Sentenza n. 314 del 2009

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[ELG:SOMMASENTENZA N. 314

ANNO 2009

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai Signori:

 

-      Francesco                            AMIRANTE                            Presidente

-      Ugo                                    DE SIERVO                              Giudice

-      Paolo                                  MADDALENA                       "

-      Alfio                                  FINOCCHIARO                     "

-      Alfonso                              QUARANTA                          "

-      Luigi                                  MAZZELLA                          "

-      Gaetano                              SILVESTRI                           "

-      Sabino                                CASSESE                              "

-      Maria Rita                           SAULLE                                "

-      Giuseppe                             TESAURO                             "

-      Paolo Maria                         NAPOLITANO                      "

-      Giuseppe                             FRIGO                                   "

-      Alessandro                          CRISCUOLO                         "

[ELG:PREMESSA]

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettere c), e) e m), della legge della Regione Campania 14 aprile 2008, n. 4 (Modifiche alla legge regionale 28 marzo 2007, n. 4, “Norme in materia di gestione, trasformazione, riutilizzo dei rifiuti e bonifica dei siti inquinati”), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 26-30 giugno 2008, depositato in cancelleria il 1° luglio 2008 ed iscritto al n. 32 del registro ricorsi 2008.

Visto l’atto di costituzione della Regione Campania;

udito nell’udienza pubblica del 6 ottobre 2009 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro;

uditi l’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Vincenzo Cocozza per la Regione Campania.

[ELG:FATTO]

Ritenuto in fatto

1. – Con ricorso notificato alla Regione Campania il 26 giugno 2008, e depositato presso la Cancelleria della Corte costituzionale il 1° luglio 2008 (reg. ric. n. 32 del 2008), il Presidente del Consiglio dei ministri, su conforme delibera del Consiglio dei ministri, ha chiesto alla Corte costituzionale dichiararsi l’illegittimità dell’art. 1, comma 1, lettere c), e) e m), della legge della Regione Campania 14 aprile 2008, n. 4 (Modifiche alla legge regionale 28 marzo 2007, n. 4, “Norme in materia di gestione, trasformazione, riutilizzo dei rifiuti e bonifica dei siti inquinati”).

In tema di rifiuti, argomenta il ricorrente, anche se le Regioni vantano una competenza legislativa concorrente in materia di “governo del territorio”, si configura la competenza esclusiva statale per i profili attinenti alla tutela dell’ambiente, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, dal che il vincolo per il legislatore regionale delle disposizioni di cui al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), che costituiscono standard minimi ed uniformi di tutela dell’ambiente validi sull’intero territorio nazionale.

In materia di rifiuti sussiste il vincolo del rispetto comunitario, derivante dall’art. 117, primo comma, Cost., essendo intervenute le direttive 75/442/CEE e 2006/12/CE, ed avendo la Corte di giustizia europea delineato i principi generali, particolarmente in ordine alla definizione di “rifiuto”.

In materia il legislatore statale è intervenuto con due decreti-legge per far fronte all’emergenza rifiuti in Campania (d.l. 23 maggio 2008, n. 90, Misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella Regione Campania e ulteriori disposizioni di protezione civile, e d.l. 17 giugno 2008, n. 107, Ulteriori norme per assicurare lo smaltimento dei rifiuti in Campania).

La Regione Campania, con la legge regionale impugnata, ha dettato una disciplina a regime in materia di gestione dei rifiuti, che esorbiterebbe dalla propria competenza in violazione della normativa costituzionale, sotto tre profili.

L’art. 1, comma 1, lettera c), della legge della Regione Campania n. 4 del 2008, che sostituisce l’art. 8 della legge della stessa Regione 28 marzo 2007, n. 4 (Norme in materia di gestione, trasformazione, riutilizzo dei rifiuti e bonifica dei siti inquinati), prevede la competenza della Provincia nell’individuazione delle zone idonee e non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti, sulla base delle previsioni del piano territoriale di coordinamento provinciale - PTCP, di cui alla legge regionale 22 dicembre 2004, n. 16 (Norme sul governo del territorio), ove adottato.

Tale disposizione – rileva il ricorrente – contrasta apertamente con quanto disposto dall’art. 197, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, che, alla lettera d), con riferimento alla localizzazione degli impianti di recupero dei rifiuti, prevede che le Province siano tenute ad individuare esclusivamente le zone non idonee ad ospitarli, ma non anche le zone idonee, il che è possibile soltanto per la localizzazione degli impianti di smaltimento dei rifiuti.

