanda stessa, si porrebbe in contrasto con l’art. 23, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, che impone, invece, che la pubblicazione a mezzo stampa sia contestuale alla predetta presentazione dell’istanza di VIA (sulla scia, peraltro, di quanto dichiarato nella sentenza n. 227 del 2011); l’art. 12, comma 1, lettera e), in quanto, limitando l’elenco dei documenti da allegare alla domanda di VIA alle sole autorizzazioni ambientali, si porrebbe in contrasto con l’art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006.

4.4.– Analoghe censure di illegittimità costituzionale vengono, poi, rivolte dal Presidente del Consiglio dei ministri nei confronti di disposizioni contenute in alcuni degli allegati alla indicata legge regionale n. 3 del 2012.

In particolare si tratta: dell’allegato A1, punto n), che esenta dalla sottoposizione a VIA regionale «le piccole utilizzazioni locali di cui all’art. 10, comma 7, del d.lgs. n. 22 del 2011» e cioè «gli impianti di potenza inferiore a 1 MW ottenibile dal fluido geotermico alla temperatura convenzionale dei reflui di 15 gradi centigradi geotermico e le utilizzazioni tramite sonde geotermiche», laddove la lettera v) dell’allegato III alla parte II del d.lgs. n. 152 del 2006 annovera, tra i progetti per cui la VIA è obbligatoria, tutti quelli riguardanti "le attività di coltivazione sulla terraferma degli idrocarburi liquidi e gassosi e delle risorse geotermiche”; dell’allegato A2, punto h), che include, tra quelle da sottoporre a VIA provinciale, la classe di progetto «elettrodotti per il trasporto di energia elettrica superiore a 100 kV con tracciato di lunghezza superiore a 10 km», laddove l’allegato III, lettera z), alla parte II del d.lgs. n. 152 del 2006 circoscrive l’obbligo di procedura di VIA ai soli progetti riguardanti «elettrodotti aerei con tensione nominale superiore a 100 kV con tracciato di lunghezza superiore a 10 km»; dell’allegato B1, punto 2h), che esclude dalle tipologie progettuali relative alle attività di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi in terraferma da sottoporre a verifica di assoggettabilità regionale i rilievi geofisici, in contrasto con quanto statuito dall’allegato IV, punto 2, lettera g), alla parte II del d.lgs. n. 152 del 2006 che non prevede eccezioni in merito ai progetti riguardanti l’attività di ricerca degli idrocarburi liquidi e gassosi in terraferma da sottoporre alla verifica di assoggettabilità di competenza delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano; dell’allegato B2, punto 7p), che include tra i progetti da sottoporre a verifica di assoggettabilità provinciale quelli attinenti a «impianti di smaltimento e recupero di rifiuti pericolosi, mediante operazioni di cui all’allegato B, lettere D2, D8 e da D13 a D15 ed all’allegato C, lettere da R2 a R9, della parte quarta del d.lgs. n. 152 del 2006, ad esclusione degli impianti che effettuano il recupero di diluenti e solventi esausti presso i produttori degli stessi purché le quantità trattate non superino i 100 l/giorno», laddove l’allegato IV, lettera z.a), alla parte II del d.lgs. n. 152 del 2006 non ammette alcuna esclusione in merito a siffatta classe progettuale; dell’allegato B2, punto 7q), il quale indica tra le tipologie progettuali da sottoporre a verifica di assoggettabilità provinciale gli «impianti di smaltimento e recupero di rifiuti non pericolosi, con capacità complessiva superiore a 10/t al giorno, mediante operazioni di cui all’allegato C, lettere da R1 a R9, della parte quarta del d.lgs. n. 152 del 2006, ad esclusione degli impianti mobili per il recupero in loco dei rifiuti non pericolosi provenienti dalle attività di costruzione e demolizione», in contrasto con l’allegato IV, punto 7, lettera z.b), alla parte II del d.lgs. n. 152 del 2006, che non pone eccezioni di sorta in relazione alla predetta tipologia di impianti.

5.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna, infine, l’art. 5, comma 10, della medesima legge regionale n. 3 del 2012 per violazione degli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost., in quanto, stabilendo che «il provvedimento di VIA comprende l’autorizzazione paesaggistica di cui all’art. 146 del d.lgs. n. 42 del 2004, ove necessaria», si porrebbe in contrasto con quanto stabilito dal Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della L. 6 luglio 2002, n. 137) che, all’art. 146, attribuisce allo Stato una funzione di rilievo in sede di autorizzazione, che si estrinseca nell’espressione del parere vincolante ai fini del rilascio da parte del sovrintendente, funzione che nella norma regionale verrebbe eliminata.

6.– Si è costituita nel giudizio la Regione Marche, in persona del Presidente pro tempore, che ha chiesto, sia nell’atto di costituzione che nella memoria depositata nell’imminenza dell’udienza pubblica, che sia dichiarata l’inammissibilità o, comunque, l’infondatezza delle censure prospettate nel ricorso.

In particolare, con riferimento alle censure promosse per violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., la Regione, con riguardo all’art. 2, comma 1, lettera c), ed all’art. 3, comma 4, ne sostiene l’infondatezza, escludendo l’esistenza del contrasto con la normativa UE, alla luce di una corretta lettura delle disposizioni impugnate. Quanto all’art. 2, comma 1, lettera c), infatti la resistente sostiene che la definizione di progetto in esso contenuta sia astrattamente comprensiva di tutti i progetti che abbiano ad oggetto la realizzazione di impianti, opere o interventi di qualunque genere, tipo, dimensione e con qualunque finalità, destinazione o impatto potenziale; senza contare, poi, che ciò che rileverebbe, ai fini della conformità dell’ordinamento interno agli obblighi UE in materia di VIA, non sarebbe l’astratta definizione di "progetto” utilizzata dalla normativa in questione, bensì che di tutte le tipologie di progetti contemplate negli allegati I e II della direttiva in esame sia assicurata da parte degli Stati membri l’effettiva sottoposizione (senza eccezioni) alla procedura di VIA vera o propria o alla verifica di assoggettabilità a VIA ai sensi dell’art. 4, paragrafi 1 e 2. Quanto, invece, all’art. 3, comma 4, il legislatore regionale avrebbe previsto l’incremento del 30% delle soglie dimensionali di cui agli allegati B1 e B2 ai fini della sottoposizione dei progetti a verifica di assoggettabilità, nell’esercizio del potere conferitogli dall’art. 6, comma 9, del d.lgs. n. 152 del 2006 e senza trascurare gli altri elementi di valutazione indicati nell’allegato III alla parte II della citata direttiva UE. Tali elementi sarebbero adeguatamente rappresentati "a monte” delle certificazioni EMAS o ISO 14001 e della definizione/individuazione delle "aree produttive ecologicamente attrezzate” di cui all’art. 14 della legge della Regione Marche 23 febbraio 2005, n. 16 (Disciplina degli interventi di riqualificazione urbana e indirizzi per le aree produttive ecologicamente attrezzate).

Con riguardo, poi, agli allegati A1, A2, B1 e B2 nel loro complesso ed agli artt. 8, comma 4, e 13, le censure prospettate sarebbero inammissibili o comunque infondate, posto che la Regione non ha una competenza costituzionalmente riconosciuta in materia e, con le disposizioni in questione, non avrebbe fatto altro che adeguarsi alla disciplina dettata dal legislatore statale, in ossequio a quanto stabilito dall’art. 35 del Codice dell’ambiente.

