Sentenza n. 4 del 2004

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SENTENZA N. 4

ANNO 2004

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-  Riccardo CHIEPPA, Presidente

-  Gustavo ZAGREBELSKY     

-  Valerio ONIDA

-  Carlo MEZZANOTTE

-  Fernanda CONTRI

-  Guido NEPPI MODONA

-  Piero Alberto CAPOTOSTI

-  Annibale MARINI

-  Franco BILE

-  Giovanni Maria FLICK

-  Francesco AMIRANTE

-  Ugo DE SIERVO

-  Romano VACCARELLA

-  Alfio FINOCCHIARO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli articoli 16, comma 7, 17, comma 2, e 19, commi 1, 3, 7, 8 e 14 della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2002), promossi con ricorsi delle Regioni Marche, Toscana, Basilicata, Emilia-Romagna e Umbria, notificati il 22 (il primo e il secondo), il 26 (il terzo e il quinto) e il 27 febbraio 2002 (il quarto), depositati in cancelleria il 28 febbraio (il primo), il 1° (il secondo), il 6 (il terzo) e l’8 marzo 2002 (il quarto e il quinto) e iscritti, rispettivamente, ai numeri 10, 12, 20, 23 e 24 del registro ricorsi dell’anno 2002.

  Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella pubblica udienza del 17 giugno 2003 il Giudice relatore Romano Vaccarella;

  uditi gli avvocati Stefano Grassi per la Regione Marche, Fabio Lorenzoni per la Regione Toscana, Massimo Luciani per la Regione Basilicata, Giandomenico Falcon per le Regioni Emilia-Romagna e Umbria e l’Avvocato dello Stato Paolo Cosentino per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1.- I ricorsi indicati in epigrafe, proposti dalle Regioni Marche, Toscana, Basilicata, Emilia-Romagna e Umbria investono numerose norme della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2002), sollevando questioni di legittimità costituzionale che – previa separazione da quelle relative agli artt. 16, comma 7, 17, comma 2, 19, commi 1, 3, 7, 8 e 14 (quest’ultimo comma limitatamente al ricorso della Regione Basilicata) – sono riservate a separate decisioni.

  2.- Con tre distinti ricorsi, iscritti rispettivamente ai numeri 10, 12 e 24 del registro ricorsi del 2002, le Regioni Marche, Toscana e Umbria hanno impugnato, tra altre norme della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2002), l’art. 17, comma 2, il quale, nell'introdurre l'art. 40-bis (Compatibilità della spesa in materia di contrattazione integrativa) nel decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), ha previsto che «i comitati di settore ed il Governo procedono a verifiche congiunte in merito alle implicazioni finanziarie complessive della contrattazione integrativa di comparto, definendo metodologie e criteri di riscontro anche a campione sui contratti integrativi delle singole amministrazioni», e che, a tal uopo, «gli organi di controllo interno indicati dall'art. 48, comma 6, inviano annualmente specifiche informazioni sui costi della contrattazione integrativa al Ministero dell'economia e delle finanze, che predispone, allo scopo, uno specifico modello di rilevazione, d'intesa con la Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica».

  3.- In particolare, la Regione Marche, con ricorso notificato il 22 febbraio 2002 e depositato il 28 febbraio 2002 (numero 10 del 2002), censura la citata disposizione per lesione della sfera di competenza regionale in violazione degli articoli 117, quarto comma, e 119, primo comma, della Costituzione.

  Nel dettaglio, la ricorrente osserva che la materia della contrattazione collettiva di lavoro in relazione alle pubbliche amministrazioni non è di pertinenza esclusiva dello Stato, per lo meno nel caso in cui, riferendosi anche ad amministrazioni diverse da quelle indicate alla lettera g) del secondo comma dell'art. 117 Cost., vada al di là delle linee ordinamentali e della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali. E anzi, in ogni caso - come in quello di specie – nel quale la disciplina dell'impiego pubblico “va ad incrociare la materia dell'ordinamento e dell'organizzazione amministrativa degli enti locali (e non presenta profili di «tutela e sicurezza del lavoro»)”, si deve ritenere che la potestà legislativa spetti in via esclusiva alla Regione.

  La norma impugnata, prevedendo limiti e controlli alla contrattazione collettiva integrativa di comparto, sarebbe, pertanto, lesiva della competenza legislativa regionale, piena o residuale, prevista dall'art. 117, quarto comma, Cost.

  Sarebbe, inoltre, ravvisabile una violazione dell'autonomia di spesa riconosciuta alle Regioni dall'art. 119 Cost., posto che queste sono l'unico soggetto abilitato a prevedere procedure e criteri di controllo della propria spesa pubblica. Né la mancata adozione dei «principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario» (art. 119, secondo comma, Cost.) autorizzerebbe una tale limitazione.

  3.1.- Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha concluso per l'infondatezza del ricorso, qualificando l'art. 17, comma 2, della legge n. 448 del 2001 quale norma di principio diretta a verificare la compatibilità finanziaria della contrattazione integrativa di comparto secondo il disposto dell'art. 117, terzo comma, Cost. («armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica»).

  4.- Analogamente, la Regione Toscana, con ricorso notificato il 22 febbraio 2002 e depositato il 1° marzo 2002 (numero 12 del 2002), ha impugnato l'art. 17, comma 2, della legge n. 448 del 2001, perché violativo del principio che riserva allo Stato la materia della contrattazione collettiva solo con riguardo all'ordinamento e all'organizzazione dello Stato e degli enti pubblici nazionali (art. 117, secondo comma, lettera g), Cost.), lasciando alla esclusiva competenza regionale ogni altra ipotesi.

