Sentenza n. 138/99

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SENTENZA N. 138

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO 

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

a) nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 1, 2, 4, 15, 24, 26, 27, 30, 36, 40, 41, 42, 43, 50, 60 e 61 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 recante "Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonchè riordino della disciplina dei tributi locali", promosso con ricorso della Regione Siciliana, notificato il 21 gennaio 1998, depositato in Cancelleria il 29 successivo ed iscritto al n. 10 del registro ricorsi 1998;

b) nel giudizio per conflitto di attribuzione sorto a seguito del decreto 24 marzo 1998 del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica adottato di concerto con il Ministro delle finanze, recante "Modalità di riversamento delle somme riscosse per l’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) e per l’addizionale regionale all’IRPEF, ai sensi del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446", promosso con ricorso della Regione Siciliana, notificato il 25 maggio 1998, depositato in Cancelleria il 2 giugno 1998 ed iscritto al n. 14 del registro conflitti 1998.

  Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nell’udienza pubblica del 26 gennaio 1999 il Giudice relatore Valerio Onida;

  uditi gli avvocati Giovanni Pitruzzella e Francesco Castaldi per la Regione Siciliana e l’avvocato dello Stato Sergio Laporta per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato il 21 gennaio e depositato il 29 gennaio 1998 la Regione Siciliana ha promosso giudizio di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 36 dello statuto speciale e alle relative norme di attuazione, nonchè agli articoli 76 e 3 della Costituzione, del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonchè riordino della disciplina dei tributi locali), e in particolare degli articoli 1, 2, 4, 15, 24, 26, 27, 30, 36, 40, 41, 42, 43, 50, 60 e 61.

La ricorrente ricorda che il decreto legislativo impugnato é stato emanato sulla base della delega contenuta nell’art. 3, comma 143, della legge n. 662 del 1996, relativa alla istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) e dell’addizionale regionale sull’IRPEF. L’IRAP nascerebbe dunque come "tributo regionale", mentre la disciplina adottata con il decreto legislativo contraddirebbe tale natura del tributo, e contrasterebbe con la particolare configurazione della potestà tributaria della Regione Siciliana, alla quale spetterebbero, ai sensi dell’art. 36 dello statuto, oltre le entrate tributarie da essa direttamente deliberate, tutte le entrate tributarie erariali riscosse nell’ambito del suo territorio. La Regione godrebbe di potestà legislativa esclusiva con riguardo ai tributi propri, che essa può deliberare sia pure nei limiti dei principi del sistema tributario dello Stato, costituendo la deliberazione diretta da parte della Regione l’elemento che definisce la nozione di tributo proprio; godrebbe poi di potestà legislativa concorrente, sia pure nel limite del rispetto dei principi generali recati nella materia dalle leggi dello Stato, per quanto riguarda i tributi erariali il cui gettito é devoluto alla Regione medesima.

La disciplina impugnata sembrerebbe invece negare qualsiasi autonoma determinazione della Regione in ordine al nuovo tributo, istituito dall’art. 1 del decreto, che agli artt. 2 e 4 ne definisce nei particolari il presupposto e la base imponibile. L’art. 24, comma 2, stabilendo che le Regioni a statuto speciale provvedono con legge all’attuazione delle relative disposizioni in conformità all’art. 3, commi 158 e 159, della legge n. 662 del 1996, ometterebbe qualsiasi riferimento alla peculiare posizione assegnata alla Regione Siciliana dall’art. 36 dello statuto e dalle norme di attuazione, sicchè verrebbe meno qualsiasi clausola di salvaguardia della speciale autonomia siciliana in materia finanziaria, e ciò costituirebbe un passo indietro anche rispetto all’art. 3, comma 158, della legge n. 662 del 1996 – pure impugnato dalla Regione con altro ricorso (R. ric. n. 18 del 1997) – ai cui sensi la Regione Siciliana provvede con legge all’attuazione dei decreti legislativi delegati "con le limitazioni richieste dalla speciale autonomia finanziaria preordinata dall’art. 36 dello statuto regionale e dalle relative norme di attuazione".

A questo punto, secondo la ricorrente, si porrebbe un’alternativa: se l’IRAP é un tributo proprio della Regione, dovrebbe riconoscersi la competenza primaria della Regione stessa; se invece é un tributo erariale il cui gettito é devoluto alla Regione, ad essa dovrebbe comunque riconoscersi una potestà legislativa concorrente, non limitata alla mera attuazione della dettagliata normativa statale.

2.– Altri più specifici profili di illegittimità sollevati dalla ricorrente riguardano disposizioni del decreto legislativo che disciplinano alcuni aspetti del nuovo tributo.

Anzitutto gli articoli 2, 4 e 15, che, nel definire presupposti, base imponibile e spettanza dell’imposta, adottano come criterio quello del territorio nel quale si esercita l’attività produttiva, contrasterebbero con l’art. 36 dello statuto siciliano e con l’art. 2 del d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074, che attribuiscono alla Regione le entrate riscosse nell’ambito del suo territorio, dando rilievo al luogo di riscossione.

E’ censurato poi l’art. 24, comma 4, il quale prevede che le attività di liquidazione, accertamento e riscossione dell’imposta possono essere affidate, sulla base di apposita convenzione, al Ministero delle finanze: poichè l’art. 8 del d.P.R. n. 1074 del 1965 già stabilisce che per tutte le funzioni amministrative in materia finanziaria la Regione si avvale degli uffici periferici dell’amministrazione statale, ne deriverebbe che per l’effettuazione di dette attività lo Stato non potrebbe pretendere alcun tipo di rimborso per le spese sostenute.

L’art. 24, comma 7, il quale, ad avviso della ricorrente, sembrerebbe escludere l’intera spettanza alla Regione delle somme derivanti dalla irrogazione di sanzioni per la violazione della relativa normativa, contrasterebbe con il combinato disposto degli artt. 2 e 3 del d.P.R. n. 1074 del 1965, da cui si desumerebbe che spettano alla Regione anche le entrate tributarie accessorie e derivanti dall’applicazione di sanzioni pecuniarie riscosse nel territorio regionale.

Gli artt. 27 e 29, prevedendo la compartecipazione di Comuni, Province e Città metropolitane a quote del gettito IRAP stabilite centralmente, farebbero venir meno qualsiasi discrezionalità della Regione in materia, e disconoscerebbero la competenza esclusiva della Regione in materia di enti locali, la quale, facendo sistema con l’autonomia finanziaria, comporterebbe l’attribuzione alla Regione stessa del potere di conformare l’intero sistema degli enti locali, sia sotto il profilo dell’organizzazione e delle funzioni, sia sotto quello della finanza.

3.– La ricorrente censura altresì le disposizioni degli artt. 24, 25 e 26 del decreto, che disciplinano la fase di prima attuazione del nuovo tributo.

L’art. 24, comma 6, prevedendo che le leggi di attuazione delle Regioni a statuto speciale potranno avere effetto solo a partire dal periodo di imposta in corso al 1° gennaio 2000, paralizzerebbe del tutto la competenza statutariamente spettante alla Regione.

A loro volta, gli artt. 25 e 26, che, nelle more dell’entrata in vigore delle leggi regionali, affidano totalmente ed esclusivamente allo Stato le attività di controllo, accertamento e riscossione dell’imposta (con applicazione della relativa disciplina statale: art. 30), prevedendo, a compensazione dei costi sostenuti dallo Stato, l’attribuzione allo stesso di una quota del gettito, produrrebbero un effetto paradossale: la competenza della Regione resterebbe congelata, e per effetto di tale congelamento la Regione sarebbe tenuta a versare allo Stato una quota del gettito per compensarlo di attività che altrimenti essa potrebbe svolgere direttamente. Inoltre, secondo la ricorrente, la riscossione dei tributi in Sicilia comporterebbe, stando alla giurisprudenza costituzionale, "soluzioni aperte", che debbono essere identificate dalla legislazione regionale concorrente.

L’art. 26, comma 2, che attribuisce allo Stato una ulteriore quota del gettito IRAP a compensazione della perdita di gettito derivante dall’abolizione dell’imposta sul patrimonio netto delle imprese, sarebbe irragionevole e in contrasto con l’art. 36 dello statuto siciliano, in quanto l’imposta abolita era di carattere straordinario e temporaneo.

Di contro, quando l’art. 36 del decreto prevede, contemporaneamente all’introduzione dell’IRAP, l’abolizione di diversi tributi erariali, il cui gettito regionalmente riscosso spettava per intero alla Regione (salvo che per l’ILOR, ad essa devoluta solo per una quota, e per l’imposta sul patrimonio netto delle imprese, interamente riservata allo Stato), non prevede alcuna compensazione a favore della Regione stessa. Pertanto, secondo la ricorrente, essa si troverebbe a subire una irragionevole diminuzione di entrate tributarie, non compensata in alcun modo.

Viene inoltre censurato l’art. 40 del decreto, che prevede la istituzione di conti correnti infruttiferi presso la tesoreria centrale dello Stato, intestati alle Regioni, e di specifiche contabilità di girofondi intestate alle stesse Regioni, presso le sezioni di tesoreria provinciale dello Stato operanti nei capoluoghi di Regione, rinviando ad un decreto ministeriale la individuazione delle modalità di riversamento delle somme riscosse sui conti predetti, a favore di Stato, Comuni, Province, Fondo sanitario nazionale, secondo percentuali indicate dalla legge o da successivi decreti ministeriali, con la conseguenza che solo la parte residua sarebbe attribuita alla Regione. Ciò comporterebbe per la Regione una fortissima riduzione della capacità di manovra finanziaria ed una notevole diminuzione di gettito, ulteriormente accentuata per effetto degli artt. 41 e 42, che, per le Regioni a statuto speciale, prevedono la compensazione delle eccedenze annuali, consistenti nella differenza fra il gettito dell’IRAP, al netto delle quote riservate allo Stato e di quella destinata al finanziamento del Servizio sanitario, e l’ammontare delle compartecipazioni ai tributi erariali soppressi, mediante variazioni delle quote del Fondo sanitario nazionale, trasferimenti di funzioni, o acquisizione delle eccedenze al bilancio dello Stato.

