CONSULTA ONLINE
SENTENZA N. 316
ANNO 2010
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
composta dai signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE SIERVO Giudice
- Paolo MADDALENA “
- Alfio FINOCCHIARO “
- Alfonso QUARANTA “
- Franco GALLO “
- Luigi MAZZELLA “
- Gaetano SILVESTRI “
- Sabino CASSESE “
- Giuseppe TESAURO “
- Paolo
Maria NAPOLITANO “
- Giuseppe FRIGO “
- Alessandro CRISCUOLO “
- Paolo GROSSI “
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio
di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 19, della legge 24 dicembre
2007, n. 247 (Norme di attuazione del Protocollo del 23 luglio 2007 su
previdenza, lavoro e competitività per favorire l’equità e la crescita
sostenibili, nonché ulteriori norme in materia di lavoro e previdenza sociale),
promosso dal Tribunale di Vicenza nel procedimento vertente tra P.A. E. ed
altro e l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) con ordinanza del
17 aprile 2009, iscritta al n. 205 del registro ordinanze 2009 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 34, prima serie speciale,
dell’anno 2009.
Visti gli atti di costituzione di P.A. E. ed altro e dell’INPS
nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 5 ottobre 2010 il Giudice
relatore Luigi Mazzella;
uditi gli avvocati Mattia Persiani per P.A. E. ed altro, Mauro
Ricci per l’INPS e l’avvocato dello Stato Massimo Santoro per il Presidente del
Consiglio dei ministri.
Ritenuto in
fatto
1. – Il Tribunale di
Vicenza, con ordinanza del 17 aprile
Tale norma stabilisce
che per le pensioni superiori a otto volte il trattamento minimo INPS non venga
concessa per l’anno 2008 alcuna perequazione automatica.
1.1. – Riferisce il
giudice rimettente che P.A. E. e R. T., titolari di pensioni INPS eccedenti
otto volte il trattamento minimo, anche per effetto della perequazione
automatica per legge, avevano contestato la decisione dell’INPS di non
perequare automaticamente tale emolumento a partire dal gennaio
1.2. – Secondo il
Tribunale di Vicenza, la questione di legittimità costituzionale sarebbe,
innanzitutto, rilevante, perché la chiara ed univoca lettera della norma
censurata non ne consentirebbe una interpretazione diversa da quella che
univocamente conduce all’esclusione dell’applicabilità del beneficio della
perequazione.
1.3. – La questione
sarebbe, inoltre, non manifestamente infondata, perché, anche in attuazione
dell’art. 38, secondo comma, Cost., il legislatore ha previsto la perequazione
automatica delle pensioni erogate in tutti i regimi, compresi quelli
integrativi, nonché delle forme di previdenza complementare, secondo una
disciplina improntata alla copertura integrale delle pensioni economicamente
più contenute e parziale per altre tipologie di pensioni più elevate (con
l’unica eccezione di cui all’art. 59, comma 13, della legge 27 dicembre 1997,
n. 449, Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica). Con la norma
censurata, invece, è stato disposto il blocco totale (temporaneo, ma con
riflessi permanenti) della perequazione automatica, con una valutazione che il
giudice a quo sospetta non essere
rispettosa dell’art. 38 Cost. e del principio di ragionevolezza previsto
dall’art. 3 Cost., in quanto, nel bilanciamento tra principi di uguale rango
costituzionale (quello dell’art. 38 Cost. e quello della solidarietà sociale sotteso
alle esigenze di contenimento della spesa pubblica e di tenuta finanziaria del
sistema previdenziale), sarebbe stato inciso totalmente uno di questi – il
diritto a che lo Stato assicuri i mezzi adeguati alle esigenze di vita dei
lavoratori pensionati – e tutelato integralmente l’altro.
Il giudice rimettente
ritiene altresì che la pensione totalmente non perequata, con effetti non solo
nell’immediato, ma anche per il futuro (in difetto di qualunque previsione di
recupero per gli anni successivi), non risponda al canone della adeguatezza
sancito, per le prestazioni previdenziali, dall’art. 38, secondo comma, della
Costituzione.
