Sentenza n. 207 del 1996

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SENTENZA N. 207

ANNO 1996

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Avv. Mauro FERRI, Presidente

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

-     Prof. Valerio ONIDA

-     Prof. Carlo MEZZANOTTE

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio promosso con ricorso della Regione Sardegna, notificato il 10 agosto 1995, depositato in cancelleria l'11 successivo, per conflitto di attribuzione sorto a seguito del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro del tesoro, del 27 maggio 1995, nella parte in cui con esso è stato disposto il collocamento fuori ruolo presso il Dipartimento per i servizi tecnici nazionali della Presidenza del Consiglio dell'Ing. Antonio Trombetti, dirigente della Regione Sardegna; nonché, per quanto possa occorrere, del conseguente telegramma del Segretario Generale della Presidenza del Consiglio dei ministri del 15 giugno 1995, con il quale il suddetto decreto è stato comunicato alla Regione Sardegna; iscritto al n. 27 del registro conflitti 1995.

Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 6 febbraio 1996 il Giudice relatore Riccardo Chieppa;

udito l'avvocato Sergio Panunzio per la Regione Sardegna.

Ritenuto in fatto

1.-- Con ricorso notificato in data 10 agosto 1995, la Regione Sardegna ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato in relazione al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 27 maggio 1995 -- nonché "per quanto possa occorrere", al successivo provvedimento rappresentato dal telegramma del 15 giugno 1995, della stessa Presidenza del Consiglio, con il quale il suddetto decreto è stato comunicato alla Regione Sardegna -- nella parte in cui viene disposto il collocamento fuori ruolo, presso il Dipartimento per i servizi tecnici nazionali della Presidenza del Consiglio, dell'Ing. A. Trombetti, dirigente della Regione Sardegna.

La ricorrente, richiamate le proprie attribuzioni in materia di ordinamento degli uffici regionali e di stato giuridico ed economico del relativo personale (legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3), garantite dagli artt. 3 e 6 dello statuto di autonomia e relative disposizioni di attuazione, sottolinea che l'ordinamento degli uffici e lo stato giuridico del personale regionale sono stati organicamente disciplinati con legge regionale 17 agosto 1978, n. 51 e successive modificazioni.

Tanto premesso, la ricorrente espone di aver ricevuto in data 19 giugno 1995 un telegramma della Presidenza del Consiglio con il quale le veniva comunicato che -- in applicazione dell'art. 7, comma 2, del decreto-legge 8 agosto 1994, n. 507, convertito nella legge 21 ottobre 1994, n. 584 -- l'Ing. A. Trombetti, dipendente della Regione Sardegna, era stato -- con d.P.C.m. 27 maggio 1995 -- collocato fuori ruolo presso il Dipartimento servizi tecnici nazionali della Presidenza del Consiglio, per tre anni, a partire dal 26 giugno 1995.

La ricorrente aggiunge di avere dato corso alla richiesta inoltrata dalla Presidenza del Consiglio, anche in considerazione del fatto che la normativa da quest'ultima invocata attiene ad "esigenze di pubblica incolumità", sottolineando contestualmente, con fonogramma del 23 giugno 1995, che il detto d.P.C.m. era lesivo delle proprie competenze e che, pertanto, si riservava di proporre ricorso per conflitto di attribuzioni. Si aggiunge, altresí, nel ricorso, che con successiva nota del 4 luglio 1995, la Presidenza del Consiglio dei ministri comunicava alla Regione la presa di servizio dell'Ing. Trombetti presso il Dipartimento predetto, trasmettendo, altresí, copia del d.P.C.m. 27 maggio 1995.

Ciò premesso, la ricorrente ritiene che il d.P.C.m. 27 maggio 1995 violi la propria competenza esclusiva in materia di ordinamento degli uffici e dello stato economico e giuridico del proprio personale garantita dagli artt. 3 e 6 dello statuto speciale per la Sardegna (legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3) e relative norme di attuazione, nonché gli artt. 115 e 116 della Costituzione.