E’ denunciato altresì l’art. 50 del decreto, che istituisce l’addizionale regionale sull’IRPEF, erroneamente indicata nel ricorso come addizionale sull’IRAP: anch’esso predisporrebbe una disciplina che esclude sostanzialmente qualsiasi possibilità di autonoma legislazione regionale.

4.– Infine, altre censure investono gli artt. 60 e 61 del decreto, concernenti l’attribuzione a Comuni e Province del gettito di alcuni tributi erariali e la contestuale riduzione dei trasferimenti statali agli enti locali medesimi.

Tale soluzione normativa, ad avviso della ricorrente, mentre potrebbe dirsi ragionevole per le altre Regioni, avrebbe conseguenze paradossali in Sicilia, poichè il gettito dei tributi trasferiti agli enti locali già era attribuito alla Regione: tale gettito verrebbe sottratto alla Regione, mentre agli enti locali verrebbero ridotti i trasferimenti da parte dello Stato.

Inoltre il comma 4 dell’art. 60, secondo cui le Regioni speciali provvedono all’attuazione dei primi due commi del medesimo articolo, sarebbe quanto meno impreciso, perchè si riferisce alla mera attuazione da parte del legislatore regionale, che godrebbe invece, in materia, di potestà legislativa concorrente.

A sua volta sarebbe "sintomo vistoso" della disattenzione del legislatore delegato nei confronti del particolare regime finanziario della Sicilia l’art. 61, comma 4, che fa riferimento al "recepimento" delle disposizioni degli artt. 60 e 61 da parte dello statuto siciliano, ignorando che esso ha forza di legge costituzionale, e che quindi non può essere previsto un obbligo di adeguamento dello stesso a disposizioni di legge ordinaria.

In definitiva, argomenta la ricorrente, il complesso delle disposizioni impugnate produce da un lato una fortissima compressione dell’autonomia finanziaria della Regione, dall’altro una consistente diminuzione delle entrate regionali, non compensata in alcun modo, con la conseguenza che verrebbero meno alla Regione i mezzi per fare fronte al suo fabbisogno finanziario.

5.– Si é costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo che il ricorso sia dichiarato infondato.

L’Avvocatura erariale osserva che le censure che coinvolgono l’intera disciplina dell’IRAP muovono dalla configurazione di tale imposta come tributo "regionale", in relazione al quale la Regione avrebbe competenza "esclusiva". In realtà, nonostante la sua denominazione, non si tratterebbe di un tributo proprio della Regione: un tributo non sarebbe "regionale" sol perchè, come nel caso dell’IRAP, di spettanza delle singole Regioni, ma solo in quanto la sua istituzione costituisca esercizio del potere impositivo dell’ente di autonomia che, appunto, l’abbia deliberato: e questo non sarebbe il caso dell’IRAP.

Non avrebbero perciò consistenza le censure dirette agli artt. 1, 2 e 4 del decreto, che istituiscono l’imposta e ne regolano il presupposto e la base imponibile.

D’altra parte la ricorrente, secondo l’Avvocatura, nel lamentare un preteso "arretramento" dell’art. 24, comma 2, del decreto rispetto alla previsione di cui all’art. 3, comma 158, della legge n. 662 del 1996, trascurerebbe il fatto che quest’ultima disposizione, espressamente richiamata dalla prima, fa appunto salva, ai fini dell’attuazione delle disposizioni del decreto legislativo, la speciale autonomia finanziaria configurata dall’art. 36 dello statuto siciliano e dalle relative norme di attuazione.

A loro volta gli artt. 24, comma 6, e 25 del decreto, intesi a raccordare la normativa regionale di attuazione e la temporanea gestione statale del tributo, sarebbero in piena armonia col carattere erariale del tributo, alla cui prima fase di applicazione sarebbero collegati delicati equilibri finanziari, a salvaguardia dei quali é prevista l’attribuzione, peraltro per soli due anni, di una quota del gettito allo Stato, a compensazione dell’entrata derivante dalla soppressa imposta sul patrimonio netto delle imprese.

Sarebbe pure infondata la censura rivolta all’art. 36 del decreto legislativo per non avere previsto una compensazione a favore della Regione in relazione alla soppressione di tributi erariali il cui gettito era attribuito alla Regione stessa: uno strumento di compensazione, nel senso voluto, andrebbe ravvisato, oltre che nello speciale criterio di determinazione delle eccedenze di risorse finanziarie stabilito, per le Regioni a statuto speciale, dai commi 2 e 3 dell’art. 41, nei meccanismi di trasferimento previsti dall'art. 42, comma 7.

In relazione ai motivi di ricorso con i quali si lamenta la mancata devoluzione di gettito non prodotto ma riscosso nel territorio regionale e delle entrate derivanti dall’applicazione di sanzioni pecuniarie, la difesa del Presidente del Consiglio osserva che, ove il luogo di realizzazione della produzione netta imponibile non ricada nel territorio siciliano, non appare ipotizzabile che il tributo sia riscosso in tale ambito; che sul tema dell’interessamento del territorio di più Regioni ad una medesima attività produttiva l’art. 4, ultimo comma, prevede l’emanazione di atti generali sentita la conferenza Stato-Regioni; che parimenti la ripartizione delle entrate derivanti da sanzioni é rimessa ad emanande norme regolamentari.

Quanto agli artt. 27 e 29, in tema di devoluzione di quote del gettito IRAP agli enti locali, l’Avvocatura osserva che la competenza di cui all’art.14, lettera o, dello statuto siciliano in tema di enti locali non comporta una competenza regionale esclusiva in materie che non attengono direttamente all’organizzazione degli enti locali ed ai loro rapporti con la Regione.

Pure infondata sarebbe la censura rivolta agli artt. 60 e 61, in tema di attribuzione agli enti locali del gettito di tributi erariali e di connessa riduzione dei trasferimenti agli stessi. Sostiene l’Avvocatura che l’attribuzione in parola é demandata ad atti normativi delle Regioni a statuto speciale da emanarsi in conformità ai rispettivi statuti; e che anche la riduzione dei trasferimenti erariali dovrebbe riconoscersi subordinata, in dette Regioni, alle disposizioni legislative che queste emaneranno ai fini del complessivo riequilibrio finanziario da realizzarsi nel rispetto dei relativi statuti (così dovrebbe intendersi, secondo una interpretazione logica, il comma 4 dell’art. 61, la cui formulazione letterale – che si riferisce al "recepimento" delle disposizioni degli articoli 60 e 61 negli statuti speciali – si riconosce incongrua).

6.– Con ricorso notificato il 25 maggio e depositato il 2 giugno 1998 la Regione Siciliana ha proposto conflitto di attribuzioni contro il Presidente del Consiglio dei ministri in relazione al decreto del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica in data 24 marzo 1998, recante "Modalità di riversamento delle somme riscosse per l’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) e per l’addizionale regionale all’IRPEF, ai sensi del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446", per violazione dell’art. 36 dello statuto speciale e delle relative norme di attuazione di cui al d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074.

La ricorrente, premesso di aver proposto giudizio di legittimità costituzionale, tuttora pendente, contro il decreto legislativo n. 446 del 1997 istitutivo dell’imposta regionale sulle attività produttive, osserva che il decreto ora impugnato costituisce svolgimento del decreto legislativo medesimo e quindi su di esso si riverberano le censure di incostituzionalità nei confronti dello stesso sollevate.

In particolare, gli artt. 1 e 2 del decreto si collegano all’art. 40 del provvedimento legislativo, che prevede l’apertura di conti infruttiferi presso la tesoreria centrale dello Stato e di contabilità speciali di giroconto presso le sezioni di tesoreria provinciale dello Stato, intestati alle Regioni, per il riversamento delle somme accreditate a seguito della riscossione dell’IRAP e della addizionale regionale sull’IRPEF.

Ad avviso della ricorrente, tali disposizioni potrebbero essere in contrasto con l’art. 36 dello statuto speciale, come attuato dal d.P.R. n. 1074 del 1065, che configura come entrate tributarie della Regione quelle derivanti dai tributi deliberati dalla stessa Regione e dai tributi erariali riscossi nel territorio regionale: con il sistema introdotto, le imposte in questione non sarebbero tributi deliberati dalla Regione, tributi erariali riscossi sul territorio regionale, onde l’attribuzione del gettito alla Regione non sarebbe più necessaria in base alla citata norma statutaria, ma sarebbe il frutto di decisioni unilaterali dello Stato.

Viene poi, in particolare, censurato l’art. 2, comma 3, lettera B, punto IV, del decreto impugnato, che prevede il versamento nelle contabilità di girofondo presso le tesorerie provinciali dello Stato del gettito dell’addizionale IRPEF e dell’IRAP corrisposte dai contribuenti titolari di partita IVA che eseguono i versamenti unitari delle imposte e dei contributi. Tale disposizione, oltre ad essere lesiva delle prerogative regionali in quanto escluderebbe ogni autonomia della Regione, sarebbe, secondo la ricorrente, in contrasto con gli artt. 21 e 26 del d. lgs. n. 241 del 1997, che prevedono la competenza della "Cassa regionale siciliana di Palermo" a raccogliere l’immediato riversamento delle somme riscosse.

