SENTENZA N. 6
ANNO 2004
Commenti alla
decisione di
I. Stefano Agosta, La
Corte costituzionale dà finalmente la… “scossa” alla materia delle intese tra
Stato e Regioni? (brevi note a margine di una recente pronuncia sul sistema
elettrico nazionale) (per gentile concessione del Forum
di Quaderni costituzionali)
II. O. Chessa, Sussidiarietà ed esigenze unitarie:
modelli giurisprudenziali e modelli teorici a confronto (per gentile concessione del Forum
di Quaderni costituzionali)
altre pagine web rilevanti in merito a questa decisione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
composta dai signori Giudici:
- Riccardo CHIEPPA, Presidente
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
- Francesco AMIRANTE
- Ugo DE SIERVO
- Romano VACCARELLA
- Paolo MADDALENA “
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale del decreto-legge 7 febbraio 2002, n. 7 recante (Misure urgenti per garantire la sicurezza del sistema elettrico nazionale) e della legge 9 aprile 2002, n. 55 concernente (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 7 febbraio 2002, n. 7 recante misure urgenti per garantire la sicurezza del sistema elettrico nazionale), promossi con ricorsi delle Regioni Umbria (n. 2 ricorsi), Basilicata e Toscana, notificati il 27 marzo, il 31 maggio, l’8 e il 7 giugno 2002, depositati in cancelleria il 4 aprile e il 6 e il 17 giugno successivi ed iscritti ai nn. 30, 39, 40 e 41 del registro ricorsi 2002.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito
nell’udienza pubblica del 28 ottobre 2003 il Giudice relatore Ugo De Siervo;
uditi
gli avvocati Giovanni Tarantini e Fulco Ruffo per
Ritenuto in
fatto
1. – Con ricorso
notificato il 27 marzo 2002, depositato il 4 aprile 2002 e iscritto al n. 30
del 2002 del registro ricorsi,
Premette
Sostiene
Nel nuovo
sistema, inoltre, la potestà legislativa non spetterebbe più allo Stato in via
generale, ma anche alle Regioni, secondo il modello delineato dall’art. 117
Cost. Infine, la nuova formulazione dell’art. 114 assegnerebbe alle Regioni,
insieme alle altre autonomie territoriali, “il nuovo ruolo di enti che svolgono
le proprie funzioni nell’interesse generale della comunità repubblicana”. In
questo mutato quadro costituzionale, anche le Regioni, e non più solo il
Governo, sarebbero legittimate ad agire in funzione di tutela generale
dell’ordinamento.
Ciò posto, la
ricorrente ritiene che il d.l. censurato sarebbe stato emanato in assenza delle
condizioni di cui all’art. 77, secondo comma, Cost., dal momento che la
necessità di evitare l’imminente pericolo di interruzione di energia elettrica,
affermata nel decreto, non sarebbe basata su nessun dato certo. Neppure
potrebbe essere ravvisata una situazione di straordinaria urgenza nella recente
liberalizzazione dell’attività di produzione di energia elettrica, avvenuta con
il decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 (Attuazione della direttiva
96/92/CE recante norme comuni per il mercato dell’energia elettrica).
Quanto al
contenuto delle disposizioni impugnate,
Ad avviso della
ricorrente, perché una legge dello Stato possa incidere su una competenza del
legislatore regionale non potrebbero essere ritenuti sufficienti i presupposti
di necessità ed urgenza cui è subordinata l’emanazione di un decreto-legge ex art. 77 Cost. Il rapporto tra fonte
regionale e fonte statale sarebbe infatti sempre regolato dal principio della
competenza e non da quello gerarchico. E ciò, a maggior ragione, nel nuovo
sistema costituzionale, nell’ambito del quale l’art. 117 riconoscerebbe pari
dignità alla legislazione statale e a quella regionale, e l’art. 114 porrebbe
un principio di pari ordinazione tra gli enti individuati come costitutivi
della Repubblica.
Neppure potrebbe
ritenersi che la materia dell’energia sia riconducibile alla legislazione
esclusiva dello Stato sotto altro titolo, ad esempio in forza dell’art. 117,
secondo comma, lettera m), Cost.
Il d.l. n. 7 del
2002 inoltre, nell’attribuire il potere autorizzatorio allo Stato, in
sostituzione delle “autorizzazioni, concessioni ed atti di assenso comunque
denominati previsti dalle norme vigenti” (art. 1, comma 1), violerebbe l’art.
118, primo e secondo comma, Cost. L’esigenza di assicurare l’erogazione
dell’energia elettrica su tutto il territorio nazionale, infatti, non sarebbe
sufficiente per “riconoscere all’ordinamento centrale una competenza
amministrativa generale e di tipo gestionale in materia”.
Inoltre, l’art.
1, commi 2, 3 e 5, del d.l. impugnato lederebbe le funzioni di governo del
territorio e di valorizzazione dei beni ambientali assegnate alla competenza
normativa della Regione e sarebbe incompatibile con il ruolo che l’art. 118
Cost. riconosce per le funzioni amministrative, a Comuni, Province, Città
metropolitane e Regioni; il comma 2 nella parte in cui prescrive l’assorbimento
nell’autorizzazione unica della c.d. autorizzazione integrata e la sostituzione
della stessa ad ogni autorizzazione ambientale di competenza delle singole
amministrazioni; il comma 3 laddove stabilisce che l’autorizzazione unica ha
effetto di variante degli strumenti urbanistici e del piano regolatore
portuale; il comma 5 ove dispone la sospensione dell’efficacia del decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri 27 dicembre 1988 (Norme tecniche per la redazione degli studi di impatto ambientale
e la formulazione del giudizio di compatibilità di cui all'art. 6, della legge
8 luglio 1986, n. 349, adottate ai sensi dell'art. 3 del d.P.C.m.
10 agosto 1988, n. 377), allegato IV (Procedure per i progetti di centrali
termoelettriche e turbogas), dell’articolo 15 della legge 2 agosto 1975, n. 393
(Norme sulla localizzazione delle centrali elettronucleari e sulla produzione e
sull’impiego di energia elettrica), nonché del decreto del Presidente della
Repubblica 11 febbraio 1998, n. 53 (Regolamento recante disciplina dei
procedimenti relativi alla autorizzazione alla costruzione e all'esercizio di
impianti di produzione di energia elettrica che utilizzano fonti convenzionali,
a norma dell'articolo 20, comma 8, della legge 15 marzo 1997, n. 59). Neppure
sarebbe possibile individuare nell’atto di decretazione d’urgenza una
manifestazione del potere sostitutivo dello Stato nei confronti delle Regioni
ai sensi dell’art. 120, secondo comma, Cost., non ricorrendo i presupposti e le
forme previste da tale disposizione. Di qui la prospettata violazione degli artt. 77, secondo comma, e 120, secondo comma,
della Costituzione.
Infine, l’art.