La norma dunque, dettando disposizioni confliggenti con la normativa nazionale vigente, viola, secondo il ricorrente, il disposto dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., ai sensi del quale lo Stato ha competenza legislativa esclusiva in materia di tutela dell’ambiente.

La lettera e) dello stesso art. 1, comma 1, della legge regionale n. 4 del 2008, recherebbe parimenti vulnus all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., nella parte in cui abroga la lettera p) dell’art. 10, comma 2, della legge regionale n. 4 del 2007 citata, che disponeva che il piano regionale di gestione dei rifiuti dovesse prevedere anche le misure atte a promuovere la regionalizzazione della raccolta, della cernita e dello smaltimento dei rifiuti urbani, operando così in contrasto con quanto disposto dall’art. 199, lettera m), del citato d.lgs. n. 152 del 2006.

La norma statale, che stabilisce il contenuto minimo necessario del piano regionale di gestione dei rifiuti, dispone che esso debba prevedere, tra l’altro, anche «le misure atte a promuovere la regionalizzazione della raccolta, della cernita e dello smaltimento dei rifiuti urbani».

Con l’abrogazione della disposizione conforme alla norma statale, viene adottata una disciplina che, ad avviso del ricorrente, è contrastante con quella nazionale di riferimento, eccedendosi dalla competenza regionale.

Il Presidente del Consiglio dei ministri sottolinea inoltre l’irragionevolezza della disposizione in oggetto, in quanto la mancata previsione di idonee misure atte a realizzare «la regionalizzazione della raccolta, della cernita e dello smaltimento dei rifiuti urbani» pone in serio pericolo la concreta realizzazione del principio di autosufficienza, nella gestione dei rifiuti urbani non pericolosi, a livello di ambiti territoriali locali.

La lettera m) dello stesso art. 1, comma 1, della legge regionale n. 4 del 2008, infine, si porrebbe in contrasto con l’art. 81 del Trattato che istituisce la Comunità europea e con l’art. 117, primo e secondo comma, lettere e) e s), della Costituzione.

La norma citata, modificando l’articolo 20 della legge regionale n. 4 del 2007, in materia di affidamento del servizio di gestione integrata dei rifiuti, prevede che «la Provincia affida il servizio di gestione integrata dei rifiuti nel rispetto della normativa comunitaria, nazionale e regionale sull’evidenza pubblica mediante la costituzione di soggetti a totale o prevalente capitale pubblico».

Individuando a priori, come unica modalità di affidamento per il servizio di gestione integrata da parte della Provincia, quella dell’affidamento ad un soggetto a totale o prevalente capitale pubblico, la norma violerebbe i principi e le disposizioni comunitarie e nazionali, in materia di affidamento dei servizi pubblici locali, nonché le regole che disciplinano la gara pubblica – quali quelle della par condicio, della trasparenza e dell’evidenza pubblica – che garantiscono che il servizio pubblico locale sia affidato ad un soggetto che possegga le necessarie competenze tecniche richieste dalla specificità della materia e che risulti il più idoneo fra quelli esistenti.

Sarebbe, pertanto, ravvisabile eccedenza dalla competenza regionale e violazione del principio di tutela della concorrenza di cui all’art. 81 del Trattato CE e, quindi, del rispetto del vincolo comunitario di cui all’art. 117, primo comma, Cost., nonché della competenza esclusiva statale in materia di concorrenza, ex art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.: risulterebbero violati sia l’art. 202 del d.lgs. n. 152 del 2006, che impone l’aggiudicazione del servizio di gestione integrata dei rifiuti mediante gara pubblica, nel rispetto della disciplina comunitaria, sia l’art. 113 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), che disciplina la gestione delle reti e l’erogazione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica.

2. – Si è costituita in giudizio la Regione Campania, chiedendo dichiararsi improcedibile, inammissibile e comunque infondato il ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri.

Con riguardo all’art. 1, comma 1, lettera c), della legge regionale n. 4 del 2008, che attribuisce alla Provincia la competenza nell’individuazione delle zone idonee e non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti sulla base delle previsioni del piano territoriale di coordinamento provinciale, la censura sarebbe inammissibile, posto che l’art. 8 della legge regionale n. 4 del 2007, che la norma va a sostituire, prevedeva già la competenza provinciale nell’individuazione delle zone idonee alla localizzazione degli impianti di recupero dei rifiuti.

