Sentenza n. 308/2002

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SENTENZA N.308

ANNO 2002

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Massimo VARI

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

- Francesco AMIRANTE

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 14, comma 4, nella sua formulazione originaria, e 92 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), promosso con ordinanza emessa il 30 marzo 2001 dalla Corte di cassazione sui ricorsi riuniti tra il Ministero delle finanze e l'Aviofer s.p.a., iscritta al n. 626 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 35, prima serie speciale, dell'anno 2001.

Visti l'atto di costituzione della MECFIN-Meccanica Finanziaria s.p.a. (incorporante Aviofer s.p.a.) nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 23 aprile 2002 il Giudice relatore Massimo Vari;

uditi l'avvocato Giovanni Puoti per MECFIN - Meccanica Finanziaria s.p.a. (incorporante Aviofer s.p.a.) e l'avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. La Corte di cassazione, con ordinanza del 30 marzo 2001, ha sollevato, in riferimento agli artt. 76 e 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), "nella sua formulazione originaria, rimasta in vigore per il solo 1988".

L'ordinanza é stata emessa nel corso di un giudizio di legittimità promosso dal Ministero delle finanze e dall'Aviofer Breda s.p.a., con distinti ricorsi successivamente riuniti, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio in data 12 dicembre 1997, la quale aveva riconosciuto, in favore di detta società, il diritto al rimborso per un credito di lire 8.311.477.000, "calcolato sulla base di quanto dichiarato per l'anno 1988, sul presupposto che per un errore contenuto nel Modello 760 non era stato possibile operare una compensazione tra il suo credito d'imposta derivante da ritenute su utili ricevuti e perdite pregresse di esercizio".

1.1. Secondo il giudice a quo, la disposizione censurata si porrebbe in contrasto con la Costituzione sia sotto il profilo della violazione dei limiti della delega in base alla quale é stata emanata, sia sotto quello della lesione del principio di eguaglianza, avendo "modificato per un solo anno (1988) la regola precedente che consentiva la compensazione fra credito di imposta e perdite pregresse (regola giustamente poi ripristinata con effetto dal 1° gennaio 1989 dalla legge n. 165 del 1990)".

In tal senso deporrebbero, ad avviso del rimettente, le seguenti circostanze:

- la legge 16 dicembre 1977, n. 904, aveva stabilito, all'art. 2, che "il credito d'imposta fosse computato, in aggiunta agli utili, nella determinazione del reddito imponibile del socio e che fosse ammesso in detrazione dalla relativa imposta", sicchè, in forza "di tale norma di carattere generale", la possibilità di operare una compensazione tra credito d'imposta e perdite dei pregressi esercizi era "stata sempre riconosciuta come un elemento caratterizzante il sistema ... fino all'entrata in vigore del Testo unico delle imposte sui redditi";

- l'art. 14, comma 4, nel testo originario, e cioé in quello oggetto di censura, ha previsto, invece, che "l'ammontare del credito di imposta" sia "computato in aumento del reddito complessivo netto", sì da innovare la precedente disciplina, "senza che la legge n. 68 del 12 aprile 1984 contenesse una delega implicita o esplicita per un mutamento sostanziale in materia, e senza che si fossero create condizioni giuridiche, economiche, politiche e sociali che rendessero necessario un tale cambiamento";

- proprio al fine di eliminare l'incongruenza determinata sul punto dal d.P.R. n. 917 del 1986, l'art. 1 del decreto-legge n. 90 del 1990 (convertito, con modificazioni, nella legge n. 165 del 1990), ha successivamente "ripristinato il sistema precedente", prevedendo che il credito di imposta sia computato in aumento del reddito complessivo; norma questa che, però, "ha avuto effetti a partire dal 1° gennaio 1989, cosicchè é rimasta in vigore per il solo 1988" la disciplina anomala già prevista dal Testo unico del 1986.

1.2. Tanto premesso, il giudice a quo ricorda che la delega conferita dall'art. 17 della legge 9 ottobre 1971, n. 825, per la formulazione dei testi unici in materia tributaria, ha conferito al Governo la facoltà di introdurre le modifiche "necessarie per il migliore coordinamento delle diverse disposizioni e per eliminare ogni eventuale contrasto con i principi e i criteri direttivi stabiliti in quella legge fondamentale". Dal canto suo, l'art. 1 della legge n. 68 del 1984, nel prorogare i termini per la formazione dei testi unici, ha contemplato "la possibilità di apportare modifiche per attuare tra le norme un coordinamento sistematico secondo principi unitari".