A sua volta l’art. 3, comma 3, del decreto, il quale prevede le modalità del riversamento delle somme versate sul conto "IRAP-altri soggetti" (relativo ai soggetti diversi dalle pubbliche amministrazioni), farebbe sì che lo Stato determinerebbe direttamente e recupererebbe unilateralmente i costi sostenuti per la gestione dei tributi in questione, mentre per la Sicilia, ove le norme di attuazione prevedono che la Regione si avvalga dell'amministrazione finanziaria dello Stato, non sarebbe possibile, se non con inammissibili approssimazioni, distinguere fra i costi sopportati dallo Stato per la riscossione dell’IRAP e dell’addizionale IRPEF da un lato, e degli altri tributi erariali di spettanza regionale dall’altro; vi sarebbe la possibilità di un doppio rimborso per un’attività unitaria di riscossione e versamento.

Sempre in virtù dell’art. 3, comma 3, lo Stato procederebbe alla diretta attribuzione a proprio favore delle eccedenze di cui all’art. 41 del d. lgs. n. 446 del 1997: in tal modo svanirebbe la possibilità, prevista dall’art. 42, comma 7, del decreto legislativo, di realizzare un vantaggio finanziario per la Regione mediante la destinazione di tali eccedenze alla variazione di quote del fondo sanitario o al pagamento degli oneri derivanti dal trasferimento di nuove funzioni.

7.– Resiste al ricorso, chiedendone il rigetto, il Presidente del Consiglio dei ministri.

Secondo l’Avvocatura, la censura mossa all’art. 1 del provvedimento impugnato si dimostrerebbe inammissibile e inconsistente, una volta che si consideri che esso non fa che ricalcare la formula dell’art. 40 del decreto legislativo n. 446 del 1997, e, per altro verso, che l’intestazione dei conti alle Regioni é elemento sufficiente ad escludere la paventata perdita di aggancio del gettito ai luoghi di riscossione.

Sarebbe inammissibile ed infondata altresì la censura all’art. 2, comma 3, lettera B, punto IV, per la genericità della denuncia di lesione dell’autonomia regionale e perchè l’asserito contrasto con l’art. 21 del d. lgs. n. 241 del 1997 non potrebbe comunque fondare un conflitto di attribuzioni.

Quanto poi alla prima delle due censure rivolte all’art. 3, comma 3, la difesa del Presidente del Consiglio osserva che il titolo per il recupero a favore dello Stato dei costi di riscossione dei tributi in parola sta nelle norme del decreto legislativo n. 446 del 1997, cui il provvedimento in questa sede impugnato si limita a dare attuazione; e che le norme di attuazione statutaria invocate dalla ricorrente non escludono, ma al contrario confermano, la legittimità del recupero, mentre la stessa "novità" dei tributi istituiti con il d. lgs. n. 446 del 1997 comporterebbe l’allestimento o l’adattamento delle strutture amministrative per la riscossione, e giustificherebbe perciò il recupero separato dei relativi costi.

In relazione, infine, alla seconda censura rivolta all’art. 3, concernente il versamento all’erario delle eccedenze di risorse verificatesi per le Regioni, si obietta che il riferimento all’art. 42 del d. lgs. n. 446 e alle ivi previste possibilità di compensazione non suffragherebbe l’assunto della ricorrente, poichè l’acquisizione delle eccedenze al bilancio statale é prevista dalla stessa norma primaria invocata; del resto il provvedimento impugnato sarebbe stato adottato previo parere della conferenza Stato-Regioni, senza che in quella sede la Regione Siciliana formulasse rilievi di sorta.

8.– Nell’imminenza dell’udienza hanno presentato memorie, nel giudizio di legittimità costituzionale, la ricorrente Regione Siciliana e il Presidente del Consiglio dei ministri.

Nella memoria della Regione si afferma che i motivi di censura rivolti contro il d. lgs. n. 446 del 1997 possono essere ricondotti a due distinti ambiti: da un lato vi sono le censure che investono la struttura stessa del tributo, sotto il profilo della violazione della delega e dell’autonomia finanziaria della Regione; dall’altra, le censure che riguardano la irragionevole sottrazione alla Regione di gettiti tributari che le spettano.

Il primo ordine di profili pone la questione della natura del tributo: i margini di autonomia riconosciuti alla Regione sarebbero così esigui da rendere evidenti sia l’eccesso di delega sia la lesione dell’art. 36 dello statuto, che attribuisce alla Regione, per i tributi propri, un’ampia autonomia legislativa.

Se però si qualifica l’imposta come tributo erariale, occorrerebbe essere conseguenti e riconoscerne le implicazioni.

Così sarebbe senza giustificazioni l’attribuzione allo Stato di una quota del gettito a rimborso dei costi di gestione del tributo, trattandosi di un tributo obbligatorio, con un’aliquota sostanzialmente predeterminata, il cui gettito riduce i trasferimenti dallo Stato alle Regioni per finanziare il Servizio sanitario: tanto più che in Sicilia già le norme di attuazione prevedono che la Regione si avvalga degli uffici periferici dell’amministrazione statale per le funzioni amministrative in materia finanziaria, onde se al rimborso dovuto per i costi sostenuti da tali uffici per l’esercizio di funzioni svolte nell’interesse della Regione si aggiunge un rimborso specifico per l’IRAP, vi sarebbe il rischio per la Regione di pagare due volte le stesse attività. I criteri comunque non dovrebbero essere fissati unilateralmente dallo Stato.

La Regione osserva ancora che, poichè l’IRAP prende sostanzialmente il posto dei contributi sanitari soppressi, la sua istituzione e la contestuale soppressione di altri tributi si risolverebbero per la Regione Siciliana in una significativa diminuzione delle entrate tributarie.

Secondo la Regione, l’interpretazione offerta dall’Avvocatura degli artt. 41 e 42, secondo cui le compensazioni di eccedenze potrebbero operare anche a favore di essa, e non solo dello Stato, sarebbe coerente con le esigenze prospettate dalla stessa ricorrente: ma il principio di leale cooperazione richiederebbe la possibilità per la Regione di controllare i dati su cui si effettua il calcolo, e la sua partecipazione a tali attività.

Parimenti sarebbe una interpretazione adeguatrice quella offerta dalla difesa del Presidente del Consiglio a proposito degli artt. 60 e 61, che eviterebbe l’immediata soppressione dei trasferimenti agli enti locali a seguito dell’attribuzione agli stessi del gettito di alcuni tributi erariali.

In ogni caso, secondo la Regione, pure accogliendo la costruzione dell’imposta come tributo erariale, non si potrebbe negare la potestà concorrente della Regione, e si dovrebbe riconoscere che in Sicilia non si applicano le ricordate norme del decreto, immediatamente lesive dell’autonomia finanziaria della Regione, e che quest’ultima ha la possibilità, nell’ambito dei principi della disciplina del tributo, di adeguare tale disciplina alle peculiarità regionali.

9.– Nella memoria del Presidente del Consiglio si ribadisce anzitutto che l’IRAP non é un tributo proprio della Regione, anche perchè non ricorre a proposito di essa una deliberazione regionale di istituirlo, la destinazione a specifiche esigenze della comunità regionale: la nuova imposta, il cui gettito é destinato a compensare quello dei tributi erariali soppressi, avrebbe un fine anche di fiscalità generale e non potrebbe dunque dirsi preordinata al finanziamento di esigenze peculiari delle comunità locali.

Il problema, che resta, di spiegare la qualificazione "regionale" attribuita all’imposta sarebbe di natura essenzialmente accademica.

Trattandosi di un nuovo tributo erariale, d’altra parte, la temporanea riserva allo Stato di due quote del gettito, a compensazione rispettivamente dei costi di gestione e della soppressa imposta sul patrimonio netto delle imprese, sarebbe pienamente giustificata alla luce della norma di attuazione, che consente tale riserva purchè la stessa legge che disciplina le nuove entrate ne indichi la destinazione a finalità contingenti o continuative dello Stato: nella specie, si tratterebbe delle contingenti finalità di ripianamento dei costi e delle perdite sopra indicate.

La memoria prosegue osservando che la censura relativa al criterio di attribuzione del gettito del tributo alle singole Regioni, e che dovrebbe intendersi appuntata sul solo art. 15 del decreto, sarebbe infondata, sia perchè detto criterio risponde ad una esigenza di razionalizzazione del meccanismo della riforma, necessariamente unitario, sia perchè l’art. 43, comma 2, del decreto impugnato eleva a regola di sistema, e dunque a canone ermeneutico generale, la conservazione del necessario equilibrio finanziario nei rapporti, in particolare, fra lo Stato e le autonomie speciali.

Quanto alla disciplina dell’accertamento, della liquidazione e della riscossione dell’imposta, prevista a regime e in via transitoria, la memoria osserva che l’assetto delineato dal decreto si spiega in ragione del carattere generale della riforma, connesso al criterio dell’invarianza del gettito, e della esigenza di uniformità di disciplina della nuova imposta: onde non potrebbe disconoscersi la legittimità di un breve differimento dell’esercizio delle competenze regionali e di un ripianamento del costo della transitoria gestione dell’imposta.

Rileva inoltre che la temporanea riserva allo Stato di una quota di gettito a compensazione della soppressa imposta sul patrimonio netto delle imprese é accompagnata da uno strumento di tutela degli interessi regionali, rappresentato dall’audizione della conferenza Stato-Regioni, e che, quanto alla mancanza di compensazione per i tributi soppressi il cui gettito spettava alla Regione, a salvaguardia delle spettanze della Regione stanno il canone di invarianza di entrate fiscali ribadito nell’art. 41 del decreto, i criteri per il calcolo delle eccedenze e il fondo di compensazione interregionale istituito dall’art. 42.

Infine, a proposito degli artt. 60 e 61 la memoria rileva che dette norme contemplano un intervento attuativo delle Regioni in conformità ai rispettivi statuti di autonomia, e una regolamentazione dei rapporti finanziari fra Stato, Regioni ed enti locali secondo il principio della conservazione del necessario equilibrio finanziario.