La doglianza sarebbe comunque infondata, in quanto l’intervento non concernerebbe la materia ambientale. L’ambito dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., non costituisce – si rileva – una vera e propria materia, bensì un “valore” che non esclude la titolarità in capo alle Regioni di competenze legislative su materie come il governo del territorio e la tutela della salute, rispetto alle quali lo Stato detta standard di tutela uniformi sull’intero territorio nazionale.

Nel caso di specie la legge statale – si osserva ancora – non ha individuato limiti inderogabili che la Regione Campania abbia violato. L’art. 197 del d.lgs. n. 152 del 2006 riconosce alcune competenze alla Provincia, ma da questo non potrebbe inferirsi il limite per un’ulteriore disciplina organizzativa, su cui la Regione possa intervenire: ciò sarebbe coerente con l’art. 19 del d. lgs. n. 267 del 2000, richiamato dallo stesso art. 197 del d.lgs. n. 152 del 2006, che riconosce alla Provincia le funzioni in tema di «difesa del suolo, tutela e valorizzazione dell’ambiente e prevenzione delle calamità» (lettera a), e di «organizzazione dello smaltimento dei rifiuti a livello provinciale, rilevamento, disciplina e controllo degli scarichi delle acque e delle emissioni atmosferiche e sonore» (lettera g).

Anche con riguardo all’art. 1, comma 1, lettera e), della legge regionale n. 4 del 2008, la norma, abrogando la lettera p) dell’art. 10, comma 2, della legge regionale n. 4 del 2007, si porrebbe fuori dalla disciplina in materia ambientale. Il legislatore regionale – si sottolinea – manifesta la sua discrezionalità individuando un diverso piano (provinciale) di organizzazione dell’attività: una volta garantita la gestione e l’autosufficienza a livello locale, la scelta dell’ambito più idoneo d’intervento spetta alla Regione, competente in materia di governo del territorio e nell’individuazione di competenze ulteriori degli enti locali.

Con la lettera m) dello stesso art. 1, comma 1, il legislatore campano avrebbe scelto la “forma” della gestione, ma non avrebbe individuato una modalità di affidamento diversa da quelle consentite.

L’obbligo dei soggetti pubblici di affidare qualsiasi servizio attraverso una selezione in conformità alla normativa, comunitaria e nazionale, sugli appalti, non escluderebbe la possibilità, per tali soggetti, di decidere quale forma soggettiva dovrà assumere il gestore del servizio. La Regione Campania avrebbe confermato il principio dell’evidenza pubblica e della gara, nella scelta del contraente, limitandosi a individuare la forma gestionale più idonea.

Lo stesso art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000 prevede, tra le ipotesi di gestione del servizio, la società partecipata, cioè una forma ritenuta legittima dalla Corte di giustizia europea. Lasciandosi la scelta alla singola amministrazione, a maggior ragione potrebbe in essa intervenire il legislatore regionale, senza in alcun modo infrangere i parametri invocati.

Il ricorso sarebbe infine assolutamente generico nei motivi in cui si riferisce alle direttive 74/442/CEE e 2006/12/CE, nonché ai decreti-legge n. 90 e n. 107 del 2008, non essendo chiaro il vizio e neppure la disposizione oggetto della specifica violazione.

3. – Nell’imminenza dell’udienza pubblica, l’Avvocatura generale dello Stato e la difesa della Regione Campania hanno depositato memorie, ribadendo e ulteriormente illustrando quanto già sostenuto, rispettivamente, nel ricorso e nella memoria di costituzione.

3.1. – La difesa erariale assume il carattere vincolante delle norme in materia ambientale contenute nel d.lgs. n. 152 del 2006, non derogabili dalle Regioni, in quanto standard uniformi di tutela ambientale validi sull’intero territorio nazionale.

Riguardo alla prima censura, relativa alla lettera c) del comma 1 dell’art. 1 della legge regionale n. 4 del 2008, l’eccezione di inammissibilità avanzata dalla Regione – secondo cui la disposizione impugnata riproduce la formula normativa, già in vigore, dell’art. 8 della legge regionale n. 4 del 2007 – andrebbe disattesa giacché la nuova norma è integrata da previsioni ulteriori e si inserisce in un mutato contesto.