Nella memoria depositata nell’imminenza dell’udienza pubblica, la resistente rileva, poi, che la legge regionale 19 ottobre 2012, n. 30 (Individuazione delle aree non idonee all’installazione di impianti alimentati da biomasse o biogas e modifiche alla legge regionale 26 marzo 2012, n. 3 «Disciplina della procedura di valutazione di impatto ambientale»), ha provveduto ad introdurre modifiche sia all’art. 3 che all’allegato C della legge n. 3 del 2012, recanti l’esplicita previsione della necessità di tener conto, caso per caso ed indipendentemente dalle soglie dimensionali, di tutti i criteri di selezione dei progetti indicati nell’allegato III alla parte II della direttiva UE, come imposto dall’art. 4, paragrafo 3, della medesima. Pertanto, la Regione sostiene che, nella denegata ipotesi in cui la Corte non volesse accogliere le ragioni di inammissibilità e/o infondatezza delle censure indicate, già esposte nel ricorso introduttivo, con riferimento all’art. 3, comma 4, ed agli allegati, ricorrerebbero le condizioni per una dichiarazione di cessazione in parte qua della materia del contendere, tenuto conto che lo ius superveniens, oltre ad essere satisfattivo delle pretese del ricorrente in una parte (e cioè limitatamente ai progetti di cui agli allegati B1 e B2 da sottoporre a verifica di assoggettabilità), sarebbe "naturalmente retroattivo”.

Anche le censure proposte in relazione alla dedotta violazione della competenza statale esclusiva in materia di tutela dell’ambiente sarebbero, sostanzialmente, prive di fondamento.

Alcune di esse sarebbero infondate perché sarebbe possibile una lettura delle disposizioni censurate conforme alla normativa statale di riferimento, complessivamente considerata: è il caso dell’art. 5, comma 1, lettera c) che avrebbe proprio il fine di assicurare, in concreto, il corretto adempimento dell’obbligo di unicità della consultazione del pubblico, essendo le specifiche modalità da esso prescritte funzionali a garantire la piena consapevolezza, da parte del pubblico, che tale consultazione avrà efficacia ai fini di entrambi i provvedimenti integrati nell’unico provvedimento di VIA; dell’allegato A1, punto n), che non avrebbe fatto altro che dare una rigorosa e fedele attuazione proprio della norma statale testualmente richiamata dal legislatore marchigiano e cioè dell’art. 10, comma 7, del d.lgs. n. 22 del 2010; dell’allegato B1, punto 2h), in quanto i rilievi geofisici non costituirebbero di per sé quella «attività di ricerca di idrocarburi» contemplata dalla norma statale, ma solo «operazioni prodromiche e preliminari del tutto autonome e finalizzate al solo scopo di individuare le caratteristiche geo-fisiche del terreno necessarie a valutare se e in che termini possa essere elaborato e messo a punto un progetto di attività di ricerca»; dell’allegato B2, punti 7p) e 7q), in quanto troverebbero il loro fondamento di validità nell’art. 6, comma 9, del medesimo d.lgs. n. 152 del 2006 che attribuisce alle Regioni il potere di «determinare, per specifiche categorie progettuali o in particolari situazioni ambientali e territoriali, sulla base degli elementi di cui all’allegato V, criteri o condizioni di esclusione dalla verifica di assoggettabilità».

L’infondatezza delle censure sollevate nei confronti dell’art. 9, comma 2, lettera d), e dell’art. 12, comma 1, lettera e), si desumerebbe, poi, in riferimento all’erroneità del parametro invocato; mentre di quelle rivolte all’allegato A2, punto h), dalla considerazione che le disposizioni in esso contenute, costituendo esercizio delle competenze regionali concorrenti in materia di energia e di governo del territorio, realizzerebbero una evidente legittima maggiore tutela dell’ambiente e del territorio.

Solo con riferimento alla questione promossa nei confronti dell’art. 12, comma 1, lettera c), della citata legge regionale, la Regione "prende atto” che una questione analoga è stata già affrontata e decisa da questa Corte nella sent. n. 227 del 2011 nel senso dell’accoglimento.

Infine, la Regione sostiene che siano infondate anche le censure di violazione degli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost. mosse nei confronti dell’art. 5, comma 10, posto che la norma regionale in esame, lungi dal porsi in contrasto con la normativa statale, costituirebbe mero recepimento di quanto disposto dall’art. 26, comma 4, del medesimo Codice dell’ambiente.

7.– All’udienza pubblica le parti hanno insistito per l’accoglimento delle conclusioni svolte nelle difese scritte.

Considerato in diritto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri dubita della legittimità costituzionale di numerose disposizioni della legge della Regione Marche 26 marzo 2012, n. 3 (Disciplina regionale della valutazione di impatto ambientale – VIA), la quale reca la disciplina delle procedure di competenza regionale per la valutazione di impatto ambientale.

Un primo gruppo di disposizioni della citata legge regionale (l’art. 2, comma 1, lettera c, gli allegati A1, A2, B1, B2, l’art. 3, comma 4, l’art. 8, comma 4, e l’art. 13) è censurato in riferimento all’art. 117, primo comma, della Costituzione: tali disposizioni conterrebbero, infatti, una disciplina non conforme a quanto stabilito dalla direttiva 13 dicembre 2011, n. 2011/92/UE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati – codificazione) e quindi lesiva dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario, che gravano allo stesso modo sul legislatore regionale e su quello statale.

1.1.– In particolare, in primo luogo, viene impugnato l’art. 2, comma 1, lettera c), della predetta legge regionale, nella parte in cui, definendo il progetto quale «insieme di elaborati tecnici concernenti la realizzazione di impianti opere o interventi», si porrebbe in contrasto con la citata direttiva che, all’art.1, paragrafo 2, qualifica il progetto come «la realizzazione dei lavori di costruzione, di impianti od opere» ovvero di «altri interventi sull’ambiente naturale o sul paesaggio, compresi quelli destinati allo sfruttamento delle risorse del suolo». Tali definizioni non sarebbero equivalenti dal momento che la norma regionale, confondendo peraltro la nozione di "progetto” con quella di "documentazione progettuale” (l’insieme degli elaborati tecnici), non comprenderebbe né i lavori di costruzione, né gli interventi sull’ambiente e sul paesaggio destinati allo sfruttamento delle risorse del suolo.

1.1.1.– La questione non è fondata.

Con la richiamata direttiva 2011/92/UE si è provveduto a consolidare in un unico testo normativo le diverse modifiche apportate alla direttiva 27 giugno 1985, n. 85/337/CEE (Direttiva del Consiglio concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati), che ha sancito il principio generale, vincolante tutti gli Stati membri, della necessità di limitare e controllare, sin dalla fase della presentazione e della redazione, i possibili impatti ambientali che taluni progetti possono provocare sull’ambiente, attraverso lo strumento della VIA. A tale scopo la citata direttiva identifica (negli allegati I e II) le tipologie di progetti ritenuti idonei a generare un impatto ambientale importante o che possano rivelarsi tali, per le quali quindi si riveli la necessità della sottoposizione a VIA o, comunque, di una verifica relativa alla loro assoggettabilità a VIA. Ai fini della conformità dell’ordinamento interno agli obblighi UE in materia di VIA, ciò che rileva non è il recepimento letterale della definizione di progetto contenuta nella disposizione della direttiva, quanto piuttosto che di tutte le tipologie di progetti contemplate negli allegati I e II della direttiva in esame – e comprensive della «realizzazione dei lavori di costruzione, di impianti od opere» ovvero di «altri interventi sull’ambiente naturale o sul paesaggio, compresi quelli destinati allo sfruttamento delle risorse del suolo» (art. 1, paragrafo 2) – sia assicurata, da parte degli Stati membri, l’effettiva sottoposizione (senza eccezioni) alla procedura di VIA vera o propria o alla verifica di assoggettabilità a VIA ai sensi dell’art. 4, paragrafi 1 e 2, della predetta direttiva.

