SENTENZA N. 31
ANNO 2006
Commento alla decisione di
Clara Fraticelli
Stato,
Regioni e sdemanializzazione: la Corte "rafforza" il principio di
leale collaborazione
(per gentile concessione del Forum dei Quaderni Costituzionali)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
composta dai signori:
- Annibale MARINI Presidente
- Franco BILE Giudice
- Giovanni Maria FLICK ”
- Francesco AMIRANTE ”
- Ugo DE SIERVO ”
- Romano VACCARELLA ”
- Paolo MADDALENA ”
- Alfio FINOCCHIARO ”
- Alfonso QUARANTA ”
- Franco GALLO ”
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Maria Rita SAULLE ”
- Giuseppe TESAURO ”
ha pronunciato la seguente
nel giudizio per conflitto di attribuzione tra enti sorto a seguito della
circolare dell’Agenzia del demanio, Direzione generale, del 23 settembre 2003, prot. 2003/35540/NOR, avente ad oggetto «Decreto legge 24 giugno
2003 n. 143 convertito con legge 1 agosto 2003 n. 212 recante “Disposizioni
urgenti in tema di versamento e riscossione di tributi, di fondazioni bancarie
e di gare indette dalla Consip S.p.A., nonché di
alienazione di aree appartenenti al Patrimonio e al Demanio dello Stato”
pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 185 dell’11 agosto 2003 s.o. n. 131/L», promosso con ricorso della Regione Lombardia notificato il 3 luglio
2004, depositato in cancelleria il successivo 12 luglio 2004 ed iscritto al n.
10 del registro conflitti 2004.
Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 29 novembre 2005 il Giudice relatore Gaetano Silvestri;
uditi
l’avvocato Giuseppe Franco Ferrari per
1. – Con
ricorso notificato il 3 luglio 2004 e depositato il 12 luglio successivo,
La circolare richiamata concerne l’applicazione
dell’art. 5-bis del d.l.
n. 143 del 2003, introdotto dalla relativa legge di conversione. La norma
prevede la cessione di aree appartenenti al patrimonio e al demanio dello Stato
(escluso quello marittimo), che non siano sottoposte a tutela come beni
culturali e ambientali, quando risultino interessate dallo sconfinamento di
opere eseguite, entro il 31 dicembre 2002, su fondi attigui di proprietà
altrui, in forza di concessioni edilizie o altri titoli legittimanti. Oggetto
di alienazione può essere in particolare, nella ricorrenza delle condizioni
indicate, un’area eccedente di tre metri il limite delle opere sconfinate nel
fondo di appartenenza pubblica.
Secondo la ricorrente, la circolare dell’Agenzia del
demanio vincola gli uffici periferici ad alienazioni che non sarebbero
consentite dal dettato normativo, e comunque descrive il relativo procedimento
escludendo qualunque coinvolgimento dell’ente regionale, sebbene la gestione
del demanio lacuale e idroviario, al di là del profilo dominicale, spetti in
misura preponderante proprio alle Regioni. Anche sotto questo aspetto, il
provvedimento si discosterebbe dalle previsioni di legge: è vero infatti che
l’art. 5-bis del d.l.
n. 143 del 2003 disciplina il procedimento senza far riferimento ad interventi
dell’ente regionale, ma la norma non precluderebbe, ed anzi presupporrebbe,
meccanismi di consultazione e raccordo.
Nel ricorso si premette, a tale proposito, come l’art.
86 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e
compiti amministrativi dello Stato alle Regioni ed agli enti locali, in
attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), stabilisca che alla
gestione dei beni del demanio idrico provvedono le Regioni e gli enti locali
competenti per territorio, e che i canoni ricavati dalla utilizzazione di quei
beni sono introitati dalla Regione. In specifica relazione a tale norma
(richiamata nel preambolo), in data 20 giugno 2002,
Secondo la ricorrente, una lettura dell’art. 5-bis del d.l.
n. 143 del 2003 che ne facesse discendere una deroga od un superamento del citato
accordo del 2002 comporterebbe una violazione del principio di leale
collaborazione ed una menomazione delle attribuzioni regionali di cui agli
artt. 5, 114, 117, 118 e 119 Cost. Una interpretazione costituzionalmente
orientata, di contro, consentirebbe di raccordare la disposizione alle norme
applicative del principio di leale collaborazione, dando luogo alle necessarie
forme di interlocuzione dell’ente regionale.
L’impugnata circolare dell’Agenzia del demanio, sollecitando
procedure applicative di totale disconoscimento delle attribuzioni regionali in
materia di tutela, vigilanza e gestione del demanio della navigazione interna,
violerebbe tutte le disposizioni richiamate e «potrebbe assumere il significato di una
forma di usurpazione di funzioni regionali».
1.1. – Si
assume nel ricorso che lo Stato, mediante l’atto impugnato, avrebbe violato il
principio di leale collaborazione sotto un duplice profilo. Il primo
consisterebbe nella disapplicazione dell’accordo stipulato il 20 giugno
Un secondo e più generale profilo di violazione del
principio di leale collaborazione consisterebbe nel totale disconoscimento
delle attribuzioni spettanti alle Regioni in materia di demanio idrico e
lacuale. Al riguardo è richiamato l’art. 117, terzo comma, Cost. quanto alla
potestà legislativa concorrente in materia di governo del territorio,
protezione civile, porti, valorizzazione dei beni culturali e ambientali, salvo
che per la determinazione dei principî fondamentali. A tali competenze si
affiancherebbero quelle in materia di tutela dell’ambiente, di assetto
idrogeologico, risorse idriche e difesa del suolo, di lavori pubblici
pertinenti a materie di legislazione concorrente. Le Regioni vantano poi, a
norma dell’art. 117, quarto comma, Cost., competenza esclusiva a proposito di
navigazione interna, turismo, agricoltura, oltre che di lavori pubblici
afferenti a dette materie.