Considerato in diritto

1.– La Regione Siciliana impugna (R. ric. n. 10 del 1998) il decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonchè riordino della disciplina dei tributi locali), e in particolare gli articoli 1, 2, 4, 15, 24, 26, 27, 30, 36, 40, 41, 42, 43, 50, 60, 61 del decreto medesimo, per violazione dell’art. 36 dello statuto speciale e delle relative norme di attuazione, nonchè degli artt. 76 e 3 della Costituzione (quanto a quest’ultimo senza peraltro espliciti sviluppi argomentativi).

Con il successivo ricorso (R. confl. n. 14 del 1998) la stessa Regione solleva conflitto di attribuzioni, ancora una volta per violazione dell’art. 36 dello statuto e delle relative norme di attuazione, in relazione al decreto del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica in data 24 marzo 1998, recante "Modalità di riversamento delle somme riscosse per l’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) e per l’addizionale regionale all’IRPEF, ai sensi del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446", che detta le modalità di versamento e di ripartizione del gettito dell’IRAP, in attuazione di quanto previsto, in particolare, dall’art. 40 del citato d. lgs. n. 446 del 1997.

2.– Stante la stretta connessione di oggetto fra il giudizio di legittimità costituzionale del d. lgs. n. 446 del 1997 e il giudizio per conflitto di attribuzioni promosso contro un decreto attuativo del medesimo, essi possono essere riuniti per essere decisi con unica pronunzia.

3.– La prima e più generale censura mossa dalla ricorrente al decreto legislativo n. 446 del 1997, e in particolare agli articoli 1, 2, 4 e 24, comma 2, del medesimo, muove dalla premessa che la nuova imposta "regionale" sulle attività produttive sarebbe un tributo proprio della Regione, in ordine al quale dunque dovrebbe riconoscersi ad essa potestà legislativa esclusiva; e che in ogni modo, se invece si configurasse come tributo erariale il cui gettito é devoluto alla Regione, dovrebbe riconoscersi a questa una potestà legislativa concorrente, sia pure vincolata ai principi del sistema tributario statale, e non una potestà di mera attuazione, quale sarebbe invece delineata nell’art. 24, comma 2, del decreto legislativo impugnato. Quest’ultima disposizione, omettendo qualsiasi riferimento alla speciale autonomia della Regione Siciliana, costituirebbe un passo indietro rispetto all’art. 3, comma 158, della legge n. 662 del 1996 (pure impugnato dalla Regione con precedente ricorso), che prevedeva l’attuazione, da parte della Regione Siciliana, del decreto legislativo "con le limitazioni richieste dalla speciale autonomia finanziaria preordinata dall’art. 36 dello statuto regionale e dalle relative norme di attuazione": sarebbe perciò in contrasto con le norme statutarie e di attuazione che garantiscono tale autonomia, oltre che con la legge di delega, e dunque con l’art. 76 della Costituzione.

4.– La questione é infondata.

Nella sentenza n. 111 del 1999 questa Corte ha avuto occasione di ricordare come l’ordinamento finanziario della Regione Siciliana sia stato costruito, in base alle norme di attuazione dello statuto, e anche allontanandosi dal disegno originariamente sotteso alla formula testuale dell’art. 36 dello statuto, non già sull’esercizio di una potestà impositiva del tutto autonoma della Regione, in spazi lasciati liberi dalla legislazione tributaria dello Stato, bensì sull’attribuzione alla Regione del gettito della maggior parte dei tributi erariali, riscosso nel territorio regionale, e di una potestà legislativa anche in ordine alla disciplina degli stessi tributi erariali, fermo restando che, in assenza di diverse disposizioni legislative regionali, si applicano nella Regione le disposizioni delle leggi tributarie dello Stato (art. 6 del d.P.R. n. 1074 del 1965).

In questo quadro si colloca anche l’applicazione, nella Regione Siciliana, della nuova imposta regionale sulle attività produttive, istituita dall’art. 1 del d. lgs. n. 446 del 1997, sulla base della delega contenuta nell’art. 1, comma 143, della legge n. 662 del 1996. Essa si configura bensì come tributo proprio delle Regioni, nel senso in cui tale nozione, in contrapposizione alle "quote di tributi erariali", é utilizzata dall’art. 119, secondo comma, della Costituzione, cioé nel senso di tributo istituzionalmente destinato ad alimentare la finanza della Regione nel cui territorio avviene il prelievo a carico della rispettiva collettività: ma é pur sempre un tributo "attribuito" alla Regione - come si esprime l’art. 119 - dalla legge dello Stato, che ne definisce i caratteri e la disciplina fondamentale quanto a soggetti colpiti, presupposti e materia imponibile.

La Regione Siciliana, nei riguardi di questo tributo, gode dunque, in primo luogo, degli stessi spazi di autonomia riconosciuti a tutte le Regioni, relativi alle "procedure applicative" dell’imposta e all’eventuale variazione, entro certi limiti, dell’aliquota (artt. 16, comma 3, 18, comma 3, 24, comma 1, del d.lgs. n. 446 del 1997; e cfr. già art. 3, comma 144, lettere e e i, della legge n. 662 del 1996).

Ma, proprio perchè in materia tributaria la Regione Siciliana gode di una particolare autonomia legislativa, estesa a tutti i tributi erariali il cui gettito regionalmente riscosso le é devoluto ai sensi dell’art. 2, primo comma, del d.P.R. n. 1074 del 1965, il legislatore del 1996 ha previsto una speciale clausola di salvaguardia di tale autonomia, stabilendo, nell’art. 3, comma 158, della legge n. 662 del 1996, che "la Regione Siciliana provvede con propria legge all’attuazione" dei decreti legislativi delegati ivi previsti con le "limitazioni richieste dalla speciale autonomia finanziaria preordinata dall’art. 36 dello Statuto regionale e dalle relative norme di attuazione". A tale clausola – riguardo alla quale questa Corte, nella citata sentenza n. 111 del 1999, ha ritenuto non fondate le censure mosse dalla stessa Regione Siciliana con precedente ricorso – fa espresso rinvio l’art. 24, comma 2, del decreto in questa sede impugnato, ribadendo che le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e di Bolzano "provvedono, con legge, all’attuazione delle disposizioni" del decreto medesimo in tema di IRAP "in conformità delle disposizioni della legge 23 dicembre 1996, n. 662, articolo 3, commi 158 e 159" (il comma 159 si riferisce alle Regioni ad autonomia speciale diverse dalla Sicilia).

Non si realizza, dunque, alcuna violazione o menomazione della competenza legislativa della ricorrente in materia tributaria: il decreto legislativo, ancorchè non ripeta la formula dell’art. 3, comma 158, della legge n. 662, ribadisce la stessa clausola di salvaguardia della speciale autonomia siciliana, espressamente richiamata: onde non sussiste nemmeno alcuna violazione dei principi e criteri direttivi della delega.

sono qui in discussione i limiti che in concreto tale autonomia incontra, e che verranno in considerazione solo se e quando la Regione adotterà delle leggi nell’esercizio della potestà ad essa riconosciuta.

La Corte non si nasconde le difficoltà e le incertezze che possono derivare da una certa arretratezza o insufficienza del quadro normativo costituito da norme di attuazione dell’autonomia finanziaria della Regione Siciliana (fondata a sua volta su norme statutarie particolarmente generiche e laconiche) che riflettono una realtà ben diversa da quella odierna. E’ peraltro compito di Governo e Regione, alla cui collaborazione l’art. 43 dello statuto affida la formulazione delle norme di attuazione, attivare i processi necessari per dare ad esse un assetto più adeguato alla situazione presente.

5.– La ricorrente denuncia altresì, sotto un profilo analogo a quello finora esaminato, l’art. 50 del d. lgs. n. 446 del 1997, che istituisce e disciplina l’addizionale regionale all’IRPEF (erroneamente indicata nel ricorso come addizionale all’IRAP). Anche a questo proposito si lamenta che il decreto legislativo predisponga una disciplina che esclude sostanzialmente qualsiasi possibilità di autonoma legislazione regionale.

6.– La questione é infondata, per le stesse ragioni ora esaminate a proposito dell’IRAP.

Anche l’addizionale IRPEF é un’imposta "attribuita" alle Regioni, in ordine alla quale la Regione Siciliana, oltre a compiere le scelte espressamente demandate (la fissazione, a partire dall’anno 2000, dell’aliquota tra lo 0.50 e l’1 per cento: art. 50, comma 3, del d. lgs. n. 446 del 1997; e cfr. già l’art. 3, comma 146, lettera b, della legge n. 662 del 1996), potrà esercitare la propria potestà legislativa alla stessa stregua, e con gli stessi limiti, di quanto avviene per i tributi erariali regionalmente riscossi, il cui gettito é ad essa devoluto.

7.– Censure più specifiche sono poi mosse dalla ricorrente in relazione a singoli aspetti della disciplina dell’IRAP.

Gli articoli 2, 4 e 15 sono impugnati in quanto, nel definire i presupposti, la base imponibile e la spettanza dell’imposta alle singole Regioni, stabiliscono che l’imposta si applica sul valore della produzione netta derivante dall’attività di produzione o scambio di beni o di prestazione di servizi, esercitata nel territorio della Regione, ed é dovuta alla Regione nel cui territorio tale valore é realizzato. Apposite norme regolano la ripartizione del valore della produzione netta nel caso in cui l’attività sia svolta nel territorio di più Regioni; e si prevede l’adozione di atti generali concernenti l’applicazione di tali norme, emanati dal Ministero delle finanze sentita la conferenza Stato-Regioni (art. 4, commi 2 e 3). Secondo la ricorrente, tali disposizioni violerebbero l’art. 36 dello statuto siciliano e l’art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965, che darebbero rilievo, ai fini della attribuzione del gettito dei tributi alla Regione, al luogo di riscossione.