Con riferimento alla seconda censura, relativa alla lettera e) del comma 1 dello stesso art. 1, la disposizione sulla necessaria previsione, nel piano regionale, delle misure atte a promuovere la regionalizzazione della gestione dei rifiuti, che integra il contenuto minimo del piano, non potrebbe essere disattesa dal legislatore regionale. La previsione pone in serio pericolo la realizzazione del principio di autosufficienza nella gestione dei rifiuti urbani non pericolosi. L’art. 199, lettera m), del Codice dell’ambiente, disposizione programmatica, che tale contenuto prescrive al piano regionale di gestione dei rifiuti, costituisce la garanzia della gestione e dell’autosufficienza a livello locale.

Riguardo alla terza censura, relativa alla lettera m) del comma 1 dello stesso art. 1, la previsione della costituzione di soggetti a partecipazione pubblica, come unica modalità di affidamento del servizio di gestione integrata dei rifiuti, si porrebbe in contrasto con principi e disposizioni comunitarie e nazionali in materia di servizi pubblici locali. Ne risulterebbero violate le regole che disciplinano la gara pubblica, eliminando la garanzia che il servizio sia affidato a soggetto in possesso delle necessarie competenze tecniche. Sarebbe evidente il vulnus all’art. 81 del Trattato CE, e quindi all’art. 117, primo comma, Cost., ed all’art. 202 del Codice dell’ambiente, di cui al d.lgs. n. 152 del 2006, che richiama l’art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000.

3.2. – Secondo la difesa regionale, la censura in ordine all’individuazione delle zone idonee alla localizzazione degli impianti di recupero, che sarebbe preclusa alle Province, dimostra il suo limite nella misura in cui non è dato rinvenire, nella legislazione statale, altro soggetto istituzionale competente in tale individuazione: lo Stato è competente riguardo agli impianti di recupero e smaltimento di preminente interesse nazionale, conseguendone che, per gli altri impianti, la localizzazione non può che appartenere all’ente territoriale. Del resto, l’art. 196 del Codice dell’ambiente prevede che le Regioni privilegiano la realizzazione degli impianti di smaltimento e recupero in aree industriali, compatibilmente con le caratteristiche delle aree: ma questa – si osserva nella memoria – non è norma di attribuzione di competenza, bensì criterio di disciplina, nell’esercizio di una scelta, quella di individuazione delle aree, che la Regione può ben delegare alla Provincia. Quest’ultima, del resto, espleta le funzioni amministrative concernenti la programmazione ed organizzazione del recupero e dello smaltimento a livello provinciale (art. 197), in piena coerenza con l’art. 19 del d.lgs. n. 267 del 2000, che attribuisce alla Provincia le funzioni in tema di difesa del suolo e organizzazione dello smaltimento dei rifiuti a livello provinciale, e con l’art. 2, commi 32 e seguenti, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale delle Stato – legge finanziaria 2008), che valorizza il ruolo delle Province nella gestione dei rifiuti, individuando in esse l’ambito territoriale ottimale in tema di gestione dei rifiuti.

Riguardo al contenuto del piano regionale di gestione dei rifiuti, la legge regionale non avrebbe fatto altro che attuare la normativa statale riconoscendo un più accentuato localismo nella gestione dei rifiuti. La tesi della difesa regionale sarebbe avvalorata dalla stessa legislazione statale, che, all’art. 2, comma 38, della legge n. 244 del 2007, contiene una valutazione prioritaria dei territori provinciali quali ambiti territoriali ottimali ai fini dell’attribuzione della competenza in materia di rifiuti alle Province. Tale sarebbe stato l’intento della normativa della Regione Campania nel disporre che il piano regionale di gestione dei rifiuti (art. 10, comma 2, lettera b) stabilisce «la tipologia e il complesso degli impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti urbani da realizzare nella Regione, tenendo conto dell’obiettivo di assicurare la gestione dei rifiuti urbani non pericolosi all’interno degli ambiti territoriali ottimali», in quanto «la gestione integrata dei rifiuti avviene in ambiti territoriali ottimali-ATO nel rispetto del principio dell’autosufficienza di ogni ATO e della minore movimentazione possibile dei rifiuti» (art. 15). Sarebbe, dunque, legittimo superare la “regionalizzazione” del sistema rifiuti, in favore della “provincializzazione”, in coerenza con i principi di maggior vicinanza al territorio interessato, e di abrogazione della disposizione previgente, espressione di centralismo regionale, in vista di un rafforzamento del principio di autosufficienza, ora localizzato sugli ambiti territoriali ottimali, costituiti dalle Province.

