Sentenza n. 155 del 2006

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SENTENZA N. 155

ANNO 2006

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Annibale                                              MARINI                        Presidente  

- Franco                                                BILE                                Giudice

- Giovanni Maria                                    FLICK                                    "

- Francesco AMIRANTE                                                       "

- Ugo                                                     DE SIERVO                           "

- Romano                                              VACCARELLA                      "

- Paolo                                                  MADDALENA                       "

- Alfio                                                    FINOCCHIARO                    "

- Alfonso                                               QUARANTA                          "

- Franco                                                GALLO                                  "

- Gaetano                                              SILVESTRI                            "

- Sabino                                                 CASSESE                               "

- Maria Rita SAULLE                                                             "

- Giuseppe                                             TESAURO                              "

ha pronunciato la seguente                                                            

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 347, 348, 349, 350 e 352, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2005), promosso con ricorso della Regione Friuli-Venezia Giulia notificato il 28 febbraio 2005, depositato in cancelleria il 3 marzo 2005 ed iscritto al n. 28 del registro ricorsi 2005.

 

            Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nell’udienza pubblica del 21 febbraio 2006 il Giudice relatore Paolo Maddalena;

 

uditi l’avvocato Giandomenico Falcon per la Regione Friuli-Venezia Giulia e l’avvocato dello Stato Filippo Arena per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. ¾ La Regione Friuli-Venezia Giulia ha proposto, con ricorso notificato il 28 febbraio 2005 e depositato il successivo 3 marzo, questione di legittimità costituzionale di numerose disposizioni della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2005) e, tra queste, delle disposizioni di cui ai commi 347, 348 (denunciato soltanto nella motivazione del ricorso), 349, 350 e 352 dell’art. 1.

La ricorrente esordisce precisando che le disposizioni denunciate sarebbero illegittime e lesive non già per «un elemento intrinseco» ad esse, bensì in ragione del loro rapporto «con il finanziamento della Regione, e precisamente nella inopinata e rilevante riduzione che esse ne determinano, senza accompagnarlo (come avviene invece per lo Stato) con alcuna misura correttiva». Sicché la richiesta rivolta a questa Corte non è quella di «una declaratoria di illegittimità costituzionale delle riduzioni delle imposte dirette, ma una declaratoria di illegittimità nella parte in cui la normativa che le dispone non provvede a riequilibrare le entrate regionali, come avviene invece per quelle statali».

1.1. ¾ Ciò puntualizzato, la Regione Friuli-Venezia Giulia si sofferma sul contenuto delle norme oggetto di censura, muovendo dal comma 347, il quale reca modificazioni alla disciplina dettata dall’art. 11 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali), in riferimento alla determinazione della base imponibile dell’Irap e in particolare:

- modifica il comma 1, lettera a), nel senso che sono ammessi in deduzione anche «i costi sostenuti per il personale addetto alla ricerca e sviluppo, ivi compresi quelli per il predetto personale sostenuti da consorzi tra imprese costituiti per la realizzazione di programmi comuni di ricerca e sviluppo, a condizione che l’attestazione di effettività degli stessi sia rilasciata dal presidente del collegio sindacale ovvero, in mancanza, da un revisore dei conti o da un professionista iscritto negli albi dei revisori dei conti, dei dottori commercialisti, dei ragionieri e periti commerciali o dei consulenti del lavoro, nelle forme previste dall’articolo 13, comma 2, del decreto-legge 28 marzo 1997, n. 79, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 1997, n. 140, e successive modificazioni, ovvero dal responsabile del centro di assistenza fiscale»;

- introduce il comma 4-quater, il quale, tra l’altro, stabilisce che «per i soggetti di cui all’articolo 3, comma 1, lettere da a) ad e), che incrementano il numero di lavoratori dipendenti assunti con contratto a tempo indeterminato, rispetto al numero dei lavoratori assunti con il medesimo contratto mediamente occupati nel periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2004, è deducibile il costo del predetto personale per un importo annuale non superiore a 20.000 euro per ciascun nuovo dipendente assunto, e nel limite dell’incremento complessivo del costo del personale classificabile nell’articolo 2425, primo comma, lettera B), numeri 9) e 14), del codice civile»;

- introduce, infine, il comma 4-quinquies, secondo cui «nelle aree ammissibili alle deroghe previste dall’articolo 87, paragrafo 3, lettere a) e c), del Trattato che istituisce la Comunità europea, individuate dalla Carta italiana degli aiuti a finalità regionale per il periodo 2000-2006, l’importo deducibile determinato ai sensi del comma 4-quater è raddoppiato».