Ne discende, ad avviso del rimettente, il difetto, per il denunciato art. 14, comma 4, del d.P.R. n. 917 del 1986 (quale disposizione "innovativa rispetto al passato"), di qualsiasi fondamento, espresso o tacito, nella volontà del legislatore delegante. La norma, non inquadrandosi "neanche nei principi generali contenuti nel sistema costruito fino al 31 dicembre 1987", sarebbe, in definitiva, tale da "stravolgere un meccanismo studiato per risolvere al meglio il problema del credito di imposta vantato da chi ha già subito una ritenuta".

A ciò andrebbe aggiunta, secondo l'ordinanza, la violazione anche dell'art. 3 della Costituzione, a causa della ingiustificata disparità di trattamento posta in essere a danno dei contribuenti che, nell'anno 1988, avevano crediti d'imposta da compensare.

2. Si é costituita la MECFIN-Meccanica Finanziaria s.p.a., quale incorporante la Aviofer s.p.a. (già Aviofer Breda s.p.a.), parte nel giudizio a quo, la quale ha concluso per l'incostituzionalità della norma denunciata.

3. E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o "quanto meno palesemente infondata".

La difesa erariale, nell'eccepire, preliminarmente, l'incompiutezza della pronuncia sulla rilevanza della questione, osserva, nel merito, che l'art. 2 della legge n. 904 del 1977 aveva stabilito che "il credito di imposta fosse computato, in aggiunta agli utili, nella determinazione del reddito imponibile"; "utili" da intendere, nell'ambito di detta disposizione, come "risultato netto dell'esercizio", mentre le parole "nella determinazione del reddito imponibile" non consideravano "il caso del sussistere di ancora utilizzabili perdite pregresse, alias di esercizi precedenti".

In sostanza, il testo unico del 1986 avrebbe inteso "inserire a sistema" le disposizioni della legge del 1977 ed avrebbe utilizzato, nel denunciato art. 14, comma 4, "l'espressione "reddito complessivo netto", verosimilmente non per errore tecnico ... ma avendo presente la anzidetta parola "utili""; con ciò, sarebbe "indimostrata e superficiale" l'opinione del rimettente, e cioé che la modifica apportata dal decreto-legge n. 90 del 1990 "avrebbe ripristinato la disciplina in vigore anteriormente al Testo unico".

Osserva, ancora, la difesa erariale che il menzionato art. 14, comma 4, sarebbe "tutt'altro che irrazionale", atteso che ¾ "per il congiunto operare del testo novellato del comma 4 e delle norme in tema di riporto delle perdite" ¾ il contribuente può, ora, trasformare la perdita pregressa in credito d'imposta, con possibilità, dunque, di rimborso, ottenendo "un risultato ... non voluto dalla pur generosa legge del 1977 e comunque estraneo alla disciplina del riporto delle perdite".

Nell'evidenziare, poi, che, a seguito delle modifiche di cui agli artt. 26, comma 3, e 27, comma 1, del decreto-legge n. 69 del 1989 (convertito, con modificazioni, nella legge n. 154 del 1989), le norme contenute negli artt. 8, comma 3, e 102 del testo unico consentono di computare le perdite di un periodo di imposta a diminuzione dei redditi conseguiti nei cinque periodi successivi, per l'intero importo che trova capienza nel reddito complessivo di ciascuno di essi, la memoria sostiene che "la segnalata nozione di capienza sia poco coerente con la valorizzazione di perdite pregresse per produrre, tramite il credito d'imposta per i dividendi, una dichiarazione a credito e quindi una pretesa di rimborso".

Donde l'insussistenza della ipotizzata violazione dell'art. 76 della Costituzione.

4. Nell'imminenza dell'udienza hanno depositato memorie illustrative sia la MECFIN s.p.a., sia il Presidente del Consiglio dei ministri.