Con riferimento, poi, alla norma in tema di affidamento del servizio di gestione dei rifiuti, la costituzione di un soggetto a partecipazione pubblica – rileva la difesa della Regione – non è una modalità di affidamento della gestione, ma forma di gestione, consentita dalla normativa europea e statale. Il principio della gara è fatto salvo dalla disposizione impugnata, e si applica anche nell’individuazione dell’eventuale socio privato.

[ELG:DIRITTO]

Considerato in diritto

1. – Con il ricorso indicato in epigrafe, il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato l’art. 1, comma 1, lettere c), e) e m), della legge della Regione Campania 14 aprile 2008, n. 4 (Modifiche alla legge regionale 28 marzo 2007, n. 4, “Norme in materia di gestione, trasformazione, riutilizzo dei rifiuti e bonifica dei siti inquinati”), in riferimento all’art. 117, primo e secondo comma, lettere e) e s), della Costituzione, oltre che all’art. 81 del Trattato che istituisce la Comunità europea. La censura si articola in tre profili, rispettivamente attinenti alle tre lettere citate del comma 1 dell’art. 1 della legge regionale: i primi due con stretta attinenza alla tutela ambientale, il terzo anche con riguardo ai principi europei della concorrenza.

2. – Sotto un primo profilo, è censurata la lettera c) del comma 1 dell’art. 1 della legge regionale n. 4 del 2008, nella parte in cui, sostituendo l’art. 8 della legge regionale 28 marzo 2007, n. 4 (Norme in materia di gestione, trasformazione, riutilizzo dei rifiuti e bonifica dei siti inquinati), ha comportato ora che la lettera f) del comma 1 di quest’ultimo preveda la competenza della Provincia nell’individuazione delle zone idonee alla localizzazione degli impianti di recupero (oltre che di smaltimento) dei rifiuti, in contrasto con l’art. 197, comma 1, del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), che, alla lettera d), con riguardo alla localizzazione degli impianti di recupero dei rifiuti, consente alle Province la sola individuazione delle zone non idonee ad ospitarli, ma non anche delle zone idonee. Per la localizzazione degli impianti di smaltimento, invece, è possibile l’individuazione sia delle zone idonee che non idonee. Il contrasto con la disciplina statale comporta lo sconfinamento della Regione nella potestà esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

2.1. – In ordine alla riferita censura, va disattesa, in primo luogo, l’eccezione di inammissibilità proposta dalla Regione resistente, secondo cui la nuova norma costituirebbe la riproduzione di quanto già disposto dalla norma sostituita. In realtà, l’individuazione delle zone idonee alla localizzazione degli impianti, pur prevista dalla lettera d) dell’art. 8 della precedente legge n. 4 del 2007, era soggetta al termine di giorni 90 dall’entrata in vigore della legge stessa, mentre la nuova lettera f) fa decorrere il termine dall’approvazione del piano regionale di gestione del ciclo integrato dei rifiuti.

È da ritenere che la sostanziale riapertura del termine ed il suo aggancio ad una decorrenza mobile, facciano rinascere l’interesse dello Stato a scongiurare l’individuazione di ulteriori zone idonee al trattamento dei rifiuti da parte delle Province della Regione Campania, rispetto al quadro complessivo delle localizzazioni degli impianti, determinatosi alla scadenza del termine originario.

2.2. – Nel merito, la questione non è fondata.

La disciplina statale dei rifiuti, collocandosi nell’ambito della “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema” – di competenza esclusiva statale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. – costituisce, anche in attuazione degli obblighi comunitari, un livello di tutela uniforme e si impone sull’intero territorio nazionale, come un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza, per evitare che esse deroghino al livello di tutela ambientale stabilito dallo Stato, ovvero lo peggiorino (sentenze n. 62 del 2008 e n. 378 del 2007).

Resta, peraltro, ferma la competenza delle Regioni per la cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali: infatti, anche nel settore dei rifiuti, accanto ad interessi inerenti in via primaria alla tutela dell’ambiente, vengono in rilievo altre materie, per cui la competenza statale non esclude la concomitante possibilità per le Regioni di intervenire, ovviamente nel rispetto dei livelli uniformi di tutela apprestati dallo Stato (da ultimo, sentenza n. 249 del 2009).

La localizzazione degli impianti di trattamento dei rifiuti sul territorio, nel rispetto dei criteri tecnici fondamentali stabiliti dagli organi statali (fissati in attuazione dell’art. 195 del d.lgs. n. 152 del 2006), che rappresentano soglie inderogabili di protezione ambientale, attiene al “governo del territorio”.