8.– La questione é infondata.

L’art. 2 delle norme di attuazione di cui al d.P.R. n. 1074 del 1965 (l’art. 36 dello statuto tace in proposito), che sancisce la spettanza alla Regione delle entrate tributarie erariali "riscosse nell’ambito" del territorio regionale, non va inteso nel senso che sia sempre decisivo il luogo fisico in cui avviene l’operazione contabile della riscossione. Esso tende infatti ad assicurare alla Regione il gettito derivante dalla "capacità fiscale" che si manifesta nel territorio della Regione stessa, quindi dai rapporti tributari che hanno in tale territorio il loro radicamento, vuoi in ragione della residenza fiscale del soggetto produttore del reddito colpito (come nelle imposte sui redditi), vuoi in ragione della collocazione nell’ambito territoriale regionale del fatto cui si collega il sorgere dell’obbligazione tributaria. Lo conferma testualmente l’art. 4 delle stesse norme di attuazione, il quale precisa che nelle entrate spettanti alla Regione "sono comprese anche quelle che, sebbene relative a fattispecie tributarie maturate nell’ambito regionale, affluiscono, per esigenze amministrative, ad uffici finanziari situati fuori del territorio della Regione"; e lo conferma altresì la previsione, nell’art. 37 dello statuto e nell’art. 7 delle norme di attuazione in materia finanziaria, di meccanismi di riparto dei redditi assoggettati a imposizione nel caso di imprese operanti sia nel territorio siciliano, sia in altri territori.

Nel caso dell’IRAP, la base imponibile é costituita dal valore della produzione netta dell’attività, e proprio per consentire la localizzazione nel territorio di tale base imponibile si fa riferimento non già alla residenza o alla sede del soggetto giuridico dell’attività, bensì al luogo in cui l’attività é esercitata; e nel caso di attività esercitate in più Regioni si stabiliscono (analogamente a quanto prevedono le norme statutarie e di attuazione da ultimo citate per l’imposizione sui redditi) criteri convenzionali di ripartizione del valore della produzione netta, collegati, a seconda del tipo di attività, all’entità delle retribuzioni e dei compensi corrisposti agli addetti ai singoli stabilimenti, uffici o altre "basi fisse", o ad altri elementi come l’entità dei depositi, degli impieghi e degli ordini per le banche e le società finanziarie, l’entità dei premi raccolti per le imprese di assicurazione, l’estensione dei terreni per le imprese agricole (art. 4, comma 2).

Stante la natura dell’imposta, tali criteri di attribuzione del gettito appaiono conformi alla regola posta dalla norma di attuazione: é infatti la realizzazione nel territorio regionale del valore della produzione netta, su cui si applica l’imposta medesima, che esprime la "capacità fiscale" riferibile alla Regione.

9.– Altre più specifiche censure investono i commi 4 e 7 dell’art. 24 e gli artt. 27 e 29 del decreto: l’art. 24, comma 4, in quanto, prevedendo che le attività di accertamento, liquidazione e riscossione dell’imposta possano essere affidate con convenzioni (e, s’intende, con il riconoscimento di somme a compensazione degli oneri) al Ministero delle finanze, contraddirebbe l’art. 8 delle norme di attuazione di cui al d.P.R. n. 1074 del 1965, in forza del quale la Regione si avvale per tutte le funzioni amministrative in materia tributaria degli uffici periferici dell’amministrazione statale; l’art. 24, comma 7, in quanto sembrerebbe escludere la spettanza per intero alla Regione delle somme derivanti dalla irrogazione di sanzioni, in contrasto con l’art. 3 delle citate norme di attuazione; gli artt. 27 e 29, in quanto, prevedendo l’attribuzione a Comuni, Province e Città metropolitane di quote del gettito dell’imposta stabilite al centro, disconoscerebbero la competenza esclusiva che alla Regione spetterebbe anche in materia di finanza locale.

10.– Le questioni sono infondate.

Quanto all’art. 24, comma 4, é da osservare che la facoltà di prevedere convenzioni con il Ministero delle finanze per l’espletamento delle attività di accertamento, liquidazione e riscossione dell’IRAP é demandata alle leggi regionali emanate, per quanto riguarda la Regione Siciliana, ai sensi e nei limiti dell’art. 3, comma 158, della legge n. 662 e dell’art. 24, comma 2, del decreto impugnato, e dunque nel rispetto della speciale autonomia finanziaria della Regione ricorrente.

Per quanto riguarda l’art. 24, comma 7, esso prevede – con riferimento all’intero territorio nazionale – una "ripartizione delle somme riscosse" a titolo di sanzione solo "in caso di concorso formale e di violazioni continuate rilevanti ai fini dell’imposta regionale e di altri tributi", dunque quando le sanzioni non riguardino la sola IRAP: pertanto non ha fondamento il dubbio della ricorrente che si possa avere una parziale avocazione allo Stato dell’importo delle sanzioni irrogate in materia di IRAP. Ciò senza dire che il meccanismo ivi contemplato prevede che le modalità di detta ripartizione siano stabilite, a garanzia delle Regioni, con regolamento ministeriale adottato "d’intesa con la conferenza Stato-Regioni": , a questo proposito, la Regione Siciliana potrebbe pretendere fondatamente un procedimento che la veda interlocutrice esclusiva dello Stato, trattandosi di un problema comune a tutte le Regioni, cui spetta la nuova imposta, mentre le particolarità derivanti dal fatto che in Sicilia anche il gettito di altri tributi erariali spetta alla Regione dovranno, evidentemente, essere tenute in considerazione nella disciplina concreta della ripartizione prevista.

L’art. 27, che prevede l’obbligo di devoluzione ai Comuni e alle Province, da parte della Regione, di quote del gettito regionale dell’IRAP, era destinato, nel testo originario del d. lgs. n. 446 del 1997, a valere solo per il periodo anteriore alla istituzione, da parte degli enti locali, sulla base di apposita legge regionale, della addizionale comunale e di quella provinciale sull’IRAP, prevista dall’art. 28 (cfr. art. 27, comma 5). Abrogata, con l’art. 12 del d. lgs. n. 137 del 1998, la norma che prevedeva tali addizionali, e abrogato, per conseguenza, anche il comma 5 dell’art. 27 del decreto, la devoluzione obbligatoria di quote dell’IRAP é divenuta istituto stabilmente destinato a regolare i rapporti finanziari fra Regione, Province e Comuni, in particolare compensando mediante tali trasferimenti le perdite di gettito che si verificano, nei confronti degli enti locali, a seguito della soppressione delle tasse di concessione comunale e dell’imposta comunale per l’esercizio di imprese, arti e professioni (cfr. art. 27, comma 1, in conformità al criterio di delega di cui all’art. 3, comma 144, lettera q, della legge n. 662 del 1996, come modificata dall’art. 48 della legge n. 449 del 1997).

Anche in questo nuovo contesto, la previsione in esame si inquadra nella complessa operazione di revisione del sistema tributario disegnata nell’art. 3, comma 143, della legge n. 662, in cui istituzione di nuovi tributi e contestuale abolizione di tributi preesistenti, nonchè revisione di altri tributi preesistenti, e modifiche al regime dei trasferimenti dallo Stato alle Regioni e agli enti locali, devono modularsi in modo tale da "assicurare l’assenza di oneri aggiuntivi per il bilancio dello Stato" e "l’assenza di effetti finanziari netti negativi per le Regioni e gli enti locali" (art. 3, comma 151, della legge n. 662 del 1996), e da evitare, nella fase transitoria, "carenze e sovrapposizioni nei flussi finanziari dello Stato, delle Regioni e degli altri enti locali" (art. 3, comma 147, lettera a, della legge n. 662).

Non può negarsi al legislatore statale, nel momento in cui dà attuazione a tale disegno, il potere di imporre alle Regioni un vincolo di destinazione (cfr. art. 27, comma 2, terzo periodo, del decreto impugnato) in ordine all’utilizzazione di una parte del gettito dell’IRAP, ad esse spettante, al fine di compensare il venir meno di altre fonti di alimentazione della finanza locale. Poichè anche nella Regione Siciliana l’ordinamento della finanza locale, ivi compresa la disciplina dei trasferimenti finanziari, fa tuttora capo allo Stato, si giustifica che anche in Sicilia trovi applicazione il vincolo di destinazione in esame, mentre in altre Regioni speciali cui sono stati trasferiti maggiori poteri in tema di finanza locale ciò é demandato alla normazione locale, fermo però restando comunque il vincolo ad assicurare agli enti locali "le risorse finanziarie per compensare gli effetti finanziari negativi conseguenti all’attuazione" del decreto legislativo impugnato (art. 27, comma 6, del d. lgs. n. 446 del 1997).

Analogamente, e a maggior ragione, é infondata la questione sollevata in ordine all’art. 29 del decreto, che si limita a disporre che le Regioni, nell’attribuire alle Città metropolitane le funzioni amministrative di competenza provinciale o affidate ai Comuni, ai sensi dell’art. 19 della legge n. 142 del 1990 sull’ordinamento delle autonomie locali, provvedono ad assegnare alle stesse quote del gettito (genericamente) di "tributi regionali", vincolando la Regione soltanto ad un principio di equilibrio e di corrispondenza fra funzioni e risorse attribuite.