1, comma 2, del d.l. impugnato, nello stabilire che il procedimento previsto si
svolge d’intesa con
D’altronde il
generico richiamo al rispetto dei principi di semplificazione amministrativa e
delle modalità dettate dalla legge n. 241 del 1990, non sarebbe sufficiente a
garantire il rilievo degli interessi della comunità regionale, in aperta
violazione dell’art. 97, primo comma, Cost. e del principio di leale
collaborazione; tanto più che il decreto, all’art. 1, commi 3 e 5, “risulta
sostitutivo sia della autorizzazione integrata che di tutte le autorizzazioni
ambientali di competenza dei diversi enti coinvolti e sospensivo dell’efficacia
dell’Allegato IV del d.P.C.m. 27 dicembre 1988 e del d.P.R. n. 53 del
Per gli stessi
motivi sarebbe, da ultimo, illegittimo anche l’art. 1, comma 4, del decreto
impugnato, per la parte in cui estende le disposizioni di cui ai commi
precedenti anche “ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del …
decreto”.
2. – Con ricorso
notificato il 31 maggio 2002, depositato il 6 giugno 2002 e iscritto al n. 39
del 2002 del registro ricorsi,
Con tale
ricorso,
Innanzitutto, si
lamenta la violazione dell’art. 77, secondo comma, Cost. Ribadite le
argomentazioni a sostegno della censurabilità da
parte delle Regioni delle violazioni dell’art. 77 Cost.,
La ricorrente,
con argomentazioni non dissimili da quelle sopra richiamate, ribadisce inoltre
che non ricorrerebbero neppure i presupposti per ravvisare nella fattispecie
una manifestazione del potere sostitutivo previsto dall’art. 120, secondo
comma, Cost. Di talché la legge di conversione sarebbe quindi interamente
illegittima in quanto essendo stato esercitato il potere di decretazione
d’urgenza in totale carenza di presupposti, sarebbe essa stessa affetta di un
grave vizio in procedendo.
Quanto alle
singole disposizioni della legge, viene innanzitutto censurato l’art. 1, comma
1, che - nel convertire il decreto impugnato - ha precisato che le sue
previsioni valgono fino alla determinazione dei principi fondamentali della
materia in attuazione dell’art. 117 Cost., e comunque non oltre il 31 dicembre
2003, previa intesa in sede di Conferenza permanente tra Stato, Regioni e
Province autonome (cfr. Allegato, cpv. 1). Tale norma, secondo la ricorrente,
contrasterebbe con l’art. 117 Cost., in quanto supererebbe i confini assegnati
alla normativa statale in materie di competenza ripartita. E tale vizio non
sarebbe escluso dalla natura transitoria della disciplina, la quale, anzi,
sarebbe addirittura “eversiva”, poiché lo Stato si arrogherebbe il potere di
disciplinare nel dettaglio, con norme immediatamente efficaci, materie che
Per il resto,
nei confronti delle norme non modificate in sede di conversione,
3. – Nel
giudizio concernente la legge n. 55 del 2002 si è costituita
In ogni caso, la
questione di legittimità costituzionale della legge impugnata per carenza dei
presupposti di cui all’art. 77, secondo comma, Cost., sarebbe ormai superata,
dal momento che
Inoltre, sarebbe
infondato il motivo di ricorso concernente il potere sostitutivo dello Stato,
in quanto non risulta che lo Stato abbia voluto operare in sostituzione delle
Regioni.
Quanto al
contenuto della legge impugnata, l’Avvocatura rileva come il d.lgs. n. 79 del 1999
attribuisca al Ministero dell’industria (ora delle attività produttive) il
compito di provvedere alla sicurezza del sistema elettrico nazionale e di
assicurarne la continuità e che lo Stato sarebbe intervenuto a disciplinare la
materia al fine di garantire le esigenze di sicurezza e i livelli essenziali
delle prestazioni concernenti i
diritti civili e politici, in materie, dunque, che sarebbero riservate alla
legislazione esclusiva dello Stato (art. 117, secondo comma, lettere h) ed m). L’intervento statale sarebbe stato reso indispensabile dalla
necessità di realizzare nuovi impianti per fare fronte alla prevista crescita
del fabbisogno nazionale di energia su tutto il territorio nazionale e così
salvaguardare lo sviluppo economico del paese e l’attuale livello qualitativo
di vita. Pertanto, lo Stato avrebbe esercitato la sua potestà esclusiva in
materia di sicurezza e di tutela dei diritti civili e sociali, tra i quali
andrebbe inserito anche quello di disporre dell’energia indispensabile per
mantenere le attuali disponibilità, le quali costituirebbero i livelli
essenziali delle prestazioni.
Lo Stato,
prevedendo un termine per l’esercizio della legislazione concorrente delle
Regioni, avrebbe tuttavia voluto limitare nel tempo gli effetti del proprio potere
legislativo esclusivo di cui ha fatto uso, in modo che le autonomie regionali
potessero intervenire sulla materia al momento in cui fosse garantita la
produzione di energia elettrica sufficiente ai bisogni nazionali.
Quanto
specificamente alla dichiarazione di pubblica utilità delle opere, ed alla
previsione di un’unica autorizzazione, rilasciata dal Ministero delle attività
produttive, per la realizzazione di nuovi impianti, esse sarebbero direttamente
funzionali agli obiettivi del legislatore: accelerare i tempi di costruzione
dei nuovi impianti su tutto il territorio nazionale per assicurare la fornitura
di un servizio pubblico essenziale. Tali obiettivi, secondo quanto sostenuto
dalla difesa erariale, potrebbero essere raggiunti solo con un intervento unico
che esclusivamente il legislatore nazionale sarebbe in grado di porre in
essere.
Nell’ambito del
procedimento unico per il rilascio dell’autorizzazione sarebbe comunque
assicurata la partecipazione delle amministrazioni interessate. In specie, sottolinea
l’Avvocatura, la disciplina impugnata prevede espressamente il parere motivato
della provincia o del comune.
Né vi sarebbe
poi violazione del principio di leale collaborazione, in quanto la semplice
previsione dell’intesa dovrebbe intendersi nel senso che il suo mancato
raggiungimento preclude la conclusione del procedimento.
L’Avvocatura,
infine, sostiene che la normativa censurata investirebbe anche la materia della
tutela della concorrenza, materia che rientra nella legislazione statale
esclusiva, in quanto comunque inciderebbe sulla produzione di energia elettrica
e dunque sull’offerta e sull’equilibrio del mercato.
4. – Contro
l’intera legge n. 55 del 2002
La ricorrente
sostiene che la legge impugnata violerebbe la competenza che l’art. 117, terzo
comma, Cost. riserva alla potestà legislativa concorrente delle Regioni in
materia di “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”, in
quanto, anziché limitarsi a dettare i principi fondamentali, il legislatore
statale avrebbe disciplinato in modo analitico il procedimento per il rilascio
dell’autorizzazione per la costruzione e l’esercizio degli impianti di
produzione di energia elettrica.
L’illegittimità
della legge n. 55 del 2002 non sarebbe esclusa dalla natura transitoria della
disciplina, destinata ad operare “fino alla determinazione dei principi
fondamentali della materia in attuazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., e
comunque non oltre il 31 dicembre
Tale previsione
non sarebbe neppure giustificabile al fine di tutela dell’interesse nazionale,
che il nuovo testo costituzionale non prevede più come limite alla potestà
legislativa regionale. E, d’altra parte, non potrebbero invocarsi a sostegno
dell’intervento legislativo dello Stato tanto le materie di cui all’art. 117,
secondo comma, Cost., quanto i poteri sostitutivi del Governo previsti
dall’art. 120, secondo comma, Cost.
