SENTENZA
N. 180
ANNO 1994
REPUBBLICA
ITALIANA
In
nome del Popolo Italiano
composta dai signori:
Presidente
Prof. Gabriele PESCATORE
Giudici
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Giuliano VASSALLI
Prof. Francesco GUIZZI
Prof. Cesare MIRABELLI
Avv. Massimo VARI
Dott. Cesare RUPERTO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt.
1, 2 e 3 della legge 11 gennaio 1986, n. 3 (Obbligo dell'uso del casco
protettivo per gli utenti di motocicli, ciclomotori e motocarrozzette;
estensione ai motocicli e ciclomotori dell'obbligo del dispositivo retrovisivo)
e 171, comma 1, lettere a) e b), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n.285
(Nuovo codice della strada) promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa l'11 maggio 1993 dal
Pretore di Salerno nel procedimento civile vertente tra Farina Giuseppe ed il
Prefetto di Salerno iscritta al n. 438 del registro ordinanze
1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 35, prima
serie speciale, dell'anno 1993;
2) ordinanza emessa l'8 luglio 1993 dal
Pretore di Milano nei procedimenti civili riuniti, vertenti tra Pagani Giovanni
ed il Prefetto di Milano iscritta al n. 646 del registro
ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.
44, prima serie speciale, dell'anno 1993.
Visti gli atti di intervento del
Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 23 febbraio 1994 il
Giudice relatore Vincenzo Caianiello.
Ritenuto in fatto
1.- Con ordinanza dell'11 maggio 1993
(reg. ord.n. 438 del 1993), emessa nel corso di un
giudizio di opposizione avverso un'ordinanza-ingiunzione irrogativa
di sanzione amministrativa, il Pretore di Salerno ha sollevato questioni di
legittimità costituzionale: a) "del regime sanzionatorio introdotto dagli
artt. 1, 2, e 3" della legge 11 gennaio 1986 n. 3 (Obbligo dell'uso del
casco protettivo per gli utenti di motocicli, ciclomotori e motocarrozzette;
estensione ai motocicli e ciclomotori dell'obbligo del dispositivo
retrovisivo), in riferimento agli artt. 3 e 32 della Costituzione; b) degli
stessi articoli e dell'art. 171, comma 1, lettere a) e b), del decreto
legislativo 30 aprile 1992 n.285 (Nuovo codice della strada), in riferimento
agli artt. 3, primo comma, 13, primo comma e 16, primo comma,
della Costituzione, "nella parte in cui obbligano a comportamenti diversi
cittadini maggiorenni (i ciclomotoristi ed i motociclisti) che si trovano nelle
medesime condizioni (circolazione urbana a bassa velocità imposta, su veicoli a
motore a due ruote)" nonchè, in riferimento
all'art. 32 della Costituzione, "nella parte in cui ... impongono al
cittadino maggiorenne che si ponga alla guida di un motociclo di indossare il
casco protettivo", là dove il parametro costituzionale autorizza
"forme di ingerenza del potere statale nella sfera individuale del
cittadino solo quando sia posto in pericolo il diritto alla salute di terzi
individui".
Il giudice a quo denuncia per
irragionevolezza il regime sanzionatorio, previsto dall'art. 3 della legge n. 3
del 1986, per l'inottemperanza all'obbligo di usare il casco protettivo, in
relazione a diverse ipotesi disciplinate con minore se verità dal codice della
strada, nel testo vigente all'epoca della commessa infrazione. Così, a fronte
di una sanzione amministrativa da lire 100 mila a lire 500 mila, prevista dalla
norma impugnata per il comportamento omissivo di un soggetto che pone in
pericolo esclusivamente la propria salute, il precedente codice della strada (d.P.R. 15 giugno 1959 n. 393 e successive modifiche) puniva
con più modeste sanzioni colui che, durante la guida, manteneva una velocità
tale da porre in pericolo l'altrui incolumità (art. 102) o colui che violava le
disposizioni in tema di sorpasso, mettendo a repentaglio la vita di terze
persone (art. 106).
Parimenti irragionevole sarebbe la
disparità del trattamento sanzionatorio previsto dalla norma denunciata
rispetto a quello disciplinato, in modo più mite, dalla legge 22 aprile 1989 n.