4.1. La MECFIN s.p.a. osserva che a fronte delle distorsioni create dalla disposizione denunciata ¾ distorsioni superate con l'art. 1, comma 1, lettera c), del decreto-legge n. 90 del 1990, soltanto dal periodo di imposta 1989 ¾ non é dato invocare quell'orientamento della giurisprudenza costituzionale che vede nel fluire del tempo un "idoneo elemento di differenziazione delle situazioni soggettive". Orientamento inidoneo non soltanto a "giustificare le discriminazioni originate ... all'interno del solo periodo di imposta 1988", ma ad escludere, in un'ottica diacronica, il giudizio di irrazionalità manifesta dell'art. 14, comma 4; giudizio cui é, in ogni caso, soggetta la discrezionalità del legislatore "nel valutare la diversità o l'identità delle situazioni sostanziali in relazione al fattore tempo".

Secondo la parte privata lo stesso legislatore avrebbe dato dimostrazione "ex ore suo" dell'irragionevolezza della disciplina stabilita per l'anno di imposta 1988, ripristinando, per il successivo periodo, "tal quale la disciplina in vigore sino al 31 dicembre 1987".

Ad avviso della MECFIN s.p.a., l'innovazione contenuta nell'art. 14, comma 4, del d.P.R. n. 917 del 1986 si pone in palese contrasto con la ratio dell'introduzione dell'istituto del credito d'imposta sui dividendi, in quanto attraverso la preclusione del computo di tale credito in aumento del reddito di periodo, impedisce di fatto il raggiungimento dell'obiettivo dell'elisione della doppia imposizione dei dividendi societari.

Sicchè, se può reputarsi discrezionale la scelta del legislatore di concedere o meno il credito d'imposta, "non altrettanto discrezionale una volta operata tale scelta di fondo é l'opzione in merito alla qualificazione di tale credito quale componente positiva della base imponibile del socio al pari del dividendo", atteso che solo tale assimilazione consente di pervenire al predetto obiettivo.

Quanto, poi, al prospettato contrasto con l'art. 76 della Costituzione, la memoria sostiene che la disposizione denunciata esula dall'ambito della delega, posto che, in base all'art. 1 della legge n. 68 del 1984, il legislatore poteva apportare, tanto alle norme delegate quanto a quelle delle leggi ordinarie, solo "le modificazioni necessarie per attuarne il coordinamento sistematico secondo principi unitari e per prevenire l'evasione fiscale".

Osserva, infine, la parte costituita che la pronuncia di incostituzionalità potrebbe essere evitata se la disposizione denunciata fosse interpretata nel senso di prevedere l'imputazione del credito di imposta sui dividendi al reddito complessivo prima della compensazione di quest'ultimo con le perdite pregresse; interpretazione, questa, che sarebbe consentita, tra l’altro, anche da una lettura sistematica dello stesso testo unico.

4.2. L'intervenuto Presidente del Consiglio dei ministri, nell'evidenziare, anzitutto, che il mod. 760 per il periodo di imposta 1988 "é perfettamente conforme non soltanto alla disposizione" denunciata, "ma anche al previgente art. 2 della legge 16 dicembre 1977, n. 904", ritiene che il "nucleo della questione" sia da ravvisare "nella rilevanza fiscale riconosciuta dalla legge alle perdite di esercizi precedenti".

A tal riguardo dopo aver escluso che le disposizioni di cui agli artt. 8, comma 3, e 102, comma 1, del testo unico prevedano che "le perdite pregresse diano luogo ad erogazioni da parte del fisco, ad una sorta di imposta sullo Stato a favore delle imprese in perdita" si osserva che, tramite "un minuscolo emendamento (soppressione della parola "netto") alla disciplina del credito di imposta, si é voluto, nel 1990, aprire la strada alla imposta al contrario". Un emendamento "contrastante, oltre che con la razionalità del sistema, anche con il principio di eguaglianza", essendo favorite solo le imprese che "presentano forti (e non altrimenti recuperabili) perdite di esercizi precedenti" e che "ricavano dividendi da partecipazioni (quindi soprattutto le società finanziarie)"; un emendamento, dunque, "irrazionale", al quale "si vorrebbe persino imprimere ... una retroattività espressamente esclusa dall'art. 14, comma 3, del decreto-legge 27 aprile 1990, n. 90".

Considerato in diritto

1. Con l'ordinanza in epigrafe, la Corte di Cassazione solleva questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), "nella sua formulazione originaria, rimasta in vigore per il solo 1988", secondo la quale "ai fini della determinazione dell'imposta l'ammontare del credito di imposta é computato in aumento del reddito complessivo netto".