A sua volta, il comma 348 precisa che «le disposizioni del comma 347 si applicano a partire dal periodo d’imposta che inizia successivamente al 31 dicembre 2004», facendo però eccezione per quelle di cui alla lettera d) dello stesso comma 347 (lettera che aggiunge i commi 4-quater e 4-quinquies), che si applicano «a decorrere dal periodo d’imposta in cui interviene l’approvazione da parte della Commissione europea ai sensi dell'articolo 88, paragrafo 3, del Trattato istitutivo della Comunità europea».

Il comma 349 modifica invece la disciplina dell’imposta sul reddito (IRE). Esso, tra l’altro, rinumera l’art. 13 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi) in art. 12 e trasforma le detrazioni per carichi di famiglia in «Deduzioni per oneri di famiglia», aumentando gli importi deducibili in misura tale che – secondo la ricorrente – «anche considerando che la somma non sarà più detratta dall’imposta ma dedotta dall’imponibile, il gettito del tributo sarà inferiore». Inoltre, esso aggiunge nel nuovo art. 12 del d.P.R. n. 917 del 1986 il comma 4-bis, che consente di dedurre «fino ad un massimo di 1.820 euro, le spese documentate sostenute dal contribuente per gli addetti alla propria assistenza personale nei casi di non autosufficienza nel compimento degli atti della vita quotidiana», prevedendo altresì che le medesime spese «sono deducibili anche se sono state sostenute nell’interesse delle persone indicate nell’articolo 433 del codice civile». Da ultimo, il medesimo comma 349 ridefinisce le aliquote (che in precedenza erano le seguenti: fino a 15.000 euro, 23 per cento; oltre 15.000 euro e fino a 29.000 euro, 29 per cento; oltre 29.000 euro e fino a 32.600 euro, 31 per cento; oltre 32.600 euro e fino a 70.000 euro, 39 per cento; oltre 70.000 euro, 45 per cento) così fissandole: fino a 26.000 euro, 23 per cento; oltre 26.000 euro e fino a 33.500 euro, 33 per cento; oltre 33.500 euro, 39 per cento. Peraltro, il comma 350 introduce un contributo di solidarietà del 4 per cento sulla parte di reddito imponibile eccedente l’importo di 100.000 euro.

Infine, il comma 352 stabilisce che i contribuenti, in sede di dichiarazione dei redditi per l’anno 2005, «possono applicare le disposizioni del testo unico delle imposte sui redditi in vigore al 31 dicembre 2002 ovvero quelle in vigore al 31 dicembre 2004, se più favorevoli».

1.2. ¾ Ad avviso della Regione ricorrente, siffatto complessivo intervento legislativo determinerebbe «un minor gettito delle imposte in questione, che ha rilevanti riflessi sulla finanza regionale, le cui entrate fondamentali sono rappresentate dall’IRAP e dalla compartecipazione a certe imposte statali, fra le quali l’IRE». Si osserva, infatti, che l’art. 49 dello statuto di autonomia devolve alla Regione: 1) sei decimi del gettito dell’imposta sul reddito delle persone fisiche; 2) quattro decimi e mezzo del gettito dell’imposta sul reddito delle persone giuridiche; 3) sei decimi del gettito delle ritenute alla fonte di cui agli artt. 23, 24, 25 e 29 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), ed all’art. 25-bis aggiunto allo stesso decreto del Presidente della Repubblica con l’art. 2, primo comma, del decreto-legge 30 dicembre 1982, n. 953 (Misure in materia tributaria), convertito, con modificazioni, nella legge 28 febbraio 1983, n. 53. Si precisa altresì che l’IRAP compete alla Regione in forza del decreto legislativo n. 446 del 1997.

Non vi sarebbe alcun dubbio – prosegue la ricorrente – sul fatto che l’effetto delle denunciate disposizioni sia quello di una consistente riduzione del gettito fiscale per lo Stato, da stimarsi, «secondo studi previsionali di fonte statale», in una somma «che a regime si aggira, in relazione all’IRE (e relativa addizionale), sui 6 miliardi di euro, con un importo un po’ inferiore nel primo anno. Per l’IRAP la previsione di riduzione a regime pare aggirarsi intorno al mezzo miliardo di euro».

Ne conseguirebbe una riduzione di entrata anche per la Regione Friuli-Venezia Giulia e, segnatamente, in riferimento alle «previsioni per l’anno 2006», una decurtazione «di oltre 65 milioni di euro in relazione all’IRE, di oltre 700.000 euro in relazione alla relativa addizionale, di oltre 6 milioni di euro in relazione all’IRAP, per un totale complessivo di quasi 73 milioni di euro, corrispondenti a circa l’1,5% del totale delle entrate regionali». Ciò in base ad un calcolo, «necessariamente approssimativo», che terrebbe conto del fatto che, «su base storica 2003, la quota riscossa nella Regione è pari all’1,69% del gettito IRE (2,52% in relazione alla addizionale) e al 2,31% del gettito IRAP».