Si rileva, infatti, nel ricorso che in virtù delle predette norme statutarie i dipendenti dell'Amministrazione regionale sono sottoposti "esclusivamente" al potere organizzativo della Regione, la quale soltanto può adottare provvedimenti modificativi del rapporto di servizio dei propri dipendenti, quali i provvedimenti di "comando", di "distacco" e di "collocamento fuori ruolo", del resto, compiutamente disciplinati dagli artt. 28 e ss. della legge della Regione Sardegna n. 51 del 1978 succitata.

Si osserva, inoltre, che il collocamento fuori ruolo, determinando una vacanza temporanea nel ruolo, incide "in modo particolarmente rilevante" sull'organizzazione ammi nistrativa della Regione, configurandosi, peraltro, nella specie, come retaggio di concezioni dell'amministrazione pubblica superate e certamente non in linea con la Costituzione che garantisce le autonomie.

La ricorrente evidenzia, altresí, che il decreto dispone autoritativamente ed unilateralmente del rapporto di servizio di dipendente della Regione ed ha un contenuto "assolutamente specifico e puntuale" e, pertanto, preclusivo di qualsivoglia spazio di intervento regionale in ordine alla attuazione del provvedimento statale.

Ne consegue -- ad avviso della ricorrente -- l'assoluta inidoneità del predetto decreto a porsi come atto di indirizzo e di coordinamento, come tale costituzionalmente idoneo a condizionare l'esercizio della potestà esclusiva della Regione in ordine alla organizzazione dei propri uffici e del proprio personale.

Al riguardo mancherebbero, del resto, anche i requisiti formali propri degli atti amministrativi di indirizzo e coordinamento. Infatti la disposizione legislativa su cui risulta fondato (art. 7, comma 2, del decreto-legge n. 507 del 1994) configurerebbe il decreto del Presidente del Consiglio come un atto immediatamente dispositivo del collocamento fuori ruolo del personale e non già come atto che indirizzi a disporre in tal senso gli enti diversi dallo Stato ai cui ruoli il personale appartiene.

Sotto quest'ultimo profilo, peraltro, si osserva che la collocazione fuori ruolo del personale regionale disposta dal decreto impugnato non troverebbe fondamento nella disciplina legislativa cui la Presidenza del Consiglio dei ministri afferma di dare esecuzione. L'art. 7, comma 2, del d.l. n. 507 del 1994, come convertito e modificato dalla legge n. 584 del 1994, attribuendo al Presidente del Consiglio il potere di individuare cento unità di personale "appartenenti alle amministrazioni statali, anche ad ordinamento autonomo e ad enti pubblici inclusi quelli economici" al fine di disporne il collocamento in posizione di fuori ruolo presso il Dipartimento per i servizi tecnici nazionali, non concernerebbe affatto le Regioni, ma solo gli enti pubblici "strumentali" (o dipendenti) dello Stato, fra cui anche quelli "economici". La lettura in tal senso dell'art. 7 succitato sarebbe confermata dal successivo art. 8 del decreto-legge n. 507 del 1994 il quale, disciplinando il comando del personale dei servizi tecnici nazionali, dispone che lo stesso può riguardare anche personale proveniente dalle Regioni. Tutto ciò dimostrerebbe, secondo la ricorrente, che quando il decreto-legge n. 507 del 1994 ha inteso comprendere anche le Regioni fra gli enti pubblici -- del cui personale la Presidenza del Consiglio può avvalersi per i propri uffici -- lo ha fatto in modo espresso e inequivoco.

D'altro canto, la circostanza che il collocamento fuori ruolo non concerna il personale regionale, a differenza di quanto previsto in ordine al comando, risponderebbe -- secondo la Regione Sardegna -- ad un criterio del tutto razionale.