In questa prospettiva, la definizione di progetto recata dalla norma regionale impugnata, in quanto generale ed astratta, risulta compatibile con la definizione comunitaria, nella parte in cui, qualificando come "progetto” l’«insieme di elaborati tecnici concernenti la realizzazione di impianti opere o interventi», implicitamente include, nel generico riferimento agli interventi, sia la realizzazione di lavori di costruzione, riconducibili alle opere, che quella di interventi sull’ambiente naturale e sul paesaggio.

1.2.– Vengono, poi, impugnati gli allegati A1, A2, B1 e B2 alla citata legge regionale n. 3 del 2012, considerati nel loro complesso, nelle parti in cui, determinando i criteri per l’individuazione dei progetti assoggettati alla procedura di VIA, si limitano a stabilire delle soglie di tipo dimensionale al di sotto delle quali i progetti non sono assoggettabili alla citata procedura. Tali previsioni si porrebbero in contrasto con l’art. 4, paragrafo 3, della direttiva 2011/92/UE che, invece, fra i criteri per l’individuazione dei progetti assoggettati alla procedura di VIA, oltre a quello della dimensione, ne individua altri, che sono: le caratteristiche dei progetti, che devono essere considerate tenendo conto, in particolare, oltre che delle loro dimensioni, del cumulo con altri progetti, dell’utilizzazione di risorse naturali, della produzione di rifiuti, dell’inquinamento e disturbi ambientali; la localizzazione dei progetti, così che la sensibilità ambientale possa essere considerata tenendo conto, in particolare, dell’utilizzazione attuale del territorio e delle capacità di carico dell’ambiente naturale; le caratteristiche dell’impatto potenziale, con riferimento tra l’altro, all’area geografica ed alla densità della popolazione interessata.

1.2.1.– In via preliminare, occorre pronunciarsi sulla richiesta di dichiarare cessata la materia del contendere, presentata dalla Regione Marche, in considerazione delle sopravvenienze legislative. Infatti, successivamente alla proposizione del ricorso, con la legge 19 ottobre 2012, n. 30 (Individuazione delle aree non idonee all’installazione di impianti alimentati da biomasse o biogas e modifiche alla legge regionale 26 marzo 2012, n. 3 "Disciplina della procedura di valutazione di impatto ambientale”), la predetta Regione ha provveduto ad introdurre modifiche sia all’art. 3 che all’allegato C della legge regionale n. 3 del 2012, recanti l’esplicita previsione della necessità di tener conto, caso per caso ed indipendentemente dalle soglie dimensionali, di tutti i criteri di selezione dei progetti indicati negli allegati della citata direttiva UE, ai fini dell’individuazione dei progetti da sottoporre a VIA, come imposto dall’art. 4, paragrafo 3, della medesima direttiva. Considerato che le richiamate modifiche hanno natura satisfattiva della pretesa avanzata con il ricorso, lo ius superveniens potrebbe consentire a questa Corte di accogliere l’istanza della Regione e di dichiarare cessata la materia del contendere qualora la normativa impugnata non avesse trovato medio tempore applicazione.

1.2.2.– Non vi è, tuttavia, alcuna dimostrazione del fatto che la normativa impugnata non abbia avuto, medio tempore, applicazione, mentre deve rilevarsi che la stessa contiene previsioni dotate di immediata efficacia: pertanto, deve affermarsi che non ricorrono, nella specie, le condizioni richieste dalla giurisprudenza di questa Corte perché possa essere dichiarata la cessazione della materia del contendere (ex plurimis, sentenze n. 245 del 2012, n. 235, n. 153 e n. 89 del 2011).

1.2.3.– Nel merito, la questione è fondata.

Dalla citata direttiva UE discende un preciso obbligo gravante su tutti gli Stati membri di assoggettare a VIA non solo i progetti indicati nell’allegato I, ma anche i progetti descritti nell’allegato II, qualora si rivelino idonei a generare un impatto ambientale importante, all’esito della procedura di c.d. screening. Tale screening deve essere effettuato avvalendosi degli specifici criteri di selezione definiti nell’allegato III della stessa direttiva e concernenti, non solo la dimensione, ma anche altre caratteristiche dei progetti (il cumulo con altri progetti, l’utilizzazione di risorse naturali, la produzione di rifiuti, l’inquinamento ed i disturbi ambientali da essi prodotti, la loro localizzazione e il loro impatto potenziale con riferimento, tra l’altro, all’area geografica e alla densità della popolazione interessata). Tali caratteristiche sono, insieme con il criterio della dimensione, determinanti ai fini della corretta individuazione dei progetti da sottoporre a VIA o a verifica di assoggettabilità nell’ottica dell’attuazione dei principi di precauzione e di azione preventiva (considerando n. 2) ed in vista della protezione dell’ambiente e della qualità della vita (considerando n. 4).

In attuazione del predetto obbligo comunitario, che grava sul legislatore regionale come su quello statale ai sensi dell’art. 117, primo comma, Cost., gli allegati A1, A2, B1 e B2 alla citata legge regionale n. 3 del 2012 identificano le "tipologie progettuali” da sottoporre, rispettivamente, a VIA regionale (allegato A1) e provinciale (allegato A2), nonché a verifica di assoggettabilità regionale (allegato B1) e provinciale (allegato B2). Tuttavia, i predetti allegati contengono elenchi puntuali e tassativi di progetti sottoposti a VIA regionale e provinciale o a verifica di assoggettabilità regionale e provinciale molti dei quali sono individuati in base al solo criterio dimensionale, senza che vi sia alcuna disposizione (come quelle, peraltro, introdotte all’art. 3 ed all’allegato C della medesima legge regionale n. 3 del 2012, solo a seguito della proposizione del ricorso, con la già richiamata legge regionale n. 30 del 2012) che imponga di tener conto, caso per caso, in via sistematica, anche degli altri criteri di selezione dei progetti, tassativamente prescritti negli allegati alla citata direttiva UE, come imposto dall’art. 4, paragrafo 3, della medesima.

La mancata considerazione dei predetti criteri della direttiva UE pone la normativa regionale impugnata in evidente contrasto con le indicazioni comunitarie.

Deve, pertanto, dichiararsi l’illegittimità costituzionale degli allegati A1, A2, B1 e B2 alla citata legge regionale n. 3 del 2012, nella parte in cui, nell’individuare i criteri per identificare i progetti da sottoporre a VIA regionale o provinciale ed a verifica di assoggettabilità regionale o provinciale, non prevedono che si debba tener conto, caso per caso, di tutti i criteri indicati nell’allegato III della stessa direttiva UE, come prescritto dall’art. 4, paragrafo 3, della medesima.