Osserva ancora la ricorrente che la stessa legge n. 311 del 2004 prevede però «numerose misure compensative […] per attenuare l’effetto di riduzione del gettito fiscale determinato dalle disposizioni illustrate e mantenere in equilibrio il bilancio statale». Tra queste, esemplificativamente, sarebbe da annoverare l’aumento, disposto dal comma 300 dell’art. 1, degli «importi fissi dell’imposta di registro, della tassa di concessione governativa, dell’imposta di bollo, dell’imposta ipotecaria e catastale, delle tasse ipotecarie e dei diritti speciali di cui al titolo III della tabella A allegata al decreto-legge 31 luglio 1954, n. 533, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 settembre 1954, n. 869, e successive modificazioni», così da «assicurare un maggiore gettito annuo, pari a 1.120 milioni di euro per gli anni 2005 e 2006, e a 1.320 milioni di euro a decorrere dall’anno 2007». In definitiva, prosegue la Regione, la manovra fiscale comporterebbe, da un lato, «la riduzione delle entrate derivanti dalle imposte dirette, rivolta a realizzare la riduzione per i cittadini di tale carico fiscale generale, e con ciò la politica economica del Governo»; dall’altro, «l’aumento di numerose imposte indirette, rivolto a garantire la capacità di spesa dello Stato, ponendone il peso a carico degli specifici utilizzatori dei beni o servizi soggetti a tali imposte». Ma una siffatta manovra sarebbe per la Regione Friuli-Venezia Giulia «a senso unico», traducendosi «in una pura e semplice riduzione di entrata di notevole entità, non compensata affatto dall’aumento di imposte al cui gettito la Regione stessa non partecipa».

1.3. ¾ Ad avviso della ricorrente, sarebbe violato anzitutto «il principio di uguaglianza (e di proporzionalità) di cui all’art. 3, comma primo, Cost., sia con riferimento all’uguaglianza tra enti che in relazione all’uguaglianza tra comunità territoriali (ed in definitiva tra le persone che le istituzioni di tale comunità rappresentano)»: ciò in quanto «l’istituzione rappresentativa della comunità regionale del Friuli-Venezia Giulia “partecipa” al peso della riduzione delle imposte dirette in misura ben più rilevante del resto della comunità nazionale». Si sostiene, infatti, nel ricorso che, sebbene i cittadini della Regione «come tutti gli altri paghino l’aumento delle imposte indirette rivolto a riequilibrare il bilancio statale», tuttavia un siffatto aumento di entrata non si traduce affatto «in un corrispondente aumento della capacità di spesa della Regione».

Inoltre, la mancata previsione di risorse compensative del minor gettito da attribuire alla Regione Friuli-Venezia Giulia contrasterebbe con l’art. 63 dello statuto di autonomia e con «l’insieme delle disposizioni del titolo IV».

L’art. 63 stabilisce anzitutto che sulle proposte di legge costituzionale di modifica dello statuto il Consiglio regionale esprime il proprio parere (comma 3), prevedendo poi, in riferimento alle disposizioni finanziarie di cui al Titolo IV, che queste «possono essere modificate con leggi ordinarie, su proposta di ciascun membro delle Camere, del Governo e della Regione» ma, «in ogni caso, sentita la Regione».

Orbene – si argomenta nel ricorso – seppure «non si è qui di fronte ad una formale modificazione delle disposizioni statutarie», non potrebbe, tuttavia, revocarsi in dubbio «che l’effetto della riforma equivale in tutto e per tutto ad una riduzione della quota di partecipazione», giacché la riduzione del gettito non deriva semplicemente dall’andamento «del ciclo economico, in relazione al quale il gettito può essere maggiore o minore, in condizione di uguaglianza tra tutti coloro che ne sono destinatari», bensì da «una consapevole decisione di governo», che ristrutturando le basi di imposta e delle aliquote, con contemporaneo riequilibrio delle sole imposte indirette statali, ha alterato il «rapporto tra finanza statale e finanza regionale quale fissato dall’art. 49 dello Statuto».

Ne conseguirebbe appunto la violazione dell’art. 63 dello statuto e del principio di leale collaborazione, non essendo stata attivata al riguardo alcuna «procedura di consultazione», la quale, peraltro, si sarebbe utilmente prestata a rendere edotto il legislatore «delle gravi conseguenze che le decisioni assunte avrebbero prodotto, in assenza di adeguati correttivi».