Invero, il collocamento fuori ruolo avrebbe, rispetto al comando, una maggiore incidenza sulla organizzazione degli uffici regionali, non senza considerare la maggiore onerosità del primo rispetto al secondo, posto che, in virtù del comma 2 del succitato art. 7 del d.l. n. 507 del 1994, il trattamento economico del personale collocato fuori ruolo continua ad essere corrisposto dalle amministrazioni di appartenenza. Nel caso del comando presso altri enti pubblici, invece, opererebbe, secondo la ricorrente, la statuizione contenuta nell'art. 57, terzo comma, del d.P.R. n. 3 del 1957 per la quale "alla spesa del personale comandato provvede direttamente l'ente presso cui tale personale presta servizio".

Da ultimo la ricorrente rileva che il d.P.C.m. impugnato stabilisce (art. 3) che la spesa relativa al trattamento economico fondamentale del personale di cui all'art. 1, e quindi anche del personale proveniente dalle Regioni, resta a carico delle amministrazioni di appartenenza.

Secondo la Regione Sardegna detta statuizione sarebbe derogatoria della disciplina generale del collocamento fuori ruolo in virtù della quale il trattamento economico per il personale fuori ruolo ricadrebbe sull'ente presso cui detto personale presta servizio.

Inoltre la statuizione di cui all'art. 3 dell'impugnato d.P.C.m. sarebbe, altresí, gravemente lesiva della autonomia finanziaria regionale, costituzionalmente garantita (artt. 116 e 119 della Costituzione, e 7 e 8 dello statuto speciale). Infatti, porre a carico della finanza regionale l'organizzazione ed il funzionamento di uffici statali, significherebbe sottrarre alla Regione le risorse economiche necessarie all'adempimento delle proprie funzioni e quindi equivarrebbe in concreto a limitare l'esercizio delle funzioni regionali.

Infine, ed in via "del tutto subordinata", si deduce la violazione del principio di leale collaborazione in quanto sarebbe mancata nella fattispecie qualsivoglia procedura atta a richiedere il consenso o comunque la partecipazione della ricorrente. La Presidenza del Consiglio avrebbe, infatti, comunicato il suddetto collocamento fuori ruolo con telegramma 15 giugno 1995 "a cose fatte", oltre due settimane dopo avere emanato il d.P.C.m. 27 maggio 1995.

2.-- Si è costituito nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la inammissibilità e l'infondatezza del ricorso.

Nell'imminenza dell'udienza l'Avvocatura generale dello Stato ha presentato una memoria con la quale illustra le ragioni a sostegno delle conclusioni formulate nell'atto di costituzione.

In particolare l'Avvocatura ritiene che -- nella specie -- non sussistano gli estremi per configurare un conflitto di competenze, in quanto non sarebbe "in gioco" né la potestà legislativa esclusiva della Regione in materia di ordinamento degli uffici regionali e di stato giuridico ed economico del personale, né la connessa potestà amministrativa.

Ciò premesso, ad avviso dell'Avvocatura, il provvedimento di collocamento fuori ruolo, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, di un dipendente regionale, non inciderebbe sull'ordinamento degli uffici regionali, né lederebbe lo stato giuridico ed economico del funzionario interessato, limitandosi a determinare una vacanza temporanea nei ruoli del personale, colmabile con il corrispondente soprannumero.

Sotto altro profilo, l'Avvocatura osserva che il provvedimento impugnato è del tutto conforme al disposto contenuto nell'art. 7, comma 2, del d.l. n. 507 del 1994, con riguardo al quale la ricorrente avrebbe dovuto tempestivamente sollevare questione di legittimità costituzionale.

Quanto all'ambito di operatività dell'art. 7 succitato che, secondo la ricorrente, escluderebbe il personale delle amministrazioni regionali, l'Avvocatura sostiene che trattandosi di una questione meramente interpretativa avrebbe dovuto essere sottoposta alla cognizione del giudice amministrativo al quale avrebbero potuto essere pure proposti i profili di illegittimità costituzionale della norma non tempestivamente impugnata ai fini di una eventuale rimessione a questa Corte.