L’art. 117 Cost.
sarebbe inoltre violato in quanto la disciplina della legge n. 55 del 2002, per
la parte in cui interferisce sull’assetto del territorio in relazione
all’impatto delle opere e alla necessaria conformità urbanistica delle stesse,
inciderebbe sulla materia del “governo del territorio” attribuita alla potestà
legislativa concorrente delle Regioni.
Tale norma
sarebbe poi violata anche sotto un ulteriore profilo. L’art. 118 Cost.,
infatti, detta i criteri per il riparto delle funzioni amministrative, ma non
disciplina la fonte deputata ad allocare le stesse. Questa fonte dovrebbe
dunque essere determinata sulla base dell’art. 117 e pertanto sarebbe
costituita dalla legge competente a regolare la materia. Poiché nel caso di
specie, l’energia rientra tra le materie di legislazione concorrente,
spetterebbe alle Regioni, attenendosi ai principi regolatori fissati dallo
Stato, dettare le procedure di svolgimento delle funzioni, distribuendo le
stesse secondo i criteri dettati dall’art. 118 Cost. Né varrebbe a superare la
censura la previsione dell’intesa con
5. – Anche
La ricorrente
muove dalla considerazione che la normativa censurata, nel disciplinare il
procedimento preordinato alla costruzione e all’esercizio degli impianti di
energia elettrica, nonché delle opere e infrastrutture connesse, interverrebbe,
con una disciplina di dettaglio, nella materia “produzione, trasporto e
distribuzione nazionale dell’energia”, attribuita dall’art. 117 Cost. alla
potestà legislativa concorrente delle Regioni.
L’intervento
statale in tale materia non troverebbe legittimazione nei c.d. titoli di
intervento trasversale previsti nell’art. 117, secondo comma, Cost. Né potrebbe
giustificarsi in relazione all’interesse nazionale a garantire la fornitura di
energia elettrica, dal momento che il nuovo testo costituzionale non prevede
più l’interesse nazionale come limite alla potestà normativa delle Regioni.
La normativa
censurata non potrebbe neppure essere giustificata in relazione alla finalità
di tutelare la concorrenza, perché non contiene disposizioni volte a garantire
le imprese contro il rischio di intese restrittive o di abusi di posizione.
Ancora, la
disciplina in questione non potrebbe ricondursi alla determinazione dei livelli
essenziali delle prestazioni, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., in quanto queste riguarderebbero
servizi sociali e non industriali, e comunque l’intervento statale sarebbe
limitato alla determinazione degli standard,
su cui la legge in esame non interviene in alcun modo, limitandosi ad
attribuire allo Stato le funzioni amministrative preordinate al rilascio
dell’autorizzazione per la costruzione e l’esercizio degli impianti.
La legge
censurata, secondo la ricorrente, lederebbe inoltre la potestà regionale in
materia di “governo del territorio”, che l’art. 117 Cost. ricomprende tra le
materie a legislazione concorrente, là dove prevede che l’autorizzazione unica
rilasciata dal Ministero abbia effetto di variante urbanistica, richiedendo al
comune sul cui territorio ricade l’intervento un semplice parere che, peraltro,
può essere anche negativo o può anche mancare e comunque non può incidere sul
rispetto del termine di 180 giorni previsto per la conclusione del
procedimento.
Infine, a
sostegno della asserita violazione dell’art. 118 Cost.,
6. – Anche nei
due giudizi introdotti dalle Regioni Basilicata e Toscana
7. - In
prossimità dell’udienza,
In particolare
tali atti normativi conterrebbero disposizioni di dettaglio in una materia
attribuita dall’art. 117, terzo comma, Cost. alla potestà legislativa
concorrente.
La ricorrente,
inoltre, contesta che lo strumento della decretazione d’urgenza possa essere
utilizzato dal legislatore statale per dettare principi nella materia dell’energia,
sia per la natura propria del decreto-legge, finalizzato a risolvere problemi e
regolare situazioni eccezionali e straordinarie, sia perché, anche qualora
mancasse la fissazione di principi, questi, secondo la giurisprudenza della
Corte, andrebbero desunti dalle leggi già in vigore.
In concreto poi,
il d.l. n. 7 del 2002 avrebbe operato un intervento sostitutivo preventivo,
sganciato dalla previa messa in mora della Regione e sottratto ad ogni
disponibilità della stessa; ciò in contrasto anche con quanto prevede l’art. 8
della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento
dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.
3).
Neppure
ricorrerebbero i presupposti per l’esercizio del potere sostitutivo previsto
dall’art. 117, quinto comma, Cost., per il caso di inadempienza delle Regioni
in materia di attuazione ed esecuzione degli accordi internazionali e degli
atti dell’Unione europea.
Ad avviso della
Regione Umbria, i profili di illegittimità censurati non verrebbero meno per il
fatto che la legge di conversione n. 55 del
Anche la
previsione della preventiva intesa per la determinazione delle opere da
considerarsi di pubblica utilità ai sensi dell’art. 1 del d.l. n. 7 del 2002
non rappresenterebbe un effettivo coinvolgimento delle Regioni. Infatti, la
determinazione delle opere da considerarsi di pubblica utilità, sarebbe
“compiuta direttamente dal legislatore statale”, potendo le Regioni, in sede di
intesa, manifestare il proprio assenso o dissenso alla disciplina normativa,
mentre sarebbe loro preclusa “ogni valutazione reale circa la portata degli
interessi dello Stato alla attrazione delle competenze”.
Infine,
Dichiara
8. – In
prossimità dell’udienza
In particolare,
la ricorrente ritiene che la normativa
impugnata attenga ad una materia attribuita alla potestà legislativa esclusiva
dello Stato: anzitutto, non sarebbe pertinente il richiamo alla “sicurezza” di
cui all’art. 117, secondo comma, lettera h),
Cost., come sarebbe dimostrato dalla giurisprudenza di questa Corte , secondo
la quale tale espressione dovrebbe essere interpretata come inerente alla
prevenzione dei reati o al mantenimento dell’ordine pubblico.
Del pari
infondato sarebbe il richiamo alla lettera m)
del secondo comma dell’art. 117 Cost., in quanto, come affermato dalla
giurisprudenza costituzionale, la determinazione dei livelli essenziali delle
prestazioni non sarebbe una materia, ma una competenza del legislatore statale
di dettare norme aventi ad oggetto la fissazione di un livello minimo di
soddisfacimento di diritti civili e sociali. La legge censurata non fisserebbe standard minimi, ma allocherebbe in capo
allo Stato funzioni amministrative preordinate al rilascio degli atti
autorizzativi necessari per la costruzione e l’esercizio degli impianti.
La disciplina
censurata non sarebbe riconducibile neppure al settore della “tutela della
concorrenza”, non contenendo né norme volte a garantire le imprese da intese
restrittive, abuso di posizioni dominanti ed operazioni di concentrazione, né
forme di promozione della concorrenza. Essa quindi rientrerebbe nell’ambito
della materia della “produzione di energia” attribuita alla potestà legislativa
concorrente delle Regioni.