La ricorrente assume che l’interlocuzione regionale
sarebbe imposta sia dal principio di leale collaborazione sia dall’art. 118,
terzo comma, Cost., anche alla luce delle funzioni amministrative
progressivamente conferite all’ente regionale, con riferimento ai beni
demaniali in questione, in materia di navigazione lacuale, fluviale, lagunare e
sui canali navigabili ed idrovie, nonché in materia di porti lacuali e di porti
di navigazione interna (artt. 4 e 5 del d.P.R. 14
gennaio 1972, n. 5, recante «Trasferimento alle regioni a statuto ordinario
delle funzioni amministrative statali in materia di tranvie e linee
automobilistiche di interesse regionale e di navigazione e porti lacuali e dei
relativi personali ed uffici»; artt. 97 e 98 del d.P.R.
24 luglio 1977, n. 616, recante «Attuazione
della delega di cui all’art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382»; art. 105
del d.lgs. n. 112 del 1998). Vengono nel ricorso evocate, inoltre, le
competenze regionali riguardo al litorale marittimo, alle aree immediatamente
prospicienti ed alle aree del demanio lacuale e fluviale che siano destinate ad
uso turistico e ricreativo, nonché in tema di sicurezza dei natanti addetti
alle linee di navigazione interna (rispettivamente, art. 59 e art. 86 del d.P.R. n. 616 del 1977). Analogo richiamo concerne le opere
idrauliche, parte delle dighe, la polizia idraulica, le concessioni estrattive
dai corsi d’acqua e di spiagge, la difesa delle coste (art. 89 del d.lgs. n.
112 del 1998). Si rammenta dalla ricorrente, infine, che l’art. 86 del citato
d.lgs. n. 112 del 1998 assegna alle Regioni e agli enti locali competenti per
territorio la gestione del demanio idrico, e che i canoni ricavati dalla
relativa utilizzazione sono introitati dalla Regione.
In coerenza con tale ultima disposizione,
Nel ricorso viene infine declinato un ulteriore e
particolare aspetto dell’asserita violazione del parametro di leale
collaborazione. Nella circolare impugnata l’Agenzia del demanio ha sostenuto
che la procedura di sdemanializzazione debba essere «comunque» applicata nel caso di opere «che abbiano
causato un irreversibile mutamento dello stato dei luoghi tale da rendere
l’area inutilizzabile per finalità pubbliche». Secondo la ricorrente (che
prospetta anche l’illegittimità sostanziale della prescrizione), la perdurante
utilità per il pubblico interesse delle aree impegnate da sconfinamenti non
potrebbe essere valutata che dalla Regione, così come sarebbe del resto stabilito,
per
1.2. – La circolare dell’Agenzia del demanio, secondo
la ricorrente, incide sull’autonomia finanziaria e, conseguentemente,
legislativa e amministrativa della Regione, assumendo specifico rilievo, data
la qualità e quantità delle funzioni regionali concernenti il demanio idrico,
nella prospettiva dell’art. 119 Cost. (oltre che degli artt. 117 e 118 Cost.).
Sarebbe infatti violato il principio di corrispondenza e contestualità tra
funzioni trasferite e attribuzione delle risorse necessarie al relativo
assolvimento.
Si illustra nel ricorso come i proventi ricavati dalla
gestione del demanio idrico siano posti in compensazione delle risorse da
trasferire dal bilancio dello Stato per l’esercizio delle funzioni di cui al
Titolo III del d.lgs. n. 112 del
Un tale sistema di finanziamento, secondo la
ricorrente, evidenzia la pertinenza dei canoni ricavati dalle aree del demanio
idrico all’insieme delle corrispondenti funzioni regionali, cosicché la
doglianza concernente la riduzione di gettito connessa alla dismissione non
potrebbe essere dequalificata a mera vindicatio rerum,
con conseguente sua inammissibilità.
1.3. – Una ulteriore doglianza, che specificamente attiene
alla cessione di aree interessate da vincoli di carattere culturale e
ambientale, è prospettata con riguardo alla pretesa violazione dell’art. 118,
terzo comma, Cost.
L’ultimo periodo dell’art. 5-ter del d.l. n. 143 del 2003 stabilisce
che la normativa sull’alienazione «non si applica, comunque, alle aree sottoposte a tutela ai sensi del
testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e
ambientali, di cui al decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, e successive
modificazioni». La circolare impugnata recita: «qualora il vincolo gravante
sull’area statale interessi anche l’area del privato e su questa sia stata
legittimamente realizzata l’opera, il rilascio del relativo titolo edilizio,
presupponendo l’acquisizione di tutte le autorizzazioni e dei pareri favorevoli
delle autorità preposte alla tutela, estende l’efficacia di queste ultime anche
alla porzione di area di proprietà statale che pertanto potrà essere acquisita
dal privato».