La disposizione impugnata si propone di disciplinare la localizzazione degli impianti di recupero dei rifiuti: nel dettare tale norma, la Regione ha esercitato la propria competenza legislativa, che afferisce all’uso del proprio territorio (analogamente, vedi sentenza n. 103 del 2006), abilitando la Provincia, in quanto ente deputato dalla legislazione statale ad esercitare le funzioni in tema di “difesa del suolo” (art. 197 del d.lgs. n. 152 del 2006), ad individuare le aree per la localizzazione degli impianti, secondo una valutazione urbanistica complessiva del territorio provinciale, che muove dalle previsioni del piano territoriale di coordinamento, anche perché la stessa normativa statale riconosce che «il piano regionale di gestione dei rifiuti è coordinato con gli altri strumenti di pianificazione di competenza regionale previsti dalla normativa vigente, ove adottati» (art. 199, comma 4, del d.lgs. n. 152 del 2006).

Né vale obiettare che la norma impugnata non si è limitata ad abilitare la Provincia all’individuazione delle zone “non idonee”, come previsto dall’art. 197, comma 1, lettera d), del d.lgs. n. 152 del 2006, estendendone il potere alla ricognizione delle zone “idonee”: il che sarebbe possibile riguardo alla localizzazione degli impianti di smaltimento, e non anche di quelli di recupero.

Appare chiaro che la disciplina statale, proprio in quanto concepita in vista della fissazione di prescrizioni minime di tutela ambientale (come l’art. 3-quinquies del d.lgs. n. 152 del 2006 ribadisce), differenzia l’attività di smaltimento dei rifiuti, per la quale ritiene necessario individuare anche le zone idonee, da quella di recupero, per la quale la Provincia opera la ricognizione almeno delle zone non idonee. Ciò non toglie che, anche in vista della localizzazione degli impianti di recupero, nell’ambito di una più compiuta integrazione dei valori ambientali con le caratteristiche del territorio, la Provincia possa individuare, nell’ambito del piano regionale, anche le zone idonee ad ospitare tale specifica attività di trattamento dei rifiuti.

In conclusione, la disciplina dettata dalla disposizione regionale risponde ad esigenze di coordinamento territoriale e non appronta una disciplina dei rifiuti di minor rigore rispetto a quella statale.

3. – Sotto un secondo profilo il ricorrente assume l’illegittimità della lettera e) dello stesso art. 1, comma 1, della legge regionale n. 4 del 2008, che ha abrogato la lettera p) dell’art. 10, comma 2, della precedente legge n. 4 del 2007, nel senso che il piano regionale di gestione dei rifiuti non debba più contenere «le misure atte a promuovere la regionalizzazione della raccolta, della cernita e dello smaltimento dei rifiuti urbani», in contrasto con quanto disposto dall’art. 199, lettera m), del d.lgs. n. 152 del 2006.

La questione è fondata.

Si può ritenere che solo in relazione alla complessità programmatica del piano di gestione del ciclo integrato dei rifiuti di competenza regionale (si vedano, in correlazione, le previsioni in ordine alla limitazione nella produzione dei rifiuti, al loro riutilizzo, la distinzione tra le tipologie di rifiuti da smaltire e recuperare, le tecniche di gestione, ecc.), il primario obiettivo dell’autosufficienza nella gestione dei rifiuti può essere perseguito.

Se è vero che la gestione dei rifiuti urbani è organizzata sulla base di “ambiti territoriali ottimali” (art. 200 del d.lgs. n. 152 del 2006), pure al fine di perseguire l’obiettivo di raggiungere, nell’arco di cinque anni dalla sua costituzione, l’autosufficienza di smaltimento all’interno di ogni ambito (art. 201, comma 5), tuttavia, imprescindibilmente, ciò è possibile attraverso l’unità d’indirizzo che solo la regionalizzazione della raccolta, della cernita e dello smaltimento può assicurare (art. 199, comma 3, lettera m). Il livello di amministrazione inferiore, del resto, costituito dai Comuni e, quanto ai rifiuti urbani, dalle Autorità d’ambito (art. 201 del d.lgs. n. 152 del 2006), interviene in sede di consultazione da parte della Regione (art. 199, comma 1), che redige il piano con intento di unità programmatica.

