Sentenza n. 361 del 1991

 

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SENTENZA N. 361

ANNO 1991

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Ettore GALLO                                                   Presidente

Dott. Aldo CORASANITI                                         Giudice

Prof. Giuseppe BORZELLINO                                       “

Dott. Francesco GRECO                                                 “

Prof. Gabriele PESCATORE                                           “

Avv. Ugo SPAGNOLI                                                    “

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA                               “

Prof. Antonio BALDASSARRE                                     “

Prof. Vincenzo CAIANIELLO                                       “

Avv. Mauro FERRI                                                         “

Prof. Luigi MENGONI                                                    “

Prof. Enzo CHELI                                                           “

Dott. Renato GRANATA                                                “

Prof. Giuliano VASSALLI                                              “

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 164, quarto comma, del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 24 gennaio 1991 dal Tribunale di Cassino nel procedimento penale a carico di Buonomo Giovanni, iscritta al n. 241 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima serie speciale, dell'anno 1991;

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

Udito nella camera di consiglio del 19 giugno 1991 il Giudice relatore Francesco Paolo Casavola;

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Nel corso di un giudizio in cui l'imputato aveva richiesto applicarsi la pena ex art. 444 del codice di procedura penale, subordinando l'efficacia della richiesta alla concessione della sospensione condizionale, il Tribunale di Cassino, con ordinanza emessa il 24 gennaio 1991, dopo aver rilevato che il beneficio era già stato concesso per due volte, ha sollevato, in relazione all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 164, quarto comma, del codice penale, nella parte in cui non consente di sospendere la pena anche oltre l'indicato limite (ma pur sempre entro il limite massimo dei due anni di cui all'art. 163, primo comma, del codice penale).

Osserva il giudice a quo che, alla stregua della denunziata previsione, il beneficio in argomento viene ad essere parimenti negato a chi abbia riportato precedenti condanne "per reati di una certa gravità" usufruendo della sospensione ed a chi, come nella specie, abbia già per due volte goduto della sospensione stessa in relazione all'ipotesi di emissione di assegni a vuoto, comportamento di "scarso allarme sociale".

In virtù del richiamo all'art. 133 del codice penale, contenuto nel primo comma della censurata disposizione, la concessione del beneficio, che il giudice può effettuare d'ufficio, dovrebbe esclusivamente rapportarsi ad un giudizio prognostico circa la probabilità che l'imputato commetta altri reati, ed essere quindi consentita anche più di due volte, sempre che la pena da infliggere, cumulata con quelle irrogate con le precedenti condanne, non superi i limiti fissati dall'art. 163, primo comma, del codice penale.

2. - È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, che ha concluso per l'infondatezza della questione, rilevando come il limite numerico alla concedibilità del beneficio (analogamente a quello concernente la misura della pena ex art. 163, primo comma, del codice penale) sia stato introdotto razionalmente, non essendo più accreditabile un giudizio prognostico favorevole allorché chi deve in ipotesi fruirne abbia dato mostra per due volte di non aver fatto adeguato uso del beneficio" stesso. Del resto sarebbe del tutto incongrua una norma che consentisse la sospensione anche per decine di volte sino al raggiungimento del limite di due anni, che rimarrebbe l'unico sbarramento applicativo.

 

Considerato in diritto

 

1. - Il Tribunale di Cassino dubita della legittimità costituzionale dell'art. 164, quarto comma, del codice penale, nella parte in cui esclude che la sospensione condizionale della pena possa essere concessa per più di due volte. Tale limitazione verrebbe a precludere la possibilità di valersi del procedimento di applicazione della pena su richiesta a chi si trovi nelle condizioni di non poter più fruire del beneficio, ma all'applicazione di questa subordini tuttavia l'efficacia della richiesta medesima. Inoltre, argomenta il giudice a quo, andrebbero irrazionalmente incontro ad identico diniego sia coloro ai quali sia stata sospesa la pena per reati di lieve entità, sia i soggetti che di tale misura abbiano fruito in relazione a condanne per fatti di maggior gravità.

2. - La questione è infondata.