1.3.– Analoghe censure sono, inoltre, rivolte all’art. 3, comma 4, della citata legge regionale n. 3 del 2012, nella parte in cui stabilisce che «per le attività produttive, le soglie dimensionali di cui agli allegati B1 e B2 sono incrementate del 30% nei seguenti casi: a) progetti localizzati nelle aree produttive ecologicamente attrezzate, individuate ai sensi della legge regionale 23 febbraio 2005, n. 16 (Disciplina degli interventi di riqualificazione urbana e indirizzi per le aree produttive ecologicamente attrezzate); b) progetti di trasformazione o ampliamento di impianti che abbiano ottenuto la registrazione EMAS ai sensi del Regolamento (CE) 19 marzo 2001, n. 761, sull’adesione volontaria delle organizzazioni a un sistema comunitario di ecogestione e audit; c) progetti di trasformazione o ampliamento di impianti in possesso di certificazione ambientale UNI EN ISO 14001». Tale norma, infatti, ai fini dell’individuazione dei progetti da sottoporre a verifica di assoggettabilità a VIA, prenderebbe in considerazione solo alcuni dei criteri indicati nell’allegato III della direttiva 2011/92/UE (e cioè la localizzazione dei progetti oppure le caratteristiche inquinanti degli stessi) e non terrebbe, invece, conto degli altri, pure in detto allegato prescritti (fra cui il cumulo con altri progetti, la sostenibilità ambientale delle aree geografiche e il loro impatto su zone di importanza storica, culturale o archeologica), in violazione della medesima direttiva.

1.3.1.– Occorre premettere che, anche in tal caso, la Regione Marche ha chiesto di dichiarare cessata la materia del contendere in considerazione dello ius superveniens. A seguito della proposizione del ricorso, la Regione Marche ha, infatti, come si è già ricordato, modificato la legge regionale n. 3 del 2012, in specie introducendo, con la legge regionale n. 30 del 2012, un comma 1-bis all’art. 3, nel quale si è espressamente stabilito che tutti i progetti di cui agli allegati B1 e B2, indipendentemente dalle soglie dimensionali, sono comunque sottoposti a verifica di assoggettabilità a VIA «qualora producano impatti significativi e negativi sull’ambiente, da valutarsi sulla base dei criteri di cui all’allegato C». Tenuto conto della natura satisfattiva della pretesa avanzata con il ricorso, attribuibile alla modifica introdotta, occorre verificare se, nella specie, sussista l’altro requisito richiesto dalla giurisprudenza di questa Corte perché possa dichiararsi la cessazione della materia del contendere e cioè la mancata applicazione, medio tempore, delle norme originariamente impugnate.

Come già affermato al paragrafo 1.2.2., lo ius superveniens non consente alla Corte di dichiarare cessata la materia del contendere, dal momento che la normativa di cui all’art. 3, comma 4, della legge regionale n. 3 del 2012 era di immediata efficacia e non risulta alcuna prova che essa non abbia avuto nel frattempo applicazione.

1.3.2.– Nel merito, la questione non è fondata.

Nella direttiva 2011/92/UE è stabilito che, con riguardo ai progetti che possono avere ripercussioni di rilievo sull’ambiente (considerando n. 9 e n. 10), spetta agli Stati membri fissare soglie o criteri ed esaminare caso per caso i progetti «per stabilire quali di questi debbano essere sottoposti a valutazione a seconda dell’entità del loro impatto ambientale». Ciò però deve avvenire sulla base «dei pertinenti criteri di selezione contenuti nella presente direttiva» (considerando n. 11), individuati nell’allegato III (art. 4, paragrafo 3), fra i quali vi sono, come si è già ricordato (supra 1.2.3.), le caratteristiche dei progetti, comprensive oltre che delle dimensioni del progetto, del cumulo con altri progetti, dell’utilizzazione di risorse naturali, della produzione di rifiuti, dell’inquinamento e dei disturbi ambientali da essi prodotti, del rischio di incidenti, oltre che della loro localizzazione e del loro impatto potenziale.

La norma regionale impugnata, in relazione ai progetti inerenti alle attività produttive, eleva le soglie dimensionali già fissate negli allegati B1 e B2 con esclusivo riguardo a tre distinte categorie dei medesimi progetti. Tali categorie sono oggetto di una disciplina specifica che è riferita, per un caso (sub a), ai progetti inerenti alle cosiddette aree ecologicamente attrezzate ed è contenuta nell’art. 14 della legge regionale 23 febbraio 2005, n. 16 (Disciplina degli interventi di riqualificazione urbana e indirizzi per le aree produttive ecologicamente attrezzate), per gli altri due (sub b e c), ai progetti di trasformazione o ampliamento di impianti che abbiano ottenuto la registrazione EMAS o la certificazione ambientale UNI EN ISO 14001, come stabilito dal Regolamento (CE) 19 marzo 2001, n. 761/2001 (Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sull’adesione volontaria delle organizzazioni a un sistema comunitario di ecogestione e audit – EMAS). Per tutte e tre le categorie di progetti la disciplina specifica alla quale si fa rinvio contiene il riferimento ad una serie di requisiti urbanistico-territoriali ed edilizi dei progetti che soddisfano tutti i criteri prescritti dalla direttiva 2011/92/UE (ad esempio, il citato art. 14 della legge regionale n. 14 del 2005 definisce «aree produttive ecologicamente attrezzate quelle aree destinate ad attività industriali, artigianali e commerciali dotate di requisiti urbanistico-territoriali, edilizi ed ambientali di qualità, nonché di infrastrutture, sistemi tecnologici e servizi caratterizzati da forme di gestione unitaria, atti a garantire un efficiente utilizzo delle risorse naturali ed il risparmio energetico»; la certificazione EMAS e la certificazione UNI EN ISO 14001 sono rilasciate, ai sensi del richiamato Regolamento (CE) n. 761 del 2001, proprio in vista della necessità di assicurare l’impiego di sistemi di gestione ambientale volti a controllare e contenere costantemente l’impatto ambientale diretto ed indiretto delle attività).

Deve, pertanto, ritenersi che il legislatore regionale, nell’individuare i progetti da sottoporre a verifica di assoggettabilità a VIA all’interno delle tre specifiche categorie contemplate dall’art. 3, comma 4, abbia tenuto conto non solo delle dimensioni dei medesimi, ma anche di tutti gli altri criteri indicati dalla citata direttiva comunitaria, elevando le soglie dimensionali fissate, in generale, dagli allegati B1 e B2, per tutte le altre attività produttive, proprio in considerazione delle specifiche caratteristiche ambientali dei medesimi progetti ivi indicati.

1.4.– Sono, poi, censurati, in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., anche gli artt. 8, comma 4, e 13, della citata legge regionale n. 3 del 2012, in quanto non contemplerebbero alcuni degli obblighi informativi previsti a carico del proponente dalla direttiva comunitaria 2011/92/UE all’art. 6, paragrafo 2. In particolare, l’uno (art. 8, comma 4) non prevedrebbe nell’ambito della procedura di verifica di assoggettabilità a VIA, per il proponente, l’obbligo di specificare: i termini entro i quali potranno essere ottenute tutte le informazioni relative al progetto; le modalità con cui le informazioni sono rese disponibili al pubblico (orari di accesso agli uffici pubblici e possibilità di estrarne copia, scaricare file etc.); la natura delle possibili decisioni o l’eventuale progetto di decisione finale. L’altro (art. 13) non contemplerebbe, tra le informazioni che devono essere pubblicate a cura del proponente: l’indicazione specifica del fatto che il progetto sia soggetto ad una procedura di VIA; i termini per l’acquisizione del parere da parte delle competenti amministrazioni; le modalità, i giorni e gli orari in cui tutte le informazioni relative alla procedura possono essere acquisite dal pubblico interessato; la natura delle possibili decisioni o l’eventuale progetto di decisione.