  4.1.- Anche in questo caso il Presidente del Consiglio dei ministri, costituitosi per mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato, ha contestato la fondatezza del ricorso, ritenendo ultroneo il richiamo alla lettera g) dell'art. 117 Cost., tenuto conto che la norma denunciata non determina un'ingerenza dello Stato nella contrattazione collettiva (ove riservata alla competenza regionale), ma predispone un mero controllo delle implicazioni finanziarie complessive, indispensabile per verificare il rispetto dei vincoli di bilancio, sanzionato nell'ipotesi di violazione con la nullità di diritto delle relative clausole dell'accordo integrativo (art. 40, comma 3, del d.lgs. n. 165 del 2001).

  5.- Infine, la Regione Umbria, con ricorso notificato il 26 febbraio 2002 e depositato l’8 marzo 2002 (numero 24 del 2002), ha impugnato l'art. 17, comma 2, della legge n. 448 del 2001, perché violativo della competenza regionale esclusiva, generale e residuale, di cui all'art. 117, quarto comma, Cost. In particolare, la ricorrente evidenzia come il d.lgs. n. 165 del 2001 già prevede un organico sistema di controlli sui costi della contrattazione integrativa (art. 40, comma 3; art. 48, comma 6; artt. 58 ss.), idoneo ad escludere ogni spazio residuo per ulteriori principi nella materia, da ricondursi al «coordinamento della finanza pubblica», assegnata alla legislazione concorrente. La disposizione censurata, per di più, oltre a dettare illegittimamente norme di dettaglio per la definizione delle modalità del controllo, nel prevedere la verifica di “non meglio precisate implicazioni finanziarie complessive”, attribuisce al Governo un ruolo che interferisce con le scelte delle singole Regioni e che determina una distonia con il ruolo generale che proprio il Governo ricopre in relazione alla contrattazione collettiva per il pubblico impiego, per il quale il controllo di compatibilità finanziaria è demandato alla Corte dei conti.

  5.1.- Il Presidente del Consiglio dei ministri, costituitosi per mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato, ha spiegato difese analoghe a quelle articolate in risposta al ricorso numero 12 del 2002, ribadendo che “certamente è in facoltà dello Stato organizzare i criteri e moduli di rilevazione dell'impatto che la contrattazione integrativa ha sul bilancio statale, onde coordinare l'autonomia regionale delle parti con i limiti di spesa previsti nella legge di bilancio”.

  6.- Con ricorso notificato il 26 febbraio 2002, depositato il 6 marzo 2002 e iscritto al numero 20 del registro ricorsi del 2002, la Regione Basilicata, nell’impugnare anch’essa numerose norme della medesima legge n. 448 del 2001, ha denunciato, in particolare, l’illegittimità costituzionale degli artt. 16, comma 7, e 19, commi 1, 3, 7, 8 e 14, in relazione agli artt. 3, 5, 114, 117 e 118 Cost., nonché all’art. 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione).

  L’art. 16, comma 7, stabilisce: «Ai sensi dell’articolo 48, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, gli oneri derivanti dai rinnovi contrattuali per il biennio 2002-2003 del personale dei comparti degli enti pubblici non economici, delle regioni, delle autonomie locali, del Servizio sanitario nazionale, delle istituzioni e degli enti di ricerca e sperimentazione e delle università, nonché degli enti di cui all’articolo 70, comma 4, del citato decreto legislativo n. 165 del 2001, e gli oneri per la corresponsione dei miglioramenti economici al personale di cui all’articolo 3, comma 2, del citato decreto legislativo n. 165 del 2001, sono a carico delle amministrazioni di competenza nell’ambito delle disponibilità dei rispettivi bilanci. I comitati di settore, in sede di deliberazione degli atti di indirizzo previsti dall’articolo 47, comma 1, del medesimo decreto legislativo n. 165 del 2001, si attengono, anche per la contrattazione integrativa, ai criteri indicati per il personale delle amministrazioni di cui al comma 1 e provvedono alla quantificazione delle risorse necessarie per i rinnovi contrattuali».

  L’art. 19, comma 1, stabilisce: «Per l’anno 2002, alle amministrazioni dello Stato anche ad ordinamento autonomo, alle agenzie, agli enti pubblici non economici, alle università, limitatamente al personale tecnico ed amministrativo, agli enti di ricerca ed alle province, ai comuni, alle comunità montane ed ai consorzi di enti locali che non abbiano rispettato le disposizioni del patto di stabilità interno per l’anno 2001 è fatto divieto di procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato; i singoli enti locali in caso di assunzione del personale devono autocertificare il rispetto delle disposizioni relative al patto di stabilità interno per l’anno 2001. Alla copertura dei posti disponibili si può provvedere mediante ricorso alle procedure di mobilità previste dalle disposizioni legislative e contrattuali, tenendo conto degli attuali processi di riordino e di accorpamento delle strutture, nonché di trasferimento di funzioni. Si può ricorrere alle procedure di mobilità fuori dalla regione di appartenenza dell’ente locale solo nell’ipotesi in cui il comune ricevente abbia un rapporto dipendenti-popolazione inferiore a quello previsto dall’articolo 19, comma 3, del decreto legislativo 25 febbraio 1995, n. 77, e successive modificazioni, maggiorato del 50 per cento. Sono consentite le assunzioni connesse al passaggio di funzioni e competenze agli enti locali il cui onere sia coperto dai trasferimenti erariali compensativi della mancata assegnazione delle unità di personale. Il divieto non si applica al comparto scuola. Sono fatte salve le assunzioni di personale relative a figure professionali non fungibili la cui consistenza organica non sia superiore all’unità, nonché quelle relative alle categorie protette e quelle relative ai vincitori del secondo corso-concorso di formazione dirigenziale indetto dalla Scuola superiore della pubblica amministrazione di cui al bando pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 18 marzo 1997, IV serie speciale, n. 22».