Secondo la
ricorrente, una tale disposizione aggira il disposto dell’art. 146 del testo
unico approvato con il decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 (Testo unico
delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, a
norma dell’articolo 1 della legge 8 ottobre 1997, n. 352), che presume
l’interesse paesaggistico delle sponde dei laghi e delle rive dei fiumi, e
viola l’art. 27 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni
urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti
pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 2003, n. 326,
per il quale i beni di rilievo culturale o ambientale sono assoggettati ai
relativi vincoli fino a quando non sia stata effettuata, dalle competenti
soprintendenze, la concreta verifica di sussistenza dell’interesse artistico,
storico, archeologico o etnoantropologico.
1.4. – Un ultimo profilo di violazione del primo comma
dell’art. 118 Cost. viene denunciato in relazione al principio di
sussidiarietà. La ricorrente sostiene che la convergenza tra l’interesse dei
privati all’acquisizione e la ristrettezza dei termini legali di conclusione
del procedimento, nella carenza di interlocuzione dei soggetti titolari dei
poteri di tutela e vigilanza del demanio idrico e della navigazione, possa
implicare concrete lesioni degli interessi pubblici per effetto di errori o
comportamenti fraudolenti.
2. – Il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
dello Stato, si è costituito in giudizio chiedendo il rigetto della istanza di
sospensione e la dichiarazione di inammissibilità o di non fondatezza del
ricorso in questione.
Il ricorso sarebbe inammissibile in quanto proposto
contro un provvedimento di mera interpretazione ed applicazione dell’art. 5-bis del d.l.
n. 143 del 2003, dal quale deriverebbero i presunti effetti lesivi delle
prerogative regionali, e che però non è stato oggetto di tempestiva
impugnazione da parte della Regione. Altra ragione di inammissibilità
consisterebbe nella evocazione di parametri (per altro non indicati) non
pertinenti o comunque non utilizzati nella esposizione dei motivi.
Il ricorso sarebbe poi inammissibile, in particolare,
per le doglianze che prospettano un’incidenza della disciplina della cessione
sul gettito derivante dai canoni delle aree interessate. Il resistente, dopo
aver premesso che in genere gli sconfinanti non sono concessionari dei fondi di
proprietà pubblica, sostiene che le somme ricavate dalla gestione delle aree
vengono dedotte dai trasferimenti in favore della Regione, e che dunque non vi
sarebbe un interesse ad agire per i canoni non più riscossi a seguito delle
cessioni, posto che alla diminuzione di gettito corrisponderebbe, per il
meccanismo della compensazione, un aumento dei trasferimenti statali.
Nel merito, il ricorso sarebbe infondato, essendo la
normativa pertinente a beni di scarso valore. La stessa Regione, secondo il
resistente, limita la materia del contendere ad aree del demanio idrico, che
comunque sono interessate da piccoli sconfinamenti e non possono eccedere di
oltre tre metri i relativi confini. In questi termini, la materia non attiene
realmente alla «gestione» del demanio idrico, cui
si riferisce l’accordo siglato tra Stato e Regioni il 20 giugno 2002. Tale
accordo, in ogni caso, concerne la gestione dei beni de quibus, e non riguarderebbe dunque il
relativo assetto proprietario.
Non
sussisterebbero, infine, le condizioni legittimanti una sospensiva dell’atto
impugnato.
3. – Con produzioni effettuate in data 2 novembre 2005 l’Avvocatura dello
Stato ha reso noto il contenuto di ulteriori provvedimenti assunti dall’Agenzia
del demanio, Direzione generale, in rapporto alle prescrizioni dell’art. 5-bis
del d.l. n. 143 del 2003.
In una
circolare indirizzata ai Direttori centrali ed alle Filiali dell’Agenzia, del
10 marzo 2004, prot. 2004/9777/NOR, accanto ad altre
specificazioni, si è affermato che, per opere realizzate su aree gravate da
vincoli culturali o paesaggistici, il rilascio del titolo edilizio, «sia per la
parte delle opere ricadenti nella proprietà privata sia per quelle sconfinate
nella proprietà statale», presuppone il rilascio anche di tutte le
autorizzazioni (paesaggistiche) e dei pareri favorevoli delle autorità preposte
alla tutela del vincolo, con conseguente alienabilità dell’area interessata.
Con nota in
data 28 maggio 2004, prot. 2004/19961/NOR, l’Agenzia
del demanio ha fornito «chiarimenti» alla Regione Lombardia su parte delle
questioni poste ad oggetto dell’odierno ricorso, ribadendo che l’art. 5-bis del
d.l. n. 143 del 2003 «non prevede l’acquisizione di
pareri di carattere tecnico da parte di Amministrazioni locali operando la
sdemanializzazione ope legis delle aree
in questione», e che ogni considerazione sulla legittimità dell’opera dal cui
sconfinamento consegue la cessione del bene demaniale è rimessa, ab origine,
agli organi preposti al rilascio del titolo edilizio legittimante.
4. –
In prossimità dell’udienza, l’Avvocatura dello Stato ha depositato memoria
volta ad ulteriormente contestare l’ammissibilità e la fondatezza del ricorso.