Alla dimensione organizzativa, articolata sugli “ambiti territoriali ottimali” (ATO), il Codice dell’ambiente aggiunge, quale sintesi programmatica, che il servizio è comunque regionale (e non extraregionale), e pretende che i singoli piani di gestione contengano misure atte a promuovere la regionalizzazione. Si tratta quindi di un quid pluris che, con l’abrogazione della lettera p) dell’art. 10, comma 2, della legge regionale n. 4 del 2007, è venuto a mancare nella legislazione regionale campana, pur nella legittimità dell’articolazione del servizio su ambiti territoriali. Tale impostazione unitaria della pianificazione al livello individuato dal legislatore statale, assunta a valore imprescindibile, non è derogabile dal legislatore regionale, conseguendone l’illegittimità costituzionale della norma nella parte in cui non prevede che il piano regionale di gestione rifiuti non contenga anche le misure atte a promuovere la regionalizzazione nella raccolta, cernita, smaltimento dei rifiuti.

La dichiarazione di illegittimità della norma ha l’effetto di ripristinare la lettera p) abrogata.

4. – L’ultima censura sollevata dal Presidente del Consiglio dei ministri attiene alla violazione dei principi comunitari sulla concorrenza, oltre che allo sconfinamento nella competenza esclusiva statale in materia di ambiente e di tutela della concorrenza, che sarebbe insita nella lettera m) dello stesso art. 1, comma 1, della legge della Regione Campania n. 4 del 2008.

La norma, modificando l’articolo 20 della legge regionale n. 4 del 2007, prevede come unica modalità di affidamento del servizio di gestione integrata dei rifiuti, da parte della Provincia «nel rispetto della normativa comunitaria, nazionale e regionale», quella dell’affidamento ad un soggetto a totale o prevalente capitale pubblico.

L’affidamento dei servizi ad enti partecipati è materia su cui, frequentemente, si è pronunciata la Corte di giustizia europea. Orbene è necessario riferirsi ai principi di tutela della concorrenza, elaborati da quella giurisprudenza in attuazione del Trattato CE, atteso che le norme comunitarie fungono da norme interposte atte ad integrare il parametro per la valutazione di conformità della normativa regionale all’art. 117, primo comma, Cost. (sentenze n. 62 e n. 102 del 2008). In più, la nozione di “concorrenza” di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. – alla quale è riconducibile, come si dirà oltre, la disciplina degli appalti pubblici e della scelta del contraente – non può non riflettere quella operante in ambito comunitario, con la conseguenza che la normativa interna si uniforma a quella comunitaria di cui costituisce attuazione (sentenza n. 401 del 2007).

L’attività contrattuale della pubblica amministrazione, attraverso la quale assicurare l’opera necessaria alla prestazione dei servizi, non s’identifica in una materia a sé, ma rappresenta attività che inerisce alle singole materie sulle quali essa si esplica.

Riguardo alla fase procedimentale che precede la stipulazione del contratto di appalto, il titolo di legittimazione prevalente che viene in rilievo è costituito dalla tutela della concorrenza, di competenza legislativa esclusiva statale ex art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. (sentenze n. 401 del 2007 e 160 del 2009).

Il dibattito che ha interessato, anche di recente, questa Corte, si è sviluppato intorno ai presupposti in ordine ai quali fosse possibile ritenere l’amministrazione appaltante non tenuta all’esperimento delle procedure di evidenza pubblica, sia attraverso articolazioni dell’amministrazione stessa, sia attraverso enti dotati di propria soggettività, ma in qualche modo assoggettati al controllo dell’ente pubblico, trattandosi, in sostanza, di stabilire se il soggetto in house possa considerarsi “attivo” sul mercato in ragione della rilevanza esterna dell’attività di impresa svolta (da ultimo, sentenze n. 326 e n. 439 del 2008).

La problematica cui si è dianzi accennato appare estranea alla questione sollevata dal ricorso in epigrafe, dato che la disposizione impugnata, anche per effetto dell’interpretazione cui la resistente Regione Campania dichiara di attenersi, non pone in discussione la necessità della gara, ma pare limitarne la partecipazione solo «a soggetti a totale o prevalente capitale pubblico».

5. – La questione è fondata.

La circostanza che la Provincia affidi il servizio di gestione integrata dei rifiuti «nel rispetto della normativa comunitaria, nazionale e regionale sull’evidenza pubblica», secondo il disposto dell’art. 20 della legge della Regione Campania n. 4 del 2007 (come modificato dall’art. 1, comma 1, lettera m, della successiva legge n. 4 del 2008), non toglie che le regole comunitarie della concorrenza debbano essere effettivamente rispettate e che la restrizione della partecipazione ad una gara ai soli soggetti a partecipazione pubblica (non rileva se totale o prevalente), sia lesiva dei principi della concorrenza.