Al riguardo, l'Avvocatura ritiene, tuttavia, che l'art. 7, più volte citato, comprenda nel proprio ambito di applicazione anche le amministrazioni regionali, in quanto l'espressione del legislatore "amministrazioni ed enti pubblici" comprenderebbe anche le Regioni.

Ciò sarebbe confermato anche dall'art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 29 del 1993, dove l'espressione "amministrazioni pubbliche" contemplerebbe anche le Regioni, e così pure dalla legge 29 marzo 1983, n. 93.

Da ultimo l'Avvocatura rileva che le funzioni della Regione devono comunque svolgersi in armonia con i principi dell'ordinamento giuridico dello Stato e nel rispetto degli interessi regionali sicché il succitato art. 7, comma 2, anche se potesse considerarsi attinente a materie di competenza regionale, sarebbe comunque costituzionalmente legittimo in quanto volto al perseguimento di interessi di carattere nazionale e, pertanto, riconducibile al limite che caratterizza la potestà legislativa e amministrativa regionale, posto dalle stesse norme statutarie.

Considerato in diritto

1.-- Il conflitto sollevato dalla Regione Sardegna pone all'esame della Corte costituzionale le seguenti questioni: a) se violi la potestà esclusiva della Regione Sardegna, in materia di ordinamento degli uffici (artt. 3 e 6 dello statuto speciale e relative norme di attuazione, nonché artt. 115 e 116 della Costituzione), il d.P.C.m. 27 maggio 1995, comunicato alla Regione Sardegna con telegramma del 15 giugno 1995, avente per oggetto l'individuazione del personale dipendente della Regione Sardegna (Ing. A. Trombetti) da adibire alle necessità dei servizi tecnici nazionali della Presidenza del Consiglio dei ministri e contenente il relativo collocamento fuori ruolo; b) se il detto d.P.C.m. sia, altresí, lesivo della autonomia finanziaria della Regione (garantita dagli artt. 7 ed 8 dello statuto speciale -- legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 -- e relative norme di attuazione, e dagli artt. 116 e 119 della Costituzione), considerato che l'atto impugnato prevede (art. 3) che la spesa relativa al trattamento economico del personale collocato fuori ruolo resti a carico delle amministrazioni di appartenenza; c) se in via del tutto subordinata, ove si ritenesse ammissibile il collocamento fuori ruolo di personale regionale, non sia, altresí, violato il principio di leale collaborazione, posto che il provvedimento impugnato è stato assunto senza il consenso o comunque la partecipazione della ricorrente.

2.-- Preliminarmente deve essere rigettata l'eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla Avvocatura generale dello Stato, in quanto dalla stessa enunciazione dell'oggetto del ricorso e del contenuto delle questioni sottoposte risulta evidente che viene in gioco un disconoscimento dell'ambito della competenza amministrativa della Regione sul proprio personale, contestandosi in radice il potere dello Stato di disporre il collocamento fuori ruolo di personale regionale e la utilizzazione da parte dello stesso Stato, indipendentemente dal concorso della volontà dell'ente Regione ed anzi contro la sua volontà, con effetti economici a carico della stessa Regione ed in mancanza di suo consenso od intesa.

In realtà il decreto contenente il collocamento fuori ruolo, oggetto del ricorso, non "determina semplicemente, in via conseguenziale, una vacanza temporanea" nei ruoli del personale regionale, ma viene ad incidere sul potere della Regione di disporre del proprio personale, stabilendo una utilizzazione per finalità istituzionali statali e un onere retributivo che permane a carico della Regione, nonostante che il rapporto di servizio venga mutato. Infatti, le prestazioni effettuate in virtù del predetto collocamento fuori ruolo sono destinate, in via esclusiva, al Dipartimento per i servizi tecnici nazionali istituiti presso la Presidenza del Consiglio, ed in particolare nell'ambito di necessità urgenti in materia di dighe (d.l. 8 agosto 1994, n. 507, preambolo e art. 7).