  Stabilisce ancora (per quanto qui interessa): «I termini di validità delle graduatorie per l’assunzione di personale presso le amministrazioni pubbliche sottoposte al divieto di cui al presente comma sono prorogati di un anno».

  Infine: «In ogni caso, la spesa relativa al personale assunto a tempo determinato o con convenzioni dalle province, dai comuni, dalle comunità montane e dai consorzi di enti locali non può superare l’importo della spesa sostenuta al medesimo titolo nell’anno 2001, con un incremento pari al tasso di inflazione programmata indicato nel Documento di programmazione economico-finanziaria».

  L’art. 19, comma 3, sostituisce l’ultimo periodo del comma 2 dell’art. 39 della legge 27 dicembre 1997, n. 39 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica), con il seguente: «Per ciascuno degli anni 2003 e 2004, le amministrazioni dello Stato anche ad ordinamento autonomo, le agenzie e gli enti pubblici non economici con organico superiore a 200 unità sono tenuti a realizzare una riduzione di personale non inferiore all’1 per cento rispetto a quello in servizio al 31 dicembre 2002».

  L’art. 19, comma 7, stabilisce: «Le assunzioni effettuate in violazione delle disposizioni del presente articolo sono nulle di diritto».

  L’art. 19, comma 8, stabilisce: «A decorrere dall’anno 2002 gli organi di revisione contabile degli enti locali di cui all’articolo 2 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, accertano che i documenti di programmazione del fabbisogno di personale siano improntati al rispetto del principio di riduzione complessiva della spesa di cui all’articolo 39 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni, e che eventuali deroghe a tale principio siano analiticamente motivate».

  L’art. 19, comma 14, stabilisce: «Le amministrazioni pubbliche promuovono iniziative di alta formazione del proprio personale, anche ai fini dell’accesso alla dirigenza, favorendo la partecipazione dei dipendenti ai corsi di laurea, anche triennali, organizzati con l’impiego prevalente delle metodologie di formazione a distanza per finalità connesse alle attribuzioni istituzionali delle amministrazioni interessate. A tal fine, nei limiti delle ordinarie risorse finanziarie destinate all’aggiornamento e alla formazione del personale, le amministrazioni pubbliche e le relative Scuole o strutture di formazione, sentite le organizzazioni sindacali, possono anche erogare borse di studio del valore massimo corrispondente all’iscrizione ai suddetti corsi di laurea o provvedere al relativo rimborso».

  6.1.- La ricorrente osserva che la materia dell’impiego presso la Regione e gli enti locali rientra nella competenza legislativa esclusiva delle Regioni, a norma dell’art. 117, quarto comma, Cost., non essendo elencata né tra le materie riservate alla legislazione esclusiva dello Stato (art. 117, secondo comma, Cost.), né tra le materie di legislazione concorrente (art. 117, terzo comma, Cost.). Conseguentemente, in tale materia lo Stato non può intromettersi, men che meno stabilendo una normativa di dettaglio, qual è quella contenuta negli articoli di legge censurati (oltretutto priva di clausola di “cedevolezza”).

  In particolare, la ricorrente lamenta che l’art. 16, comma 7, della legge n. 448 del 2001 incide illegittimamente sull’autonomia organizzativa regionale, laddove impone che gli oneri ivi previsti siano a carico delle amministrazioni di competenza «nell’ambito delle disponibilità dei rispettivi bilanci», con ciò precludendo la possibilità di una diversa articolazione delle disponibilità di bilancio ovvero il ricorso a nuove fonti di finanziamento. Esso, inoltre, vincola l’azione dei comitati di settore in ordine agli atti di indirizzo previsti dall’art. 47 del d.lgs. n. 165 del 2001, “perpetuando, così, la disciplina di un procedimento che, dopo la legge cost. n. 3 del 2001, non ha più alcun senso”, posto che ogni Regione è totalmente autonoma nella determinazione delle procedure di contrattazione collettiva.

  L’art. 19 della medesima legge n. 448 del 2001, a sua volta, ai commi 1, 3, 7, 8 e 14, detta – rileva ancora la ricorrente – disposizioni ancor più analitiche, pretendendo di disciplinare aspetti essenziali del rapporto di lavoro dei dipendenti regionali e degli enti locali, senza alcun titolo di competenza costituzionale. Infatti: a) il comma 1 prevede il divieto di procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato per gli enti locali che non abbiano rispettato il “patto di stabilità interno” per l’anno 2001; regola le procedure di mobilità; indica le assunzioni comunque «fatte salve»; dispone in materia di assunzioni di disabili; congela ai livelli del 2001 la spesa degli enti locali per l’assunzione di personale a tempo determinato; b) il comma 3 – che sostituisce l’ultimo periodo dell’art. 39, comma 2, della legge n. 449 del 1997 –, impone agli enti pubblici non economici (oltre che alle amministrazioni dello Stato) una riduzione di personale non inferiore all’1 per cento rispetto a quello in servizio al 31 dicembre 2002, senza prevedere alcuna disposizione di salvaguardia per le Regioni e, comunque, incidendo sulla disciplina degli enti pubblici non economici della Regione; c) il comma 7 commina la sanzione della nullità per le assunzioni effettuate in violazione delle disposizioni dello stesso art. 19; d) il comma 8 incide sull’azione e sulle competenze degli organi di revisione contabile degli enti locali; e) il comma 14, infine, disciplina le facoltà relative alla formazione del personale per tutte le «amministrazioni pubbliche», compresi, quindi, le Regioni e gli enti locali.