Con l’art. 5-bis
del d.l. n. 143 del 2003 lo Stato avrebbe
compiuto un mero atto di disposizione patrimoniale su cespiti ad esso
appartenenti, posto che la cessione presuppone la conformità alla normativa
urbanistica delle opere sconfinate, come verificata dagli enti locali e da
quelli preposti alla vigilanza sul paesaggio e sui beni culturali. La circolare
impugnata, in ogni caso, avrebbe una portata meramente illustrativa della norma
di legge da applicare a cura degli uffici destinatari. La stessa eventualità
che il provvedimento contenga disposizioni eccedenti o contrastanti con la
norma citata non sarebbe sufficiente a rendere ammissibile il ricorso della
Regione Lombardia, posto che il giudizio costituzionale non può costituire
alternativa a quello comune in punto di legittimità dell’atto amministrativo.
Le fonti
normative in materia di consultazione e cooperazione, che nella prospettazione
della ricorrente dovrebbero affiancare l’art. 5-bis del d.l. n. 143 del 2003, sarebbero in realtà prive di
rilevanza. Gli artt. 4 e 9, comma 2, lettera c), del d.lgs. n. 281 del
1997, non imporrebbero affatto che ogni procedimento amministrativo debba
presentare passaggi «cooperativi», e l’accordo del 20 giugno 2002 non è
richiamato dalla norma cui si riferisce la circolare impugnata.
Osserva
l’Avvocatura che, se anche lo Stato avesse errato nel trascurare le intese
sottoscritte in precedenza, non potrebbe rimproverarsi all’Agenzia del demanio
di non essersi sostituita al legislatore, aggiungendo alla disciplina aspetti
procedimentali non previsti. D’altra parte, se una legge nuova prevale su
quella anteriore, un tale effetto si manifesterebbe a maggior ragione nel
rapporto tra una legge ed un atto non legislativo, come l’accordo del 20 giugno
2002. L’ipotesi di un coordinamento tra le due fonti sarebbe oltretutto foriera
di singolari effetti nel merito, dato che imporrebbe addirittura un parere
favorevole della Regione quale condizione per la vendita delle aree
appartenenti allo Stato.
Infine, a
parere del resistente, le conseguenze finanziarie che
5. – In data 14 novembre 2005 l’Avvocatura erariale ha depositato «Nota
informativa», secondo la quale, in Lombardia, sono state presentate 1239
istanze ex art. 5-bis del d.l. n. 143
del 2003, con 798 provvedimenti di diniego (80 dei quali sub iudice), e
con somme introitate per complessivi €
3.497.630.
6. – Con memoria depositata in prossimità dell’udienza, la ricorrente, nel
ribadire le ragioni a sostegno del proprio assunto, ha osservato che
l’appartenenza allo Stato dei beni di cui si tratta non comporterebbe quella
«competenza esclusiva» che di fatto viene rivendicata dalla difesa erariale,
tanto che i canoni di concessione delle aree del demanio marittimo devono
essere determinati d’intesa con le Regioni.
Le forzature
della circolare impugnata rispetto alla disciplina effettivamente dettata dal
legislatore varrebbero ad escludere che, nella specie, si tenti di superare la
preclusione connessa alla intervenuta scadenza dei termini per una questione di
legittimità in merito all’art. 5-bis del d.l.
n. 143 del 2003. Si contesta inoltre, dalla ricorrente, che la norma citata
contempli ipotesi di cessione ope legis dei
beni appartenenti allo Stato: la stessa Agenzia del demanio, nella misura in
cui ipotizza la dismissione delle aree divenute non utilizzabili per finalità
pubbliche, prospetterebbe la rilevanza di valutazioni tecniche e discrezionali,
indiscutibilmente spettanti alla Regione.
In ogni caso,
la circolare impugnata non avrebbe dovuto ipotizzare una «traslazione» delle
autorizzazioni concernenti vincoli paesaggistici e culturali dall’area del
privato sconfinante all’area demaniale oggetto di parziale occupazione. Più
radicalmente ancora, l’Agenzia del demanio non avrebbe dovuto prevedere la
cessione di beni del demanio idrico e della navigazione, posto che l’art. 5-bis
più volte citato esclude, «comunque», le aree sottoposte a tutela secondo il
d.lgs. n. 490 del 1999, e che l’art. 146 del relativo testo unico delle
disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali comprende
indiscriminatamente tutte le sponde dei laghi e dei fiumi.
Riguardo alla
fonte delle procedure di consultazione ignorate dalla circolare impugnata, la
ricorrente osserva che un provvedimento amministrativo non può disapplicare un
accordo Stato-Regioni, il quale comunque, nella specie, non è indebitamente
proposto come parametro rilevante per l’interpretazione adeguatrice
(così come preteso dall’Avvocatura erariale), posto che tale parametro è
rappresentato, piuttosto, dal principio di leale collaborazione.