2.Ad avviso del giudice a quo, la disposizione colliderebbe con:

- l'art. 76 della Costituzione, non trovando, quale norma "innovativa rispetto al passato", giustificazione alcuna, espressa o tacita, nella volontà del legislatore delegante, e non inquadrandosi "neanche nei principi generali contenuti nel sistema costruito fino al 31 dicembre 1987", tanto da "stravolgere un meccanismo studiato per risolvere al meglio il problema del credito di imposta vantato da chi ha già subito una ritenuta";

-l'art. 3 della Costituzione, avendo creato, per il fatto stesso di essere rimasta in vigore per il solo anno 1988, "una ingiustificata disparità di trattamento a danno dei contribuenti che in quell'anno avevano crediti d'imposta da compensare".

3. In via preliminare questa Corte deve meglio precisare il thema decidendum prospettato dall'ordinanza di rinvio. A tal proposito, va osservato che il dubbio di costituzionalità sollevato dal rimettente investe direttamente l'art. 14, comma 4, del d.P.R. n. 917 del 1986, nella sua originaria formulazione, ma, tuttavia, tale disposizione si rende applicabile alla fattispecie controversa nel giudizio a quo, solo in virtù del rinvio ad essa operato dall'art. 92 dello stesso d.P.R., la quale norma richiama, appunto, ai fini dell'imposta sul reddito delle persone giuridiche, la disciplina del credito d'imposta dettata dal citato art. 14 per i percettori di redditi soggetti all'IRPEF.

La questione di legittimità costituzionale va, pertanto, riferita non solo alla norma oggetto di rinvio, direttamente impugnata, ma anche, in combinato disposto con la prima, alla disposizione dell'art. 92 del d.P.R. n. 917 del 1986; integrazione, questa, che si rende possibile alla Corte giacchè, proprio dal complessivo tenore dell'atto di promovimento dell'incidente di costituzionalità, i termini della proposta questione risultano con sufficiente chiarezza nel senso ora indicato.

4. Onde meglio valutare, nella sua portata, la questione sollevata dal rimettente, va rammentato che l'art. 14, comma 4, del d.P.R. n. 917 del 1986 ha il suo antecedente nell'art. 1 della legge 16 dicembre 1977, n. 904, che, al fine di evitare la doppia imposizione sugli utili distribuiti dalle società commerciali, introdusse il credito di imposta in favore dei percettori dei dividendi. Istituto, questo, che ha formato oggetto, poi, di ulteriori interventi ad opera della legge 25 novembre 1983, n. 649, e del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 467, al fine di eliminare taluni inconvenienti applicativi e di realizzare la corrispondenza fra credito attribuito ai soci percettori dei dividendi ed imposta assolta dai soggetti erogatori degli stessi.

Per altro verso, il provvedimento con il quale fu introdotto il credito d'imposta, e cioé la legge n. 904 del 1977, considerando che detto credito si atteggiava come un'entrata in favore del percettore, dispose (art. 2) che esso fosse "computato, in aggiunta agli utili, nella determinazione del reddito imponibile del socio". Sull'argomento, il legislatore é, poi, tornato con l'art. 14, comma 4, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, prevedendo, "ai fini della determinazione dell'imposta", il computo del credito "in aumento del reddito complessivo netto" e, successivamente ancora, con l'art. 1 del decreto-legge 27 aprile 1990, n. 90, convertito, con modificazioni, nella legge n. 165 del 1990, che, modificando la formula del menzionato art. 14, comma 4, del d.P.R. n. 917 del 1986, ha espunto da essa l'aggettivo "netto".

5. Tale essendo, in breve sintesi, la normativa che, nel tempo, é venuta a riguardare l'istituto del credito d'imposta, é da osservare che la questione sollevata dal rimettente concerne la relativa disciplina non tanto in sè, ma in quanto destinata a combinarsi con quella del riporto delle perdite degli esercizi precedenti.

Il problema segnalato dal giudice a quo attiene, infatti, all'ipotesi in cui la società che percepisce il dividendo intenda, in sede di dichiarazione annuale dei redditi, far valere il credito d'imposta nell'ambito delle disposizioni che consentono di compensare il risultato positivo di un esercizio con le perdite degli esercizi precedenti.