Il giudice a quo denuncia ancora
l'irragionevolezza del "sistema" che riserva un diverso trattamento
ai maggiorenni conducenti di motoveicoli nel centro urbano, ove vige il limite
di velocità di
Così, sia la legge n. 3 del 1986 che
l'art. 171, comma 1, lettere a) e b) del nuovo codice della strada (decreto
legislativo n. 285 del 1992), che ha riprodotto sostanzialmente le disposizioni
precedenti, sarebbero discriminatori nella parte in cui obbligano a
comportamenti diversi cittadini maggiorenni (ciclomotoristi e motociclisti) che
si trovano nelle medesime condizioni (ovverosia circolazione urbana a bassa
velocità imposta, su veicoli a motore a due ruote) e ciò in contrasto con gli
artt. 3, primo comma, 13, primo comma, e 16, primo
comma, della Costituzione.
Le medesime norme sarebbero poi lesive
dell'art. 32 della Costituzione, perchè impongono un
obbligo che si sostanzia in un trattamento sanitario preventivo. Infatti mentre è giustificabile la sottoposizione a obblighi
coercitivi per ragioni sanitarie quando vi sia pericolo per il diritto alla
salute di terzi, sembra illegittima la coercizione dettata da un "mero
interesse" della collettività alla tutela della salute del singolo o da
motivazioni riconducibili a generiche esigenze di limitazione dei costi
economici derivanti alla collettività dagli incidenti stradali.
2.- Nel corso di altro giudizio di
opposizione a ordinanza- ingiunzione irrogativa di
sanzione amministrativa, il Pretore di Milano, con ordinanza dell'8 luglio 1993
(reg.ord. n. 646 del 1993), ha sollevato questione di
legittimità costituzionale degli artt. 1,2 e 3 della legge 11 gennaio 1986 n.
3.- In entrambi i giudizi è intervenuto
il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, per sostenere in primo luogo
l'inammissibilità, per irrilevanza, della questione di legittimità
costituzionale dell'art. 171 del d.P.R.30 aprile 1992
n. 285, entrato in vigore in epoca successiva a quella della commessa
infrazione e quindi inapplicabile nel giudizio a quo (reg. ord.
n. 438 del 1993) ai sensi dell'art. 237 dello stesso testo legislativo, e, nel
merito, contestando tutte le censure.
In particolare, quanto alla denuncia che
l'imposizione del casco si sostanzierebbe in un inammissibile trattamento
sanitario obbligatorio, la difesa dello Stato afferma che l'individuo non ha la
libertà incondizionata di esporre la propria vita o la propria incolumità a
rischi inutili e che è interesse della collettività che i singoli conservino la
propria integrità fisica, anche attraverso l'uso obbligatorio del casco
protettivo, non tanto per limitare le spese a carico del servizio sanitario
nazionale, come si adombra in una delle ordinanze di rimessione, quanto
piuttosto per l'esigenza di evitare costi umani e sociali connessi alla
mortalità e alle morbosità che possono dipendere dalla inosservanza
delle misure di sicurezza imposte.
Quanto poi all'altra censura, relativa
ad una pretesa sproporzione della sanzione in esame rispetto a quelle previste
per altre infrazioni, negli stessi atti difensivi si osserva che va
riconosciuta al legislatore un'ampia discrezionalità in tema di graduazione
delle sanzioni amministrative pecuniarie, salva la loro manifesta arbitrarietà
o irragionevolezza che nella specie non ricorrono, anche perchè
le condotte messe a raffronto, non essendo omogenee, non sono comparabili.
Circa, infine, il trattamento
discriminatorio che si riserverebbe, nella circolazione urbana, ai conducenti
di motoveicoli maggiorenni rispetto ai conducenti di ciclomotori, sempre
maggiorenni ed esonerati dall'uso del casco, l'Avvocatura generale dello Stato
ricorda la giurisprudenza di questa Corte la quale esclude che da una
disciplina speciale derogatoria possa trarsi un principio per inficiare il
regime ordinario (sentt. nn. 383 e 190 del 1992; 490 e 75 del 1991; ord.