1. – Con
ricorso notificato il 3 luglio 2004 e depositato il 12 luglio successivo,
2. – Il presente conflitto
di attribuzione ha per oggetto un atto dell’Agenzia del demanio, la quale –
definita «ente
pubblico economico»
dall’art. 61, comma 1, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 (Riforma
dell’organizzazione del Governo, a norma dell’art. 11 della legge 15 marzo
1997, n. 59), come modificato dall’art. 1 del decreto legislativo 3 luglio 2003
n. 173 (Riorganizzazione del Ministero dell’economia e delle finanze e delle
agenzie fiscali, a norma dell’articolo 1 della legge 6 luglio 2002 n. 137) –
esercita tuttora le funzioni che erano proprie della Direzione generale del
demanio e delle direzioni compartimentali. Con riferimento a queste funzioni,
tipiche dell’amministrazione pubblica statale, si deve ritenere che gli atti
posti in essere dalla suddetta Agenzia siano riferibili allo Stato, inteso,
secondo quanto affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, non come persona
giuridica, bensì come sistema ordinamentale (sentenza n. 72 del
2005) complesso e articolato, costituito da organi, con o senza personalità
giuridica, ed enti distinti dallo Stato in senso stretto, ma con esso posti in
rapporto di strumentalità in vista dell’esercizio, in forme diverse, di tipiche
funzioni statali.
Il termine Stato deve
ritenersi impiegato dall’art. 134 Cost. in un duplice significato: più
ristretto quando viene in considerazione come persona giuridica, che esercita
le supreme potestà, prima fra tutte quella legislativa; più ampio, quando,
nella prospettiva dei rapporti con il sistema regionale, si pone come
conglomerato di enti, legati tra loro da precisi vincoli funzionali e di
indirizzo, destinati ad esprimere, nel confronto dialettico con il sistema
regionale, le esigenze unitarie imposte dai valori supremi tutelati dall’art. 5
Cost.
Questa Corte ha precisato
che la proprietà e disponibilità dei beni demaniali spettano – sino
all’attuazione dell’ultimo comma dell’art. 119 Cost. – allo Stato «e per esso all’Agenzia
del demanio» (sentenza n. 427
del 2004). Nei rapporti con il sistema ordinamentale regionale, l’Agenzia
del demanio è pertanto parte integrante del sistema ordinamentale statale.
L’uno e l’altro insieme formano il sistema ordinamentale della Repubblica. Al
suo interno possono verificarsi conflitti tra organi e soggetti, statali e
regionali, agenti rispettivamente per fini unitari o autonomistici, che
attingono il livello costituzionale se gli atti o i comportamenti che li originano
sono idonei a ledere, per invasione o menomazione, la sfera di attribuzioni
costituzionalmente garantita del sistema statale o di quello regionale, anche
se non provengono da organi dello Stato o della Regione intesi in senso stretto
come persone giuridiche.
È compito della
giurisdizione di costituzionalità mantenere un costante equilibrio dinamico tra
i due sistemi, perché le linee di ripartizione tracciate dalla Costituzione
siano rispettate nel tempo, pur nel mutamento degli strumenti organizzativi che
lo Stato e le Regioni sceglieranno via via di adottare per conseguire i propri
fini nel modo ritenuto più adatto, secondo i diversi indirizzi politici e
amministrativi.
Nel caso di specie, è
innegabile che l’impugnata circolare della Direzione generale dell’Agenzia del
demanio si pone sul confine tra le sfere di competenza statale e regionale in
materia di governo del territorio, in quanto incide contemporaneamente sulla
gestione e sulla disponibilità di beni demaniali destinati a soddisfare
interessi pubblici delle comunità amministrate, nel quadro dei principî
fondamentali posti a tutela dell’intera collettività nazionale. Essa è pertanto
atto idoneo, sotto i profili soggettivo ed oggettivo, a far sorgere un
conflitto di attribuzione tra
3. – L’Avvocatura dello
Stato eccepisce l’inammissibilità del ricorso regionale, in quanto l’impugnata
circolare dell’Agenzia del demanio non avrebbe alcun carattere innovativo,
limitandosi a dare puntuale esecuzione all’art. 5-bis del d.l. n. 143 del 2003, convertito
con modificazioni dall’art. 1 della legge n. 212 del 2003. L’eventuale lesione
della sfera di attribuzioni regionali sarebbe pertanto – ove esistente –
effetto della legge e non dell’atto amministrativo in questione. Ogni doglianza
in questa sede da parte della Regione Lombardia sarebbe di conseguenza preclusa
dalla mancata impugnazione, entro il termine costituzionale, della norma
legislativa statale sopra citata.
3.1. – L’eccezione non può
essere accolta.
3.2. – L’art. 5-bis del d.l.
n. 143 del 2003 disciplina il procedimento di alienazione di aree appartenenti
al patrimonio e al demanio dello Stato, escluso il demanio marittimo,
interessate dallo sconfinamento di opere eseguite entro il 31 dicembre 2002 su
fondi attigui di proprietà altrui. L’alienazione deve avvenire mediante vendita
diretta in favore del soggetto legittimato che ne faccia richiesta e può
riguardare una superficie che, oltre a quella di sconfinamento, non vada al di
là di tre metri dai confini dell’opera eseguita. La disposizione detta le
modalità della domanda di acquisto e la documentazione relativa, da prodursi a
cura del soggetto richiedente.
La norma sopra ricordata non
può essere interpretata al di fuori del contesto normativo e istituzionale in
cui si inseriscono tutte le disposizioni riguardanti beni pubblici destinati,
per loro natura, a soddisfare interessi ricadenti negli ambiti di competenza
dei diversi enti preposti dalla Costituzione e dalla legge al governo del
territorio. Il concreto regime giuridico di un bene appartenente al demanio o
al patrimonio dello Stato o di altri enti pubblici è la risultante di un
intreccio di potestà pubbliche, che sottendono altrettanti interessi meritevoli
di tutela delle comunità amministrate. Gli atti di gestione e di disposizione
riguardanti tali beni possono assumere, secondo scelte diverse del legislatore,
natura pubblicistica o privatistica, ma la qualità degli interessi collettivi
tutelati, la loro esistenza, rilevanza e attualità devono essere previamente
apprezzati dai soggetti istituzionali competenti.