1.4.1.– La questione è fondata.

Fin dalla entrata in vigore della direttiva 85/337/CEE, gravava sugli Stati membri, fra gli altri, l’obbligo di garantire trasparenza e informazione e la possibilità effettiva di partecipazione del "pubblico interessato” alle attività decisionali in materia ambientale. Il 25 giugno 1998 la Comunità europea ha sottoscritto la convenzione UN/ECE sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale («Convenzione di Aarhus»), ratificata il 17 febbraio 2005. Ad essa fa espressamente riferimento la direttiva 2011/92/UE, che, al considerando n. 19, ricorda come tra gli obiettivi della predetta Convenzione vi sia quello di «garantire il diritto di partecipazione del pubblico alle attività decisionali in materia ambientale, per contribuire a tutelare il diritto di vivere in un ambiente adeguato ad assicurare la salute e il benessere delle persone». A tale scopo, la predetta direttiva prescrive all’art. 6, paragrafo 2, che il pubblico sia informato, attraverso pubblici avvisi oppure in altra forma adeguata, «in una fase precoce delle procedure decisionali in materia ambientale […] e, al più tardi, non appena sia ragionevolmente possibile fornire le informazioni» su una serie di aspetti concernenti, fra l’altro: a) la domanda di autorizzazione; b) il fatto che il progetto sia soggetto a una procedura di valutazione dell’impatto ambientale; c) le autorità competenti responsabili dell’adozione della decisione, quelle da cui possono essere ottenute le informazioni in oggetto, quelle cui possono essere presentate osservazioni o quesiti, nonché i termini per la trasmissione di osservazioni o quesiti; d) la natura delle possibili decisioni o l’eventuale progetto di decisione; e) la disponibilità delle informazioni; f) i tempi ed i luoghi in cui possono essere ottenute le informazioni in oggetto e le modalità alle quali esse sono rese disponibili; g) le modalità precise della partecipazione del pubblico. Al fine di assicurare l’adempimento dei prescritti obblighi informativi, la medesima direttiva precisa espressamente, inoltre, che «gli Stati membri stabiliscono le modalità dettagliate di informazione del pubblico (ad esempio mediante affissione entro una certa area o mediante pubblicazione nei giornali locali)» (art. 6, paragrafo 5).

Le norme regionali impugnate, lungi dallo stabilire modalità dettagliate di attuazione dei predetti obblighi informativi, si limitano a prevedere che il proponente un progetto – il quale provvede, a proprie spese, a pubblicare nel BUR e nell’albo pretorio dei Comuni interessati, nonché su un quotidiano a diffusione regionale l’avviso contenente le informazioni da fornire al pubblico – indichi in tale avviso soltanto i propri dati identificativi, la localizzazione del progetto e una sommaria descrizione delle sue finalità, caratteristiche e dimensionamento, i luoghi di deposito della documentazione relativa al progetto, nonché il termine entro il quale è possibile presentare osservazioni.

Esse, pertanto, omettendo di indicare, fra gli obblighi informativi oggetto del predetto avviso, quello di fornire una serie di ulteriori informazioni rilevanti, si pongono in contrasto con le indicazioni recate dalla norma della direttiva, violando in tal modo gli specifici obblighi che discendono da essa e vincolano il legislatore regionale come quello statale ai sensi dell’art. 117, primo comma, Cost.

Deve, pertanto, essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma 4, e dell’art. 13 della legge regionale n. 3 del 2012 nella parte in cui non prevedono, nell’ambito della procedura di verifica di assoggettabilità a VIA, per il proponente, l’obbligo di specificare tutte le informazioni prescritte dall’art. 6, paragrafo 2, della direttiva 2011/92/UE .

2.– Un secondo gruppo di norme della legge regionale n. 3 del 2012 [l’art. 5, comma 1, lettera c), l’art. 9, comma 2, lettera d), l’art. 12, comma 1, lettere c) ed e), nonché l’allegato A1, punto n), l’allegato A2, punto h), l’allegato B1, punto 2h), l’allegato B2, punti 7p) e 7q)] è, poi, impugnato in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.: dette norme recherebbero una disciplina difforme rispetto a quella stabilita dal legislatore statale con il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale) e quindi violerebbero la competenza statale esclusiva in materia di tutela dell’ambiente.

2.1.– Occorre premettere che la disciplina della VIA – come già più volte affermato da questa Corte – deve essere ricondotta, in via prevalente, alla materia della tutela dell’ambiente, di competenza esclusiva statale, in quanto riguarda «procedure che valutano in concreto e preventivamente la sostenibilità ambientale» (sentenza n. 225 del 2009). Pertanto, le Regioni sono tenute, per un verso, nell’esercizio delle loro competenze che interferiscano con la tutela dell’ambiente, a rispettare i livelli omogenei di tutela dell’ambiente posti dallo Stato, potendo solo – eventualmente ed in via indiretta – determinare una elevazione degli stessi; per altro verso, devono «mantenere la propria legislazione negli ambiti di competenza fissati dal Codice dell’ambiente, nella specie quanto al procedimento di VIA» (sentenza n. 186 del 2010; v. anche sentenza n. 227 del 2011), tenuto anche conto dell’obbligo di adeguamento alle disposizioni del medesimo Codice, fissato in via generale dall’art. 35, nei confronti delle Regioni.

3.– Poste tali premesse, si può passare all’esame delle singole censure prospettate in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

3.1.– In particolare, il ricorrente impugna, in primo luogo, l’art. 5, comma 1, lettera c), in quanto esso, disciplinando i casi in cui l’intervento soggetto alla procedura di VIA deve acquisire anche l’autorizzazione integrata ambientale (AIA) e le autorità competenti per le due procedure coincidono, subordinerebbe l’unicità della pubblicazione e della consultazione del pubblico alla circostanza di una specifica evidenza dell’integrazione tra le procedure, in contrasto con l’obbligo di coordinamento delle procedure e di unicità della consultazione del pubblico di cui all’art. 10, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006.

3.1.1.– La questione non è fondata.

L’art. 10, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, intitolato «Norme per il coordinamento e la semplificazione dei procedimenti» stabilisce che, per i progetti per i quali la valutazione d’impatto ambientale spetti a Regioni e Province autonome, la procedura per il rilascio di autorizzazione integrata ambientale deve essere coordinata nell’ambito del procedimento di VIA. A questo scopo è «in ogni caso disposta l’unicità della consultazione del pubblico per le due procedure» e si prevede altresì che, «se l’autorità competente in materia di VIA coincide con quella competente al rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale, le disposizioni regionali e delle province autonome possono prevedere che il provvedimento di valutazione d’impatto ambientale faccia luogo anche di quella autorizzazione».