n. 316 del 1991). Rileva inoltre che è inesatta l'affermazione circa
l'esistenza del limite di velocità di
Considerato in diritto
1.- É stata sollevata questione di
legittimità costituzionale degli artt. 1, 2 e 3 della legge n. 3 del 1986 - che
impongono l'obbligo di indossare il casco di protezione per i motociclisti -
assumendosi (ord.n. 438 del 1993 del Pretore di
Salerno) che essi violerebbero: a) l'art. 3 Cost., per trattamento
irragionevolmente più severo rispetto ad altri comportamenti puniti con
sanzioni più modeste sia dal codice della strada nel testo vigente all'epoca
dell'infrazione (d.P.R. n.393 del 1959 e successive
modifiche), sia dalla legge n.143 del
Con l'ordinanza n. 646 del 1993 del
Pretore di Milano si sostiene che gli stessi artt. 1, 2 e 3 della legge n. 3
del 1986 violerebbero l'art. 3 della Costituzione: e) per disparità di
trattamento, in quanto obbligano solo i minorenni ad indossare il casco quando
siano alla guida di ciclomotori ed esonerano invece i maggiorenni, pur in
presenza di un sostanziale identico rischio; f) per irragionevolezza, in quanto
obbligano chiunque ad indossare il casco, quando sia alla guida di motoveicoli
oltre i 50 c.c., senza considerare che tali veicoli, almeno in ambito urbano, presentano una pericolosità identica a quella dei
ciclomotori.
2.- I due giudizi possono essere riuniti
e decisi con unica pronunzia, perchè riguardano
questioni analoghe.
3.- Va preliminarmente condivisa
l'eccezione, sollevata dall'Avvocatura generale dello Stato, di inammissibilità
della questione riguardante l'art. 171, comma 1, lettere a) e b) del nuovo
codice della strada (approvato con d.P.R. 30 aprile
1992, n. 285), non dovendo di esso fare applicazione il giudice a quo (reg. ord. n. 438 del 1993), in quanto i fatti oggetto del
giudizio al suo esame sono anteriori all'entrata in vigore di detta norma.
4. - Nel merito le questioni riguardanti
gli artt. 1, 2 e 3 della legge 11 gennaio 1986, n. 3, sollevate con entrambe le
ordinanze, non sono fondate.
Relativamente alla questione riferita
all'art. 3 della Costituzione sotto il profilo della "manifesta
irragionevolezza del severo regime sanzionatorio previsto dall'art. 3"
della legge 11 gennaio 1986, n. 3 (che stabiliva, per chi non indossa il casco,
come prescritto, la sanzione amministrativa da lire
L'ordinanza (reg.ord.
n. 438 del 1993) assume a raffronto, con le indicate sanzioni previste dalle
norme impugnate, quelle stabilite dall'abrogato codice della strada per
comportamenti che, si asserisce, ponevano a repentaglio l'altrui incolumità:
come nel caso dell'art. 102, che, per il superamento di limiti di velocità,
prevedeva la sanzione pecuniaria da lire
Osserva
Nè può seguirsi l'ordine di idee del
giudice a quo circa la maggiore pericolosità delle altre ipotesi,
invocate a raffronto, e punibili con sanzioni meno elevate, trattandosi di
apprezzamenti compiuti dal legislatore che, se mantenuti nei limiti della
ragionevolezza, come nella specie, non sono censurabili in sede di sindacato di
costituzionalità.
Così, parimenti, non può ritenersi in sè dimostrativa della irragionevolezza
della misura della sanzione amministrativa in questione, l'avvenuta sua
equiparazione, in occasione della emanazione del nuovo codice della strada, a
quella prevista per l'inosservanza dell'obbligo di indossare le cinture di
sicurezza. Considerando che, per le ragioni già esposte, il preesistente
divario fra le due ipotesi normative messe a raffronto non appari va frutto di
scelte legislative arbitrarie, la circostanza che il legislatore, nel disporre
il riassetto dell'intera materia, abbia successivamente operato l'equiparazione
di trattamenti sanzionatori, prima diversificati, sulla base di nuove
valutazioni, non implica di per sè un giudizio di
disvalore per il trattamento precedentemente previsto nelle stesse materie.
5.- Per quel che concerne il riferimento
all'art. 32 della Costituzione (parametro che è invece stato espressamente
disatteso nell'altra ordinanza n.646 del 1993), che dal Pretore di Salerno
viene invocato sia per suffragare la già illustrata censura di
irragionevolezza, sia per formulare una autonoma
censura che, a differenza della prima circa la misura della sanzione, investe
in radice l'assoggettamento a sanzione dell'infrazione all'obbligo del casco,
Non può difatti condividersi la tesi, su
cui detti profili si fondano, per la quale l'ingerenza statale nella sfera del
cittadino sarebbe consentita solo se sia posto in pericolo il diritto alla
salute di terzi individui, mentre quando "la collettività nei confronti
della salute dell'individuo vanta un mero interesse" sarebbe
"illegittima ogni imposizione o limitazione" di diritti di libertà,
come quello "di circolazione ed in genere di estrinsecazione della
personalità".