4. – Nel merito, il ricorso
è fondato.
4.1. – La necessaria
valutazione ponderata degli interessi pubblici coinvolti esclude che possa
procedersi ad una sdemanializzazione ope legis di aree
non identificate né dalle amministrazioni competenti né dallo stesso
legislatore, ma individuate solo per la loro contiguità ad opere eseguite
mediante sconfinamento su terreni demaniali. L’intento del legislatore, fatto
palese dalla norma prima ricordata, è quello di accelerare la cessione ai
soggetti richiedenti di aree non più utilizzabili per le finalità
pubblicistiche originarie, a causa dell’irreversibile mutamento dello stato dei
luoghi derivante dall’esecuzione di opere sconfinate in terreno demaniale. Lo
stesso legislatore ha cura di escludere in modo assoluto e incondizionato dalla
procedura accelerata di alienazione il demanio marittimo e le aree sottoposte a
tutela ai sensi del testo unico in materia di beni culturali e ambientali (oggi
“Codice dei beni culturali e del paesaggio”, ai sensi dell’art. 10 della legge
6 luglio 2002, n. 137, approvato con decreto legislativo 22 gennaio 2004, n.
42).
Non emerge dalla norma
statale in questione una volontà di generale declassificazione di aree
demaniali, da cedere ai soggetti sconfinanti dietro mera richiesta e pagamento
del prezzo. Al contrario, il legislatore statale mostra particolare attenzione
a non pregiudicare interessi collettivi primari collegati ai beni pubblici
oggetto della specifica disciplina dettata per l’alienazione. Non appare
ragionevole un’interpretazione della norma in esame che presuppone, accanto
all’esclusione generalizzata di alcune categorie di beni, ispirata ad una logica
di forte garanzia dell’interesse pubblico, un altrettanto generalizzato
abbandono di tutte le rimanenti aree demaniali, esclusa ogni valutazione
concreta da parte delle amministrazioni locali competenti, ispirato all’opposta
logica della dismissione incontrollata del patrimonio pubblico. Un consolidato
insegnamento ermeneutico impone che, prima di constatare una contraddizione
intrinseca nel corpo di una disposizione normativa, si esplori la possibilità
di dare al testo da interpretare un significato coerente e ragionevole e solo
nell’ipotesi di esito negativo di tale ricerca si concluda per l’irreparabile
irragionevolezza della stessa.
Nel caso oggetto del
presente giudizio l’interpretazione con esiti contraddittori del citato art. 5-bis del d.l.
n. 143 del 2003 non è una strada obbligata, giacché è ben possibile, anzi
necessario, interpretare la medesima disposizione come disciplina dei rapporti
tra l’amministrazione statale ed i soggetti richiedenti, fermo restando il
quadro normativo e istituzionale preesistente, che non risulta superato o
alterato da alcuna delle norme in essa contenute. Di tale quadro fanno parte i
rapporti tra Stato e Regioni in materia di governo del territorio, con
particolare riferimento al demanio idrico, sul quale deve concentrarsi
l’analisi giuridica necessaria ai fini dello scrutinio di costituzionalità
dell’atto impugnato.
4.2. – L’art. 86 del decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti
amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del
capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59) dispone che «Alla gestione dei beni del demanio idrico
provvedono le Regioni e gli enti locali competenti per territorio»; il secondo comma
aggiunge: «I
proventi dei canoni ricavati dalla utilizzazione del demanio idrico sono
introitati dalla Regione».
I successivi artt. 89 e 105 elencano in modo dettagliato le funzioni conferite
alle Regioni e agli enti locali.
Alla luce del nuovo testo
dell’art. 118 Cost., dopo la riforma del Titolo V della Parte II,
l’attribuzione alle Regioni ed agli enti locali delle funzioni amministrative
in materia è sorretta dal principio di sussidiarietà, che implica l’allocazione
delle funzioni amministrative al livello di governo il più possibile prossimo
alle comunità amministrate. D’altronde, l’esercizio dei poteri dominicali dello
Stato nei confronti dei beni del demanio idrico deve necessariamente ispirarsi
anche al principio costituzionale di leale collaborazione, proprio perché
occorre in concreto bilanciare l’interesse dello Stato proprietario e gli
interessi delle collettività locali fruitrici dei beni.
Questa Corte ha
costantemente affermato che il principio di leale collaborazione deve
presiedere a tutti i rapporti che intercorrono tra Stato e Regioni: la sua
elasticità e la sua adattabilità lo rendono particolarmente idoneo a regolare
in modo dinamico i rapporti in questione, attenuando i dualismi ed evitando
eccessivi irrigidimenti. La genericità di questo parametro, se utile per i
motivi sopra esposti, richiede tuttavia continue precisazioni e
concretizzazioni. Queste possono essere di natura legislativa, amministrativa o
giurisdizionale, a partire dalla ormai copiosa giurisprudenza di questa Corte.
