Sentenza n. 118 del 1977
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SENTENZA N. 118

ANNO 1977

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici:

Prof. Paolo ROSSI, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Nicola REALE

Avv. Leonetto AMADEI

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Leopoldo ELIA

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge 15 febbraio 1963, n. 151 modificazioni degli artt. 41, 66 e 67 del testo unico delle leggi sanitarie approvate con r.d. 27 luglio 1934, n. 1265), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 22 aprile 1975 dal tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, nel procedimento civile vertente tra Grillo Cesare e il Comune di Moncrivello, iscritta al n. 533 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 18 del 21 gennaio 1976;

2) ordinanza emessa il 22 aprile 1975 dal tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, nel procedimento civile vertente tra Croce Giovanni e il Consorzio medico del Comune di Crevacuore ed altri, iscritta al n. 534 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 18 del 21 gennaio 1976;

3) ordinanze emesse il 23 aprile 1975 dal tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, nei procedimenti civili vertenti tra De Michelis Celestino e il Consorzio medico di Arborio ed altro, Farina Giuseppe e il Comune di Lenta, Fioramonti Sergio e il Comune di Ghislarengo, iscritte ai nn. 535, 536 e 537 del registro ordinanze 1975 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 18 del 21 gennaio 1976;

4) ordinanze emesse il 29 aprile 1975 dal tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, nei procedimenti civili vertenti tra Gallo Luigi e il Comune di Racconigi, Ricci Luigi e il Comune di Villadeati, iscritte ai nn. 538 e 539 del registro ordinanze 1975 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 18 del 21 gennaio 1976.

Visti gli atti di costituzione di Gallo Luigi, del Comune di Racconigi, nonché gli atti d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica dell'11 maggio 1977 il Giudice relatore Nicola Reale;

uditi gli avv.ti Claudio Dal Piaz e Giuseppe Guarino per Gallo, l'avv. Franco Levi per il Comune di Racconigi, e il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe Angelini Rota, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Con sette diverse ordinanze di identico tenore, emesse il 22, il 23 e il 29 aprile 1975 (nel corso di procedimenti promossi - nella loro qualità di medici condotti - da Grillo Cesare contro il comune di Moncrivello; da Croce Giovanni, contro il Consorzio medico dei comuni di Crevacuore - Ailoche Caprile - Postua - Guardabosone; da de Michelis Celestino contro il Consorzio medico dei comuni di Arborio - S. Giacomo Vercellese; da Farina Giuseppe contro il comune di Lenta; da Fioramonti Sergio contro il comune di Glislarengo, da Gallo Luigi contro il comune di Racconigi e da Ricci Luigi contro il comune di Villadeati, al fine di ottenere l'adeguamento delle rispettive retribuzioni ai sensi e per gli effetti dell'art. 3 della legge 15 febbraio 1963, n. 151 in relazione con il d.P.R. 5 giugno 1965, n. 749 e con il d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1079, il tribunale amministrativo regionale per il Piemonte ha sollevato questione di legittimità costituzionale del citato art. 3 della legge 15 febbraio 1963, n. 151 in riferimento agli artt. 3, 5 e 128 della Costituzione.

2. - Nel giudizio promosso con l'ordinanza n. 538 del 1975 (in causa Gallo Luigi contro comune di Racconigi) si sono costituite entrambe le parti. La difesa del ricorrente dott. Luigi Gallo contesta che la norma denunziata violi le norme costituzionali sopra richiamate. Secondo la difesa del comune di Racconigi (contro il quale il ricorso del dott. Gallo é diretto) la questione sollevata dal giudice a quo sarebbe invece fondata. Entrambe le parti hanno poi ribadito i loro rispettivi punti di vista, con due memorie depositate il 28 e il 29 aprile 1977.

In tutti i giudizi é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.

Considerato in diritto

1. - Le sette ordinanze in epigrafe hanno per oggetto una identica questione di legittimità costituzionale: i relativi giudizi possono pertanto essere riuniti onde dar luogo ad unica decisione.