La norma regionale impugnata, nella parte in cui prevede che «sia data specifica evidenza dell’integrazione tra le procedure suddette» affinché «la pubblicazione e la consultazione del pubblico effettuate ai fini della VIA» siano considerate «valide anche ai fini della procedura di AIA», lungi dal determinare la violazione dell’obbligo di unicità della consultazione del pubblico – imposto dalla normativa statale – assolve proprio al fine di assicurare in concreto il più corretto adempimento di quell’obbligo, imponendo che il pubblico sia reso consapevole che la consultazione unica avrà efficacia ai fini di entrambi i provvedimenti integrati nel provvedimento di VIA.

3.2.– Viene, inoltre, fatto oggetto di censure l’art. 9, comma 2, lettera d), della medesima legge regionale nella parte in cui, limitando l’elenco dei documenti da allegare alla domanda per l’avvio della fase di consultazione con l’autorità e i soggetti competenti in materia ambientale, alle sole autorizzazioni ambientali, si porrebbe in contrasto con l’art. 21, comma 1, secondo periodo, del d.lgs. n. 152 del 2006, che prescrive, invece, che sia allegato «l’elenco delle autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri, nulla osta e assensi comunque denominati necessari alla realizzazione ed esercizio del progetto».

3.2.1.– La questione non è fondata con riguardo al parametro invocato.

La norma regionale impugnata indica, tra i documenti che il proponente il progetto deve allegare alla domanda per l’avvio della fase di consultazione con l’autorità e i soggetti competenti in materia ambientale, l’elenco di tutte le «autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri, nulla osta e assensi comunque denominati in materia ambientale, necessari alla realizzazione e all’esercizio del progetto»: anche ove si volesse sostenere che essa escluda dal novero degli atti da inserire nell’elenco gli assensi comunque denominati non pertinenti alla materia ambientale, non si determinerebbe alcuna riduzione degli standard e dei livelli uniformi di tutela ambientale e quindi alcuna violazione della competenza statale in materia di tutela dell’ambiente, potendo detta norma regionale al più incidere su materie e competenze diverse.

3.3.– È, poi, impugnato l’art. 12, comma 1, lettera c), della legge regionale n. 3 del 2012, nella parte in cui, prescrivendo al proponente il progetto di corredare la domanda da presentare all’autorità competente con la copia dell’avviso da pubblicare a mezzo stampa, si porrebbe in contrasto con l’art. 23, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, che impone, invece, che la pubblicazione a mezzo stampa sia contestuale alla presentazione dell’istanza di VIA.

3.3.1.– La questione è fondata.

La norma regionale impugnata, stabilendo che il proponente il progetto presenti apposita domanda all’autorità competente, allegando, fra l’altro, copia dell’avviso ancora da pubblicare a mezzo stampa, contrasta in maniera evidente con quanto statuito dall’art. 23, comma 1, del codice dell’ambiente, che viceversa impone che ad essere allegata alla domanda sia copia dell’avviso a mezzo stampa, il quale, in base a quanto espressamente statuito dall’art. 24, comma 1, del medesimo codice, deve essere pubblicato contestualmente alla presentazione dell’istanza.

Questa Corte ha già avuto occasione di rilevare che «tale difformità, non determinando una miglior tutela ambientale, ed anzi ritardando la pubblica conoscenza del procedimento iniziato, è suscettibile di ritardare per ciò stesso la possibilità di partecipazione e decisione informata del procedimento medesimo e, quindi, di tutelare con minore efficacia il bene dell’ecosistema, a presidio del quale il legislatore statale, nell’ambito della propria competenza, ha dettato la menzionata disciplina» (sentenza n. 227 del 2011).

Deve, pertanto, dichiararsi l’illegittimità costituzionale dell’art. 12, comma 1, lettera c), della legge regionale n. 3 del 2012, nella parte in cui prevede che il proponente il progetto possa provvedere alla pubblicazione dell’avviso a mezzo stampa dopo la presentazione della domanda stessa e non debba, invece, farlo contestualmente ad essa.

3.4.– Anche l’art. 12, comma 1, lettera e), è impugnato in quanto, limitando l’elenco dei documenti da allegare alla domanda di VIA alle sole autorizzazioni ambientali, si porrebbe in contrasto con l’art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, che viceversa prescrive che sia allegato «l’elenco delle autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri, nulla osta e assensi comunque denominati, già acquisiti o da acquisire ai fini della realizzazione e dell’esercizio dell’opera o intervento».

3.4.1.– La questione non è fondata con riguardo al parametro invocato.

Come con riferimento alle censure sollevate nei riguardi dell’art. 9, comma 2, lettera d), della medesima legge regionale (supra, punto 3.2.1.), anche in tal caso occorre rilevare che l’art. 12, comma 1, lettera e), stabilisce che «ai fini dello svolgimento della procedura di VIA», il proponente alleghi alla domanda tutte le «autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri, nulla osta e assensi comunque denominati, necessari ai fini della realizzazione e dell’esercizio dell’opera o intervento e dei relativi soggetti competenti in materia ambientale». Anche a ritenere che la norma regionale in esame non ricomprenda nel novero degli atti da inserire nell’elenco gli assensi comunque denominati non pertinenti alla materia ambientale, non si determinerebbe alcuna riduzione degli standard e dei livelli uniformi di tutela ambientale e quindi alcuna violazione della competenza statale in materia di tutela dell’ambiente, potendo detta norma regionale eventualmente incidere su materie e competenze diverse.

3.5.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna, altresì, l’allegato A1, punto n), alla citata legge regionale n. 3 del 2012, il quale esenta dalla sottoposizione a VIA regionale «le piccole utilizzazioni locali di cui all’art. 10, comma 7, del d.lgs. n. 22 del 2011» e cioè «gli impianti di potenza inferiore a 1 MW ottenibile dal fluido geotermico alla temperatura convenzionale dei reflui di 15 gradi centigradi geotermico e le utilizzazioni tramite sonde geotermiche». Così disponendo la norma regionale si porrebbe in contrasto con la lettera v) dell’allegato III alla parte II del d.lgs. n. 152 del 2006, che annovera, tra i progetti per cui la VIA è obbligatoria, tutti quelli riguardanti «le attività di coltivazione sulla terraferma degli idrocarburi liquidi e gassosi e delle risorse geotermiche», all’interno dei quali si collocherebbero le piccole utilizzazioni locali.

3.5.1.– La questione non è fondata.

La norma regionale impugnata esclude dalla sottoposizione a VIA regionale obbligatoria «le piccole utilizzazioni locali di cui all’art. 10, comma 7, del d.lgs. n. 22 del 2011». Quest’ultima disposizione, introdotta dal legislatore statale con decreto legislativo 11 febbraio 2010, n. 22 (Riassetto della normativa in materia di ricerca e coltivazione delle risorse geotermiche, a norma dell’articolo 27, comma 28, della legge 23 luglio 2009, n. 99), stabilisce che «nell’ambito della più vasta categoria delle piccole utilizzazioni locali di calore geotermico, gli impianti di potenza inferiore a 1 MW ottenibile dal fluido geotermico alla temperatura convenzionale dei reflui di 15 gradi centigradi geotermico e le utilizzazioni tramite sonde geotermiche sono escluse dalle procedure regionali di verifica di assoggettabilità ambientale». Per tali tipi di impianti il legislatore statale, con intervento cronologicamente successivo al d.lgs. n. 152 del 2006, ha quindi escluso addirittura le procedure regionali di verifica di assoggettabilità a VIA, escludendo, in tal modo, che la realizzazione dei predetti impianti possa, anche solo eventualmente, avere ripercussioni di rilievo sull’ambiente.