L'assunto, secondo cui l'art. 32 della
Costituzione consentirebbe limitazioni al diritto di circolazione solo se
venisse in gioco il diritto alla salute di soggetti terzi rispetto a colui cui
vengono imposte quelle limitazioni, con la previsione di sanzioni in caso di
inosservanza, non può essere condiviso. Specie quando, come nella materia in
esame, si è in presenza di modalità, peraltro neppure gravose, prescritte per
la guida di motoveicoli, appare conforme al dettato costituzionale, che
considera la salute dell'individuo anche interesse della collettività, che il
legislatore nel suo apprezzamento prescriva certi comportamenti e ne sanzioni
l'inosservanza allo scopo di ridurre il più possibile le pregiudizievoli conseguenze,
dal punto di vista della mortalità e della morbosità invalidante, degli
incidenti stradali. Non può difatti dubitarsi che
tali conseguenze si ripercuotono in termini di costi sociali sull'intera
collettività, non essendo neppure ipotizzabile che un soggetto, rifiutando di
osservare le modalità dettate in tale funzione preventiva, possa
contemporaneamente rinunciare all'ausilio delle strutture assistenziali
pubbliche ed ai presidi predisposti per i soggetti inabili. Le misure dirette
ad attenuare le conseguenze che possano derivare dai traumi prodotti da
incidenti, nei quali siano coinvolti motoveicoli, appaiono perciò dettate da
esigenze tali da non far reputare irragionevolmente limitatrici
della "estrinsecazione della personalità" le prescrizioni imposte
dalle norme in questione. D'altronde si deve osservare che queste non limitano
in alcun modo la libertà di circolazione, intesa nel senso di spostamento da
una parte all'altra del territorio, che è la libertà essenzialmente tutelata
dall'art. 16 della Costituzione, anch'esso invocato dal giudice a quo, ma
dettano solo alcune modalità da osservarsi da chi voglia utilizzare determinati
mezzi semoventi. Se dunque la prescrizione è diretta a prevenire i danni alle
persone, il che costituisce in modo indubitabile interesse della collettività,
essa, anche sotto questo aspetto, deve ritenersi immune dalle censure
prospettate.
In proposito non può tralasciarsi di
considerare i dati delle rilevazioni statistiche condotte nel nostro Paese ed
all'estero, indicati anche nel la documentazione versata in atti dalla Avvocatura generale dello Stato, dai quali risulta il
notevole abbassamento della mortalità e delle morbosità invalidanti verificatosi
dopo l'adozione dell'obbligo del casco per i guidatori di motoveicoli.
L'effetto positivo, in termini di costi
sociali, è perciò indubbio, tenuto anche conto che il legislatore, nel suo
apprezzamento, si è mantenuto nell'alveo delle sanzioni amministrative, di
misure cioé qualitativamente più tenui di quelle penali e che fanno guardare perciò con favore alla
scelta legislativa operata in relazione alle finalità di prevenzione che si è
inteso perseguire.
Quanto alle considerazioni formulate in
una delle ordinanze di rimessione (reg.ord.n. 438 del
1993), circa la maggiore convenienza dell'uso dei motoveicoli dal punto di
vista dell'inquinamento atmosferico e della "diminuzione della congestione
[del traffico] a cagione del minor spazio occupato", esse investono
valutazioni di merito che rientrano nella discrezionalità del legislatore, cui
spetta di considerare comparativamente i vantaggi e gli svantaggi, in termini
di costi sociali, che determinate scelte comportano e che possono formare
oggetto di sindacato di costituzionalità solo se irragionevoli.
Parimenti non può ritenersi influente
nel presente giudizio di costituzionalità il mutamento di indirizzo che il
giudice a quo ricorda essersi verificato in qualche altro paese sul punto
dell'obbligo del casco, trattandosi comunque di scelte opinabili sul piano
dell'opportunità e che, comportando vantaggi e svantaggi, non possono
condizionarsi a vicenda da Stato a Stato.
