Ordinanza n. 80/2003

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ORDINANZA N. 80

ANNO 2003

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Riccardo CHIEPPA, Presidente

- Gustavo ZAGREBELSKY  

- Valerio ONIDA        

- Carlo MEZZANOTTE         

- Fernanda CONTRI   

- Guido NEPPI MODONA    

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Annibale MARINI    

- Franco BILE 

- Giovanni Maria FLICK        

- Ugo DE SIERVO     

- Romano VACCARELLA    

- Paolo MADDALENA          

- Alfio FINOCCHIARO        

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 30 bis e 53, primo comma, del codice di procedura civile promosso con ordinanza in data 28 novembre 2001 dal Tribunale di Roma nel procedimento di ricusazione proposto da Vitalone Wilfredo, iscritta al n. 53 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell’anno 2002.

  Visto l’atto di costituzione di Vitalone Wilfredo;

  udito nella camera di consiglio del 12 febbraio 2003 il Giudice relatore Valerio Onida.

Ritenuto che, con ordinanza emessa il 28 novembre 2001, pervenuta a questa Corte il 14 gennaio 2002, il Tribunale di Roma, collegio per la trattazione dei ricorsi per ricusazione, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 24, 104 e 111 della Costituzione, dell’art. 30-bis (Foro per le cause in cui sono parti i magistrati) del codice di procedura civile, "nella parte in cui non prevede la translatio judicii anche nel caso del procedimento incidentale di ricusazione", e dell’art. 53, primo comma, del codice di procedura civile (Giudice competente), nella parte in cui prevede che "sulla ricusazione decide … il collegio se è ricusato uno dei componenti del tribunale";

che, secondo il giudice a quo, la previsione dell’art. 53, primo comma, cod. proc. civ., secondo cui sull’istanza di ricusazione di un componente del tribunale decide il collegio, e reciprocamente la non applicabilità a detta fattispecie dell’art. 30-bis cod. proc. civ., ai cui sensi le cause in cui sia comunque parte un magistrato, che secondo le norme ordinarie sarebbero attribuite alla competenza di un ufficio giudiziario compreso nel distretto di corte d’appello in cui il magistrato esercita le proprie funzioni, sono di competenza del giudice, ugualmente competente per materia, che ha sede nel capoluogo del diverso distretto di corte d’appello determinato ai sensi dell’art. 11 del codice di procedura penale, comporterebbero la violazione, in primo luogo, dell’art. 3 della Costituzione, per irragionevole disparità di trattamento fra chi ricusi un giudice civile e chi ricusi un giudice penale (in quanto l’art. 40 cod. proc. pen. prevede che sulla ricusazione di un giudice del tribunale decide la corte d’appello), nonché in raffronto con le situazioni regolate dal ricordato art. 30-bis del codice di procedura civile, e dall’art. 8, comma 2, della legge 13 aprile 1988, n. 117, ai cui sensi l’azione di rivalsa nei confronti del magistrato il quale abbia dato luogo, con i propri atti, alla responsabilità civile dello Stato è proposta davanti al tribunale del capoluogo del distretto di corte d’appello determinato ai sensi dell’art. 11 del codice di procedura penale;

che, sempre ad avviso del remittente, le norme impugnate sarebbero altresì in contrasto con l’art. 24 della Costituzione, per lesione del diritto di difesa, che, in quanto maggiormente tutelato nelle altre consimili ricordate situazioni, apparirebbe conculcato nella situazione in questione; nonché con gli artt. 104 e 111 della Costituzione, per violazione del principio di imparzialità del giudice, la cui terzietà il legislatore costituzionale ed ordinario mostrerebbe di voler assicurare anche con la garanzia della assoluta indifferenza nei confronti delle parti del procedimento, segnatamente nel caso in cui la qualità di parte sia assunta da colleghi dello stesso ufficio o addirittura della stessa sezione o dello stesso collegio cui appartengono i giudicanti;

che si è costituito l’avvocato Wilfredo Vitalone, autore dell’istanza di ricusazione nel procedimento a quo, aderendo alle censure di costituzionalità mosse dall’ordinanza di rimessione, e richiamando le analoghe questioni sollevate da due ordinanze della Corte d’appello di Perugia e della Corte d’appello di Roma.

Considerato che questioni sostanzialmente analoghe – ancorché riferite al solo art. 53, primo comma, cod. proc. civ. (nonché, in un caso, all’art. 30-bis cod. proc. civ., ma sotto un profilo ulteriore), e concernenti il caso della ricusazione di un giudice della corte d’appello anziché del tribunale – sollevate, in riferimento agli stessi parametri, dalle Corti d’appello di Perugia e di Roma, con le ordinanze cui fa richiamo la parte privata costituita nel presente giudizio, sono state decise da questa Corte con la sentenza n. 78 del 2002 – posteriore all’odierna ordinanza di rimessione – nel senso della infondatezza;

che in tale sentenza questa Corte ha escluso che il diritto ad un giudizio equo ed imparziale sia violato quando la decisione sulla ricusazione sia affidata ad un collegio di cui non faccia parte il giudice ricusato, ancorché si tratti della stessa sezione o dello stesso collegio investito della causa nel cui ambito sia intervenuta l’istanza di ricusazione, risultando comunque garantita l’imparzialità dei decidenti, ancorché secondo uno dei diversi modi possibili in cui il legislatore può comporre l’esigenza di imparzialità del giudizio con i concorrenti interessi alla speditezza e alla ragionevole durata dei processi e alla salvaguardia delle esigenze organizzative degli apparati giudiziari; e ha escluso altresì che la disciplina denunciata violi i principi di uguaglianza e di ragionevolezza, in riferimento alle differenze fra la disciplina censurata e quella riservata dal legislatore alla ricusazione nell’ambito del processo penale, nonché alle cause civili di cui sia parte un magistrato (e la stessa considerazione non può non valere anche con riguardo alla disciplina del procedimento di rivalsa nei confronti del magistrato, regolato dall’art. 8 della legge n. 117 del 1988);

che l’odierna ordinanza non adduce motivi nuovi o comunque tali da indurre la Corte ad una diversa soluzione;

che pertanto la questione deve essere giudicata manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 53, primo comma, del codice di procedura civile, e dell’art. 30-bis del medesimo codice di procedura civile, sollevata, in riferimento agli articoli 3, 24, 104 e 111 della Costituzione, dal Tribunale di Roma con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 marzo 2003.

Riccardo CHIEPPA, Presidente

Valerio ONIDA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 27 marzo 2003.