Deve, pertanto, ritenersi che il legislatore regionale, con la norma impugnata, escludendo, non la semplice verifica di assoggettabilità, ma la sottoposizione a VIA obbligatoria dei predetti impianti, prescritta in via generale dal legislatore statale solo in relazione a specifici progetti, puntualmente individuati, che si ritiene abbiano necessariamente un rilevante impatto ambientale, non abbia arrecato alcun vulnus agli standard di tutela dell’ambiente apprestati dal legislatore statale.

3.6.– Viene, altresì, impugnato dal ricorrente l’allegato A2, punto h), alla citata legge regionale n. 3 del 2012, nella parte in cui include, tra quelle da sottoporre a VIA provinciale, la classe di progetto «elettrodotti per il trasporto di energia elettrica superiore a 100 kV con tracciato di lunghezza superiore a 10 km». Tale norma si porrebbe, infatti, in contrasto con l’allegato III, lettera z), del d.lgs. n. 152 del 2006 che circoscrive l’obbligo di procedura di VIA ai soli progetti riguardanti «elettrodotti aerei con tensione nominale superiore a 100 kV con tracciato di lunghezza superiore a 10 km».

3.6.1.– La questione non è fondata.

La norma regionale è impugnata nella parte in cui estende la procedura di VIA a tutti gli elettrodotti per il trasporto di energia elettrica con tensione nominale superiore a 100 kV con tracciato di lunghezza superiore a 10 km e non solo, come dispone l’allegato III alla parte II del d.lgs. n. 152 del 2006, alla lettera z), agli elettrodotti aerei. Detta norma, che concerne la realizzazione di tutti gli elettrodotti (anche non aerei, ma interrati) ed incide, pertanto, contestualmente, sulle materie dell’energia e del governo del territorio, non solo non viola i livelli di tutela dell’ambiente posti dallo Stato con la disposizione di cui alla citata lettera z) dell’allegato III alla parte II del codice, che costituiscono limite anche all’esercizio delle competenze regionali, ma, estendendo la previsione della procedura di VIA anche agli elettrodotti interrati, finisce con il determinare, sia pure in via indiretta, attraverso la disciplina di settori di competenza regionale, eventualmente forme più elevate di tutela ambientale, consentite alla legislazione regionale quali effetti indiretti, come più volte riconosciuto da questa Corte (cfr., in specie, sentenza n. 225 del 2009).

3.7.– Il ricorrente impugna anche l’allegato B1, punto 2h), alla medesima legge regionale nella parte in cui esclude dalle tipologie progettuali, relative alle attività di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi in terraferma da sottoporre a verifica di assoggettabilità regionale, i rilievi geofisici, in contrasto con quanto statuito dall’allegato IV, punto 2, lettera g), del d.lgs. n. 152 del 2006 che non prevede eccezioni in merito ai progetti riguardanti l’attività di ricerca degli idrocarburi liquidi e gassosi in terraferma da sottoporre alla verifica di assoggettabilità, di competenza delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano.

3.7.1.– La questione è fondata.

Il punto 2, lettera g), dell’allegato IV alla parte II del d.lgs. n. 152 del 2006, che reca l’individuazione dei «Progetti sottoposti alla verifica di assoggettabilità di competenza delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano», annovera fra quelli relativi all’«industria energetica ed estrattiva» anche i progetti inerenti alla «attività di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi in terraferma», senza prevedere ipotesi di esclusione.

La norma regionale si differenzia da quella statale in ragione del fatto che esenta dalla verifica di assoggettabilità regionale proprio i rilievi geofisici che sono, tuttavia, necessariamente funzionali e quindi ricompresi nei progetti (relativi all’industria energetica ed estrattiva) di attività di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi in terraferma, che il legislatore statale sottopone senza deroghe alla medesima verifica.

In tal modo, la norma regionale non solo viola l’obbligo di adeguamento prescritto dall’art. 35 del codice, ma reca vulnus ad un preciso standard di tutela dell’ambiente individuato dal legislatore statale, in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

Deve, pertanto, essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’allegato B1, punto 2h), alla legge regionale n. 3 del 2012, nella parte in cui esclude dalle tipologie progettuali, relative alle attività di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi in terraferma da sottoporre a verifica di assoggettabilità regionale, i rilievi geofisici.

3.8.– Viene inoltre impugnato l’allegato B2, punto 7p), alla medesima legge regionale nella parte in cui esclude dalla categoria dei progetti da sottoporre a verifica di assoggettabilità provinciale attinenti a «impianti di smaltimento e recupero di rifiuti pericolosi mediante operazioni di cui all’allegato B, lettere D2, D8 e da D13 a D15 ed all’allegato C, lettere da R2 a R9, della parte quarta del d.lgs. n. 152 del 2006», quelli attinenti ad «impianti che effettuano il recupero di diluenti e solventi esausti presso i produttori degli stessi purché le quantità trattate non superino i 100 l/giorno», ponendosi in contrasto con la lettera za) del punto 7 dell’allegato IV alla parte II del d.lgs. n. 152 del 2006 che non ammette alcuna esclusione in merito a siffatta classe progettuale.

3.8.1.– La questione non è fondata.

La lettera za) del punto 7 dell’allegato IV alla parte II del codice dell’ambiente sottopone a verifica di assoggettabilità provinciale, fra i progetti relativi ad infrastrutture, quelli inerenti agli «z.a) Impianti di smaltimento e recupero di rifiuti pericolosi, mediante operazioni di cui all’Allegato B, lettere D2, D8 e da D13 a D15, ed all’Allegato C, lettere da R2 a R9, della parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152», senza esenzioni.

Tuttavia, l’art. 6, comma 9, del d.lgs. n. 152 del 2006 stabilisce che: «Con riferimento ai progetti di cui all’allegato IV, qualora non ricadenti neppure parzialmente in aree naturali protette, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano possono determinare, per specifiche categorie progettuali o in particolari situazioni ambientali e territoriali, sulla base degli elementi di cui all’allegato V, criteri o condizioni di esclusione dalla verifica di assoggettabilità».

La norma regionale impugnata, nell’esentare dalla verifica di assoggettabilità a VIA gli «impianti che effettuano il recupero di diluenti e solventi esausti presso i produttori degli stessi purché le quantità trattate non superino i 100 l/giorno», ha dato attuazione al disposto del citato comma 9 dell’art. 6, posto che si riferisce a specifiche categorie progettuali, cioè a quelle inerenti ai soli impianti che effettuano il recupero di diluenti e solventi esausti, ed individua i criteri e le condizioni della esclusione dalla verifica di assoggettabilità nella particolare localizzazione di tali impianti presso i produttori stessi dei diluenti e solventi esausti, oltre che nella circostanza che le quantità trattate non superino i 100 l/giorno. Essa, quindi, lungi dal fare riferimento – ai fini dell’identificazione degli impianti esentati – al solo criterio della ridotta dimensione quantitativa dell’intervento, ritenuto inadeguato ed insufficiente sia da questa Corte (sent. n. 127 del 2010) che dalla Corte di giustizia (sentenza 23 novembre 2006, causa C-486/04), individua nella predetta circostanza solo una delle condizioni, e non certo la più rilevante, che, congiunta alla peculiarità della tipologia degli impianti (di recupero dei diluenti e solventi esausti) e soprattutto della localizzazione degli stessi (presso gli stessi produttori dei rifiuti da recuperare), che determina di per sé una drastica riduzione dell’impatto ambientale, contribuisce a soddisfare i requisiti imposti dal legislatore statale per l’identificazione delle deroghe da parte della Regione.