Né può sostenersi -- come afferma l'Avvocatura generale dello Stato -- sul piano della ammissibilità del ricorso che la Regione avrebbe dovuto tempestivamente impugnare il d.l. n. 507 del 1994 insieme alla legge di conversione 21 ottobre 1994, n. 584, in quanto il provvedimento censurato non rappresentava affatto una scelta obbligata ed univoca, per cui la lesione delle attribuzioni regionali si è prodotta solo in sede di concreta applicazione della predetta legge, avendo la Presidenza del Consiglio adottato, con il decreto impugnato, una interpretazione non conforme ai principi sui rapporti Stato-Regioni ed in lesione della competenza amministrativa regionale costituzionalmente garantita.

E' vero che la determinazione dell'ambito di operatività dell'art. 7 succitato in ordine alla possibilità di comprendere anche personale regionale tra i dipendenti suscettibili di collocamento fuori ruolo (e si può aggiungere anche la procedura relativa con l'intervento adesivo della Regione) costituisce una questione interpretativa, ma è proprio attraverso una distorta interpretazione ed applicazione concreta con un atto amministrativo che si può configurare la lesione della sfera di competenza regionale, come tale suscettibile di essere tutelata avanti a questa Corte in sede di confitto di attribuzione (sentenza n. 153 del 1986).

3.-- Da un esame globale del citato art. 7, comma 2, del d.l. n. 507 del 1994, può trarsi il convincimento che non si può escludere che anche personale regionale possa essere oggetto di provvedimento di collocamento fuori ruolo presso il Dipartimento per i servizi tecnici nazionali (in base alle dichiarate esigenze del decreto-legge), in quanto il legislatore ha fatto riferimento ad appartenenti ad amministrazione, sia statale (ivi comprese quelle ad ordinamento autonomo) sia di enti (compresi quelli economici) purché pubblici con riferimento al c.d. settore pubblico allargato, e quindi con possibilità di ricomprendere tutta l'amministrazione pubblica.

Nè può valere il richiamo effettuato dalla difesa della Regione alla diversa formulazione esplicita e puntuale dell'art. 8, comma 1, del citato d.l. n. 507 del 1994, in quanto trattasi di un chiarimento con funzione interpretativa di altre ipotesi, per di più inserito in un testo legislativo disomogeneo.

Sul piano della razionalità della norma dell'art. 7 citato non può essere trascurata né la finalità complessiva dell'intervento legislativo ("rischio per le popolazioni" "urgenti necessità operative", esigenza di personale "con professionalità specialistiche"), né la presenza di personale prevalentemente delle Regioni qualificato alle funzioni in materia di dighe, in relazione all'espletamento di competenze regionali specifiche nel settore degli sbarramenti ed invasi minori (v., ad esempio, art. 10, comma 4, della legge 18 maggio 1989, n. 183, sostituito poi, con ampliamento della competenza, dall' art. 1, comma 4, del d.l. 8 agosto 1994, n. 507, convertito nella legge 21 ottobre 1994, n. 584; art. 24, comma 1, lettera e), del d.P.R. 24 gennaio 1991, n. 85).

4.-- Il ricorso è fondato sotto il profilo della mancata intesa con la Regione Sardegna.

Infatti la prevista deroga agli ordinamenti delle amministrazioni e degli enti di appartenenza deve logicamente (su di un piano anche di scelta dovuta di interpretazione conforme a Costituzione) intendersi limitata alle previsioni dei casi di collocamento fuori ruolo e alle procedure interne previste nei singoli ordinamenti (intervento di particolari organi, come il consiglio di amministrazione ecc.); non può invece avere valore di deroga generale, estesa anche alle procedure esterne relative ai rapporti tra Stato ed enti dotati di autonomia e titolari di competenze costituzionalmente garantite, quali le Regioni.

