Sentenza n. 54 del 1971
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SENTENZA N. 54

ANNO 1971

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI,

ha pronunciato la seguente   

SENTENZA 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 170 del codice di procedura penale e dell'art. 3 del d.P.R. 8 agosto 1955, n. 666, concernente disposizioni transitorie, di coordinamento e di attuazione della legge 18 giugno 1955, n. 517, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 21 marzo 1969 dal pretore di Sannicandro Garganico nel procedimento per incidente di esecuzione sollevato da Presicci Cosimo, iscritta al n. 195 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 152 del 18 giugno 1969;

2) ordinanza emessa il 5 febbraio 1970 dal giudice istruttore del tribunale di Milano nel procedimento penale a carico di Turrina Vittorio, iscritta al n. 67 del registro ordinanze 1970 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 82 del 1 aprile 1970;

3) ordinanza emessa il 9 marzo 1970 dal pretore di Livorno nel procedimento per incidente di esecuzione sollevato da Magnani Renato, iscritta al n. 134 del registro ordinanze 1970 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 125 del 20 maggio 1970;

4) ordinanze emesse il 3 giugno ed il 6 aprile 1970 dal pretore di Volterra nei procedimenti penali rispettivamente a carico di Del Porto Nunzia, Martinelli Gaetano e Manunta Antonio, iscritte ai nn. 267, 268 e 269 del registro ordinanze 1970 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 254 del 7 ottobre 1970;

5) ordinanza emessa il 17 luglio 1970 dal pretore di Volterra nel procedimento penale a carico di Castelli Ada, iscritta al n. 296 del registro ordinanze 1970 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 267 del 21 ottobre 1970;

6) ordinanza emessa il 19 dicembre 1969 dal pretore di Livorno nel procedimento penale a carico di Matteini Ines, iscritta al n. 318 del registro ordinanze 1970 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 299 del 25 novembre 1970.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 13 gennaio 1971 il Giudice relatore Nicola Reale;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.  

Ritenuto in fatto 

1. - Con ordinanza 21 marzo 1969 il pretore di Sannicandro Garganico, nel corso del procedimento per incidente di esecuzione, promosso (ai sensi dell'art. 628 c.p.p.) da Presicci Cosimo, ha sollevato, in riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 170 del codice di procedura penale, nella parte in cui dispone che le notificazioni all'imputato, non potute fare nei modi preveduti dai precedenti artt. 167, 168, 169, siano eseguite mediante deposito in cancelleria, dopo essere state disposte nuove ricerche nel luogo di nascita o in quello dell'ultima dimora dell'imputato, e cioè in uno solo dei luoghi indicati e non in entrambi.

In punto di fatto il pretore ha rilevato che il ricorrente asseriva di non aver avuto tempestiva conoscenza della sentenza di condanna pronunziata a suo carico, e di non averla perciò impugnata, essendo stata questa notificata in cancelleria, ai sensi appunto dell'art. 170. Il decreto di irreperibilità sarebbe stato emesso a seguito di ricerche svolte soltanto a Bari ed a Torino, luoghi nei quali l'imputato assumeva aver avuto ultima dimora, e non anche a Taranto, luogo di nascita.

Ora, in quanto consente l'alternativa di tali ricerche nei luoghi predetti e la conseguente possibilità che venga svolto il procedimento penale senza la preventiva eliminazione di ogni incertezza circa l'effettiva irreperibilità del prevenuto, l'art. 170 c.p.p., consentendo notificazioni dirette a fondare una mera presunzione di conoscenza degli atti processuali, sembra costituire ostacolo al concreto esercizio della difesa; sarebbe, quindi, in contrasto con la tutela costituzionale di tale diritto.

Costituitasi in giudizio in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri, l'Avvocatura generale dello Stato, con atto 28 maggio 1969, ha dedotto che il problema processuale della reperibilità dell'imputato non potrebbe trovare più soddisfacente soluzione, se venissero disposte ricerche in tutti i luoghi, e non soltanto in alcuni di essi, indicati dall'articolo 170 c.p.p.

Questa norma, ha aggiunto l'Avvocatura, riserva al prudente apprezzamento del giudice, in relazione alle peculiari circostanze, del caso, il disporre o meno ricerche nei vari luoghi, nei quali possa apparire possibile portare ad effettiva conoscenza dell'imputato gli atti che la legge prescrive siano notificati, senza peraltro vincolarne l'applicazione con l'imporre indagini che, in concreto, possano ritenersi prive di utilità.