Secondo la ricorrente, sussisterebbe infine la lesione del «principio di corrispondenza tra entrate e funzioni, implicito nel sistema statutario ed espresso nell’art. 119, comma quarto, della Costituzione».

Si assume infatti che «la dimensione quantitativa delle entrate regionali era stata predisposta in correlazione con l’ampiezza delle funzioni proprie della stessa Regione», laddove un rilevante «taglio» delle risorse determinerebbe invece uno squilibrio tra queste e le funzioni, «mettendo a repentaglio per la Regione la possibilità di assicurare l’erogazione delle prestazioni nei livelli essenziali prescritti dalla normativa statale».

Osserva, peraltro, la Regione Friuli-Venezia Giulia che è stato lo stesso legislatore statale a riconoscere l’evocato principio di corrispondenza tra entrate e funzioni, stabilendo, all’art. 10 della legge 7 aprile 2003, n. 80 (Delega al Governo per la riforma del sistema fiscale statale), che «fino al completamento del processo di riforma costituzionale sono garantiti in termini quantitativi e qualitativi gli attuali meccanismi di finanza locale e regionale, nel rispetto, per le regioni a statuto speciale e per le province autonome di Trento e di Bolzano, dei rispettivi statuti e delle relative norme di attuazione», e che, segnatamente, «la progressiva riduzione dell’IRAP sarà compensata, d’intesa con le regioni, da trasferimenti o da compartecipazioni, da attuare nell’ambito degli equilibri di finanza pubblica».

Conclude, quindi, la ricorrente ribadendo che «le norme impugnate appaiono illegittime nella parte in cui non prevedono un adeguato riequilibrio a favore della Regione, corrispondente a quello attuato a favore del bilancio statale».

2. ¾ Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, contestando la fondatezza del ricorso, del quale chiede il rigetto.

Nella memoria si rammenta preliminarmente che, ai sensi del comma 38 dell’art. 1 della legge n. 311 del 2004, le Regioni a statuto speciale e le Province autonome, in relazione agli esercizi 2005, 2006 e 2007, concordano con il Ministero dell’economia e delle finanze, entro il 31 marzo di ciascun anno, «il livello delle spese correnti e in conto capitale e dei relativi pagamenti in coerenza con gli obiettivi di finanza pubblica». Detti obiettivi costituirebbero, dunque, «il limite di ordine generale entro il quale il livello delle spese correnti e in conto capitale dovrà essere fissato con il consenso delle regioni a statuto speciale, la cui autonomia viene, pertanto, salvaguardata». Il comma 38 citato – osserva ancora il resistente – va raccordato con il successivo comma 569, che introduce una clausola di salvaguardia in favore delle autonomie speciali, disponendo che le norme della legge finanziaria 2005 si applichino «compatibilmente con le norme dei rispettivi statuti» e, dunque, anche nel rispetto dell’autonomia della Regione Friuli-Venezia Giulia.

Pertanto, ad avviso dell’Avvocatura generale, il ricorso sarebbe di per sé infondato, così che «solo per completezza di difesa» si imporrebbe l’esame delle singole censure.

Quanto alla denuncia dei commi 347, 348, 349, 350 e 352 dell’art. 1 della legge n. 311 del 2004, la difesa erariale sostiene che la tesi seguita dalla ricorrente porterebbe alla conclusione che «allo Stato sarebbe preclusa qualsiasi manovra economica realizzata attraverso la leva fiscale», giacché, ogni qualvolta «dovesse ridurre le proprie imposte una quota delle quali, secondo la legge statale, è devoluta alle Regioni, queste dovrebbero essere compensate in corrispondenza». In definitiva, prosegue il resistente, si vorrebbe accreditare l’esistenza di una aspettativa «a non veder diminuito il gettito dell’imposta degli anni precedenti o, quanto meno, a non veder modificati i criteri di calcolo».

Si osserva, però, che la legge finanziaria deve valutarsi «nel complesso delle operazioni che prevede» e la legge n. 311 del 2004 si propone dichiaratamente «di sollecitare la ripresa economica anche attraverso una riduzione di aliquote di alcune imposte erariali», tenuto conto che in tempi di «rallentamento economico la materia tassabile si riduce», con conseguente diminuzione del gettito fiscale, e pertanto «mantenere alte le aliquote non necessariamente significa gettiti maggiori».