3.9.– Anche l’allegato B2, punto 7q), alla medesima legge regionale è censurato nella parte in cui esclude dalle tipologie progettuali da sottoporre a verifica di assoggettabilità provinciale attinenti agli «impianti di smaltimento e recupero di rifiuti non pericolosi, con capacità complessiva superiore a 10/t giorno, mediante operazioni di cui all’allegato C, lettere da R1 a R9, della parte quarta del d.lgs. n. 152 del 2006», «gli impianti mobili per il recupero in loco dei rifiuti non pericolosi provenienti dalle attività di costruzione e demolizione». In tal modo, esso, infatti, secondo il ricorrente si porrebbe in contrasto con l’allegato IV alla parte II, punto 7, lettera zb), del d.lgs.n. 152 del 2006, che non pone eccezioni di sorta in relazione alla predetta tipologia di impianti.

3.9.1.– La questione non è fondata.

La lettera za) del punto 7 dell’allegato IV alla parte II del codice dell’ambiente sottopone a verifica di assoggettabilità provinciale, fra i progetti relativi alle infrastrutture anche gli «z.b) Impianti di smaltimento e recupero di rifiuti non pericolosi, con capacità complessiva superiore a 10 t/giorno, mediante operazioni di cui all’Allegato C, lettere da R1 a R9, della parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152» senza esenzioni.

Tuttavia, l’art. 6, comma 9, del medesimo codice attribuisce, come si è già ricordato, alle Regioni ed alle Province autonome, la facoltà di determinare, per specifiche categorie progettuali o in particolari situazioni ambientali e territoriali, criteri o condizioni di esclusione dalla verifica di assoggettabilità. Nella specie, la Regione Marche ha provveduto a dare attuazione proprio a siffatta disposizione, esentando dalla predetta verifica di assoggettabilità quella specifica categoria di progetti inerenti alla realizzazione di impianti mobili per il recupero di rifiuti non pericolosi, a condizione che si tratti di rifiuti provenienti da attività di costruzione e demolizione e che tale recupero avvenga nello stesso luogo in cui siffatti rifiuti sono prodotti, così da rivelarne il ridotto impatto ambientale.

4.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna, infine, l’art. 5, comma 10, della citata legge regionale n. 3 del 2012, nella parte in cui stabilisce: «il provvedimento di VIA comprende l’autorizzazione paesaggistica di cui all’articolo 146 del D.Lgs. 42/2004, ove necessaria. In tal caso la documentazione è integrata con quanto previsto dalle disposizioni statali e regionali in materia». Così disponendo, la norma regionale si porrebbe in contrasto con quanto stabilito dal Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della L. 6 luglio 2002, n. 137), che, all’art. 146, attribuisce allo Stato la competenza ad esprimere parere vincolante ai fini del rilascio dell’autorizzazione, funzione che nella norma regionale verrebbe eliminata, in violazione degli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost., che riservano allo Stato la competenza esclusiva in materia paesaggistica.

4.1.– La questione non è fondata.

L’art. 26, comma 4, del d.lgs. n. 152 del 2006 (come modificato dal decreto legislativo 29 giugno 2010, n. 128, recante «Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale, a norma dell’articolo 12 della legge 18 giugno 2009, n. 69») stabilisce che: «Il provvedimento di valutazione dell’impatto ambientale sostituisce o coordina tutte le autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri, nulla osta e assensi comunque denominati in materia ambientale, necessari per la realizzazione e l’esercizio dell’opera o dell’impianto». Questa Corte ha affermato che «la legislazione regionale non può prevedere una procedura per l’autorizzazione paesaggistica diversa da quella dettata dalla legislazione statale, perché alle Regioni non è consentito introdurre deroghe agli istituti di protezione ambientale che dettano una disciplina uniforme valevole su tutto il territorio nazionale nel cui ambito deve essere annoverata l’autorizzazione paesaggistica» (sentenza n. 235 del 2011). Nella specie, la norma regionale impugnata, in linea con la richiamata indicazione, ha dato attuazione a quanto prescritto dal citato art. 26, comma 4: essa, infatti, lungi dall’aver derogato alla previsione dell’autorizzazione paesaggistica (il cui rilascio appartiene peraltro alla competenza regionale ai sensi del medesimo art. 146 del d.lgs. n. 42 del 2004), stabilendo che il provvedimento di VIA "comprende” l’autorizzazione paesaggistica, ha provveduto a realizzare quella forma di "coordinamento” da parte della VIA di tutte le autorizzazioni in materia ambientale (fra le quali vi è anche l’autorizzazione paesaggistica) proprio prescritte al fine di assicurare un livello uniforme di protezione ambientale, in una prospettiva di semplificazione amministrativa.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale degli allegati A1, A2, B1 e B2 alla legge della Regione Marche 26 marzo 2012, n. 3 (Disciplina regionale della valutazione di impatto ambientale – VIA), nel loro complesso, nella parte in cui, nell’individuare i criteri per identificare i progetti da sottoporre a VIA regionale o provinciale ed a verifica di assoggettabilità regionale o provinciale, non prevedono che si debba tener conto, caso per caso, di tutti i criteri indicati nell’Allegato III alla direttiva 13 dicembre 2011, n. 2011/92/UE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati – codificazione), come prescritto dall’articolo 4, paragrafo 3, della medesima;

2) dichiara l’illegittimità costituzionale degli articoli 8, comma 4, e 13 della legge della Regione Marche n. 3 del 2012, nella parte in cui non prevedono, nell’ambito della procedura di verifica di assoggettabilità a VIA, per il proponente, l’obbligo di specificare tutte le informazioni prescritte dall’art. 6, paragrafo 2, della direttiva 2011/92/UE;

3) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 12, comma 1, lettera c), della legge della Regione Marche n. 3 del 2012, nella parte in cui prevede che il proponente il progetto possa provvedere alla pubblicazione dell’avviso a mezzo stampa dopo la presentazione della domanda anziché prevedere che debba provvedere alla suddetta pubblicazione dell’avviso contestualmente alla presentazione della stessa;

4) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’allegato B1, punto 2h), alla legge della Regione Marche n. 3 del 2012, nella parte in cui esclude dalle tipologie progettuali, relative alle attività di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi in terraferma da sottoporre a verifica di assoggettabilità regionale, i rilievi geofisici;

5) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 2, comma 1, lettera c), e 3, comma 4, della legge della Regione Marche n. 3 del 2012, promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe, in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost.;

6) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 5, comma 1, lettera c), 9, comma 2, lettera d), 12, comma 1, lettera e), della legge della Regione Marche n. 3 del 2012, nonché degli allegati A1, punto n), A2, punto h), B1, punto 2h), B2, punti 7p) e 7q), alla stessa legge della Regione Marche n. 3 del 2012, promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.;

7) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 5, comma 10, della legge della Regione Marche n. 3 del 2012, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe, in riferimento agli articoli 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 maggio 2013.

F.to:

Franco GALLO, Presidente

Giuseppe TESAURO, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 22 maggio 2013.