La mancata rivalutazione
automatica delle pensioni superiori ad un certo importo, oltre ad impedire la
conservazione nel tempo del valore del trattamento di quiescenza, andrebbe
altresì a pregiudicare la proporzionalità tra pensione e retribuzione goduta
nel corso dell’attività lavorativa, tutelata dagli artt. 38 e 36 Cost.,
discriminando irragionevolmente i percettori di pensioni medio-alte
rispetto ai percettori di pensioni meno elevate; i primi esposti globalmente al
rischio inflattivo, i secondi protetti integralmente da esso.
Secondo il Tribunale di
Vicenza, infine, il principio di solidarietà, cui si raccordano le esigenze di
contenimento della spesa pubblica, di salvaguardia del bilancio dello Stato, di
tenuta finanziaria del sistema previdenziale, giustificherebbe soltanto
meccanismi normativi di rivalutazione parziale e non anche la radicale
esclusione della perequazione per certune tipologie pensionistiche, foriera di
nette ed irragionevoli disparità di trattamento tra pensionati.
2. – Con
memoria depositata in data 2 settembre 2009 si sono costituiti in giudizio i
ricorrenti nel giudizio principale, instando per la declaratoria di
illegittimità costituzionale della disposizione legislativa censurata, in
relazione all’art. 38, secondo comma, Cost. - o allo stesso articolo in combinazione con l’art.
36 Cost. - e all’art. 3 della Costituzione.
Pur non
ignorando l’insegnamento reso dalla Corte con l’ordinanza n. 256 del 2001,
la quale ha escluso la illegittimità costituzionale del meccanismo di temporanea
sospensione della perequazione automatica di cui all’art. 59,
comma 13, della legge n. 449 del 1997, i
pensionati interessati evidenziano che tutti i provvedimenti
di blocco della perequazione automatica, anche se temporanei, hanno prodotto, e
producono tuttora, un danno economico sui livelli delle pensioni di importo più
elevato e che dunque non si dovrebbe continuare a legittimare, anche per il
futuro, l’esistenza di quel danno.
A loro
giudizio la mancata
rivalutazione automatica, sia pure con riguardo alle pensioni di un certo
importo, pregiudicherebbe la realizzazione della “adeguatezza” delle
prestazioni previdenziali e impedirebbe, o almeno concorrerebbe ad impedire, la
realizzazione della proporzionalità tra pensione e retribuzione goduta nel
corso dell’attività lavorativa.
Sotto il profilo della ragionevolezza viene, infine, osservato che i titolari di
pensioni superiori ad otto volte il trattamento minimo INPS sarebbero stati privati della perequazione
automatica senza una giustificazione adeguata, non ricavabile neppure dal
principio di solidarietà.
2.1. – Con memoria illustrativa depositata il 10
settembre 2010 la difesa dei ricorrenti in via principale ha ribadito e
ulteriormente sviluppato le argomentazioni già svolte nell’atto di costituzione
a sostegno dell’illegittimità costituzionale della norma impugnata.
3. – Con atto depositato il 15 settembre 2009 si è
costituito l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), chiedendo che la questione
di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Vicenza con
l’ordinanza sopra specificata sia dichiarata inammissibile o infondata
e richiamando l’orientamento consolidato di questa Corte, secondo cui «appartiene alla discrezionalità del legislatore,
con il
solo limite della palese irrazionalità,
stabilire la misura dei trattamenti di quiescenza e le variazioni
dell’ammontare delle prestazioni» (ordinanza n. 256
del 2001).
La misura
dei trattamenti interessati dall’intervento normativo sarebbe tale da escludere a priori la
paventata lesione dell’art. 38 Cost., tanto meno potendo risultarne sacrificate
le «esigenze minime di protezione della persona».