11.– Altre censure investono le disposizioni degli artt. 24, comma 6, 25, 26 e 30, relative alla fase di prima applicazione dell’IRAP, per gli esercizi finanziari 1998 e 1999. La ricorrente lamenta che il rinvio degli effetti delle leggi regionali di attuazione al periodo di imposta in corso al 1° gennaio 2000 (art. 24, comma 6) paralizzi la competenza statutariamente spettante alla Regione; che l’applicazione, in questo frattempo, della disciplina statale relativa alle imposte sui redditi, salva la sola partecipazione di Regioni, Province e Comuni all’attività di accertamento e riscossione (art. 25), e della disciplina statale della riscossione e del versamento in acconto (art. 30) violerebbe la competenza regionale a disciplinare la riscossione dei tributi; che l’attribuzione allo Stato di una quota del gettito IRAP, a compensazione dei costi di riscossione (art. 26, comma 1), avrebbe l’effetto paradossale di obbligare la Regione a versare allo Stato somme a compenso di una attività che essa potrebbe svolgere direttamente, e che le é impedito di svolgere; che l’attribuzione allo Stato di una ulteriore quota del gettito IRAP, per due periodi di imposta, a compensazione della perdita del gettito della soppressa imposta sul patrimonio netto delle imprese sarebbe irragionevole e in contrasto con l’art. 36 dello statuto, perchè l’imposta abolita era di carattere straordinario e temporaneo.

12.– Le questioni non sono fondate.

Il temporaneo impedimento all’efficacia delle leggi regionali emanate nell’esercizio della potestà legislativa spettante in questa materia alle Regioni (impedimento che riguarda anche le leggi della Regione Siciliana: cfr. art. 24, comma 6, in relazione al comma 2) costituisce indubbiamente, in particolare nei riguardi della autonomia speciale della Regione Siciliana, una limitazione eccezionale, che però si giustifica in vista dell’esigenza di assicurare una uniforme applicazione del nuovo tributo, sotto il profilo sia della disciplina sostanziale, sia delle procedure di liquidazione, accertamento e riscossione, nella delicata fase di passaggio in cui, sperimentandosi il nuovo prelievo, il cui gettito va a sostituire quello dei tributi soppressi, si deve tuttavia assicurare l’equilibrio dei conti pubblici e dei rapporti finanziari fra i vari livelli di governo e fra le varie aree territoriali del paese, anche attraverso i meccanismi di compensazione e di riequilibrio previsti allo scopo (cfr. artt. 41, 42 e 43, comma 2, del decreto legislativo impugnato): e in cui quindi qualsiasi deroga a tale uniformità di applicazione potrebbe comportare difficoltà operative e pericolo di squilibri.

Peraltro la Regione può sin d’ora porre mano alla propria legislazione di attuazione, con l’unico limite di doverne differire l’efficacia al termine della fase transitoria.

13.– Per le stesse ragioni si giustifica la disciplina transitoria in tema di controllo, accertamento e riscossione dell’imposta, recata dall’art. 25: ove peraltro si prevede, pur nella fase transitoria, la partecipazione di Regioni, Province e Comuni all’attività di accertamento, anche mediante programmi di accertamento predisposti con la collaborazione di apposite commissioni paritetiche, secondo modalità definite dal Ministro d’intesa con la conferenza Stato-Regioni (art. 25, comma 2).

14.– La riserva allo Stato, per il periodo transitorio, di una quota del gettito IRAP a compensazione dei costi di gestione del tributo non contrasta con l’art. 8 delle norme di attuazione di cui al d.P.R. n. 1074 del 1965, ai cui sensi la Regione si avvale, per l’esercizio delle sue funzioni amministrative in materia tributaria, degli uffici periferici dell’amministrazione statale. Essa anzi ricalca la stessa regola stabilita in generale dall’art. 9 delle medesime norme, secondo cui la Regione rimborsa allo Stato le spese relative ai servizi ed al personale di cui si avvale, "in proporzione all’ammontare delle entrate tributarie di sua spettanza".

é fondato il timore, espresso dalla ricorrente, che ciò possa comportare un duplice esborso a carico della Regione per la stessa attività svolta dagli uffici statali, già incaricati dell’attività di applicazione degli altri tributi erariali il cui gettito spetta alla Regione. Infatti la gestione del nuovo tributo comporta per lo Stato nuovi oneri organizzativi, che ben possono giustificare un compenso commisurato ad una quota del gettito: mentre la contemporanea abolizione di altri tributi comporterà, ai sensi del citato art. 9 del d.P.R. n. 1074 del 1965, il venir meno dei rimborsi commisurati all’ammontare delle entrate soppresse già di spettanza della Regione.

15.– Nemmeno contrasta con le norme statutarie e di attuazione la previsione dell’art. 26, comma 2, del decreto, ma già contemplata dall’art. 3, comma 144, lettera o, della legge n. 662 del 1996, di una riserva allo Stato, per i primi due esercizi, di una quota del gettito IRAP a compensazione della perdita del gettito della cessata imposta sul patrimonio netto delle imprese: tributo erariale istituito dall’art. 1 del d.l. 30 settembre 1992, n. 394, convertito dalla legge 26 novembre 1992, n. 461, per un periodo non eccedente l’esercizio in corso alla data del 30 settembre 1994, la cui durata di applicazione venne prorogata, da ultimo, fino all’esercizio in corso alla data del 30 settembre 1997 (art. 3, comma 110, della legge n. 549 del 1995), e il cui gettito venne riservato all’erario dall’art. 16, comma 17, della legge 24 dicembre 1993, n. 537.

Il fatto che si trattasse di un’imposta istituita con carattere di temporaneità, e quindi, più che abolita, non confermata per effetto dell’art. 3, comma 143, lettera a, n. 5, della legge n. 662 del 1996 e dell’art. 36, comma 1, lettera e, del d.lgs. n. 446 del 1997 (salvo il raccordo temporale previsto dall’art. 37 del medesimo decreto), non toglie che la nuova imposta regionale sulle attività produttive sia stata configurata dal legislatore come tributo destinato (insieme alla nuova addizionale regionale sull’IRPEF) a sostituire con il suo gettito quello dei tributi erariali, regionali e locali soppressi a norma delle disposizioni da ultimo citate, fra cui anche il gettito dell’imposta sul patrimonio netto delle imprese, nel quadro dei principi di invarianza del gettito e di mantenimento degli equilibri finanziari, cui si ispira la riforma. Ciò giustifica dunque anche la devoluzione diretta o indiretta di quote del gettito del nuovo tributo agli enti ai quali affluiva il gettito dei tributi soppressi: così gli enti locali (art. 27 del decreto), e così anche l’erario per quanto riguarda il gettito, già ad esso riservato, dell’imposta sul patrimonio netto delle imprese.

E’ del resto lo stesso art. 2, primo comma, delle norme di attuazione di cui al d.P.R. n. 1074 del 1965 che prevede la possibilità per la legge dello Stato di riservare all’erario nuove entrate tributarie destinate a soddisfare finalità, contingenti o continuative, dello Stato specificate nella stessa legge: e tra queste finalità ben può ritenersi compresa quella, chiaramente espressa nel decreto impugnato e ancor prima nella legge di delega, di mantenere, nella fase di transizione, gli equilibri finanziari che verrebbero altrimenti alterati dal venir meno di un tributo il cui gettito era già riservato allo Stato.

16.– La ricorrente denuncia altresì gli articoli 36, 40, 41 e 42 del decreto. L’art. 36, nel disporre l’abolizione di vari tributi, non prevederebbe alcuna forma di compensazione a favore della Regione (come invece il decreto fa nei confronti dello Stato) per la perdita del gettito di tributi ad essa prima spettanti. L’art. 40, prevedendo la istituzione di conti presso le tesorerie statali per il versamento delle somme riscosse a titolo di IRAP, e il loro riversamento a favore dello Stato, dei Comuni, delle Province, del Fondo sanitario nazionale, e solo per la parte residua alla Regione, comporterebbe una riduzione della capacità di manovra finanziaria della Regione stessa e una diminuzione del gettito a suo favore. Tale diminuzione sarebbe accentuata per effetto degli artt. 41 e 42, che prevedono il calcolo delle così dette "eccedenze" annuali del gettito dell’IRAP e il loro versamento ad integrazione del Fondo sanitario nazionale, a copertura di nuove funzioni o in definitiva a favore del bilancio statale.

Le questioni sono infondate.

Il complesso meccanismo di transizione dal precedente sistema a quello contrassegnato dai nuovi tributi regionali é costruito dal legislatore delegato con l’intento di disciplinare i rapporti fra Stato, Regioni a statuto speciale ed enti locali "in modo da mantenere il necessario equilibrio finanziario", come esplicitamente recita l’art. 43, comma 2.

A tal fine, poichè il gettito dei nuovi tributi é principalmente destinato (come ricorda la stessa ricorrente) a sostituire, come fonte di alimentazione del Servizio sanitario nazionale, i contributi sanitari, l’art. 38 del decreto stabilisce anzitutto che, al fine della determinazione del Fondo sanitario nazionale e delle quote di esso da assegnare alle Regioni, "si considera come dotazione propria delle medesime il gettito dell’addizionale regionale all’imposta sul reddito delle persone fisiche (…) ed il 90 per cento del gettito dell’imposta regionale sulle attività produttive al netto delle quote attribuite allo Stato" (comma 1), insieme, per il 1998, ai contributi sanitari arretrati riscossi nello stesso anno (comma 2). Conseguentemente, la misura del concorso della Regione Siciliana al finanziamento del Servizio sanitario, da ultimo elevata al 42,5 per cento dall’art. 1, comma 143, della legge n. 662 del 1996, é rapportata all’entità complessiva delle risorse del Fondo sanitario (a carico del bilancio dello Stato) e dei gettiti costituenti la "dotazione" propria della Regione (comma 3).

La ripartizione fra le Regioni del Fondo sanitario di parte corrente viene fatta dal CIPE, su proposta del Ministro della sanità d’intesa con la conferenza Stato-Regioni "tenuto conto dell’importo complessivo presunto" del gettito dei nuovi tributi considerato "dotazione propria" di ciascuna Regione (art. 39, comma 1): alla copertura di eventuali differenze fra il gettito presunto e quello effettivo si provvede mediante una integrazione del Fondo sanitario "quantificata dalla legge finanziaria" (art. 39, comma 3).