Il sovvertimento
delle competenze regionali, operato dalle disposizioni censurate, secondo
9. - Nella
memoria depositata in prossimità dell’udienza l’Avvocatura dello Stato contesta
innanzitutto la possibilità da parte delle Regioni di impugnare una legge di
conversione di un decreto-legge per violazione dei presupposti di necessità e
urgenza, osservando come i limiti del potere di impugnativa regionale non
sarebbero cambiati a seguito delle modifiche costituzionali, anche secondo
quanto affermato dalla Corte nella sentenza n. 274 del
2003.
Inoltre, ad
avviso della difesa erariale, i vizi del decreto-legge sarebbero sanati
definitivamente quando la legge di conversione abbia assunto come propri i
contenuti e gli effetti della disciplina adottata.
Quanto ai
contenuti della legge impugnata, l’Avvocatura ribadisce che la materia
dell’energia rientrerebbe nella legislazione esclusiva statale ai sensi
dell’art. 117, secondo comma, lettere h)
ed m), Cost., in quanto l’efficienza
del sistema elettrico nazionale atterrebbe alla sicurezza e all’ordine
pubblico, poiché interruzioni dell’erogazione di energia determinerebbero
l’impossibilità di provvedere alle esigenze fondamentali, con danni al
patrimonio e all’integrità fisica, come reso evidente dai recenti avvenimenti.
Inoltre, la
continuità della fornitura di energia elettrica garantirebbe i “livelli
essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali”, dal
momento che essa sarebbe necessaria per l’esercizio dei servizi pubblici e per
consentire di fronteggiare le fondamentali esigenze di vita.
Anche a voler
ritenere, come fanno le ricorrenti, che la materia rientri tra quelle
attribuite alla legislazione concorrente regionale, principio fondamentale
sarebbe quello sancito dall’art. 1 del d.lgs. n. 79 del 1999, che attribuisce
allo Stato il compito di assicurare l’efficienza e la sicurezza del sistema
elettrico nazionale.
Le disposizioni
censurate sarebbero inoltre conformi all’art. 118 Cost., in quanto solo un
organo a competenza nazionale potrebbe intervenire su un sistema complesso per
la cui sicurezza sono necessari interventi in tempi brevissimi che non
consentono di operare in forme collegiali.
Quanto alla
previsione di un limite di efficacia alla normativa d’urgenza, limite
introdotto dalla stessa legge censurata, tale limite sarebbe giustificato sia
al fine di evitare contrasti con le Regioni, sia in quanto, una volta
realizzata la finalità di rafforzamento del sistema elettrico, verrebbero meno
le ragioni poste a base dell’intervento normativo statale.
Per quanto
attiene alle singole disposizioni contenute negli atti normativi impugnati, la
difesa erariale sostiene che la previsione, contenuta nell’art. 1, comma 1, del
d.l. convertito, di un’unica autorizzazione per le opere indispensabili
all’esercizio degli impianti di energia elettrica, rilasciata dal Ministro
delle attività produttive, si giustificherebbe, in conformità con il principio
di sussidiarietà, per il carattere di sistema a rete che assume il complesso
degli impianti di produzione e degli elettrodotti, il quale determinerebbe la
necessità dell’attribuzione allo Stato delle funzioni amministrative
corrispondenti.
In relazione al
procedimento per il rilascio dell’autorizzazione unica (art. 1, comma 2, del
d.l. convertito), gli interessi regionali risulterebbero ampiamente garantiti
attraverso la previsione della partecipazione delle amministrazioni locali
interessate e dell’intesa con
L’altra norma,
contenuta nel comma 3, che contempla il parere motivato del comune o della
provincia nel cui territorio ricada l’intervento, riconoscendo all’autorizzazione
il valore di variante urbanistica, non concreterebbe una lesione delle
competenze regionali, ma costituirebbe applicazione dei principi di
sussidiarietà ed adeguatezza di cui all’art. 118 Cost. Nonostante ciò, non
sarebbero stati trascurati gli interessi degli enti territoriali, che sono
chiamati ad esprimere un motivato parere e le cui eventuali ragioni di dissenso
devono essere valutate dall’organo centrale, con la conseguente possibilità che
gli enti locali insoddisfatti si rivolgano al giudice amministrativo.
Anche la
previsione di un termine di sei mesi per la chiusura del procedimento sarebbe
ragionevole, in considerazione delle esigenze di speditezza.
Quanto alla
censura concernente la previsione contenuta nel comma 5 dell’art. 1 del d.l.
convertito, la difesa erariale sostiene che essa sarebbe inammissibile, in
quanto non sarebbero stati indicati i parametri violati, e comunque infondata,
riferendosi solo a norme statali.
L’Avvocatura
sostiene l’infondatezza anche della presunta violazione dell’art. 120 Cost.,
non costituendo le norme censurate esercizio di potere sostitutivo.
Infondata
sarebbe, da ultimo, anche la censura concernente la violazione del principio di
leale collaborazione. La mancanza di una disciplina specifica dell’intesa
Stato-Regioni significherebbe unicamente che il ruolo da riconoscere ad essa
sarebbe quello che emerge dalla norma, mentre i rimedi per il suo mancato
raggiungimento sarebbero quelli ordinari.
Considerato in
diritto
1. –
In subordine, e
più specificamente,
Con successivo
ricorso,
In via
subordinata,
2. – Anche le
Regioni Basilicata e Toscana hanno impugnato la legge n. 55 del 2002, nella
parte in cui disciplina un procedimento unico per il rilascio
dell’autorizzazione alla costruzione e all’esercizio di impianti di energia
elettrica di potenza superiore a 300 MW termici, per violazione dell’art. 117,
terzo comma, Cost., in quanto interferirebbe con norme di dettaglio in materie
di competenza legislativa ripartita delle Regioni, nonché dell’art. 118 Cost.,
in quanto l’attribuzione allo Stato della funzione amministrativa di rilascio
dell’autorizzazione si porrebbe in contrasto con i criteri di sussidiarietà,
differenziazione ed adeguatezza, violando altresì la potestà delle Regioni di
disciplinare le procedure di svolgimento delle funzioni nelle materie di
competenza legislativa ripartita.
3. – Data la
sostanziale identità delle censure prospettate, i quattro ricorsi possono
essere riuniti per essere trattati congiuntamente e decisi con unica sentenza.
I ricorsi in
esame non sono fondati.
In via
preliminare, occorre affrontare la questione di legittimità costituzionale
posta dalla Regione Umbria sul decreto-legge n. 7 del
Quanto alla
deducibilità di tale vizio da parte delle Regioni in occasione della promozione
della questione di legittimità costituzionale in via diretta, la recente
giurisprudenza di questa Corte ha affermato la perdurante distinzione – anche
dopo la riforma costituzionale del Titolo V – dei parametri invocabili da Stato
e Regioni, rispettivamente nei riguardi di leggi regionali o di leggi od atti
con forza di legge statali (sentenza n. 274 del
2003), al tempo stesso confermando che le Regioni possono contestare l’esistenza
dei presupposti costituzionali degli atti con forza di legge “quando la
violazione denunciata sia potenzialmente idonea a determinare una vulnerazione delle attribuzioni costituzionali delle
Regioni o delle Province autonome ricorrenti” (sentenza n. 303 del 2003).
D’altra parte, fin dalla sentenza n. 302 del
1988, questa Corte ha espressamente riconosciuto che le Regioni possono
impugnare un decreto-legge per motivi attinenti alla pretesa violazione
dell’art. 77 Cost., ove adducano che da tale violazione derivi una compressione
delle loro competenze costituzionali.