  Ad avviso della ricorrente le disposizioni impugnate violano, altresì, l’art. 118 Cost., giacché incidono sulle funzioni amministrative di autorganizzazione proprie delle Regioni, limitandone le scelte discrezionali nella regolamentazione dei rapporti col proprio personale.

  Osserva, poi, la ricorrente che le disposizioni censurate non potrebbero essere giustificate con riferimento al «coordinamento della finanza pubblica», che, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost., è materia di legislazione concorrente, giacché, da un lato, in tale materia lo Stato dovrebbe limitarsi a determinare i principi fondamentali, mentre ha dettato norme di dettaglio; dall’altro, il «coordinamento della finanza» è cosa diversa dalla disciplina concreta delle fattispecie.

  Né le medesime disposizioni censurate – prosegue la ricorrente – potrebbero trovare giustificazione nell’esigenza di rispettare gli impegni comunitari, dal momento che: a) l’attuazione di tali impegni è riservata alle Regioni, nelle materie di loro competenza, salvo il potere sostitutivo, non preventivo, dello Stato; b) l’anzidetta esigenza può e deve essere perseguita con la sola indicazione degli obiettivi, non anche con l’imposizione dei mezzi, limitando l’autonomia regionale costituzionalmente garantita.

  Da ciò discende – lamenta ancora la ricorrente – un ulteriore profilo di illegittimità, poiché in modo del tutto irragionevole, e, quindi, in violazione dell’art. 3 Cost., si è inciso sull’autonomia della Regione, in contrasto con la logica della vigente Costituzione, che è quella della “piena responsabilizzazione dei livelli locali di governo”.

  Infine, la ricorrente deduce la violazione del principio di leale collaborazione, desumibile dall’art. 5 Cost. e ora anche dall’art. 11 della legge cost. n. 3 del 2001, non essendosi proceduto, nell’emanare le norme impugnate, in contraddittorio con le Regioni.

  6.2.- Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso sia respinto, in quanto infondato.

  Osserva la difesa erariale che le norme impugnate non violano i precetti costituzionali, dal momento che dettano principi in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici e di coordinamento della finanza pubblica, secondo quanto previsto dall’art. 117 Cost.

  Le norme in questione, inoltre, a suo avviso, hanno lo scopo di esigere il rispetto da parte degli enti locali del “patto di stabilità interno”, anche in adempimento degli impegni comunitari assunti dal nostro Paese.

  7.- Con ricorso notificato il 27 febbraio 2002, depositato l’8 marzo 2002 e iscritto al numero 23 del registro ricorsi del 2002, la Regione Emilia-Romagna ha denunciato anch’essa l’illegittimità costituzionale dell’art. 19, comma 1, della legge n. 448 del 2001, in riferimento agli artt. 117, 118 e 119 Cost., nonché ai principi costituzionali attinenti al rapporto tra Stato e Regioni e al principio di ragionevolezza.

  La ricorrente osserva che la disposizione censurata, nel vietare a province, comuni, comunità montane e relativi consorzi, che non abbiano rispettato il “patto di stabilità interno” per l’anno 2001, di procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato, introduce retroattivamente a carico di detti enti una sanzione per comportamenti già tenuti, che le disposizioni legislative vigenti all’epoca non consideravano illegittimi.

  Peraltro, la medesima disposizione rovescia l’impostazione del “patto di stabilità interno”, il quale – secondo quanto risulta dalle disposizioni che lo prevedono: art. 28 della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo); art. 30 della legge 23 dicembre 1999, n. 488 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2000); art. 53 della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2001), nonché dagli atti esplicativi che le hanno accompagnate (la “Direttiva sull’applicazione del patto di stabilità interno” del 18 febbraio 1999 e la circolare del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica numero 4 del 4 febbraio 2000) – ha “un senso programmatico”, giacché “impone il raggiungimento di un risultato, ma non impone l’utilizzazione di determinati strumenti per il suo raggiungimento” (così si esprime la “Direttiva” citata).

  Lamenta, ancora, la ricorrente che la norma in questione non limita il divieto a quelle assunzioni che condurrebbero in ipotesi a non rispettare il patto di stabilità e non tiene in considerazione l’andamento finanziario registratosi negli anni precedenti.

  Inoltre, a suo avviso, la misura, che sanziona indiscriminatamente tutti gli enti che per qualsiasi ragione non abbiano rispettato il patto di stabilità, appare irragionevole, poiché, da un lato, non rappresenta uno strumento di recupero dell’obiettivo finanziario e, dall’altro, non incentiva a comportamenti “virtuosi”, colpendo comportamenti già posti in essere.

  La ricorrente, infine, rileva che il divieto de quo mina l’efficienza amministrativa degli enti locali dell’Emilia-Romagna, ai quali sono state conferite, con la legge regionale 21 aprile 1999, n. 3 (Riforma del sistema regionale e locale), funzioni amministrative disciplinate dalla Regione. Di qui l’interesse diretto e proprio della Regione all’impugnazione, in concomitanza con “quello che le deriva dal più generale ruolo di rappresentante degli interessi generali della popolazione regionale, di responsabile del buon funzionamento complessivo del sistema locale e di naturale rappresentante del complesso degli enti locali della Regione”.

  7.1.- Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso, siccome infondato.