2. - L'art. 3 della legge 13 febbraio 1963, n. 151 (che ha sostituito il testo originario dell'art. 67 del T.U. delle leggi sanitarie approvato con il r.d. 27 luglio 1934, n. 1265) stabilisce - fra l'altro - che il Consiglio comunale non può determinare la retribuzione dei medici condotti in misura inferiore "allo stipendio degli impiegati dello Stato aventi diritto al coefficiente 271 ai sensi della tabella allegata al decreto del Presidente della Repubblica 11 gennaio 1956 n. 19".

Va subito rilevato che, secondo l'ormai consolidato indirizzo della giurisprudenza e la prevalente dottrina, quello operato dal suddetto art. 3 é un rinvio formale e non ricettizio, per cui ogni variazione dello stipendio del personale civile dello Stato (e concernente la categoria cui fa riferimento la norma in questione) si estende ai sanitari e, nella specie, ai medici condotti. Pertanto si ritiene comunemente che il trattamento economico di questi ultimi ha subito modifiche, nel senso del miglioramento, per effetto del d.P.R. 5 giugno 1965, n. 749 e del successivo d.P.R. 28 dicembre 1970 n. 1079. Ovviamente, però, le innovazioni non possono scalfire il principio che il trattamento economico dei medici condotti non può essere in nessun caso inferiore a quello richiamato dall'articolo in discussione.

3. - Secondo quanto si assume nelle ordinanze di rimessione, la normativa sarebbe in contrasto con gli artt. 5, 128 e 3 della Costituzione.

Le censure riferentesi all'art. 5 (per cui la Repubblica riconosce e promuove le autonomie locali) e 128 (a norma del quale le provincie e i comuni sono enti autonomi nell'ambito dei principi fissati da leggi generali della Repubblica che ne determinano le funzioni) si concretano nel rilievo che se pure astrattamente la determinazione per legge statale dello stipendio di un dipendente comunale (quale é il medico condotto) specie se limitata all'imposizione del minimo, non é di per sé in insanabile contrasto con il principio dell'autonomia del comune, una possibile lesione della autonomia di tale ente é in concreto ravvisabile ove l'intervento legislativo venga riguardato nei suoi riflessi sulla esiguità di taluni bilanci comunali per i quali anche lo stipendio di un solo dipendente (da includersi tra le spese obbligatorie) può finire per condizionare gran parte del programma di attività dell'ente assorbendone le disponibilità finanziarie, in misura resa più gravosa dall'applicazione (resa possibile dall'indirizzo interpretativo cui si é fatto cenno) dei miglioramenti accordati ai dipendenti statali successivamente alla entrata in vigore della norma denunziata.

4. - Nei termini sopra delineati la censura é palesemente infondata. É infatti agevole obbiettare che si tratta di pregiudizi di mero fatto e per giunta ipotetici, come tali inidonei a giustificare una declaratoria di illegittimità costituzionale e che, comunque, possono essere, se non eliminati, quanto meno attenuati attraverso la costituzione di consorzi, secondo la testuale previsione dell'art. 63 del T.U. delle leggi sanitarie.

Ma anche a voler approfondire l'indagine su di un piano più propriamente tecnico giuridico avendo riguardo ai principi che regolano la materia é da escludere che la norma denunziata violi in alcun modo l'autonomia comunale.

5. - Invero, appare evidente dal sopra citato testo dell'art. 128 Cost. che il principio dell'autonomia comunale non può comportare una autonoma ed ingiustificata eliminazione di ogni potestà di intervento statale, sul piano legislativo, nell'ambito dei principi generali e nel perseguimento di quei fini che lo Stato riconosce come propri anche nella articolazione che si esprime a livello delle amministrazioni locali.

Ciò é stato riconosciuto da questa Corte nella sentenza n. 52 del 1969 con la quale si é esplicitamente affermato che le autonomie degli enti locali non possono essere considerate avulse dall'ordinamento generale e che quindi non vi é ragione di escludere la legittimità di un intervento legislativo quando si tratta del rapporto di impiego dei dipendenti locali.