2. - Con altra ordinanza emessa nel procedimento a carico di Turrina Vittorio, imputato di reati fallimentari, il giudice istruttore presso il tribunale di Milano ha denunziato, in riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione, l'illegittimità dello stesso art. 170, osservando che questa norma sarebbe preordinata allo svolgimento del processo penale a carico di un imputato, che non risulti allo stato reperibile, sulla base soltanto della fictio iuris di conoscenza, che quegli abbia degli atti processuali, e non della effettiva ricezione degli atti stessi, a seguito del solo deposito di essi nella cancelleria e della notificazione al difensore di ufficio.

Detto giudice ha motivato che nella specie le ricerche dell'imputato, la cui irreperibilità fu già accertata in sede di procedura fallimentare, erano state nuovamente svolte senza esito nei luoghi sia di ultima dimora che di nascita.

Nessuna delle parti si é costituita davanti a questa Corte.

3. - La stessa questione, sotto l'aspetto cioè della inidoneità delle notificazioni mediante deposito in cancelleria a produrre, nei confronti dell'imputato, l'effetto della conoscenza del contenuto degli atti e della conseguente lesione della garanzia costituzionale del diritto di difesa, é prospettata anche con quattro ordinanze dal pretore di Volterra, sulla base di considerazioni analoghe a quelle svolte nella ordinanza precedentemente riferita.

Detto pretore dà atto che in tutte le fattispecie esaminate non si é potuta individuare la dimora attuale degli imputati, benché "lunghe e laboriose ricerche" siano state compiute, a mezzo della polizia giudiziaria, nei luoghi di nascita e dell'ultima dimora e mediante indagini anagrafiche.

Nessuna delle parti si é costituita.

4. - Con ordinanze 19 dicembre 1969 e 9 marzo 1970, nel corso di procedimenti per incidenti di esecuzione, promossi rispettivamente da Matteini Ines e Magnani Renato, il pretore di Livorno, premesso che i ricorrenti assumevano di essere stati condannati in contumacia a seguito di giudizi nel cui corso ogni notificazione, in particolare delle sentenze di primo grado, era stata eseguita mediante deposito in cancelleria col rito degli irreperibili, ha sollevato, in riferimento al secondo comma dell'art. 24 della Costituzione, la questione di legittimità dell'art. 3 delle norme di attuazione (emanate con d.P.R. 8 agosto 1955, n. 666). Questo stabilisce che il decreto di irreperibilità dell'imputato, emesso nel giudizio di primo grado, cessa di avere efficacia con la trasmissione degli atti al giudice competente per il giudizio di appello (o di rinvio), conservando, peraltro, i suoi effetti ai fini della notifica in cancelleria dell'estratto della sentenza contumaciale.

Dalla circostanza che non sono imposte all'ufficio giudiziario nuove ricerche dell'imputato, onde portare a sua effettiva conoscenza la sentenza di condanna pronunziata a suo carico e da lui impugnabile, detto giudice ha ritenuto che derivi una limitazione, non necessaria, del diritto di difesa.

5. - Con la prima di tali ordinanze il giudice a quo ha inoltre impugnato, in relazione alla disciplina dettata dall'art. 170 c.p.p., il citato art. 3 delle disposizioni di attuazione, in quanto non richiede nuove ricerche dell'imputato, già dichiarato irreperibile allo scopo di notificargli l'avviso di rinvio del dibattimento ad altra udienza.

Anche in questi giudizi nessuna delle parti si é costituita.  

Considerato in diritto 

1. - Le cause aventi ad oggetto le stesse questioni di legittimità costituzionale, o questioni fra loro connesse, vanno riunite per essere decise con unica sentenza.

2. - Le dette questioni, in riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione, concernono quattro diversi profili della disciplina delle notificazioni penali all'imputato irreperibile, contenuta nell'art. 170 del codice di procedura penale (modificato dall'art. 1 della legge 18 giugno 1955, n. 517) e nell'art. 3 delle disposizioni transitorie, di attuazione e coordinamento della legge predetta, emanate con d.P.R. 8 agosto 1955, n. 666; notificazioni che sono eseguite, previe nuove ricerche e dopo apposito decreto del giudice o del p.m., mediante il deposito degli atti nella cancelleria o segreteria giudiziaria, con avviso del deposito stesso al difensore di fiducia o nominato d'ufficio.