In tal senso, prosegue l’Avvocatura, l’intervento legislativo denunciato dalla Regione si inserisce «in una manovra complessa, che interessa non soltanto il settore tributario» e che ha come scopo «la ripresa economica», così da aumentare la «materia tassabile» e, conseguentemente, incrementare il gettito fiscale complessivo e quindi determinare anche un aumento «delle disponibilità delle Regioni». Una siffatta manovra dovrebbe pertanto essere considerata nel suo complesso, «e non voce per voce», nonché essere oggetto di valutazione non «in via preventiva ed in astratto, ma a consuntivo, in base agli effetti economici che sarà in grado di produrre».

Peraltro, secondo la difesa erariale, le tesi esposte dalla ricorrente troverebbero già smentita nella giurisprudenza di questa Corte.

Allo Stato spetta, infatti, la competenza esclusiva in materia di «perequazione delle risorse finanziarie», in cui rientrerebbero «le iniziative in esame». Inoltre, va considerato che ogni legge finanziaria «produce effetti per l’anno di riferimento» e che la legge n. 311 del 2004 ha fissato, nell’art. 1, comma 1, «il livello massimo del saldo netto per l’anno 2005 e le sue varie disposizioni mirano a questo fine».

Con ciò – sostiene il resistente, richiamando la sentenza n. 381 del 2004 – gli interventi statali di carattere temporaneo «sono non solo giustificati, ma necessari, in attesa di un complessivo ridisegno dell’autonomia tributaria delle Regioni nel quadro dell’attuazione del nuovo art. 119 Cost.». Sicché, conclude l’Avvocatura, non potrebbe, come affermato dalla sentenza n. 431 del 2004, «essere effettuata una atomistica considerazione di isolate disposizioni modificative del tributo, senza considerare nel suo complesso la manovra fiscale entro la quale esse trovano collocazione, ben potendosi verificare che, per effetto, di plurime disposizioni, contenute nella stessa legge finanziaria oggetto di impugnazione o in altre leggi, il gettito complessivo destinato alla finanza regionale non subisca riduzioni».

3. ¾ In prossimità dell’udienza hanno depositato memoria entrambe le parti costituite.

3.1. ¾ La Regione ricorrente insiste per l’incostituzionalità dei commi 347, 348, 349, 350 e 352 dell’art. 1 della legge n. 311 del 2004, sostenendo, anzitutto, che l’infondatezza dell’intero ricorso, invocata dall’Avvocatura generale dello Stato per il solo fatto che sarebbe operativa la clausola di salvezza contenuta nel comma 569 della predetta legge, non potrebbe trovare seguito giacché argomentata soltanto «in termini generici», senza che venga precisato quali siano le norme che non si applicherebbero alla Regione o che, comunque, sarebbero compatibili con lo statuto di autonomia.

In riferimento, poi, alla denuncia delle predette disposizioni, la Regione Friuli-Venezia Giulia svolge talune considerazioni a confutazione di quanto dedotto dalla difesa erariale nell’atto di costituzione.

In particolare, si osserva nella memoria, la «valutazione a posteriori» degli effetti della manovra fiscale avrebbe senso soltanto sotto un profilo economico e non già giuridico. Peraltro, la riduzione delle aliquote fiscali per ottenere un «benefico effetto economico» costituirebbe «scommessa» su cui lo Stato non rischierebbe, essendosi premunito «mediante l’inasprimento delle imposte indirette» e, dunque, su maggiori entrate che però non sono partecipate dalla Regione. Siffatta disparità di trattamento sarebbe, dunque, ingiustificabile, accompagnandosi con essa «l’alterazione del rapporto tra finanza statale e finanza regionale in attesa di un aumento della base imponibile del tutto ipotetico».

La ricorrente contesta, infine, che le pronunce di questa Corte (sentenze n. 381 e n. 431 del 2004), su cui ha fatto leva la difesa erariale, siano pertinenti al caso di specie ovvero possano supportare l’infondatezza della questione. Nella prima, infatti, vengono giustificati «interventi statali a carattere temporaneo», senza che si abbia riguardo al problema «di misure compensative per le Regioni in presenza di un rilevante taglio delle risorse». Nella seconda è proprio la menzionata «necessità di considerare il complesso delle misure contenute nella legge finanziaria» che – contrariamente a quanto opinato dall’Avvocatura – confermerebbe l’incostituzionalità delle denunciate norme, proprio perché le misure compensative previste dalla legge n. 311 del 2004 sarebbero esclusivamente in favore dello Stato, così da confermare in modo implicito «che le altre norme della manovra non sono ritenute idonee a mantenere invariato il gettito fiscale, ma soprattutto ponendo la ovvia riduzione del gettito essenzialmente a carico delle Regioni e, per la sua quota, della Regione ricorrente».