Il problema, pertanto, non riguarda in via astratta la legittimità di intervento del legislatore, ma piuttosto i limiti che esso é tenuto ad osservare; si dovrà, cioé, di volta in volta accertare se le disposizioni legislative si siano mantenute nell'ambito strettamente necessario a soddisfare esigenze di carattere generale ed abbiano lasciato agli enti locali quel minimo di poteri, richiesto da quella autonomia di cui essi devono godere.

Non é chi non veda come siffatti principi siano stati, nel caso di specie, integralmente rispettati.

É certo infatti che la legge impugnata sia "generale" nel senso richiesto dall'art. 128 Cost. in quanto risponde all'esigenza, di indubbio e preminente interesse pubblico, di assicurare che localmente l'assistenza sanitaria sia la migliore possibile, attraverso la oculata scelta del personale, ovviamente condizionata, fra l'altro, da un congruo trattamento economico. Tali concetti risultano oltretutto dai lavori preparatori della legge impugnata.

Va inoltre considerato che questa si limita a fissare il minimo dello stipendio dei medici condotti e che pertanto, al di là di tale limite, il comune resta libero di determinare la retribuzione di tali dipendenti nella misura compatibile con le sue risorse e nel rispetto degli altri criteri fissati dalla legge.

6. - Il contrasto con il principio di uguaglianza di cui all'art. 3 é prospettato sotto un duplice profilo.

Si assume, anzitutto, che, mentre ai fini della determinazione della retribuzione dei suoi dipendenti il Comune deve tener conto (giusta quanto disposto dall'art. 228 T.U. della legge comunale e provinciale, approvato con r.d. 3 marzo 1934, n. 383) delle proprie disponibilità finanziarie e della esigenza - di una giusta proporzione fra stipendi e funzioni, nel caso dei medici condotti verrebbe, indipendentemente dai criteri suddetti, ad essere vincolato al rispetto dei minimi inderogabili fissati dalla legge statale. D'altro canto, si deduce che la determinazione di un minimo retributivo, fissato nella stessa misura per tutti i medici condotti, creerebbe irrazionali disparità di trattamento tra gli stessi poiché l'impegno che a ciascuno di essi é concretamente richiesto varia grandemente da comune a comune e da regione a regione.

In ordine al raffronto tra il trattamento riservato ai medici condotti e agli altri dipendenti locali non può non rilevarsi che lo stato giuridico e le attribuzioni dei sanitari condotti si diversificano notevolmente da quelli degli altri dipendenti comunali.

I medici condotti sono infatti tenuti a prestare l'assistenza medica chirurgica ai poveri iscritti negli appositi elenchi del comune, gratuitamente, e in base alle tariffe approvate dalle competenti autorità anche agli abbienti (art. 4 t.u.).

Su di essi grava fra gli altri l'obbligo di espletare gratuitamente il servizio necroscopico quando non si sia altrimenti provveduto e di curare, sempre gratuitamente, anche a domicilio, le persone affette da malattie veneree che abbiano diritto alla cura gratuita.

Né va omesso che, per l'art. 33 del t.u. delle leggi sanitarie, ai medici condotti possono essere temporaneamente affidate le funzioni di ufficiale sanitario, quando per lo scarso numero della popolazione o per altro motivo non si possa provvedere al servizio di vigilanza igienica e di profilassi mediante la nomina di un ufficiale sanitario. Essi poi in ogni caso sono tenuti a cooperare alla esecuzione dei provvedimenti di igiene e profilassi ordinati dall'autorità sanitaria comunale o dalle autorità superiori.

Trattasi, come si vede, di funzioni che trascendono gli interessi locali del comune per riguardare direttamente gli interessi generali della tutela e della vigilanza sulla salute pubblica, il cui espletamento può richiedere un particolare impegno da parte degli addetti. Appunto per questo i medici condotti hanno per legge l'obbligo di non assentarsi dal comune di residenza senza avvertire e senza aver provveduto alla propria, sia pure temporanea, sostituzione: l'obbligo di residenza che va valutato con particolare rigore al punto che la sua violazione può essere causa di provvedimenti disciplinari. Di fronte a questo complesso di obblighi non sembra che sia di rilievo decisivo in senso contrario, anche sul piano pratico, la facoltà accordata ai medici condotti di esercitare la libera professione.