  La difesa erariale osserva, quanto alle censure mosse all’art.19, comma 1, della legge n. 448 del 2001, che il “patto di stabilità interno” rappresenta un sistema articolato di indicazioni per la riduzione del disavanzo pubblico previsto ai fini del concorso delle autonomie locali al rispetto degli obblighi comunitari relativamente agli obiettivi di finanza pubblica; “la normativa impugnata trova, pertanto, la sua fonte e finalità in norme comunitarie di pari rango rispetto alle norme costituzionali secondo il dettato della Carta fondamentale”.

  8.- In prossimità dell’udienza pubblica le Regioni Marche, Umbria, Basilicata ed Emilia-Romagna hanno depositato memorie, per ribadire le argomentazioni svolte nei rispettivi ricorsi e per replicare alle difese dell’Avvocatura generale dello Stato. Quest'ultima pure ha depositato una propria memoria.

  8.1.- Più specificamente, la Regione Marche, richiamate con riguardo all'art. 17, comma 2, della legge n. 448 del 2001, le argomentazioni del ricorso introduttivo, anche mediante riferimenti dottrinali, ha ribadito che la norma denunciata precluderebbe “al legislatore regionale la possibilità di regolare liberamente il rapporto di impiego con le amministrazioni regionali e locali”, integrando, così, una lesione della competenza legislativa, piena o residuale, ex art. 117, quarto comma, Cost.; e ciò anche nell'ipotesi in cui i controlli da essa istituiti possano essere ricondotti entro la previsione di cui al comma terzo della medesima disposizione costituzionale (nella specie, «armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica»). Infatti, nel caso in esame, risulterebbe comunque travalicata la misura della disciplina del solo “nucleo essenziale del contenuto normativo” (Corte cost., sentenza n. 482 del 1995), coessenziale alla normazione di principio caratterizzata da un “livello di maggiore astrattezza” rispetto alle regole positivamente stabilite dal legislatore regionale (Corte cost., sentenza n. 65 del 2001). Né altrimenti – anche a voler ammettere che lo Stato possa, in materia di legislazione concorrente, emanare disposizioni auto-applicative o di dettaglio – le norme in parola sembrano rivestire il necessario carattere di “cedevolezza” a causa del loro tratto limitativo immediatamente efficace sull'autonomia di spesa regionale, che, anzi, le caratterizza come disciplina di dettaglio, la quale “arriva a determinare analiticamente le procedure di controllo, affidandole unilateralmente al Governo e ai Comitati di settore”, e la correlativa sanzione mediante il richiamo all'art. 40, comma 3, del d.lgs. n. 165 del 2001, il cui disposto non appare sostanzialmente mutato ad opera dell'art. 14 della legge 16 gennaio 2003, n. 3 (Disposizioni ordinamentali in materia di pubblica amministrazione).

  La Regione ha, quindi, richiamato le censure già formulate col parametro dell'art. 119 Cost., ribadendo che allo stato, pur in difetto di una disciplina che detti i principi di «coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario», non sarebbe consentito allo Stato prevedere norme che limitino direttamente l'autonomia regionale mediante specifiche forme di controllo a livello centrale.

  8.2.- La Regione Umbria, con riguardo all'art. 17, comma 2, della legge n. 448 del 2001, ha ritenuto di essere stata fraintesa dall'Avvocatura generale dello Stato, laddove, invece, nessuna censura è fatta col parametro dell'art. 117, secondo comma, lett. g) Cost. La ricorrente avrebbe, invece, denunciato “una moltiplicazione dei controlli sui costi della contrattazione integrativa” alla stregua dell'art. 117, terzo comma, Cost. in relazione alla materia del «coordinamento della finanza pubblica», stante il carattere non di principio della normativa. Questa, di fatto, stabilisce un inammissibile potere di controllo illimitato, conferendo al Governo “il potere di definire metodologie e criteri di riscontro, vale a dire una normativa di dettaglio e, per di più, di livello amministrativo”.

  8.3.- L'Avvocatura generale dello Stato, ribadite con riguardo all'art. 17, comma 2, della legge n. 448 del 2001 le difese già svolte in precedenza, precisa che le misure così adottate dal legislatore della finanziaria per il 2002 appaiono “a supporto della manovra per gli anni 2002-2006”, nell'ambito della quale è sorta l'esigenza del contenimento della spesa corrente anche con riguardo al costo del lavoro; ciò che appare sostanzialmente confermato anche dalla preoccupazione espressa dalla Corte dei conti nella "Relazione sul rendiconto generale dello Stato – esercizio finanziario 2000" in ordine alla mancanza di stringenti controlli sulla coerenza della contrattazione integrativa con quella nazionale e alla trasparenza delle decisioni di spesa degli enti locali.

  8.4.- La Regione Basilicata ribadisce le censure rivolte a tutte le norme impugnate, siccome violative degli artt. 3, 5, 114, 117 e 118 Cost.

  Essa rileva che il nuovo art. 114 Cost. ha posto sul medesimo piano le varie componenti della Repubblica e parallelamente l’art. 117 Cost. ha equiparato Stato e Regioni quanto alla titolarità della potestà legislativa, ribaltando, per di più, il precedente criterio di attribuzione: l’ente attributario in via ordinaria di tale potestà è oggi la Regione, fatte salve le materie riservate alla legislazione esclusiva dello Stato e quelle rientranti nella legislazione concorrente.

  Il favor per la legislazione regionale, che ne deriva, implica che nelle materie di legislazione concorrente la legge dello Stato deve limitarsi alla determinazione dei «principi fondamentali» (come espressamente stabilisce l’art. 117, terzo comma, Cost.), sicché non è più consentito ad essa dettare norme di dettaglio, fossero pur cedevoli (richiama al riguardo le sentenze di questa Corte n. 96 del 2003 e n. 282 del 2002).