La ragionevolezza e tollerabilità
della sospensione della perequazione automatica, per il solo 2008, delle
pensioni superiori ad otto volte il trattamento
minimo dipenderebbe dal fatto che essa è
limitata nel tempo ed incide su fasce di reddito elevate.
Non
sarebbe, inoltre, ravvisabile alcun contrasto con gli artt. 36 e 38 Cost.,
avendo il legislatore, alla luce delle esigenze fondamentali di politica
economica, discrezionalmente bilanciato i contrapposti interessi secondo
criteri non arbitrari o illogici.
Rispetto al
canone dell’art. 3 Cost., infine, la norma avrebbe regolato situazioni fra loro
disomogenee e perciò non comparabili.
4. – Con atto depositato il 15 settembre 2009 è intervenuto
nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, instando per la
dichiarazione di manifesta infondatezza – o, comunque, di inammissibilità – della questione sollevata dal Tribunale di Vicenza con
l’ordinanza succitata, poiché non motivata con argomenti nuovi rispetto
all’analoga questione decisa dalla Corte costituzionale con ordinanza n. 256
del 2001.
Con
specifico riferimento alla norma censurata, la sua conformità alla Costituzione
troverebbe ampio riscontro nella giurisprudenza di questa Corte, univocamente
attestata sui principi dell’inesistenza di un vincolo costituzionale di automatico adeguamento
delle pensioni agli stipendi (sentenza n. 62 del
1999); dell’appartenenza alla discrezionalità
del legislatore, con il solo limite della palese irrazionalità, dei modi, delle
misure e delle variazioni dei trattamenti di pensione, attraverso il
contemperamento delle esigenze di vita dei beneficiari con le concrete
disponibilità finanziarie e le esigenze di bilancio (sentenza n. 372 del
1998), discrezionalità peraltro destinata a manifestarsi specificamente
nella modulazione in concreto dei meccanismi di
perequazione (sentenze n. 241 del 2002
e n. 439 del
2001).
Considerato in diritto
1. – Viene all’esame di
questa Corte la questione di legittimità costituzionale sollevata, con
l’ordinanza indicata in epigrafe, dal Tribunale di Vicenza, relativamente
all’articolo 1, comma 19, della legge 24 dicembre 2007, n. 247 (Norme di
attuazione del Protocollo del 23 luglio 2007 su previdenza, lavoro e
competitività per favorire l’equità e la crescita sostenibili, nonché ulteriori
norme in materia di lavoro e previdenza sociale).
2. – Il Tribunale di
Vicenza sospetta che la norma, nella parte in cui, per l’anno 2008, prevede il
blocco integrale della perequazione automatica delle pensioni superiori a otto
volte il trattamento minimo, violi l’art. 38, secondo comma, anche in combinato
disposto con l’art. 36, e l’art. 3 della Costituzione.
Il giudice rimettente
dubita, in primo luogo, che la pensione totalmente non perequata, con evidenti
effetti nell’immediato (“per l’anno
A suo avviso, inoltre,
la mancata rivalutazione automatica delle pensioni superiori ad un certo
importo contribuirebbe a precludere la proporzionalità tra pensione e
retribuzione goduta nel corso dell’attività lavorativa, tutelata dagli artt. 38
e 36 Cost., discriminando irragionevolmente i percettori di pensioni medio-alte rispetto ai percettori di pensioni meno elevate;
i primi esposti globalmente al rischio inflattivo, i secondi protetti
integralmente da esso.
La norma impugnata,
infine, contrasterebbe con l’art. 38 Cost., e con il principio di
ragionevolezza previsto dall’art. 3 Cost., per avere totalmente sacrificato il
diritto all’assicurazione da parte dello Stato di mezzi adeguati ai bisogni di
vita dei lavoratori pensionati alla solidarietà sociale sottesa alle esigenze
di contenimento della spesa pubblica e di tenuta finanziaria del sistema
previdenziale, evitando qualunque forma di bilanciamento tra valori di pari
rango costituzionale, quale avrebbe potuto essere realizzata con interventi più
calibrati di attenuazione della dinamica perequativa.