Quanto a queste ultime giova ricordare che l'art. 17 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 598 ¾ in vigore all'epoca dell'emanazione del predetto d.P.R. n. 917 del 1986 ed analogo, nel suo tenore, a risalenti disposizioni (art. 25 della legge n. 1 del 1956 e art. 112 del d.P.R. n. 645 del 1958) ¾ consentiva di portare "la perdita di un periodo di imposta ... in diminuzione del reddito dei periodi di imposta" successivi, sia pure nei limiti del quinquennio. Tale disposizione, recepita nell'art. 102 del d.P.R. n. 917 del 1986, é stata poi modificata dall'art. 27, comma 1, del decreto-legge 2 marzo 1989, n. 69 (convertito, con modificazioni, nella legge 27 aprile 1989, n. 154), che, invece, ha stabilito che la perdita può "essere computata in diminuzione del reddito complessivo dei periodi di imposta successivi, ma non oltre il quinto, per l'intero importo che trova capienza nel reddito complessivo di ciascuno di essi".

Nel contesto della disciplina di cui sopra, il giudice a quo lamenta che la norma censurata ¾ immutando il criterio desumibile dalla precedente legislazione e, al tempo stesso, riconfermato dall'art. 1 del decreto-legge n. 90 del 1990 ¾ imponga di aggiungere l'ammontare del credito di imposta al reddito complessivo netto (art. 89 del d.P.R. n. 917 del 1986), e cioé al reddito già depurato delle perdite pregresse, con l'effetto di non consentire la compensazione di queste ultime, oltre che con il reddito complessivo di impresa (art. 95 del d.P.R. n. 917 del 1986), anche con l'ammontare dell'entrata corrispondente al credito predetto, che resta perciò assoggettato a tassazione.

Donde la asserita illegittimità del menzionato art. 14, comma 4, del d.P.R. n. 917 del 1986, per un verso, sotto il profilo dell'eccesso di delega e, per altro verso, sotto il profilo della disparità di trattamento.

6. Le censure non sono fondate.

In tema di leggi delegate questa Corte ha ripetutamente affermato che la determinazione dei principi e criteri direttivi, a mente dell'art. 76 della Costituzione, se vale a circoscrivere il campo della delega, sì da evitare che essa venga esercitata in modo divergente dalle finalità che l'hanno determinata, non osta, invece, all'emanazione di norme che rappresentino un coerente sviluppo e, se del caso, anche un completamento delle scelte espresse dal legislatore (sentenze n. 198 del 1998 e n. 117 del 1997).

Va escluso, infatti, che le funzioni del legislatore delegato siano limitate ad una mera "scansione linguistica" delle previsioni dettate dal delegante (sentenza n. 4 del 1992), essendo consentito al primo di valutare le situazioni giuridiche da regolamentare e di effettuare le conseguenti scelte, nella fisiologica attività di "riempimento" che lega i due livelli normativi, rispettivamente, della legge di delegazione e di quella delegata (sentenza n. 198 del 1998, già citata).

A questa logica appartiene anche la delegazione legislativa conferita al Governo per il coordinamento delle preesistenti disposizioni, quale potere normativo volto alla riconduzione in un quadro di coerenza sistematica di norme legislative contenute in precedenti disparati atti.

Ciò premesso, occorre considerare che il d.P.R. n. 917 del 1986 rinviene il suo originario fondamento nella delega conferita al Governo dall'art. 17, terzo comma, della legge n. 825 del 1971 per l'emanazione di testi unici in materia fiscale, con facoltà di apportare anche "le modifiche necessarie per il migliore coordinamento delle diverse disposizioni e per eliminare ogni eventuale contrasto con i principi e criteri direttivi" stabiliti dalla stessa legge n. 825 del 1971.

Tale delega é stata seguita, come é noto, da una serie di leggi che ne hanno comportato la proroga, il rinnovo e, talora, l'ampliamento, secondo indirizzi in cui si rinviene, come già rilevato da questa Corte (sentenza n. 38 del 1994), il persistente riferimento alle esigenze di coordinamento, di correzione ed integrazione delle disposizioni via via emanate.

Per quanto riguarda in particolare il denunciato art. 14, comma 4, il cui antecedente é rappresentato dall'art. 2 della legge n. 904 del 1977, va rammentato che la sua emanazione trova fondamento nell'art. 1 della legge 12 aprile 1984, n. 68, che, nel differire il termine per l'emanazione dei testi unici già previsti nel terzo comma dell'art. 17 della legge n. 825 del 1971, fissandolo al 31 dicembre 1985 (data, poi, ulteriormente spostata al 31 dicembre dell'anno successivo dall'articolo unico della legge 24 dicembre 1985, n. 777), ha ribadito la facoltà per il Governo di apportare, alle disposizioni che dovevano essere raccolte, non solo le "integrazioni e correzioni di cui al secondo comma dell'art. 17" della predetta legge n. 825 del 1971, ma pure "le modificazioni necessarie per attuarne il coordinamento sistematico secondo principi unitari e per prevenire l'evasione fiscale".