  Ad avviso della ricorrente, la natura di “norme di dettaglio” delle disposizioni censurate emerge anche alla luce della precedente giurisprudenza costituzionale, la quale ha avuto occasione di qualificare come «principi fondamentali» norme che fossero fondate sull’«interesse nazionale» e inserite in un ampio disegno riformatore, tale da esigere un’attuazione uniforme su tutto il territorio nazionale (sentenza n. 171 del 1999).

  La scomparsa dell’«interesse nazionale», a seguito della riforma del titolo V della parte seconda Costituzione, e il carattere contingente delle disposizioni censurate, contenenti mera disciplina di dettaglio, non consentono di qualificare le stesse come «principi fondamentali», posto che un principio fondamentale deve essere sempre “colto ad un livello di maggiore astrattezza rispetto alla regola positivamente stabilita” (sentenza n. 65 del 2001).

  In particolare, quanto agli artt. 16, comma 7, e 19, commi 1, 3, 7, 8, e 14, della legge n. 448 del 2001, la ricorrente ribadisce che la materia dell’impiego presso la Regione e gli enti locali è assegnata alla competenza esclusiva delle Regioni.

  Alle obiezioni della difesa erariale, secondo cui si tratterebbe di disposizioni in materia di spesa, che non toccherebbero la disciplina del personale, ma soltanto gli oneri conseguenti; detterebbero principi in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici e di coordinamento della finanza pubblica; e, infine, avrebbero lo scopo di far rispettare il “patto di stabilità interno” per il 2001, anche in relazione agli impegni comunitari, la ricorrente replica che le disposizioni de quibus recano “misure puntuali che incidono direttamente sulla capacità delle Regioni e degli enti locali di progettare e perseguire un’autonoma politica del personale, sicché invadono pesantemente la relativa sfera di legislazione esclusiva”; inoltre, esse contengono prescrizioni di dettaglio che non “coordinano” alcunché, ma impongono autoritativamente i comportamenti da tenere; infine, gli impegni comunitari non possono implicare deroghe all’ordine interno delle competenze, garantito da norme costituzionali.

  8.5.- La Regione Emilia-Romagna, a sua volta, quanto all’art. 19, comma 1, della legge n. 448 del 2001, replicando all’Avvocatura generale dello Stato, che ritiene la disposizione giustificata dal “rango costituzionale” delle norme comunitarie e dall’esigenza di rispettare i vincoli da esse posti, ribadisce che “il perseguimento di un obiettivo comunitario di per sé non giustifica l’adozione di qualsiasi misura atta a favorirne il raggiungimento, anche in deroga all’ordinamento interno”. Inoltre, essa osserva che la medesima disposizione è irragionevolmente lesiva dell’autonomia regionale, sia sotto il profilo della “strumentalità”, poiché non si vede come la sanzione da essa disposta retroattivamente possa migliorare le prestazioni finanziarie passate degli enti che ne sono colpiti, né quale sia il nesso fra la spesa colpita e le cause di dette “cattive” prestazioni finanziarie; sia sotto il profilo della “proporzionalità”, poiché trattasi di una sanzione rigida, non modulabile in ragione della concreta situazione di organico dell’ente, delle cause che hanno prodotto il deficit, dell’ammontare dello stesso.

  9.- All’udienza pubblica le parti hanno insistito per l’accoglimento delle conclusioni rassegnate nelle difese scritte.

Considerato in diritto

  1.- La Regione Basilicata impugna l’art. 16, comma 7, della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2002), assumendo che tale norma violerebbe gli artt. 3, 5, 114, 117 e 118 della Costituzione, nonché l’art. 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), in quanto, così ledendo la competenza legislativa esclusiva della Regione in materia di impiego presso la Regione stessa e gli enti locali, inciderebbe irragionevolmente sull’autonomia organizzativa regionale con il precludere la possibilità di una diversa articolazione delle disponibilità di bilancio ovvero di ricorrere a nuove fonti di finanziamento e con il vincolare l’azione dei comitati di settore agli atti di indirizzo previsti dall’art. 47 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni).

  La censura è infondata.

  Premesso che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (sia anteriore alla legge costituzionale n. 3 del 2001: sentenze n. 126 e 373 del 1997, n. 29 del 1995; sia posteriore: sentenza n. 274 del 2003), le Regioni sono legittimate a denunciare la violazione di norme costituzionali, non relative al riparto di competenze con lo Stato, solo quando tale violazione comporti un’incisione, diretta o indiretta, delle competenze attribuite dalla Costituzione alle Regioni stesse, va rilevato che erroneamente la Regione Basilicata riconduce la norma impugnata alla materia, ritenuta di sua competenza esclusiva, del pubblico impiego del personale da essa Regione dipendente.

  Come correttamente rilevato dall’Avvocatura erariale, la prima parte della norma de qua ha ad oggetto esclusivamente «gli oneri derivanti dai rinnovi contrattuali per il biennio 2002-2003», e, ponendo (rectius, ribadendo) il principio secondo il quale tali oneri «sono a carico delle amministrazioni di competenza nell’ambito delle disponibilità dei rispettivi bilanci», rientra nella materia, di competenza concorrente (art. 117, terzo comma, Cost.), della «armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica».