Peraltro,
diversamente da come asserisce
I rilievi
sollevati dalla Regione Umbria relativamente alla mancanza dei presupposti di
necessità ed urgenza del d.l. n. 7 del 2002, atto sicuramente incidente sui
poteri regionali in materia, sono infondati; se la giurisprudenza di questa
Corte sul punto ha più volte affermato che il sindacato sull’esistenza e
sull’adeguatezza dei presupposti della decretazione d’urgenza può essere
esercitato solo in caso di loro “evidente mancanza” (fra le molte, si vedano le
sentenze n. 16
del 2002, n.
398 del 1998, n.
330 del 1996), non può disconoscersi che, nel caso del d.l. impugnato, a
fondamento dell’intervento normativo del Governo si pone una situazione nella
quale, in assenza di un effettivo e rapido rafforzamento delle strutture di
produzione e di distribuzione dell’energia elettrica, si possono produrre serie
situazioni di difficoltà o addirittura interruzioni più o meno estese della
fornitura di energia, con conseguenti gravi danni sociali ed economici. Ciò al
di là dell’enfasi del primo comma dell’art. 1 del d.l. in questione (nel testo
originario), che faceva riferimento all’“imminente pericolo di interruzione di
fornitura di energia elettrica su tutto il territorio nazionale” (formula, non
a caso, corretta in semplice “pericolo di interruzione” dalla legge di
conversione n. 55 del 2002).
La sicura
esistenza di elementi di fatto contrari all’“evidente mancanza” dei requisiti
di urgenza del d.l. n. 7 del 2002 rende inutile la valutazione degli eventuali
effetti sananti prodotti dalla legge n. 55 del 2002 di conversione di tale
decreto.
4. – Quanto
appena affermato rende altresì inutile l’esame dell’ulteriore rilievo
prospettato dalla Regione Umbria circa il fatto che il d.l. impugnato non
avrebbe potuto neppure trovare giustificazione negli speciali poteri
sostitutivi attribuiti al Governo dall’art. 120, secondo comma, Cost., di
recente specificati dall’art. 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni
per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale
18 ottobre 2001, n. 3), dal momento che – come ha anche notato l’Avvocatura
dello Stato - non vi sono elementi formali o sostanziali per considerare il
d.l. n. 7 del 2002 come atto adottato su questa base giuridica.
5. –Possono
quindi essere affrontate le censure mosse dalle Regioni ricorrenti sulla
legittimità costituzionale delle disposizioni del d.l. n. 7 del 2002 e della
legge di conversione n. 55 del
Al riguardo,
appare decisiva la ricostruzione di quale sia - al di là della stessa volontà
del legislatore statale, quale deducibile dai lavori preparatori, o delle
ricostruzioni suggerite dall’Avvocatura dello Stato – l’oggettivo fondamento
costituzionale degli atti impugnati.
Il testo
originario del d.l., mentre non fa alcun riferimento alle disposizioni
costituzionali, sembra indicare il proprio fondamento nel ruolo riconosciuto al
Ministero delle attività produttive dall’art. 1, comma 2, del decreto
legislativo 16 marzo 1999, n. 79 (Attuazione della direttiva 96/92/CE recante
norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica), di organo
nazionale preposto “alla sicurezza ed all’economicità del sistema elettrico
nazionale”.
Solo la legge di
conversione introduce alcuni riferimenti diretti ed indiretti alle disposizioni
costituzionali e, in particolare, fa riferimento al fatto che la nuova
disciplina resterebbe in vigore “sino alla determinazione dei principi
fondamentali della materia in attuazione dell’art. 117, terzo comma, della
Costituzione, e comunque non oltre il 31 dicembre
L’Avvocatura
dello Stato ha, reiteratamente sostenuto, che la disciplina contenuta negli
atti impugnati rientrerebbe negli ambiti di competenza legislativa esclusiva
dello Stato relativi a “sicurezza” (art. 117, secondo comma, lettera h), Cost.] e “determinazione dei livelli
essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono
essere garantiti su tutto il territorio nazionale” [art. 117, secondo comma,
lett. m), Cost.]; l’Avvocatura,
inoltre, ha sostenuto che queste norme inciderebbero anche nella materia della
“tutela della concorrenza”, anch’essa affidata alla legislazione esclusiva
dello Stato (art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.). Peraltro, sempre secondo la difesa erariale, la
disciplina impugnata sarebbe destinata a restare solo temporaneamente in
vigore, poiché, successivamente al superamento della fase di carenza
produttiva, si eserciterebbe liberamente la legislazione concorrente delle
Regioni in tema di “produzione, trasporto e distribuzione nazionale
dell’energia”.
Tali argomenti
non possono essere condivisi.
Deve anzitutto
negarsi che il concetto di “sicurezza” utilizzato nella legislazione
sull’energia come “sicurezza dell’approvvigionamento di energia elettrica” e
“sicurezza tecnica” (cfr. art. 2, n. 28, della direttiva del Parlamento europeo
e del Consiglio 2003/54/CE del 26 giugno 2003 relativa a norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica e che
abroga la direttiva 96/92/CE) possa essere confuso con la materia “ordine
pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale”, di
cui alla lettera h) del secondo comma
dell’art. 117 Cost., che già questa Corte ha interpretato come riferibile
esclusivamente agli interventi finalizzati alla prevenzione dei reati ed al
mantenimento dell’ordine pubblico (sentenza n. 407 del
2002). Tanto meno appare condivisibile l’opinione che i possibili effetti
in termini di ordine pubblico del cattivo funzionamento del settore energetico
potrebbero giustificare limiti preventivi ai poteri regionali, dal momento che
– semmai – il verificarsi di situazioni di fatto di questo tipo potrebbe
eventualmente legittimare l’attivazione degli speciali poteri sostitutivi del
Governo sulla base di quel “pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza
pubblica” che è presupposto espressamente contemplato dall’art. 120, secondo
comma, Cost. Analogamente è da dirsi per la pretesa riconduzione della normativa
impugnata alla competenza legislativa statale di cui all’art. 117, secondo
comma, lettera m), Cost.: come questa
Corte ha già affermato (cfr. le sentenze n. 88 del
2003 e n.
282 del 2002), tale competenza legittima una eventuale predeterminazione
legislativa dei “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti
civili e sociali”, ciò che nella specie non è intervenuto. La stessa
utilizzazione di questi livelli essenziali quale fondamento dell’esercizio dei
poteri sostitutivi, ai sensi del secondo comma dell’art. 120 Cost., di norma
presuppone che lo Stato abbia previamente esercitato la propria potestà legislativa
di tipo esclusivo.
Tuttavia, né il
d.l. n. 7 del 2002 né la legge di conversione n. 55 del 2002 hanno un contenuto
normativo di questo tipo, ma semplicemente disciplinano un nuovo complesso
procedimento amministrativo finalizzato a garantire la produzione e
l’approvvigionamento dell’energia elettrica.
Identiche
considerazioni possono essere svolte in riferimento alla pretesa che la
legislazione impugnata possa essere riconducibile alla “tutela della
concorrenza” di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., dal momento che la disciplina in questione non è affatto
caratterizzata dagli istituti e dalle procedure tipiche di questa particolare
materia.