E ciò in vista di un obiettivo che, come si evince dagli stessi lavori preparatori, mirava anche "ad eliminare imperfezioni, imprecisioni o deroghe ai principi generali che rendono possibile o agevolano l'erosione, l'elusione o l'evasione delle imposte" (Atto Camera n. 823 della IX legislatura, relazione della IV Commissione permanente).

Il richiamo, da parte del legislatore delegante, alle accennate esigenze di coordinamento sistematico, da perseguire, se necessario, anche attraverso la modificazione della precedente normativa, induce a ritenere che il Governo non abbia esorbitato dai poteri ad esso spettanti nel riportare in un unico quadro normativo le preesistenti disposizioni.

Tra tali disposizioni rientrava, altresì, l'art. 2 della legge n. 904 del 1977, che si prestava, secondo la non implausibile ricostruzione della difesa erariale, anche ad essere intesa nel senso che il legislatore non avesse preso in considerazione il caso del sussistere di ancora utilizzabili perdite pregresse. Da ciò derivando un mancato raccordo tra la normativa del credito d'imposta e quella delle perdite pregresse, tale da comportare, quale conseguenza trascendente l'intento del legislatore, l'esclusione, in ipotesi come quella all'esame del giudice a quo, della tassazione dell'entrata corrispondente al credito d'imposta medesimo, con l'ulteriore effetto, in sede di liquidazione dell'imposta e nel relativo conteggio del dare e dell'avere, di una maggiore pretesa creditoria del percettore degli utili nei confronti del fisco.

Una conseguenza, dunque, che il legislatore delegato ha mirato ad escludere mercè la qualificazione del credito di imposta come elemento incrementativo del reddito complessivo netto. Con ciò evitandosi il risultato di produrre, attraverso la valorizzazione delle perdite pregresse, una dichiarazione a credito e quindi una pretesa di rimborso.

E' dato, perciò, concludere che la disposizione dell'art. 14, comma 4, del d.P.R. n. 917 del 1986, in quanto espressione di un potere di coordinamento non solo formale delle precedenti disposizioni, rimane pur sempre nei confini delle possibilità applicative desumibili dalla legge di delega.

7. Neppure può dirsi violato l'art. 3 della Costituzione, evocato dal rimettente per lamentare la disparità di trattamento che la medesima disposizione dell'art. 14, comma 4, per il fatto di essere rimasta in vigore per il solo anno 1988, comporterebbe "a danno dei contribuenti che in quell'anno avevano crediti d'imposta da compensare".

A proposito di tale censura, con la quale la Corte viene chiamata a sindacare la portata temporale della modifica legislativa introdotta con la predetta norma, non può non rilevarsi che l'istituto del credito di imposta ¾ in presenza di soggetti e di presupposti impositivi che il legislatore avrebbe, volendo, potuto considerare distintamente ¾ risponde ad esigenze di mera opportunità, discrezionalmente valutate dal legislatore medesimo, in riferimento sia all'an, sia al quomodo e cioé allo stesso meccanismo operativo quanto agli elementi che lo compongono. Come parimenti espressione di discrezionalità può reputarsi il rilievo fiscalmente conferito dalla legge alle perdite pregresse, il cui riporto costituisce una deroga al principio per il quale la tassazione é dovuta per periodi di imposta (ordinanza n. 54 del 1988).

Il fatto che si verta in una materia che non implica scelte costituzionalmente vincolate, consente, pertanto, al legislatore di modulare, diversamente nel tempo (sentenze n. 410 del 1995 e n. 18 del 1994), la relativa disciplina; e ciò tanto più in presenza di esigenze di coordinamento quali quelle innanzi rammentate.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 14, comma 4, nella sua formulazione originaria, e 92 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 76 della Costituzione, dalla Corte di cassazione, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 giugno 2002.

Cesare RUPERTO, Presidente

Massimo VARI, Redattore

Depositata in Cancelleria il 3 luglio 2002.