3. – La questione non è fondata.
L’art. 1, comma 19, della legge n. 247 del 2007 – disponendo il blocco
della perequazione automatica, per il solo anno 2008, delle pensioni con
importo superiore a otto volte il trattamento minimo INPS – ha lo scopo
dichiarato di contribuire al finanziamento solidale degli interventi sulle
pensioni di anzianità, contestualmente adottati con l’art. 1, commi 1 e 2,
della medesima legge.
In particolare, la mancata rivalutazione dei predetti trattamenti ha
concorso a compensare l’eliminazione dell’innalzamento repentino a sessanta
anni, a decorrere dal 1° gennaio 2008, dell’età minima già prevista per
l’accesso alla pensione di anzianità in base all’articolo 1, comma 6, della
legge 23 agosto 2004, n. 243 (Norme in materia pensionistica e deleghe al
Governo nel settore della previdenza pubblica, per il sostegno alla previdenza
complementare e all’occupazione stabile e per il riordino degli enti di
previdenza ed assistenza obbligatoria), e l’introduzione, in sua vece, di un sistema più
graduale e flessibile delle “uscite”, basato sul raggiungimento di quote
risultanti dall’età anagrafica e dall’anzianità contributiva.
3.1. – Così
ricostruitane la ratio, la norma
impugnata è immune da tutti i vizi denunciati.
L’art. 38, secondo comma, Cost. impone che al lavoratore siano garantiti «mezzi adeguati» alle esigenze di vita in presenza di determinate situazioni che richiedono tutela. La mancata perequazione per un solo anno della pensione non tocca il problema della sua adeguatezza.
Dal principio enunciato nell’art. 38 Cost., infatti, non può farsi discendere, come conseguenza costituzionalmente necessitata, quella dell’adeguamento con cadenza annuale di tutti i trattamenti pensionistici. E ciò, soprattutto ove si consideri che le pensioni incise dalla norma impugnata, per il loro importo piuttosto elevato, presentano margini di resistenza all’erosione determinata dal fenomeno inflattivo. L’esigenza di una rivalutazione sistematica del correlativo valore monetario è, dunque, per esse meno pressante di quanto non sia per quelle di più basso importo.
3.2. – Anche rispetto al principio di proporzionalità delle pensioni alle retribuzioni, contenuto nell’art. 36 Cost., la lesione ipotizzata dal giudice rimettente non sussiste. In relazione all’adeguatezza dei trattamenti di quiescenza alle esigenze di vita del lavoratore e della sua famiglia, questa Corte ha ripetutamente affermato che tale principio non impone un aggancio costante dei trattamenti pensionistici agli stipendi (ex plurimis, sentenza n. 62 del 1999 e ordinanza n. 531 del 2002).
Spetta, infatti, al legislatore, sulla base di un ragionevole bilanciamento dei valori costituzionali, dettare la disciplina di un adeguato trattamento pensionistico, alla stregua delle risorse finanziarie attingibili e fatta salva la garanzia irrinunciabile delle esigenze minime di protezione della persona (per tutte, sentenza n. 30 del 2004). Esigenze, queste, che il livello economico dei trattamenti previsti dalla norma impugnata non scalfisce, per i suoi effetti limitati al 2008.
3.3. – Quanto poi
all’irragionevole sperequazione ascritta dal giudice rimettente all’intervento
normativo censurato, questa Corte – proprio nell’affrontare un’analoga
questione di legittimità costituzionale riguardante altra norma (art. 59, comma
13, della legge n. 449 del 1997) che pure escludeva per un anno (1998) la
perequazione automatica dei trattamenti pensionistici allora superiori a cinque
volte il minimo INPS – ha ribadito che «appartiene alla discrezionalità del
legislatore, col solo limite della palese irrazionalità, stabilire la misura
dei trattamenti di quiescenza e le variazioni dell’ammontare delle prestazioni,
attraverso un bilanciamento dei valori contrapposti che tenga conto, accanto
alle esigenze di vita dei beneficiari, anche delle concrete disponibilità
finanziarie e delle esigenze di bilancio» (ordinanza n. 256
del 2001; nello stesso senso, sentenza n. 372 del
1998).