3.2. ¾ Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, si limita a ribadire che «le questioni sollevate hanno trovato ormai la soluzione definitiva» nella giurisprudenza di questa Corte, richiamando, segnatamente, la sentenza n. 431 del 2004.

Considerato in diritto

 

1. ¾ La Regione Friuli-Venezia Giulia ha sollevato, con il medesimo ricorso, questione di legittimità costituzionale di numerose disposizioni della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2005).

Le censure relative ai commi 347, 348 (denunciato nella motivazione dell’atto introduttivo del giudizio e non già richiamato nelle relative conclusioni), 349, 350 e 352 dell’art. 1 vengono qui trattate separatamente rispetto alle altre questioni proposte nel medesimo ricorso.

2. ¾ Le norme denunciate hanno tutte ad oggetto interventi in materia tributaria e la disciplina che esse recano può essere, in estrema sintesi, rammentata come segue.

Il comma 347 modifica l’art. 11 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali) e, segnatamente, incide sulla determinazione della base imponibile dell’IRAP. A sua volta, il comma 348 individua il periodo di imposta a partire dal quale si applicano le modifiche recate dal precedente comma 347.

Il comma 349 interviene sulla disciplina dell’imposta sul reddito, non solo trasformando le detrazioni per carichi di famiglia in «Deduzioni per oneri di famiglia», con aumento degli importi deducibili, ma anche ridefinendo le aliquote, che vengono così fissate: fino a 26.000 euro, 23 per cento; oltre 26.000 euro e fino a 33.500 euro, 33 per cento; oltre 33.500 euro, 39 per cento. Il comma 350 introduce, quindi, un contributo di solidarietà del 4 per cento sulla parte di reddito imponibile eccedente l’importo di 100.000 euro.

Infine, il comma 352 dà facoltà ai contribuenti, in sede di dichiarazione dei redditi per l’anno 2005, ad applicare «le disposizioni del testo unico delle imposte sui redditi in vigore al 31 dicembre 2002 ovvero quelle in vigore al 31 dicembre 2004, se più favorevoli».

Secondo la ricorrente, siffatto intervento legislativo determinerebbe, nel suo complesso, un minor gettito dell’IRAP e dell’imposta sul reddito (da stimarsi, a regime, in circa 6,5 miliardi), con rilevanti riflessi sulla finanza regionale, le cui entrate fondamentali fanno appunto affidamento sul gettito di dette imposte.

Per contro, la stessa legge n. 311 del 2004 prevederebbe «numerose misure compensative» (e, tra queste, l’aumento, disposto dal comma 300 dell’art. 1, degli «importi fissi dell’imposta di registro, della tassa di concessione governativa, dell’imposta di bollo, dell’imposta ipotecaria e catastale, delle tasse ipotecarie e dei diritti speciali di cui al titolo III della tabella A allegata al decreto-legge 31 luglio 1954, n. 533, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 settembre 1954, n. 869, e successive modificazioni»), proprio al fine di attenuare «l’effetto di riduzione del gettito fiscale» determinato dalle norme censurate «e mantenere in equilibrio il bilancio statale». In definitiva, ciò comporterebbe, da un lato, «la riduzione delle entrate derivanti dalle imposte dirette» e, dall’altro, «l’aumento di numerose imposte indirette»: una manovra che – secondo la Regione Friuli-Venezia Giulia – sarebbe dunque «a senso unico», traducendosi «in una pura e semplice riduzione di entrata di notevole entità, non compensata affatto dall’aumento di imposte al cui gettito la Regione stessa non partecipa».

Le disposizioni denunciate sarebbero, quindi, illegittime e lesive non già per «un elemento intrinseco» ad esse, bensì in ragione del loro rapporto «con il finanziamento della Regione, e precisamente nella inopinata e rilevante riduzione che esse ne determinano, senza accompagnarlo (come avviene invece per lo Stato) con alcuna misura correttiva».

In particolare, esse determinerebbero la violazione dell’art. 3, primo comma, Cost., vulnerando «il principio di uguaglianza (e di proporzionalità) […] sia con riferimento all’uguaglianza tra enti che in relazione all’uguaglianza tra comunità territoriali (ed in definitiva tra le persone che le istituzioni di tale comunità rappresentano)»: ciò in quanto «l’istituzione rappresentativa della comunità regionale del Friuli-Venezia Giulia “partecipa” al peso della riduzione delle imposte dirette in misura ben più rilevante del resto della comunità nazionale» e, sebbene i cittadini della Regione «come tutti gli altri paghino l’aumento delle imposte indirette rivolto a riequilibrare il bilancio statale», tuttavia un siffatto aumento di entrata non si tradurrebbe affatto «in un corrispondente aumento della capacità di spesa della Regione».