  Lo stesso è a dirsi della seconda parte della norma in questione, volta a stabilire, con riguardo alla contrattazione integrativa, che i comitati di settore, in sede di deliberazione degli atti di indirizzo, si attengono ai «criteri indicati per il personale» dipendente dallo Stato e provvedono alla quantificazione delle risorse necessarie; anche in tal caso curando il «coordinamento della finanza pubblica», cui già mirava l’art. 47, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001.

  Ricondotta la questione nell’alveo dell’art. 117, terzo comma, Cost., è da escludere che la norma de qua esprima una disciplina di dettaglio, come tale lesiva della competenza regionale; essa, al contrario, fissa – in linea con gli impegni assunti dall’Italia “in sede comunitaria” – principi fondamentali volti al contenimento della spesa corrente, che rientrano nella competenza della legislazione statale.

  2.- Le Regioni Marche, Toscana e Umbria impugnano l’art. 17, comma 2, della legge n. 448 del 2001, assumendo che tale norma (introduttiva dell’art. 40-bis nel d.lgs. n. 165 del 2001) – con il prevedere verifiche congiunte tra comitati di settore e Governo in merito alle implicazioni finanziarie della contrattazione integrativa di comparto; con il definire metodologie e criteri di riscontro anche a campione; con l’imporre agli organi di controllo interno l’invio al Ministero dell’economia di informazioni sui costi della contrattazione integrativa secondo un modello di rilevazione predisposto dal medesimo Ministero d’intesa con la Presidenza del Consiglio dei ministri – violerebbe l’art. 117, quarto comma, Cost., nonché, secondo la Regione Marche, l’art. 119, primo comma Cost.

  Le censure sono destituite di fondamento.

  La norma in questione detta regole (verifiche congiunte; metodologie e criteri di riscontro anche a campione; invio di informazioni secondo un unitario modello di rilevazione) che, lungi dal costituire normativa di dettaglio, sono strumentali rispetto al fine – legittimamente perseguito dalla legislazione statale in sede di coordinamento della finanza pubblica – di valutare la compatibilità, con i vincoli di bilancio risultanti dagli strumenti di programmazione annuale e pluriennale, della spesa in materia di contrattazione integrativa: l’accennata strumentalità esclude, altresì, ogni violazione del principio – che si pretende desumere dall’art. 119 Cost. – secondo il quale l’autonomia di spesa riconosciuta alle Regioni implicherebbe l’esclusione di ogni ingerenza statuale anche sotto forma di procedure e criteri di controllo della spesa pubblica regionale.

  3.- La Regione Basilicata impugna l’art. 19, commi 1, 3, 7, 8 e 14 della legge n. 448 del 2001, lamentando la violazione degli artt. 3, 5, 114, 117 e 118 Cost.; il medesimo comma 1 di detto art. 19 è impugnato, altresì, dalla Regione Emilia-Romagna, in riferimento agli artt. 117, 118 e 119 Cost.

  3.1.- Il comma 1 dell’art. 19 – intitolato «Assunzioni di personale» – pone il divieto «alle province, ai comuni, alle comunità montane ed ai consorzi di enti locali che non abbiano rispettato le disposizioni del patto di stabilità interno per l’anno 2001» di assumere, per l’anno 2002, personale a tempo indeterminato; prevede, per la copertura dei posti disponibili, il ricorso alle procedure di mobilità; consente le assunzioni connesse al passaggio di funzioni e competenze, se tale passaggio sia accompagnato da trasferimenti erariali compensativi della mancata assegnazione di personale; prevede talune esenzioni dal divieto (comparto scuola; figure professionali non fungibili; categorie protette; vincitori del secondo corso-concorso di formazione dirigenziale), nonché la proroga di un anno della validità delle graduatorie per le amministrazioni soggette al divieto; dispone che la spesa relativa al personale assunto a tempo determinato o con convenzione non possa superare quella sostenuta al medesimo titolo nell’anno 2001, incrementata del tasso di inflazione programmata di cui al Documento di programmazione economico-finanziaria.

  Le censure mosse dalle Regioni impugnanti sono infondate.

  Quelle formulate dalla Regione Basilicata non colgono nel segno, laddove pretendono di attribuire alla norma in questione la funzione – che sarebbe riservata alla legislazione esclusiva regionale – di disciplinare “la materia dell’impiego presso la Regione e gli enti locali”, mentre è evidente che essa persegue il fine di dare effettività al patto di stabilità interno, da un lato, “sanzionando” esclusivamente i soggetti pubblici (con l’esclusione delle Regioni) che non hanno rispettato tale patto riguardo al 2001, e, dall’altro lato, incidendo, con il divieto di procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato e di far lievitare le spese per il personale a tempo determinato, su una delle più frequenti e rilevanti cause del disavanzo; sicché – attesa la stretta attinenza di tali precetti con il fine del coordinamento della finanza pubblica sub specie del contenimento della spesa corrente – deve, altresì, negarsi pregio al rilievo secondo il quale, nella specie, il coordinamento della finanza sarebbe usato quale “grimaldello per garantire allo Stato un potere di coordinamento in materia di competenza (anche esclusiva) regionale”.

  Peraltro, non può dirsi che la legislazione statale abbia esorbitato rispetto al fine del patto di stabilità, dal momento che proprio il mancato raggiungimento (da parte dei soggetti destinatari della norma) dell’obiettivo nel 2001 abilita lo Stato a tentarne, nel 2002, il raggiungimento attraverso la compressione di una voce di spesa corrente notoriamente decisiva a tal fine.