Né rileva che la violazione del Trattato CE debba essere inquadrata nell’ambito specifico dei principi di non discriminazione – comunque riconducibili all’essenza stessa del mercato concorrenziale – come più volte la Corte di giustizia ha riconosciuto (vedi, di recente, sentenze 18 dicembre 2007, in causa C-357/2006, e 16 dicembre 2008, in causa C-213/2007). Il fatto è che emerge palese la violazione della normativa statale di recepimento delle direttive comunitarie, che fanno della competizione libera e trasparente l’elemento imprescindibile della disciplina degli appalti pubblici. Si legge al punto 4 del considerando della direttiva 2004/18/CE che «gli Stati membri dovrebbero provvedere affinché la partecipazione di un offerente che è un organismo di diritto pubblico a una procedura di aggiudicazione di appalto pubblico non causi distorsioni della concorrenza nei confronti di offerenti privati».

L’art. 202 del d.lgs. n. 152 del 2006 dispone che l’Autorità d’ambito aggiudica il servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani mediante gara disciplinata dai principi e dalle disposizioni comunitarie, secondo la normativa vigente in tema di affidamento dei servizi pubblici locali, in conformità ai criteri di cui all’articolo 113, comma 7, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali): quest’ultima norma, che pure consente la gestione dei servizi pubblici locali mediante il ricorso a società partecipate, si propone esplicitamente di disciplinare le modalità di gestione ed affidamento dei servizi pubblici locali a tutela della concorrenza, ed è inderogabile.

La competenza statale in materia di tutela della concorrenza ricomprende anche la disciplina delle procedure negoziate. La indicazione dei rigorosi presupposti che autorizzano il ricorso a tali procedure si inserisce in un ambito di disciplina unitario finalizzato ad assicurare un sistema di tutela uniforme sull’intero territorio nazionale, che consente la deroga ai normali metodi di gara soltanto in presenza delle condizioni puntualmente individuate dal legislatore statale (da ultimo, sentenza n. 160 del 2009).

La stessa qualificazione degli esecutori di lavori pubblici e l’individuazione dei criteri di ammissione alla gara non può non modellarsi sulle corrispondenti norme del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE) (sentenza n. 411 del 2008).

Questa Corte ha costantemente affermato che le Regioni non possono prevedere una disciplina diversa da quella del Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture di cui al d.lgs. n. 163 del 2006, in relazione agli ambiti di legislazione sui contratti della pubblica amministrazione riconducibili alla competenza esclusiva dello Stato in base all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. (tra le altre, sentenza n. 322 del 2008 e n. 431 del 2007, quest’ultima relativa alle norme sugli appalti pubblici nella legislazione regionale della Campania). Ne consegue l’illegittimità costituzionale della normativa regionale impugnata, che, nella parte in cui riserva solo a determinati soggetti la partecipazione alle gare per l’affidamento del servizio di gestione integrata dei rifiuti, detta una disciplina difforme da quella nazionale in materie riservate alla competenza legislativa esclusiva dello Stato in base all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., riducendo l’area alla quale si applicano le regole concorrenziali dirette a consentire la piena esplicazione del mercato nel settore degli appalti pubblici a tutti gli operatori economici.

La dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettera m), della legge regionale n. 4 del 2008, ha l’effetto di ripristinare il precedente testo dell’art. 20, comma 1, della legge regionale n. 4 del 2007, ferma restando, però, la competenza della Provincia nell’affidamento del servizio, individuata quale “autorità d’ambito”.

[ELG:DISPOSITIVO]

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettera e), della legge della Regione Campania 14 aprile 2008, n. 4 (Modifiche alla legge regionale 28 marzo 2007, n. 4 “Norme in materia di gestione, trasformazione, riutilizzo dei rifiuti e bonifica dei siti inquinati”), nella parte in cui abroga la lettera p) dell’art. 10, comma 2, della legge della Regione Campania 28 marzo 2007, n. 4 (Norme in materia di gestione, trasformazione, riutilizzo dei rifiuti e bonifica dei siti inquinati);

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettera m), della medesima legge della Regione Campania n. 4 del 2008, nei sensi di cui in motivazione;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettera c), della stessa legge della Regione Campania n. 4 del 2008, sollevata, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30 novembre 2009.

[ELG:FIRME]

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Alfio FINOCCHIARO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 4 dicembre 2009.