Una delle sedi più qualificate per l’elaborazione di regole destinate ad
integrare il parametro della leale collaborazione è attualmente il sistema
delle Conferenze Stato-Regioni e autonomie locali. Al suo interno si sviluppa
il confronto tra i due grandi sistemi ordinamentali della Repubblica, in esito
al quale si individuano soluzioni concordate di questioni controverse.
In materia di demanio
idrico, in sede di Conferenza unificata è stato sottoscritto, nella seduta del
20 giugno 2002, un accordo rilevante per l’oggetto della presente controversia:
«Risultando in
alcuni casi particolarmente attive le procedure di “sdemanializzazione”
(vendita al privato di aree demaniali), il provvedimento finale di
sdemanializzazione potrà essere assunto solo a seguito di parere favorevole
delle Regioni e Province autonome, tenuto anche conto degli indirizzi della
Autorità di bacino».
Accordi come quello appena
citato rappresentano la via maestra per conciliare esigenze unitarie e governo
autonomo del territorio, poteri dominicali e interessi delle collettività
amministrate. Il principio di leale collaborazione, anche in una accezione
minimale, impone alle parti che sottoscrivono un accordo ufficiale in una sede
istituzionale di tener fede ad un impegno assunto.
La via di concretizzazione
del parametro della leale collaborazione che passa attraverso gli accordi in
sede di Conferenza Stato-Regioni appare anche la più coerente con la
sistematica delle autonomie costituzionali, giacché obbedisce ad una concezione
orizzontale-collegiale dei reciproci rapporti più che ad una visione
verticale-gerarchica degli stessi.
Una norma legislativa, come
l’art. 5-bis del d.l.
n. 143 del 2003, intervenuta ad un anno di distanza dal citato accordo, senza
che sul punto ci fossero state altre forme di interlocuzione ufficiali ed
istituzionali tra Stato e Regioni, si inserisce nel quadro sopra tracciato e
deve essere letta al suo interno. Solo in estrema ipotesi si potrebbe
concludere per una deliberata ed unilaterale deroga all’accordo da parte dello
Stato, a mezzo della norma citata. Come già detto prima, tale conclusione non è
autorizzata dal testo della disposizione in parola, che nulla dice a proposito
dei rapporti tra istituzioni e si limita a fissare le regole procedurali che
devono disciplinare la presentazione delle domande ed i rapporti tra privati e
Agenzia del demanio territorialmente competente.
4.3. – L’acquisizione del
parere della Regione si colloca in un altro circuito di rapporti, che attiene
alla valutazione ponderata degli interessi pubblici in gioco, rispetto ai quali
viene in rilievo la competenza regionale in materia di gestione del demanio
idrico stabilita dall’art. 86 del d.lgs. n. 112 del 1998, rispetto al quale
l’accordo del 2002 si pone esplicitamente in funzione attuativa. Nella premessa
del suddetto accordo si legge infatti che «in sede di verifica dell’attuazione dell’art. 86 del […]
decreto legislativo n. 112 del 1998 sono emersi alcuni problemi connessi alla
piena e corretta attuazione delle disposizioni di cui allo stesso articolo 86
del d.lgs. n. 112 del 1998, esaminati con l’ufficio del Commissario
straordinario del Governo per l’attuazione del decentramento amministrativo». Il titolo stesso
dell’accordo conferma lo stretto legame con la norma generale di conferimento
delle funzioni amministrative sopra citata: «Accordo tra lo Stato, le Regioni e gli Enti
locali in materia di demanio idrico ai sensi dell’art. 86 del decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 112».
In mancanza di una chiara e
inequivocabile volontà legislativa contraria, si deve ritenere che
un’interpretazione sistematica dell’art. 86 del d.lgs. n. 112 del 1998,
dell’accordo Stato-Regioni del 20 giugno 2002 e dell’art. 5-bis del d.l.
n. 143 del 2003 conduca alla conclusione della perdurante attualità del ruolo
della Regione nell’apprezzare la sussistenza di eventuali ragioni ostative alla
cessione a terzi dei beni del demanio idrico. Al riguardo occorre infatti tener
conto della precipua destinazione di tali beni alla soddisfazione di interessi
delle comunità regionali e locali, che non possono essere sacrificati in
partenza da una generale sdemanializzazione, legata soltanto all’interesse
particolare dei privati sconfinanti ed all’interesse finanziario dello Stato,
realizzato peraltro in misura modesta.