Il meccanismo é dunque tale da garantire che la perdita da parte delle Regioni del gettito dei contributi sanitari, già ad esse spettanti, sia interamente compensata o dal gettito dei nuovi tributi (per quanto riguarda l’IRAP, computato solo per il 90 per cento del totale, al netto delle quote riservate allo Stato), o, in mancanza, da nuovi apporti dello Stato al Fondo sanitario: ferma restando la quota percentuale del complesso della spesa sanitaria posta a carico della finanza regionale (per la Sicilia il 42,5 per cento, ai sensi del citato art. 1, comma 143, della legge n. 662 del 1996).

Stabilita la quota del gettito dei nuovi tributi destinata al finanziamento della sanità, il decreto legislativo provvede poi a disciplinare il calcolo e l'utilizzo delle così dette "eccedenze" (artt. 41 e 42). Il sistema é differenziato in relazione alle Regioni a statuto ordinario (art. 41, comma 1), a quelle a statuto speciale che accedono al Fondo sanitario nazionale (art. 41, comma 2: fra di esse la Sicilia), e infine agli enti ad autonomia speciale che non accedono al Fondo sanitario nazionale (art. 41, comma 3), e cioé che provvedono all’integrale autofinanziamento della spesa sanitaria.

Per quanto qui interessa, avendo la Regione Siciliana accesso al Fondo sanitario nazionale, le "eccedenze annuali di risorse finanziarie" derivanti dai nuovi tributi rispetto al fabbisogno convenzionalmente calcolato sono costituite dalla differenza fra il residuo 10 per cento del gettito dell’IRAP di spettanza regionale e "l’ammontare delle compartecipazioni ai tributi erariali soppressi, convenzionalmente incrementati del tasso di crescita del prodotto interno lordo per il 1998 e il 1999, e tenendo anche conto degli effetti indiretti derivanti dall’ampliamento delle basi imponibili degli altri tributi compartecipati" (art. 41, comma 2)

Si considerano dunque "eccedenze" le eventuali entrate che superano quelle necessarie per compensare le entrate venute meno per effetto della soppressione dei tributi erariali al cui gettito le Regioni in questione partecipavano. Per la Regione Siciliana, a cui era devoluto l’intero gettito dei tributi erariali soppressi (ad eccezione di quello dell’imposta sul patrimonio netto delle imprese, compensato per i primi due anni dalla apposita quota del gettito IRAP riservata allo Stato: art. 26, comma 2), le entrate da compensare saranno evidentemente pari al totale, già devoluto alla Regione, dei tributi soppressi, convenzionalmente indicizzato. La logica appare sempre quella della compensazione, ad ogni livello, fra gettito perduto per effetto della abolizione di certi tributi e gettito acquisito con i nuovi tributi, e del mantenimento dell’equilibrio finanziario nei rapporti fra Stato e autonomie speciali, secondo il principio sancito dall’art. 43, comma 2.

Il calcolo delle eccedenze, per quanto riguarda le Regioni a statuto ordinario, é finalizzato all’attuazione di un meccanismo di compensazione interregionale, mediante un apposito Fondo, volto a riequilibrare fra le Regioni gli effetti finanziari derivanti dalla maggiore autonomia tributaria e dalla diversa "capacità fiscale" delle varie Regioni (cfr. art. 3, comma 148, della legge n. 662 del 1996, e art. 42, commi 2, 3 e 4, del d. lgs. n. 446 del 1997).

Ma in questa sede interessa soltanto la diversa disciplina che delle "eccedenze" é dettata, per le Regioni a statuto speciale, dall’art. 42, comma 7, del decreto. Secondo tale norma "le eccedenze positive o negative" "vengono compensate per gli anni 1998 e 1999, nel rispetto degli statuti di autonomia mediante variazioni delle quote del fondo sanitario nazionale, trasferimenti di funzioni, modifica delle quote variabili previste ai sensi degli statuti o acquisizione delle eccedenze al bilancio dello Stato". Invece "a partire dall’anno 2000 non si dà luogo a recupero delle eccedenze, ma si procede attraverso il trasferimento di nuove funzioni amministrative, definite con le procedure fissate dai rispettivi statuti di autonomia, fino all’esaurimento delle eccedenze medesime".

Nella fase transitoria, dunque, il sistema si avvale di una serie di meccanismi di riequilibrio al fine di pervenire al risultato del mantenimento dei precedenti livelli di partecipazione alle entrate tributarie. Le eccedenze possono essere sia "positive" che "negative", cioé favorevoli o sfavorevoli per la Regione, e in entrambi i casi ne é prevista la compensazione con strumenti rispettosi degli statuti. In altri termini, per la Sicilia (il cui statuto non prevede "quote variabili" di entrate trasferite dallo Stato, ma solo il fondo di solidarietà di cui all’art. 38), nel caso di eccedenze negative potranno apportarsi variazioni in aumento alla quota del Fondo sanitario assegnata alla Regione; nel caso di eccedenze positive, si potranno apportare variazioni in senso opposto alla quota del Fondo sanitario assegnata alla Regione (accrescendo in questo caso la partecipazione regionale al finanziamento della spesa sanitaria), o attuare nuovi trasferimenti di funzioni senza corrispondente trasferimento di nuove risorse, ovvero le eccedenze potranno essere acquisite al bilancio dello Stato. In proposito é da osservare che gli eventuali trasferimenti di funzioni dovranno avvenire con i procedimenti previsti dall’art. 43 dello statuto, e dunque con la partecipazione della Regione; mentre l’eventuale acquisizione di eccedenze al bilancio dello Stato si inscriverebbe nel sistema di riserva eccezionale allo Stato di nuove entrate tributarie, previsto dall’art. 2, primo comma, del d.P.R. n. 1074 del 1965.

Dopo i primi due anni, alle eventuali eccedenze potranno corrispondere soltanto nuovi trasferimenti di funzioni, da effettuarsi sempre con le procedure statutariamente previste, e dunque con la garanzia della partecipazione della Regione.

In definitiva, il sistema é ispirato al criterio dell’equilibrio finanziario, anche se con meccanismi di salvaguardia a favore delle esigenze finanziarie statali più efficaci di quelli previsti a favore della Regione. Non si può escludere, infatti, che l’applicazione delle norme in questione comporti per la Regione, specie nella fase transitoria, qualche diminuzione di entrate, vuoi per l’ipotesi di gettito dei nuovi tributi inferiore alle aspettative, vuoi per l’incidenza della quota del gettito IRAP che la Regione dovrà obbligatoriamente devolvere agli enti locali, ai sensi dell’art. 27, e della quale l’art. 41, comma 2, non fa parola quando disciplina il calcolo delle "eccedenze" (benchè, come si é ricordato, l’art. 43, comma 2, sancisca in via di principio il criterio del mantenimento del "necessario equilibrio finanziario" nei rapporti fra lo Stato, le autonomie speciali e gli enti locali). Peraltro lo stesso art. 42, comma 7, stabilisce che la compensazione delle eccedenze avviene "nel rispetto degli statuti di autonomia", e prevede, con una norma largamente "programmatica", meccanismi destinati ad essere eventualmente applicati con procedimenti dei quali la Regione non potrebbe essere esclusa.

In ogni caso, ad escludere la illegittimità costituzionale delle disposizioni denunciate vale la considerazione che le norme statutarie e di attuazione non stabiliscono, a favore della Regione, una rigida garanzia "quantitativa", cioé la garanzia della disponibilità di entrate tributarie non inferiori a quelle ottenute in passato: onde nel caso di abolizione di tributi erariali il cui gettito era devoluto alla Regione, o di complesse operazioni di riforma e di sostituzione di tributi, come quella realizzata sulla base dell’art. 3, comma 143, della legge n. 662 del 1996, possono aversi, senza violazione costituzionale, anche riduzioni di risorse per la Regione, purchè non tali da rendere impossibile lo svolgimento delle sue funzioni. Ciò vale tanto più in presenza di un sistema di finanziamento che non é mai stato interamente e organicamente coordinato con il riparto delle funzioni, così da far corrispondere il più possibile, come sarebbe necessario, esercizio di funzioni e relativi oneri finanziari da un lato, disponibilità di risorse, in termini di potestà impositiva (correlata alla capacità fiscale della collettività regionale), o di devoluzione di gettito tributario, o di altri meccanismi di finanziamento, dall’altro. Più in generale, la giurisprudenza di questa Corte ha ammesso che la legge dello Stato possa, nell’ambito di manovre di finanza pubblica, anche determinare riduzioni nella disponibilità finanziaria delle Regioni, purchè appunto non tali da produrre uno squilibrio incompatibile con le esigenze complessive della spesa regionale (cfr. sentenze n. 307 del 1983, n.123 del 1992 e n. 370 del 1993).

Quanto poi alle disposizioni dell’art. 40, sulle modalità per il versamento su appositi conti, intestati alle Regioni, e per il riversamento su altri conti delle somme riscosse a titolo di IRAP e di addizionale IRPEF, va osservato che si tratta di semplici modalità tecnico-contabili dirette a dare applicazione alle previsioni di legge circa l’attribuzione e il riparto del gettito delle nuove imposte: modalità che non possono che far capo ad una disciplina uniforme, posto che non solo il gettito va attribuito alle singole Regioni secondo i criteri e le regole stabiliti dall’art. 4, ma inoltre, nella fase transitoria, il gettito, in particolare dell’IRAP, é ripartito fra diversi enti e diverse destinazioni, secondo le altre previsioni del decreto (artt. 26, 38, 41 e 42). Senza dire che, in ogni caso, le modalità di riversamento delle somme in questione sono stabilite dal Ministro sentita la conferenza Stato-Regioni (come é logico, trattandosi di modalità che interessano tutte le Regioni e i loro rapporti con lo Stato). Non sussiste dunque alcuna violazione della autonomia finanziaria della Regione.