  A sua volta, la Regione Emilia-Romagna deduce – denunciando il rovesciamento dell’impostazione “programmatica” del patto di stabilità interno – l’irrazionalità della “sanzione a carattere retroattivo... di comportamenti che le disposizioni legislative vigenti al tempo del loro sorgere non consideravano illegittimi”, anche perché – sostiene – tale sanzione “non rappresenta uno strumento di recupero dell’obiettivo finanziario e non incentiva a comportamenti ‘virtuosi’, colpendo comportamenti già realizzatisi”, e mina “l’efficienza amministrativa degli enti locali dell’Emilia-Romagna”, resi titolari di funzioni amministrative a seguito del “massiccio conferimento” operato dalla legge regionale n. 3 del 1999.

  Le considerazioni sopra svolte a proposito dell’impugnazione della Regione Basilicata non sono scalfite da rilievi che investono profili attinenti (soprattutto, se non esclusivamente) alla (pretesa) intrinseca irragionevolezza della norma o al buon andamento della pubblica amministrazione; profili che – come si è ricordato sub 1 – sono deducibili dalle Regioni solo se strettamente pertinenti alla lesione della loro competenza legislativa: laddove i rilievi della Regione Emilia-Romagna appaiono volti a denunciare, più che la violazione delle norme attributive della competenza, quella degli artt. 3 e 97 Cost.

  3.2.- E’ del tutto evidente che il rigetto dell’impugnazione avente ad oggetto il comma 1 dell’art. 19 comporta conseguenzialmente il rigetto dell’impugnazione, proposta dalla sola Regione Basilicata, del comma 7, il quale – disponendo che le «assunzioni effettuate in violazione delle disposizioni del presente articolo sono nulle di diritto» – è meramente strumentale rispetto a quanto, in punto di divieto di assunzioni, dispone (per quel che qui interessa) il comma 1.

  3.3.- Il comma 3 dell’art. 19 – a norma del quale all’art. 39, comma 2, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica) è aggiunto il seguente periodo:«Per ciascuno degli anni 2003 e 2004, le amministrazioni dello Stato anche ad ordinamento autonomo, le agenzie e gli enti pubblici non economici con organico superiore a 200 unità sono tenuti a realizzare una riduzione di personale non inferiore all’1 per cento rispetto a quello in servizio al 31 dicembre 2002» – è impugnato dalla Regione Basilicata perché violativo dell’art. 117, quarto comma, Cost.

  La censura è infondata, in quanto, da un lato, la norma mira a perseguire il medesimo obiettivo che, con strumenti analoghi, è alla base del comma 1 e, dall’altro lato e conseguentemente, essa deve ritenersi non avere tra i suoi destinatari – come è reso evidente dall’impianto dell’intero art. 19 (e, in particolare, dal comma 1) – le Regioni.

  3.4.- Infondata è l’impugnazione proposta dalla Regione Basilicata nei confronti del comma 8 dell’art. 19; tale norma, riferentesi agli enti locali di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 267 del 2000 (tra i quali non rientra la Regione), si limita a prevedere che gli organi di revisione contabile accertino che i documenti di programmazione del fabbisogno di personale siano improntati al rispetto del principio di riduzione complessiva della spesa di cui all’art. 39 della legge n. 449 del 1997, e che eventuali deroghe a tale principio siano analiticamente motivate.

  Si tratta di norma chiaramente strumentale rispetto al fine di coordinamento della finanza pubblica, e di norma di principio (e non già di dettaglio), in quanto prevede che eventuali deroghe al principio della riduzione complessiva della spesa, cui deve improntarsi il documento di programmazione del fabbisogno del personale, siano analiticamente motivate.

  4.- L’impugnazione proposta dalla Regione Basilicata avverso il comma 14 dell’art. 19 è infondata, dal momento che tale norma – al contrario di quanto potrebbe lasciar intendere la generica locuzione di «amministrazioni pubbliche» – non ha, come risulta dall’intero art. 19 e, in particolare, dal comma 1, tra i suoi destinatari le Regioni; sicché, anche a prescindere dal carattere “facoltizzante” della norma (la quale non esclude altre iniziative di «alta formazione del personale», ma ne suggerisce, aggiuntivamente, alcune), non sussiste alcuna violazione delle competenze regionali in materia (v. sentenza n. 3 del 2004 depositata in pari data, che ha deciso analoga questione sollevata dalla Regione Emilia-Romagna).

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

  riservata a separate pronunzie la decisione sulle ulteriori questioni di legittimità costituzionale della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2002);

  riuniti i giudizi concernenti le questioni di legittimità costituzionale relative agli artt. 16, comma 7, 17, comma 2, 19, commi 1, 3, 7, 8 e 14, della predetta legge 28 dicembre 2001, n. 448, sollevate dalle Regioni Marche, Toscana, Basilicata, Emilia-Romagna e Umbria con i ricorsi indicati in epigrafe;

  dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 7, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 5, 114, 117 e 118 della Costituzione, dalla Regione Basilicata con il ricorso indicato in epigrafe;

  dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 17, comma 2, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, sollevate, in riferimento agli artt. 117, quarto comma, e 119 della Costituzione, dalle Regioni Marche, Toscana e Umbria con i ricorsi indicati in epigrafe;

  dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 1, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 5, 114, 117 e 118 della Costituzione, dalla Regione Basilicata e, in riferimento agli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna con i ricorsi indicati in epigrafe;

  dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 7, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 5, 114, 117 e 118 della Costituzione, dalla Regione Basilicata con il ricorso indicato in epigrafe;

  dichiara  non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 19, commi 3, 7, 8 e 14, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 5, 114, 117 e 118 della Costituzione, dalla Regione Basilicata con il ricorso indicato in epigrafe.

  Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 dicembre 2003.

Riccardo CHIEPPA, Presidente

Romano VACCARELLA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 13 gennaio 2004.