L'istituto della sospensione condizionale della pena configurato dal codice Rocco ha subito molteplici modifiche traverso l'opera giurisprudenziale di questa Corte e gli interventi legislativi che, a partire dalla legge 24 aprile 1962, n. 191, hanno progressivamente ampliato i presupposti del beneficio e le possibilità di reiterarlo, correlativamente riducendo le ipotesi ostative alla concessione. La disciplina, di cui agli artt. 163-168 del vigente codice penale, offre un quadro normativo risultante dalle leggi 7 giugno 1974, n. 220, 24 novembre 1981, n. 689 e, da ultimo, 7 febbraio 1990, n. 19, che conferma la validità dell'originaria ratio della misura, pur nella sostanziale dilatazione dei suoi limiti. La sospensione condizionale della pena tende ad evitare che l'esecuzione di questa favorisca la recidiva e si fonda su una "prognosi di ravvedimento" (sentenza n. 133 del 1980) effettuata secondo le regole di giudizio di cui all'art. 133 del codice penale.

È chiaro quindi il legame logico tra la sospensione e la presunzione che il condannato si asterrà dal commettere ulteriori reati, per cui la limitazione della concedibilità è intrinsecamente connessa alla misura stessa (analogamente a quanto accade, ad esempio, per il perdono giudiziale).

Non è pertanto esatto considerare la possibilità di sospendere la pena anche dopo una prima condanna sospesa come un beneficio nuovo e distinto e perciò ancora potenzialmente replicabile, ed è errata la domanda che in tale imprecisa ottica pone il giudice a quo, chiedendo perché non si possa sospendere più volte la pena.

Oltre al dato letterale della norma impugnata, che tiene fermo il divieto di concessione oltre la prima volta, vanno rilevate le particolari condizioni cui il legislatore subordina la possibilità di accordare ulteriormente la misura. Tale opportunità per il condannato è necessariamente sottoposta all'adempimento di uno degli obblighi di cui all'art. 165 del codice penale e l'eventualità di una revoca si accentua ai termini dell'art. 168, ultimo comma, del codice penale.

È quindi coerente non consentire la sospensione in caso di recidiva plurima al fine di non contraddire l'anzidetto giudizio prognostico "che diverrebbe sempre meno plausibile, una volta che si andasse oltre la recidiva primaria" (sentenza n. 133 del 1980). Ed è altresì coerente connotare l'ulteriore concessione in termini di complementarità rispetto alla precedente, accentuando l'interesse pubblico "alla eliminazione delle conseguenze dannose degli illeciti penali" individuabile nell'art. 165 (sentenza n. 49 del 1975), secondo uno schema utilizzato anche, ad esempio, nell'art. 24 della legge 10 maggio 1976, n. 319 in materia d'inquinamento e nell'art. 82- bis della legge 22 dicembre 1975, n. 685 (aggiunto dalla legge 26 giugno 1990, n. 162), in tema di tossicodipendenza.

3. - L'asserita disparità di trattamento tra soggetti che si siano giovati della sospensione in relazione a reati di maggiore o minore allarme sociale si fonda su eventualità di mero fatto ed implica notevoli margini di controvertibilità onde va esclusa la denunciata violazione dell'art. 3 della Costituzione. È appena il caso di evidenziare l'effetto disincentivante che sul ravvedimento del condannato avrebbe la soluzione di mantenere il solo limite dei due anni di pena detentiva, dal giudice a quo ipotizzata sulla base della rilevata, impropria, concessione seriale ed automatica della sospensione. Concessione, oltretutto, smentita proprio dal caso del "patteggiamento" richiamato dal Tribunale di Cassino.

Attraverso il profilo di negozialità che informa il rito speciale si coglie la conferma della discrezionalità del giudice nella valutazione dei presupposti del beneficio, sì che alla possibilità offerta alle parti di subordinare l'efficacia della richiesta alla concessione della sospensione, fa riscontro l'alternativa, per il giudice, di accogliere integralmente la richiesta, accordando la misura, ovvero di rigettarla in toto "se ritiene" che la sospensione condizionale non possa essere concessa.

 

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 164, quarto comma, del codice penale, sollevata in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di Cassino con l'ordinanza di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 luglio 1991.

 

Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA - Giuliano VASSALLI.

 

Depositata in cancelleria il 18 luglio 1991.