6. – La
disciplina oggetto degli atti impugnati insiste indubbiamente nell’ambito della
materia “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”,
espressamente contemplata dall’art. 117, terzo comma, Cost. tra le materie
affidate alla potestà legislativa concorrente delle Regioni. Secondo le
ricorrenti, il legislatore statale avrebbe invaso la competenza regionale, in
quanto non si sarebbe limitato a stabilire i principi fondamentali della
materia, disciplinando invece, in termini analitici, il procedimento di rilascio
dell’autorizzazione per la costruzione e l’esercizio degli impianti di
produzione di energia elettrica.
In effetti, è
incontestabile che la disciplina impugnata non contiene principi fondamentali
volti a guidare il legislatore regionale nell’esercizio delle proprie
attribuzioni, ma norme di dettaglio autoapplicative e
intrinsecamente non suscettibili di essere sostituite dalle Regioni. Tuttavia,
occorre considerare che il problema della competenza legislativa dello Stato
non può essere risolto esclusivamente alla luce dell’art. 117 Cost. E’ infatti
indispensabile una ricostruzione che tenga conto dell’esercizio del potere
legislativo di allocazione delle funzioni amministrative secondo i principi di
sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza di cui al primo comma dell’art.
118 Cost., conformemente a quanto già questa Corte ha ritenuto possibile nel
nuovo assetto costituzionale (cfr. sentenza 303 del 2003).
In questa
logica, il d.l. n. 7 del 2002 e la sua legge di conversione n. 55 del 2002, pur
senza negare il vigente ordinamento costituzionale ed in particolare
l’attribuzione di potestà legislativa di tipo concorrente alle Regioni in tema
di “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”, hanno
ridefinito in modo unitario ed a livello nazionale i procedimenti di modifica o
ripotenziamento dei maggiori impianti di produzione
dell’energia elettrica, in base all’evidente presupposto della necessità di
riconoscere un ruolo fondamentale agli organi statali nell’esercizio delle
corrispondenti funzioni amministrative.
Conseguentemente,
per giudicare della legittimità costituzionale della normativa impugnata, è
necessario non già considerarne la conformità rispetto all’art. 117 Cost.,
bensì valutarne la rispondenza da un lato ai criteri indicati dall’art. 118
Cost. per la allocazione e la disciplina delle funzioni amministrative
(parametro quest’ultimo del resto esplicitamente invocato dalle Regioni
ricorrenti), dall’altro al principio di leale collaborazione, così come questa
Corte ha già avuto modo di evidenziare nella richiamata sentenza n. 303 del
2003.
Quanto appena
affermato rende evidente l’infondatezza delle censure concernenti la violazione
dell’art. 117, terzo comma, Cost., nonché di quelle relative alla violazione
dell’art. 117, secondo comma, lettera m),
formulate dalla Regione Umbria.
Quanto invece
alla lamentata violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione al
limite costituzionale – al di là della mancanza di qualsivoglia motivazione al
riguardo nel ricorso della Regione Umbria – deve comunque notarsi che la
deduzione del mancato rispetto del limite costituzionale in tale disposizione
previsto non può costituire autonomo motivo di censura, risultando
inevitabilmente collegato alla violazione di ulteriori e specifiche norme
costituzionali.
7. – E’
possibile a questo punto passare all’esame delle censure prospettate dalle
Regioni ricorrenti in relazione alla asserita violazione dell’art. 118 Cost.
La qualificazione
della normativa in esame come espressiva di una scelta del legislatore statale
di considerare necessario il conferimento allo Stato della responsabilità
amministrativa unitaria in materia, “sulla base dei principi di sussidiarietà,
differenziazione ed adeguatezza” di cui all’art. 118, primo comma, Cost., deve
superare la preliminare obiezione delle Regioni ricorrenti sulla idoneità della
fonte statale a compiere questa scelta anche là dove le norme costituzionali
affidano solo limitati poteri legislativi allo Stato, come appunto nel caso
delle materie di cui al terzo comma dell’art. 117 Cost.
Il superamento
di questa obiezione appare agevole se si considera che la valutazione della
necessità del conferimento di una funzione amministrativa ad un livello
territoriale superiore rispetto a quello comunale deve essere necessariamente
effettuata dall’organo legislativo corrispondente almeno al livello
territoriale interessato e non certo da un organo legislativo operante ad un
livello territoriale inferiore (come sarebbe un Consiglio regionale in
relazione ad una funzione da affidare – per l’esercizio unitario – al livello
nazionale).
Questa scelta
legislativa che trova sicuro, seppur implicito, fondamento costituzionale
nell’art. 118 Cost., in relazione al principio di legalità, deve giustificarsi
in base ai principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza; questi
ultimi, tuttavia, non possono trasformarsi – come questa Corte ha affermato
nella sentenza n.
303 del 2003 - “in mere formule verbali capaci con la loro sola evocazione
di modificare a vantaggio della legge nazionale il riparto costituzionalmente
stabilito, perché ciò equivarrebbe a negare la stessa rigidità della Costituzione”.
Proprio per la
rilevanza dei valori coinvolti, questa Corte ha quindi affermato, nella
medesima sentenza, che una deroga al riparto operato dall’art. 117 Cost. può
essere giustificata “solo se la valutazione dell’interesse pubblico sottostante
all’assunzione di funzioni regionali da parte dello Stato sia proporzionata,
non risulti affetta da irragionevolezza alla stregua di uno scrutinio stretto
di costituzionalità e sia oggetto di un accordo stipulato con
In altri termini,
perché nelle materie di cui all’art. 117, terzo e quarto comma, Cost., una
legge statale possa legittimamente attribuire funzioni amministrative a livello
centrale ed al tempo stesso regolarne l’esercizio, è necessario che essa
innanzi tutto rispetti i principi di sussidiarietà, differenziazione ed
adeguatezza nella allocazione delle funzioni amministrative, rispondendo ad
esigenze di esercizio unitario di tali funzioni. E’ necessario, inoltre, che
tale legge detti una disciplina logicamente pertinente, dunque idonea alla
regolazione delle suddette funzioni, e che risulti limitata a quanto
strettamente indispensabile a tale fine. Da ultimo, essa deve risultare
adottata a seguito di procedure che assicurino la partecipazione dei livelli di
governo coinvolti attraverso strumenti di leale collaborazione o, comunque,
deve prevedere adeguati meccanismi di cooperazione per l’esercizio concreto
delle funzioni amministrative allocate in capo agli organi centrali. Quindi,
con riferimento a quest’ultimo profilo, nella perdurante assenza di una
trasformazione delle istituzioni parlamentari e, più in generale, dei
procedimenti legislativi – anche solo nei limiti di quanto previsto dall’art.
11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V
della parte seconda della Costituzione) – la legislazione statale di questo
tipo “può aspirare a superare il vaglio di legittimità costituzionale solo in
presenza di una disciplina che prefiguri un iter
in cui assumano il dovuto risalto le attività concertative e di coordinamento
orizzontale, ovverosia le intese, che devono essere condotte in base al
principio di lealtà” (sentenza n. 303 del 2003).