6.- Anche le censure formulate,
nell'ordinanza n. 438 del
Trattasi invero di censure fra loro
simili essendo dirette a denunciare, nella prima ordinanza (n. 438 del 1993),
il previsto assoggettamento dei maggiorenni nei centri urbani a comportamenti
diversi a seconda che siano alla guida di motoveicoli superiori a 50 c.c. (nel
qual caso è prescritto l'obbligo del casco) o inferiori a tale cilindrata,
nonostante che, si asserisce, le condizioni di pericolosità siano le stesse e,
nella seconda ordinanza (n. 646 del 1993), l'obbligo previsto per tutti,
maggiorenni o minorenni, di indossare il casco nei centri urbani, per la guida
di motoveicoli superiori ai 50 c.c., nonostante che la diversa età dei soggetti
non avrebbe potuto consentire tale uniformità.
Osserva
Tale valutazione non appare arbitraria e
giustifica perciò la scelta operata di imporre anche al maggiorenne l'obbligo
del casco nei centri abitati, quando sia alla guida di motoveicoli di
cilindrata maggiore.
La circostanza poi che in questo modo il
maggiorenne, alla guida nel centro abitato di un motoveicolo superiore ai 50
c.c., venga equiparato al minorenne, non pone problemi di costituzionalità, perchè anche qui la scelta del legislatore non è censurabile
in quanto le condizioni di maggiorenne o di minorenne non impongono
necessariamente una diversità di trattamento quando il legislatore non ravvisi
alcuna esigenza di differenziazione nella disciplina in relazione all'età, come
sembrerebbe invece voler sostenere il giudice a quo, per il
quale tali condizioni dovrebbero automaticamente escludere il
maggiorenne da un certo tipo di sanzione sol perchè
vi è assoggettato il minorenne.
7. Quanto infine alla censura - in un
certo senso contrastante con quella per ultimo esaminata - di disparità di
trattamento che sarebbe operata a danno dei soggetti minori di età, obbligati,
a differenza di quelli di maggiore età, ad indossare il casco nei centri urbani anche se siano alla guida di veicoli di cilindrata inferiore
a 50 c.c., va rilevato che l'obbiettiva diversità di situazioni legate all'età,
mentre non obbliga, come si è detto in precedenza (n. 6), ad adottare
discipline differenziate, quando l'uniformità non appaia irragionevole,
giustifica, per intuitive considerazioni, il differente trattamento da parte
del legislatore, salvo anche in questa ipotesi - si direbbe simmetrica
all'altra - che la diversità di trattamento a causa dell'età risulti
irragionevole. Ciò che, palesemente, non è dato nella specie di riscontrare,
essendo plausibile che il minore sia circondato di particolari cautele, del
tipo di quella oggetto delle norme impugnate, che, in
funzione preventiva, si esprimono con la comminatoria di una sanzione
amministrativa, data l'esigenza di tenere maggiormente avvertiti soggetti con
più limitata esperienza.
In definitiva, in presenza di
determinate situazioni, spetta al legislatore la scelta di adottare o meno discipline diversificate in ragione dell'età dei
soggetti destinatari delle norme, il che non pone problemi di costituzionalità
se la scelta nell'uno o nell'altro senso non risulti irragionevole.
PER QUESTI MOTIVI
riuniti i giudizi,
dichiara inammissibile la questione di legittimità
costituzionale dell'art. 171, comma 1, lettere a) e b), del decreto legislativo
30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada) sollevata, in riferimento
agli artt. 3, primo comma, 13, primo comma, 16, primo comma, e 32 della
Costituzione, dal Pretore di Salerno con l'ordinanza indicata in epigrafe (reg.ord. n. 438 del 1993);
dichiara non fondate le questioni di legittimità
costituzionale degli artt. 1, 2 e 3, della legge 11 gennaio 1986, n. 3 (Obbligo
dell'uso del casco protettivo per gli utenti di motocicli, ciclomotori e
motocarrozzette; estensione ai motocicli e ciclomotori dell'obbligo del
dispositivo retrovisivo) sollevate, in riferimento agli artt. 3, 13, primo
comma, 16, primo comma, e 32 della Costituzione, dal Pretore di Salerno, con la
medesima ordinanza;
dichiara non fondate le questioni di legittimità
costituzionale degli artt. 1, 2 e 3 della stessa legge n. 3 del 1986,
sollevate, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Pretore di Milano
con l'ordinanza indicata in epigrafe (reg.ord. n. 646
del 1993).
Così deciso in Roma, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il
09/05/94.
Gabriele PESCATORE, Presidente
Vincenzo CAIANIELLO, Redattore
Depositata in cancelleria il 16/05/94.