Sarebbero, inoltre, in contrasto con gli artt. 49 – unitamente alle altre «disposizioni del Titolo IV» – e 63 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), nonché con il principio di leale collaborazione. Sebbene, infatti, «non si è qui di fronte ad una formale modificazione delle disposizioni statutarie», non potrebbe, tuttavia, revocarsi in dubbio – secondo la Regione – «che l’effetto della riforma equivale in tutto e per tutto ad una riduzione della quota di partecipazione», così alterandosi il «rapporto tra finanza statale e finanza regionale quale fissato dall’art. 49 dello Statuto». Alterazione, questa, che sarebbe stata provocata senza l’attivazione di qualsivoglia «procedura di consultazione» (prevista, nondimeno, dall’art. 63 dello statuto), la quale, peraltro, si sarebbe utilmente prestata a rendere edotto il legislatore «delle gravi conseguenze che le decisioni assunte avrebbero prodotto, in assenza di adeguati correttivi».

Infine, sarebbe violato il «principio di corrispondenza tra entrate e funzioni», implicito nel sistema statutario ed espresso dall’art. 119, quarto comma, Cost., giacché «la dimensione quantitativa delle entrate regionali era stata predisposta in correlazione con l’ampiezza delle funzioni proprie della stessa Regione», laddove un rilevante «taglio» delle risorse determinerebbe invece uno squilibrio tra queste e le funzioni, «mettendo a repentaglio per la Regione la possibilità di assicurare l’erogazione delle prestazioni nei livelli essenziali prescritti dalla normativa statale».

Di qui, la richiesta della Regione ricorrente non già di «una declaratoria di illegittimità costituzionale delle riduzioni delle imposte dirette, ma una declaratoria di illegittimità nella parte in cui la normativa che le dispone non provvede a riequilibrare le entrate regionali, come avviene invece per quelle statali».

3. ¾ In via preliminare, va dichiarata inammissibile la questione relativa al comma 348 dell’art. 1 della legge n. 311 del 2004.

Decisiva, al riguardo, è la circostanza della omessa indicazione, nella deliberazione della Giunta regionale che ha deciso di denunciare la legge n. 311 del 2004, proprio del comma 348, giacché, come ritenuto da questa Corte in più di un’occasione (ex plurimis, sentenza n. 425 del 2004), non può darsi ingresso all’impugnazione di disposizioni non individuate nella deliberazione che autorizza la proposizione del ricorso.

3.1. ¾ Deve escludersi, inoltre, che il jus superveniens che ha nuovamente interessato l’art. 11, commi 4-quater e 4-quinquies, del d.lgs. n. 446 del 1997 avrebbe determinato una sopravvenuta carenza di interesse da parte della Regione ad una pronuncia di merito sul comma 347 dell’art. 1 della legge n. 311 del 2004, il quale, a sua volta, aveva già modificato il citato art. 11.

Si tratta infatti delle modificazioni recate dal decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35 (Disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale), convertito, con modificazioni, nella legge 14 maggio 2005, n. 80, il cui tenore non è tale da soddisfare le pretese della ricorrente, giacché l’intervento modificativo ha, per un verso, comportato un ampliamento del periodo di imposta nel corso del quale è possibile operare la deduzione prevista dal comma 4-quater, e, per altro verso, ha incrementato l’importo di detta deduzione nelle sole aree ammissibili alla deroga prevista dall’art. 87, paragrafo 3, lettera a), del Trattato che istituisce la Comunità europea.

4. ¾ Nel merito, la questione non è fondata.

Occorre muovere dall’assunto attorno a cui ruotano tutti i profili di censura, i quali, pur evocando con varie argomentazioni la violazione di parametri diversi, sono tra loro essenzialmente avvinti da un unico e comune motivo di doglianza e cioè dal rilievo che le norme oggetto di denuncia abbiano alterato il rapporto tra finanza statale e finanza regionale, con conseguente lesione dell’autonomia regionale – garantita dagli artt. 49 e seguenti dello statuto speciale di cui alla legge costituzionale n. 1 del 1963 – quanto alla capacità di finanziare i propri compiti. In tal senso, del resto, è da apprezzarsi anche la dedotta violazione dell’art. 3, primo comma, Cost.; censura che non assume autonomo rilievo rispetto alle altre e che si palesa ammissibile proprio perché la prospettazione che la sorregge intende far valere un vulnus alla sfera di competenza della Regione in ambito finanziario.