Allo stesso modo, anche
in questo caso dev’essere riconosciuta al legislatore – all’interno di un
disegno complessivo di razionalizzazione della precedente riforma previdenziale
– la libertà di adottare misure, come quella denunciata, di concorso
solidaristico al finanziamento di un riassetto progressivo delle pensioni di
anzianità, onde riequilibrare il sistema a costo invariato.
3.4. – In tale prospettiva, neppure può ritenersi violato il principio di eguaglianza, perché il blocco della perequazione automatica per l’anno 2008, operato esclusivamente sulle pensioni superiori ad un limite d’importo di sicura rilevanza, realizza un trattamento differenziato di situazioni obiettivamente diverse rispetto a quelle, non incise dalla norma impugnata, dei titolari di pensioni più modeste. E che si tratti di situazioni disomogenee trova conferma nella stessa disciplina “a regime” della perequazione automatica, la quale prevede una copertura decrescente, a mano a mano che aumenta il valore della prestazione.
Inoltre, la chiara finalità
solidaristica dell’intervento, in contrappeso all’espansione della spesa
pensionistica dovuta alla graduazione dell’entrata in vigore di nuovi più
rigorosi criteri di accesso al pensionamento di anzianità, offre una
giustificazione ragionevole alla soppressione annuale della rivalutazione
automatica prevista a scapito dei titolari dei trattamenti medio-alti.
Il loro sacrificio, infatti, serve ad attuare la scelta non arbitraria del
legislatore di soddisfare – cancellando la brusca elevazione dell’età minima
pensionabile – le aspettative maturate dai lavoratori, i quali, in base alla
più favorevole disciplina previgente, erano prossimi al raggiungimento del
prescritto requisito anagrafico.
La norma impugnata si
sottrae, infine, a censure di palese irragionevolezza, perché, limitandosi a
rallentare la dinamica perequativa delle pensioni di valore più cospicuo, non
determina alcuna riduzione quantitativa dei trattamenti in godimento. Essa così
finisce per imporre ai relativi percettori un costo contenuto, sia pure tenendo
conto dei riflessi futuri del mancato adeguamento circoscritto al 2008.
4. – Va, in definitiva, riaffermato che
la garanzia costituzionale della adeguatezza e della proporzionalità del
trattamento pensionistico, cui lo strumento della perequazione automatica è
certamente finalizzato, incontra il limite delle risorse disponibili. A tale
limite il Governo e il Parlamento devono uniformare la legislazione di spesa,
con particolare rigore a presidio degli equilibri del sistema previdenziale.
Dev’essere, tuttavia, segnalato che la
sospensione a tempo indeterminato del meccanismo perequativo, ovvero la
frequente reiterazione di misure intese a paralizzarlo, esporrebbero il sistema
ad evidenti tensioni con gli invalicabili principi di ragionevolezza e
proporzionalità (su cui, nella materia dei trattamenti di quiescenza, v.
sentenze n. 372
del 1998 e n.
349 del 1985), perché le pensioni, sia pure di maggiore consistenza,
potrebbero non essere sufficientemente difese in relazione ai mutamenti del
potere d’acquisto della moneta.
per questi
motivi
dichiara non fondata la questione di legittimità
costituzionale dell’articolo 1, comma 19, della legge 24 dicembre 2007, n. 247
(Norme di attuazione del Protocollo del 23 luglio 2007 su previdenza, lavoro e
competitività per favorire l’equità e la crescita sostenibili, nonché ulteriori
norme in materia di lavoro e previdenza sociale), sollevata, in riferimento
agli articoli 38, secondo comma, 36 e 3 della Costituzione, dal Tribunale di
Vicenza con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 novembre
2010.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Luigi MAZZELLA, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria l'11 novembre 2010.