Il senso dell’art. 86 più
volte citato è proprio quello di attribuire all’ente esponenziale della
comunità regionale, con la gestione del demanio idrico, tutte le funzioni
amministrative inerenti agli interessi pubblici delle collettività locali
soddisfatti dai beni del suddetto. È irragionevole, pertanto,
un’interpretazione dell’art. 5-bis
del d.l. n. 143 del 2003 nel senso che lo stesso
introduca un’innovazione particolare rispetto al regime giuridico generale
precedente, escludendo in modo radicale
4.4. – L’impugnata circolare
dell’Agenzia del demanio si discosta da questo quadro normativo e istituzionale
conforme ai principî costituzionali ed omette ogni riferimento alla Regione
nello scandire le fasi del procedimento che porta all’atto finale di cessione
del bene demaniale al soggetto richiedente. Il diritto all’acquisto dell’area
statale interessata dallo sconfinamento è collegato dalla circolare in questione
«esclusivamente all’esistenza di un
titolo che legittimi sotto il profilo edilizio la realizzazione dell’opera». È agevole notare che
invece l’art. 5-bis sopra citato non introduce questa esclusività, ma si
limita ad individuare i presupposti in base ai quali il privato può richiedere
allo Stato la vendita di beni appartenenti al demanio statale, senza nulla
disporre in merito all’eventuale intervento di altri enti nel procedimento,
peraltro legato al tipo di demanio di cui trattasi. Appare evidente che
l’esistenza o meno di un potere consultivo della Regione nella materia
specifica del demanio idrico, nei sensi precisati dal citato accordo del 20
giugno 2002, non incide sui presupposti che legittimano il proprietario
dell’area che abbia sconfinato in terreno demaniale a chiedere la cessione in
proprietà dell’area occupata, nei limiti stabiliti dalla stessa disposizione di
legge. Si tratta di due profili distinti, che finiscono per essere sovrapposti
dalla trasformazione di un procedimento accelerato di vendita a privati di
porzioni di terreno demaniale in una generalizzata sdemanializzazione ope legis, che annulla ogni potere di
apprezzamento da parte della Regione sulla sottrazione all’uso pubblico di beni
affidati dalla legge alla sua gestione.
L’intento di escludere
l’interlocuzione di altri enti nel procedimento risulta evidente in un altro
passo dell’atto impugnato, nel quale testualmente si legge, con riferimento al
citato art. 5-bis del d.l. n. 143 del 2003: «Per effetto di tale norma i beni di demanio pubblico
interessati dallo sconfinamento che costituiranno oggetto di alienazione sono
da considerarsi tacitamente sdemanializzati senza necessità di apposito
provvedimento che ne sancisca il passaggio al Patrimonio dello Stato e di
acquisizione di ulteriori diversi pareri». Viene pure stabilito, nella circolare in questione, che «devono ritenersi
automaticamente sospesi gli eventuali procedimenti amministrativi di
sdemanializzazione interessanti tali beni ancora pendenti stante l’effetto
conseguito ope legis».
Non spetta a questa Corte,
ma al giudice competente, valutare la legittimità dell’atto in relazione alla
legislazione ordinaria vigente ed in particolare allo stesso art. 5-bis del d.l.
n. 143 del 2003, di cui l’atto stesso si pone come attuazione. Uguale
affermazione deve farsi a proposito della previsione, ampiamente censurata
dalla ricorrente Regione, di una sorta di automatico effetto traslativo delle
autorizzazioni e dei pareri ottenuti dal privato sconfinante per il proprio
terreno sulla porzione di terreno demaniale occupato, ancorché lo stesso sia
gravato dal vincolo paesaggistico e ambientale, considerato dal medesimo art.
5-bis come ostativo all’inclusione
dei beni ad esso sottoposti nel novero di quelli cedibili a terzi con la
procedura accelerata prevista.
Ciò che invece deve essere
censurato in questa sede è la totale esclusione della Regione dal procedimento
delineato dall’atto impugnato. Tale esclusione non è conseguenza necessaria
della legislazione ordinaria vigente, che al contrario richiede come
indispensabile la partecipazione della Regione in quanto portatrice di
interessi costituzionalmente protetti delle collettività locali. La chiusura
unilaterale del procedimento prescritto dell’Agenzia del demanio menoma
pertanto in modo illegittimo la sfera di attribuzioni della ricorrente e si
pone in violazione del principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni.
5. – Per i motivi illustrati
nei punti precedenti, si riscontra la menomazione della sfera di attribuzioni
della Regione ricorrente solo con riferimento ai beni appartenenti al demanio
idrico compresi nel territorio regionale. Restano pertanto assorbiti gli altri
profili di illegittimità prospettati dalla Regione ricorrente.
6. – La rilevata illegittima
menomazione della sfera di attribuzioni costituzionalmente protetta della
Regione Lombardia impone, come necessaria conseguenza, l’annullamento dell’atto
impugnato nella parte in cui esclude l’intervento della stessa nel procedimento
di alienazione di aree appartenenti al demanio idrico. Detto annullamento
assorbe la richiesta di sospensione dell’atto stesso.
dichiara che non spetta allo Stato, e
per esso all’Agenzia del demanio, escludere la partecipazione delle Regioni al
procedimento diretto all’alienazione di aree situate nel territorio della
stessa Regione e appartenenti al demanio idrico dello Stato, disciplinato dalla
circolare dell’Agenzia del demanio, Direzione generale, del 23 settembre 2003, prot. 2003/35540/NOR, avente ad oggetto «Decreto legge 24 giugno
2003 n. 143 convertito con legge 1 agosto 2003 n. 212 recante “Disposizioni
urgenti in tema di versamento e riscossione di tributi, di fondazioni bancarie
e di gare indette dalla Consip S.p.A., nonché di
alienazione di aree appartenenti al Patrimonio e al Demanio dello Stato”
pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 185 dell’11 agosto 2003 s.o. n. 131/L», e conseguentemente
annulla, per quanto di ragione, la
predetta circolare dell’Agenzia del demanio.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23
gennaio 2006.
F.to:
Annibale MARINI,
Presidente
Gaetano SILVESTRI,
Redattore
Giuseppe DI PAOLA,
Cancelliere
Depositata in
Cancelleria l’1 febbraio 2006.