Quanto sopra vale a collocare i medici condotti in una posizione del tutto particolare rispetto all'apparato burocratico comunale e a giustificare, di riflesso, il particolare trattamento retributivo loro riservato dalla norma denunziata, senza che ciò possa comportare violazione dell'art. 3 Cost., tanto più che esso non risulta fissato in misura eccessiva, come emerge dall'esame delle somme in cui si concreta.

Del resto, proprio in considerazione delle particolari funzioni che ad essi sono demandate, il trattamento economico dei medici condotti é stato sempre diverso da quello degli altri dipendenti comunali e soggetto a particolare valutazione da parte dello Stato. Difatti l'art. 67 del T.U. delle leggi sanitarie (nella sua formulazione anteriore a quella introdotta con l'articolo 3 della legge 151 del 1963) riservava alla competenza della Giunta provinciale amministrativa il potere di fissare gli stipendi minimi dei sanitari condotti mentre l'art. 66 dello stesso testo unico (del pari sostituito dall'art. 2 della legge n. 151 del 1963) stabiliva che uno speciale regolamento per ciascun comune, approvato dalla G.P.A. previo parere del Consiglio provinciale di sanità, doveva disciplinare lo stato giuridico ed il trattamento economico del detto personale sanitario, secondo norme contenute nello stesso T.U. ed eventualmente diverse da quelle riguardanti gli altri impiegati.

Né, infine, può sostenersi che la fissazione in un'unica misura del minimo di stipendio per tutti i sanitari condotti comporti violazione del principio di uguaglianza in considerazione del fatto che l'impegno che ad essi é concretamente richiesto per l'espletamento della loro attività varia grandemente a seconda delle dimensioni e della importanza della condotta.

Al riguardo é, infatti, sufficiente osservare che quello stabilito dalla legge é solo il minimo (non eccessivo, come si é già ricordato) di stipendio e che l'eventuale dippiù delle retribuzioni va differenziato secondo criteri risultanti da apposite norme le quali tengono conto delle dimensioni e del presumibile impegno del singolo sanitario.

In conclusione deve riconoscersi che la scelta che ha dato luogo alla vigente normativa non ha perduto la sua nota di razionalità anche se le innegabili trasformazioni avvenute nel frattempo nel contesto sociale e nel campo dell'assistenza medica, e che si adducono per rafforzare le censure in oggetto (miglioramento del tenore di vita delle popolazioni, ampliamento del numero e delle funzioni delle mutue nonché degli ospedali e così via), potranno consigliare al legislatore scelte anche organicamente diverse.

Ciò anche a seguito delle attribuzioni spettanti alle regioni dopo l'entrata in vigore del d.P.R. 14 gennaio 1972, n. 4 che, in riferimento al disposto degli artt. 117 e 118 e VIII trans. Cost., e in esecuzione della delega data al Governo dall'art. 17 della legge 16 maggio 1970, n. 281 ha trasferito alle regioni a statuto ordinario le funzioni amministrative statali in materia di assistenza sanitaria ed ospedaliera e dei relativi personali ed uffici come previsto dall'art. 1 lett. "g" ed "h" del detto d.P.R. con le conseguenze sul piano legislativo di cui all'ultima parte del predetto art. 17 legge n. 281 del 1970. Come é poi noto, nel quadro della riforma sanitaria, da tempo in programma, la quale ha trovato la sua ultima formulazione nel disegno di legge n. 1252 del 16 marzo 1977 attualmente all'esame del Parlamento, é compresa anche la disciplina in sede locale dell'assistenza sanitaria.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 legge 13 febbraio 1963, n. 151 (che ha modificato l'art. 67 del T.U. delle leggi sanitarie approvato con r.d. 27 luglio 1934, n. 1265) sollevata, in riferimento agli artt. 3, 5 e 128 Cost., dal tribunale amministrativo per il Piemonte con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 giugno 1977.

Paolo ROSSI - Luigi OGGIONI - Nicola REALE - Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Leopoldo ELIA - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI.

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 20 giugno 1977.