Infatti la deroga anzidetta, come formulata, non può arrivare fino a consentire allo Stato di disporre unilateralmente (a parte l'assenso dell'interessato) di personale regionale, indipendentemente e senza il consenso o, comunque, senza la partecipazione della Regione interessata.

Deve, pertanto, essere affermato che l'utilizzazione da parte dello Stato di personale regionale, ancorché per un triennio, (sia pure, come nella fattispecie, per urgenti esigenze "di pubblica incolumità", tali ritenute con intervento legislativo di urgenza e non contestate dalla Regione che, con senso di responsabilità, pur esternando la volontà contraria e la riserva di sollevare conflitto di attribuzione, autorizzò il dipendente ad ottemperare all'invito della Presidenza del Consiglio), non può avvenire unilateralmente, ma solo con l'accordo della Regione. Tale accordo può esplicarsi nelle forme dell'intesa, sia mediante partecipazione attiva al procedimento come, ad esempio, con la indicazione del personale disponibile, sia con la formale messa a disposizione incondizionata e senza riserve di personale.

In altri termini occorre una partecipazione di volontà regionale nell'ambito del principio di leale collaborazione tra Stato e Regione (sentenza n. 351 del 1991) e quindi vi è esigenza di una vera e propria intesa (c.d. "intesa forte") quando lo Stato vuole utilizzare, in posizione di fuori ruolo con esclusivo servizio, o in equivalente posizione, personale regionale.

5.-- Il ricorso è fondato anche sotto l'ulteriore profilo che l'atto impugnato dispone che l'onere della spesa relativa al trattamento economico del dipendente della Regione Sardegna collocato fuori ruolo debba restare a carico della stessa Regione, anche senza alcun suo assenso, con ciò violando i principi di autonomia finanziaria e dei rapporti tra Stato e Regione garantiti dallo statuto speciale (artt. 7 e 8 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3; artt. 116 e 119 della Costituzione).

E' vero che l'art. 7 del d.l. n. 507 del 1994, convertito nella legge 21 ottobre 1994, n. 584, prevede il mantenimento dell'onere a carico delle amministrazioni di provenienza, ma questa previsione deve essere interpretata in modo conforme a Costituzione, cioè nel senso che può riferirsi in via normale all'ambito delle amministrazioni statali e di quelle gravanti sul bilancio statale (come del resto il sistema della copertura dell'onere finanziario del personale che verrà "inquadrato" in ruolo "anche in soprannumero" con "corrispondente riduzione degli organici"). Invece la previsione non può applicarsi alle ipotesi in cui il collocamento fuori ruolo riguarda personale dipendente dalla Regione, cioè da un ente con bilancio e finanza autonomi (garantiti costituzionalmente) rispetto allo Stato, in mancanza di intesa anche sull'accollo dell'onere da parte dell'ente stesso.

In conclusione il ricorso deve essere accolto nei termini precisati, con conseguente annullamento dell'atto impugnato limitatamente all'unica unità del personale della Regione Sardegna (Ing. Antonio Trombetti) oggetto di individuazione e di collocamento fuori ruolo.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara che non spetta allo Stato, in mancanza di intesa con la Regione, individuare nominativamente personale dipendente dalla Regione Sardegna "per le urgenti necessità operative dei Servizi tecnici nazionali della Presidenza del Consiglio dei Ministri" e disporne il collocamento fuori ruolo, mantenendo a carico della Regione l'onere relativo;

annulla, di conseguenza, il d.P.C.M. 27 maggio 1995 nella parte relativa a personale della Regione Sardegna.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 giugno 1996.

Mauro FERRI, Presidente

Riccardo CHIEPPA, Redattore

Depositata in cancelleria il 21 giugno 1996.