17.– La ricorrente censura infine gli artt. 60 e 61 del decreto. Il primo attribuisce, a far tempo dal 1° gennaio 1999, alle Province e ai Comuni, rispettivamente, il gettito dell’imposta sulle assicurazioni contro la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, esclusi i ciclomotori (con riguardo alla Provincia in cui ha sede il pubblico registro automobilistico nel quale il veicolo é iscritto), e il gettito delle imposte di registro, ipotecarie e catastali riscosse sugli atti di trasferimento a titolo oneroso della proprietà di beni immobili e sugli atti costitutivi o traslativi di diritti reali sugli stessi (con riferimento al Comune in cui l’immobile é ubicato). L’art. 61 dispone, dalla stessa data, la corrispondente riduzione dei trasferimenti erariali a favore delle Province e dei Comuni.

La ricorrente lamenta che, essendo già ad essa devoluto il gettito dei tributi erariali ora "trasferiti" a Province e Comuni, lo Stato potrebbe ridurre i trasferimenti a favore degli enti locali siciliani mentre il corrispondente gettito dei tributi trasferiti verrebbe perduto dalla Regione, con complessiva riduzione delle risorse a disposizione del sistema delle autonomie in Sicilia.

18.– La questione é infondata nei termini di seguito precisati.

Va in primo luogo notato che l’art. 60, comma 4, demanda alle Regioni a statuto speciale l’attuazione, per il rispettivo territorio, delle disposizioni sulla devoluzione dei tributi indicati a Province e Comuni, "in conformità dei rispettivi statuti", e prevede che "contestualmente" siano disciplinati "i rapporti finanziari tra lo Stato, le autonomie speciali e gli enti locali al fine di mantenere il necessario equilibrio finanziario" (con formula analoga a quella, più volte citata, dell’art. 43, comma 2).

E’ dunque escluso che si verifichi il trasferimento del gettito tributario dalla Regione Siciliana alle Province e ai Comuni, e contemporaneamente la riduzione dei trasferimenti statali a Province e Comuni siciliani. Che poi si parli qui di "attuazione" e non di potestà concorrente, non ha alcun rilievo, trattandosi proprio dell’attuazione di un trasferimento di tributi erariali che la Regione non avrebbe potuto autonomamente operare: e i limiti dell’autonomia legislativa regionale in materia tributaria restano impregiudicati.

A sua volta l’art. 61, comma 4, prevede che le riduzioni dei contributi statali e i gettiti dei tributi trasferiti "sono determinati con riferimento alle province e ai comuni delle regioni a statuto ordinario": mentre "per le Regioni a statuto speciale le operazioni di riequilibrio di cui al decreto legislativo 30 giugno 1997, n. 244" – che detta le norme sul riordino del sistema dei trasferimenti erariali agli enti locali per adeguarlo, al termine di una lunga fase di transizione, a fabbisogni oggettivamente determinati – "si applicano solo dopo il recepimento delle disposizioni dell’articolo 60 e del presente articolo nei rispettivi statuti".

Nonostante la formulazione impropria, che allude ad un impossibile "recepimento" delle disposizioni in questione negli statuti speciali, la norma va intesa nel senso che la regolazione dei rapporti finanziari con i Comuni avverrà, in conformità allo statuto, in occasione della attuazione da parte della Regione delle disposizioni dell’art. 60, commi 1 e 2, e in modo tale – come espressamente stabilisce il comma 4 dello stesso art. 60 – da "mantenere il necessario equilibrio finanziario". Intesa in questo senso, la norma non presta il fianco alle censure mosse dalla ricorrente.

19.– Risulta impugnato anche l’articolo 43 del decreto, che rende esplicito il riferimento delle disposizioni anche alle Province autonome di Trento e Bolzano, e stabilisce che "i rapporti finanziari tra lo Stato, le autonomie speciali e gli enti locali devono essere disciplinati in modo tale da mantenere il necessario equilibrio finanziario": ma la relativa questione non é in alcun modo motivata sviluppata nel ricorso, onde essa va dichiarata inammissibile.

20.– Il conflitto di attribuzioni sollevato dalla Regione Siciliana ha ad oggetto il decreto del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica in data 24 marzo 1998, recante "Modalità di riversamento delle somme riscosse per l’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) e per l’addizionale regionale all’IRPEF, ai sensi del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446".

La Regione ammette che il decreto impugnato costituisce svolgimento del decreto legislativo n. 446 del 1997, onde su di esso si rifletterebbero le censure di incostituzionalità che investono quest’ultimo provvedimento.

Più in particolare, la ricorrente afferma che il sistema di conti, intestati alle Regioni, previsto dagli artt. 1 e 2 del decreto farebbe sì che l’IRAP non sarebbe riscossa sul territorio regionale, onde potrebbe sfuggire alla regola statutaria della devoluzione del gettito alla Regione; che l’art. 2, comma 3, lettera B, punto IV, escluderebbe illegittimamente la competenza della "Cassa regionale siciliana di Palermo", prevista dagli artt. 21 e 26 del d. lgs. n. 241 del 1997, a raccogliere l’immediato riversamento delle somme riscosse; che l’art. 3, comma 3, il quale prevede le modalità del riversamento delle somme versate sul conto "IRAP-altri soggetti", consentirebbe allo Stato di determinare unilateralmente le somme da trattenere a compensazione dei costi di gestione del tributo, e di attribuire direttamente a proprio favore le eccedenze di cui all’art. 41 del decreto legislativo, facendo venir meno la possibilità, prevista dall’art. 42, comma 7, del decreto legislativo, di "realizzare un vantaggio finanziario per la Regione mediante la destinazione di tali eccedenze alla variazione di quote del Fondo sanitario o al pagamento degli oneri derivanti dal trasferimento di nuove funzioni".

21.– Il conflitto é inammissibile.

Una volta riconosciute infondate le censure di illegittimità costituzionale rivolte al decreto legislativo n. 446 del 1997, e in particolare, fra l’altro, agli articoli 1, 2, 4, 15 (sulla configurazione generale e sulla spettanza dell’imposta regionale sulle attività produttive), 26, comma 1 (sulla riserva allo Stato di una quota del gettito a compensazione dei costi di gestione), 40 (sulle modalità di versamento e riversamento del gettito), 41 e 42 (sulle così dette "eccedenze" e sulla loro compensazione), non può riconoscersi alcuna consistenza autonoma alle censure mosse al decreto ministeriale, emanato peraltro, come prevede l’art. 40, comma 2, del decreto legislativo, previo parere della conferenza Stato-Regioni. Esso, infatti, non fa che dettare le modalità applicative delle predette norme legislative.

In particolare, l’art. 1 disciplina la istituzione dei conti previsti dall’art. 40, comma 1, del d. lgs. n. 446 del 1997, nonchè di un conto intestato all’erario per il versamento delle quote di spettanza statale ai sensi dell’art. 26 e delle eccedenze di cui agli artt. 41 e 42 del decreto legislativo. L’art. 2 disciplina le modalità operative per l’afflusso delle somme sui conti; più in particolare, la lettera B, punto IV, del comma 3 disciplina, in coerenza con il sistema dei conti previsti dall’art. 40 del decreto legislativo, l’afflusso delle somme derivanti dai versamenti unitari, relativi ad una pluralità di tributi, effettuati dai contribuenti titolari di partita IVA. L’art. 3, comma 3, disciplina, per il 1998 e il 1999, il riversamento del gettito dell’IRAP sui vari conti ("conto erario" per le quote o le eccedenze di pertinenza dello Stato, ai sensi degli artt. 26, 41 e 42 del decreto legislativo; "conto contributi sanitari" o "conto sanità", intestato alla Regione, fino a concorrenza dell’importo destinato al finanziamento del Servizio sanitario nazionale, pari, ai sensi dell’art. 38, comma 1, del decreto legislativo, al 90 per cento del gettito dell’imposta, al netto delle quote riservate allo Stato; "conto ordinario", anch’esso intestato alla Regione, per le quote determinate a titolo di compartecipazione degli enti locali, ai sensi dell’art. 27 del decreto legislativo, nonchè per la parte che residua dopo gli altri versamenti). Il tutto in applicazione delle corrispondenti norme sostanziali del decreto legislativo.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

a) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 1, 2, 4, 15, 24, 26, 27, 30, 36, 40, 41, 42 e 50 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonchè riordino della disciplina dei tributi locali), sollevate dalla Regione Siciliana, in riferimento all’art. 36 dello statuto speciale e alle relative norme di attuazione, nonchè agli articoli 3 e 76 della Costituzione, con il ricorso (R. ric. n. 10 del 1998) in epigrafe;

b) dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale degli articoli 60 e 61 del predetto decreto legislativo n. 446 del 1997, sollevata dalla Regione Siciliana, in riferimento all’art. 36 dello statuto speciale e alle relative norme di attuazione, nonchè agli articoli 3 e 76 della Costituzione, con il ricorso in epigrafe;

c) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 43 del predetto decreto legislativo n. 446 del 1997, sollevata dalla Regione Siciliana, in riferimento all’art. 36 dello statuto speciale e alle relative norme di attuazione, nonchè agli articoli 3 e 76 della Costituzione, con il ricorso in epigrafe;

d) dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzioni (R. confl. n. 14 del 1998) promosso dalla Regione Siciliana contro il Presidente del Consiglio dei ministri in relazione al decreto del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica in data 24 marzo 1998, recante "Modalità di riversamento delle somme riscosse per l’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) e per l’addizionale regionale sull’IRPEF, ai sensi del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446".

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 aprile 1999.

Renato GRANATA, Presidente

Valerio ONIDA, Redattore

Depositata in cancelleria il 22 aprile 1999.