Se si applicano
i menzionati criteri alla normativa oggetto del presente giudizio, si rileva
anzitutto la necessarietà dell’intervento
dell’amministrazione statale in relazione al raggiungimento del fine di evitare
il “pericolo di interruzione di fornitura di energia elettrica su tutto il
territorio nazionale” (art. 1 del d.l. n. 7 del 2002); non v’è dubbio, infatti,
che alle singole amministrazioni regionali – che si volessero attributarie delle potestà autorizzatorie
contemplate dalla disciplina impugnata - sfuggirebbe la valutazione complessiva
del fabbisogno nazionale di energia elettrica e l’autonoma capacità di
assicurare il soddisfacimento di tale fabbisogno. In relazione agli altri
criteri, d’altra parte, non si può non riconoscere da un lato la specifica
pertinenza della normativa oggetto del presente giudizio in relazione alla
regolazione delle funzioni amministrative in questione, dall’altro che tale
normativa si è limitata – nell’esercizio della discrezionalità del legislatore
– a regolare queste ultime in funzione del solo fine di sveltire le procedure
autorizzatorie necessarie alla costruzione o al ripotenziamento
di impianti di energia elettrica di particolare rilievo.
Resta da
valutare il rispetto dell’ultimo criterio indicato, in relazione alla
necessaria previsione di idonee forme di intesa e collaborazione tra il livello
statale e i livelli regionali.
Da quest’ultimo
punto di vista devono considerarsi adeguati i due distinti livelli di
partecipazione delle Regioni disciplinati nel d.l. n. 7 del 2002, quale
convertito dalla legge n. 55 del 2002: per il primo comma dell’art. 1, quale
opportunamente modificato in sede di conversione, la determinazione dell’elenco
degli impianti di energia elettrica che sono oggetto di questi speciali
procedimenti viene effettuata “previa intesa in sede di Conferenza permanente
per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di
Bolzano”; per il secondo comma dell’art. 1, l’autorizzazione ministeriale per
il singolo impianto “è rilasciata a seguito di un procedimento unico, al quale
partecipano le Amministrazioni statali e locali interessate, svolto nel
rispetto dei principi di semplificazione e con le modalità di cui alla legge 7
agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, d’intesa con
I due distinti livelli
di partecipazione – dell’insieme delle Regioni nel primo caso e della Regione
direttamente interessata nel secondo – realizzano quindi, ove correttamente
intesi ed applicati dalle diverse parti interessate, sufficienti modalità
collaborative e di garanzia degli interessi delle istituzioni regionali i cui
poteri sono stati parzialmente ridotti dall’attribuzione allo Stato
dell’esercizio unitario delle funzioni disciplinate negli atti impugnati. Né
mancano, ovviamente, strumenti di tutela contro eventuali prassi applicative
che non risultassero in concreto rispettose della doverosa leale collaborazione
fra Stato e Regioni.
L’insieme di
tali considerazioni evidenzia quindi l’infondatezza dei rilievi delle Regioni
ricorrenti relativamente alla pretesa violazione dell’art. 118 Cost., sia in
riferimento ai principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza, sia
per quel che concerne la fonte statale utilizzata.
8. - Devono ora
essere affrontate le censure sollevate dalle ricorrenti in relazione a specifiche
disposizioni degli atti normativi oggetto del presente giudizio.
In particolare,
alcuni di tali rilievi di costituzionalità riguardano la pretesa illegittima
compressione dei poteri amministrativi e rappresentativi degli enti locali
interessati, alla luce degli articoli 117 e 118 Cost.: più specificamente, si
nega, da parte delle Regioni ricorrenti, che l’autorizzazione unica possa
legittimamente essere configurata come sostitutiva di ogni altra autorizzazione
di competenza degli enti locali e come modificativa degli strumenti urbanistici
o del piano regolatore portuale, in quanto ciò sarebbe incompatibile con le
competenze legislative regionali in materia di “governo del territorio”, nonché
con le funzioni amministrative che sarebbero riconosciute dall’art. 118 Cost. a
Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni.
Tali censure non
sono fondate.
Quanto alla
pretesa violazione dell’art. 117 della Costituzione, in questa sede ci si può
limitare a richiamare le considerazioni svolte più sopra. La disciplina
impugnata, infatti, concerne la allocazione e la regolazione di funzioni
amministrative (in una materia affidata alla legislazione concorrente) e
conseguentemente è nell’art. 118 della Costituzione e nei principi di
sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza che deve trovare il proprio
decisivo parametro di giudizio, secondo quanto esposto in precedenza.
L’infondatezza
dei rilievi concernenti la lamentata violazione dell’art. 118 Cost., a sua
volta, deriva proprio dalla necessaria unitarietà dell’esercizio delle funzioni
amministrative che, come evidenziato, sta alla base della scelta del
legislatore statale di introdurre eccezioni alla normale attribuzione delle
funzioni amministrative al livello comunale prevista dall’art. 118, primo
comma, Cost.
La eccezionale
compressione delle competenze delle amministrazioni regionali e locali
determinata dalla normativa in esame non può dunque ritenersi
costituzionalmente illegittima. Ciò va affermato innanzi tutto in quanto,
ragionando diversamente, la stessa finalità per la quale tale disciplina è
stata posta in essere verrebbe frustrata da un assetto delle competenze
amministrative diverso da quello da essa stabilito, anche in considerazione
della necessaria celerità con cui - al fine di evitare il pericolo della
interruzione della fornitura di energia elettrica su tutto il territorio
nazionale – le funzioni amministrative concernenti la costruzione o il ripotenziamento di impianti di energia elettrica di
particolare rilievo devono essere svolte.
In secondo
luogo, non possono non assumere decisivo rilievo le conclusioni alle quali si è
giunti in precedenza, dal momento che proprio il necessario coinvolgimento
delle Regioni di volta in volta interessate mediante quello strumento
particolarmente efficace costituito dall’intesa, assicura una adeguata
partecipazione di queste ultime allo svolgimento del procedimento incidente
sulle molteplici competenze delle amministrazioni regionali e locali.
D’altra parte,
anche la legislazione preesistente conosce numerose fattispecie nelle quali
alcuni atti espressivi delle scelte urbanistiche dei Comuni cedono dinanzi agli
atti finali dei procedimenti adeguatamente partecipati di determinazione dei
lavori pubblici di interesse generale (con specifico riferimento alle centrali
elettriche, si veda l’art. 12 dello stesso allegato IV, recante <<Procedure per i progetti di
centrali termoelettriche e turbogas>>, del d.P.C.m.
27 dicembre 1988, la cui efficacia è stata sospesa appunto dall’art. 1 del d.l.
n. 7 del 2002; e la stessa giurisprudenza di questa Corte si è espressa nel
senso di non rilevare violazione dei principi costituzionali in casi analoghi
(cfr., ad esempio, sentenza n. 308 del
2003 e sentenza
n. 21 del 1991).
9. – Deve essere
affrontata, inoltre, la specifica censura prospettata dalla Regione Umbria,
secondo la quale il rinvio contenuto nell’art. 1, comma 2, del d.l. n. 7 del
2002, convertito dalla legge n. 55 del 2002, ad un “procedimento unico al quale
partecipano le Amministrazioni interessate, svolto nel rispetto dei principi di
semplificazione e con le modalità di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, e
successive modificazioni ed integrazioni, d’intesa con la regione interessata”
violerebbe l’art. 97, primo comma, Cost. ed il principio di leale
collaborazione; ciò perché questo procedimento, nel quale non sono previsti
precisi tempi e modalità di partecipazione delle amministrazioni interessate,
non sarebbe idoneo a garantire la adeguata ponderazione di tutti gli interessi
in gioco né, conseguentemente, sarebbe “sufficiente a garantire il rilievo
degli interessi della comunità regionale”.