La tesi che sostanzia le censure della ricorrente è, in sintesi, quella per cui il legislatore statale, nell’esercizio della sua potestà esclusiva in materia tributaria, in forza dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., avrebbe dovuto contemplare, a fronte di misure, quali quelle dettate dalle disposizioni denunciate, che riducono il gettito fiscale derivante da imposte dirette (IRAP ed IRE), anche misure compensative in favore della Regione che su quel gettito fa affidamento per finanziare la realizzazione dei propri compiti. Un siffatto intervento correttivo si sarebbe reso ancor più necessario in ragione del fatto che la stessa legge n. 311 del 2004 ha ritenuto di compensare la diminuzione delle predette entrate fiscali attraverso l’aumento del gettito di numerose imposte indirette, di ciò beneficiando, però, soltanto lo Stato.

E’ alla luce di tale premessa che, peraltro, va letto il petitum  sottoposto a questa Corte, avente ad oggetto la dichiarazione di illegittimità costituzionale delle norme denunciate proprio a causa della mancata previsione, diversamente da quanto disposto in favore dello Stato, di un riequilibrio della finanza regionale.

4.1. ¾ Si tratta, però, di una tesi che non può essere condivisa, come questa Corte ha già avuto modo di affermare (v. sentenza n. 431 del 2004).

Non è contestato neppure dalla ricorrente che la disciplina dei tributi (IRAP ed IRE) su cui hanno inciso le norme denunciate appartenga alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., e che tale competenza possa essere esercitata anche per il tramite di norme di dettaglio, senza che ciò implichi violazione dell’autonomia tributaria delle Regioni (ex plurimis: sentenze n. 2 del 2006, n. 455 del 2005, n. 397 del 2005).

Nell’esercizio di tale potestà esclusiva, e dunque, come nel caso di specie, nell’attivazione della leva fiscale, non può reputarsi che ogni intervento, modificativo di un tributo il quale, in ragione di siffatta modificazione, comporti un minor gettito per le Regioni, debba «essere accompagnato da misure compensative per la finanza regionale, la quale – diversamente – verrebbe ad essere depauperata» (così la citata sentenza n. 431 del 2004). Ciò in quanto – come precisato dalla sentenza appena richiamata – deve escludersi che possa «essere effettuata una atomistica considerazione di isolate disposizioni modificative del tributo, senza considerare nel suo complesso la manovra fiscale entro la quale esse trovano collocazione, ben potendosi verificare che, per effetto di plurime disposizioni, contenute nella stessa legge finanziaria oggetto di impugnazione principale o in altre leggi, il gettito complessivo destinato alla finanza regionale non subisca riduzioni».

Del resto, questa Corte ha affermato più volte (si vedano, tra le tante, le sentenze n. 437 e n. 337 del 2001, n. 507 del 2000, n. 138 del 1999) che, a seguito di manovre di finanza pubblica, possono anche determinarsi riduzioni nella disponibilità finanziaria delle Regioni, purché esse non siano tali da comportare uno squilibrio incompatibile con le complessive esigenze di spesa regionale e, in definitiva, rendano insufficienti i mezzi finanziari dei quali la Regione stessa dispone per l’adempimento dei propri compiti (così la citata sentenza n. 431 del 2004, nonché le sentenze n. 381, n. 29 e n. 17 del 2004).

Evenienza, questa, che non è stata dimostrata dalla Regione Friuli-Venezia Giulia, tanto più che nel ricorso si richiamano solo talune delle quote di compartecipazione al gettito fiscale che l’art. 49 dello statuto riconosce alla Regione, ma si tace su quelle ulteriori quote compartecipative che riguardano anche imposte indirette e cioè quelle imposte su cui – come sostenuto dalla medesima ricorrente – lo Stato avrebbe fatto affidamento per compensare, almeno in parte, la riduzione del gettito fiscale derivante dalla manovra incidente sulle imposte dirette.

Alla luce di tali considerazioni, la proposta questione di legittimità costituzionale va, dunque, dichiarata non fondata.

per questi motivi

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riservate a separate decisioni le restanti questioni di legittimità costituzionale della legge 30 dicembre 2004, n. 311, sollevate dalla Regione Friuli-Venezia Giulia con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 348, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2005), sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 119, quarto comma, della Costituzione, nonché agli artt. 49 e 63 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), dalla Regione Friuli-Venezia Giulia con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 347, 349, 350 e 352, della citata legge 30 dicembre 2004, n. 311, sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 119, quarto comma, della Costituzione, nonché agli artt. 49 e 63 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), dalla Regione Friuli-Venezia Giulia con il medesimo ricorso.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 aprile 2006.

 

Annibale MARINI, Presidente

 

Paolo MADDALENA, Redattore

 

Depositata in Cancelleria il 14 aprile 2006.