Per ciò che riguarda
la pretesa violazione dell’art. 97, primo comma, Cost., deve essere osservato,
innanzi tutto, che la normativa impugnata in realtà disciplina un particolare
procedimento amministrativo, il quale deve esaurirsi entro centoottanta giorni
e deve culminare in un’autorizzazione unica, con anche una speciale
accelerazione per la procedura di valutazione di impatto ambientale prevista
dal comma 3 dell’art. 1 del decreto impugnato (nel testo risultante dalla
conversione in legge) ulteriormente modificato dall’art. 3 del d.l. 18 febbraio
2003, n. 25 (Disposizioni urgenti in materia di oneri generali del sistema
elettrico e di realizzazione, potenziamento, utilizzazione e ambientalizzazione
di impianti termoelettrici), convertito nella legge 17 aprile 2003, n. 83
(Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 18 febbraio 2003,
n. 25, recante disposizioni urgenti in materia di oneri generali del sistema
elettrico. Sanatoria degli effetti del decreto-legge 23 dicembre 2002, n. 281).
Sulla base delle
considerazioni già svolte, deve essere evidenziato che, nel caso di specie, il
giudizio sul rispetto del principio di buon andamento dell’amministrazione di
cui all’art. 97, primo comma, Cost., fa tutt’uno con il giudizio di
sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza nella allocazione delle funzioni
amministrative, dal momento che la scelta concernente la allocazione al livello
centrale delle funzioni amministrative si giustifica proprio in relazione alla
necessità di garantirne una più adeguata ed efficiente esplicazione. Di talché,
lo scrutinio concernente la compatibilità della disciplina impugnata con i
principi di cui all’art. 118, primo comma, Cost., conduce a ritenere infondati
anche i rilievi sulla pretesa violazione dell’art. 97, primo comma, Cost.
D’altra parte,
non solo lo stesso d.l. impugnato introduce – come già visto - la necessità del
conseguimento di un’intesa “forte” con
Quanto appena
affermato rende evidente, peraltro, anche l’infondatezza della censura
concernente la pretesa violazione del principio di leale collaborazione.
10. – Da ultimo,
vanno prese in considerazione le censure proposte dalle tre Regioni ricorrenti
avverso il comma 1 dell’art. 1 del d.l. n. 7 del 2002, come modificato dalla
legge di conversione, per violazione dell’art. 117 Cost., nella parte in cui
prevede che la speciale disciplina si applichi “sino alla determinazione dei
principi fondamentali della materia in attuazione dell’art. 117, terzo comma,
della Costituzione, e comunque non oltre il 31 dicembre
In particolare,
la prima di tali disposizioni è stata contestata da parte delle ricorrenti, che
vi hanno letto la volontà di sospendere temporaneamente l’esercizio della
potestà legislativa regionale in una materia di legislazione concorrente,
addirittura vincolandola alla previa adozione di una normativa di cornice
statale, nonostante i principi fondamentali possano essere fin da ora dedotti
in via interpretativa dall’attuale legislazione. Se peraltro si considera che
lo stesso originario testo del d.l. n. 7 del 2002, nella seconda delle
disposizioni qui esaminate (art. 1, comma 5), sospende proprio “fino al 31
dicembre
Da questo punto
di vista, infondati appaiono i rilievi mossi dalle ricorrenti al primo comma
dell’art. 1, così come infondati sono quelli rivolti dalla Regione Umbria alla
disciplina di cui al quinto comma del medesimo articolo, dal momento che ogni
esercizio di potere legislativo da parte dello Stato comporta inevitabilmente o
l’abrogazione o la sospensione dell’efficacia della legislazione statale
previgente.
Le successive
vicende legislative, culminate con l’adozione dell’art. 1-sexies, comma 8, della recentissima legge 27 ottobre 2003, n. 290
(Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 29 agosto 2003, n.
239, recante disposizioni urgenti per la sicurezza del sistema elettrico
nazionale e per il recupero di potenza di energia elettrica. Deleghe al Governo
in materia di remunerazione della capacità produttiva di energia elettrica e di
espropriazione per pubblica utilità), sembrano evidenziare, seppur con una
formula non del tutto chiara (“Per la costruzione e l’esercizio di impianti di
energia elettrica di potenza superiore a 300 MW termici si applicano le
disposizioni del decreto-legge 7 febbraio del 2002, n. 7, convertito, con
modificazioni dalla legge 9 aprile 2002, n.
PER QUESTI MOTIVI
LA
CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i
giudizi,
dichiara non fondate le questioni di legittimità
costituzionale sollevate dalla Regione Umbria avverso il decreto-legge 7
febbraio 2002, n. 7 (Misure urgenti per garantire la sicurezza del sistema
elettrico nazionale) e avverso il
decreto-legge n. 7 del 2002, così come convertito dalla legge 9 aprile 2002, n.
55 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 7 febbraio 2002,
n. 7 recante misure urgenti per garantire la sicurezza del sistema elettrico
nazionale), per violazione degli artt. 77, secondo comma, 120, secondo comma,
117, primo comma, secondo comma lettera m),
e terzo comma, 118, primo e secondo comma, Cost., con i ricorsi indicati in
epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità
costituzionale sollevate dalle Regioni Basilicata e Toscana avverso il
decreto-legge n. 7 del 2002, così come convertito dalla legge 9 aprile 2002, n.
55 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 7 febbraio 2002,
n. 7 recante misure urgenti per garantire la sicurezza del sistema elettrico
nazionale), per violazione degli articoli 117, terzo comma e 118 della Costituzione,
con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità
costituzionale sollevate dalla Regione Umbria avverso l’art. 1, commi 1, 2, 3 e
5 del predetto decreto-legge 7 febbraio 2002, n. 7, nonché dello stesso
decreto-legge n. 7 del 2002, così come convertito dalla legge 9 aprile 2002 n.
55 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 7 febbraio 2002,
n. 7 recante misure urgenti per garantire la sicurezza del sistema elettrico
nazionale), per violazione degli artt. 117, primo comma e terzo comma, 118,
primo e secondo comma, Cost., con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità
costituzionale sollevate dalla Regione Umbria avverso l’art. 1, commi 2, 3, 4 e
5 del predetto decreto-legge 7 febbraio 2002, n. 7, nonché dello stesso
decreto-legge n. 7 del 2002, così come convertito dalla legge 9 aprile 2002, n.
55 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 7 febbraio 2002,
n. 7 recante – Misure urgenti per garantire la sicurezza del sistema elettrico
nazionale), per violazione dell’art. 97, primo comma, Cost. e del principio di
leale collaborazione, con i ricorsi indicati in epigrafe.
Così deciso in
Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18
dicembre 2003.
Riccardo
CHIEPPA, Presidente
Ugo DE SIERVO,
Redattore
Depositata in
Cancelleria il 13 gennaio 2004.