3. - Con la prima questione, prospettata dalle ordinanze del giudice istruttore presso il tribunale di Milano e del pretore di Volterra, si contesta la rispondenza alle esigenze della difesa, garantita dalla Carta costituzionale, della disciplina dettata dall'art. 170 c.p.p., in quanto diretta a costituire una fictio iuris o presunzione legale e non ad assicurare la effettiva conoscenza degli atti da parte dell'imputato.

La questione non é fondata.

La notificazione preveduta dall'art. 170 in oggetto può essere ordinata soltanto a seguito dell'accertamento, da parte del magistrato, della impossibilità che la notificazione, in difetto di consegna personale, sia eseguita secondo le modalità e nei luoghi indicati dalla legge e risultanti o dagli atti, in ispecie dalle dichiarazioni dell'imputato, o da ulteriori ricerche. Queste, in particolare, devono essere disposte, affinché non resti intentato alcun mezzo che in ciascun caso assicuri il più alto grado di probabilità che l'imputato sia edotto del contenuto degli atti processuali che la legge stessa stabilisce siano portati nella sua sfera di disponibilità.

Tale forma di notificazione, i cui effetti sono da taluni autori ricondotti nell'ambito delle presunzioni di conoscenza e da altri identificati nella creazione di una più o meno intensa probabilità di conoscenza degli atti che ne costituiscono l'oggetto, ha nel sistema la funzione pratica di presupposto legale del contraddittorio, quale elemento qualificante ed essenziale del processo penale. E ciò in quanto le notificazioni col rito degli irreperibili devono ritenersi prescritte dal legislatore come ultimo e necessario strumento processuale, onde rendere comunque possibile l'ulteriore svolgersi del giudizio, a salvaguardia dell'interesse, di preminente valore pubblico, connesso all'esercizio della giurisdizione penale (sent. n. 117/1970). Orbene il precetto enunciato nell'art. 24, secondo comma, della Costituzione non esclude che con l'interesse all'accertamento dell'illecito ed alla restaurazione dell'ordine giuridico sia armonizzata l'esplicazione del diritto di difesa come disciplinato dalla legge.

4. - Parimenti infondata é anche la seconda questione, sollevata dal pretore di Sannicandro Garganico, il quale assume che con la garanzia costituzionale della difesa sarebbe in contrasto l'art. 170 c.p.p., nella parte in cui stabilisce che siano ordinate nuove ricerche, al cui svolgimento é subordinata l'emissione da parte del giudice (o del pubblico ministero) del decreto di irreperibilità " particolarmente nel luogo di nascita o in quello della ultima dimora dell'imputato": quindi alternativamente e non obbligatoriamente in entrambi i luoghi. Devesi rilevare in contrario, che la norma in questione attribuisce al giudice il potere- dovere di disporre nuove indagini per la ricerca dell'imputato nel luogo in cui ne ritenga utile, in ciascun caso, lo svolgimento a fini di giustizia. Peraltro la legge non vieta di disporre che esse siano eseguite in entrambi i detti luoghi ed in altri ancora, quando in concreto se ne palesi la convenienza, mentre opportunamente non impone di ripetere indagini in un luogo per cui risulti già evidente l'inutilità di esse.

Conseguentemente la norma in esame non merita censura, avendo razionalmente inteso rimettere alla discrezionalità del giudice il compito di contemperare l'interesse dell'imputato con le fondamentali esigenze di speditezza ed economia processuale.

5. - In riferimento allo stesso precetto che garantisce il diritto di difesa, il pretore di Livorno, con l'ordinanza n. 318/1970, ha sollevato il dubbio che l'art. 170, ultimo comma, c.p.p., sia illegittimo, in quanto prevede, ai fini della emanazione di un nuovo decreto di irreperibilità, che l'analogo decreto emesso durante l'istruzione non ha efficacia ai fini del giudizio di primo grado e quello emesso in questo ultimo non ha efficacia ai fini del giudizio di appello. Non stabilisce cioè l'obbligo di disporre nuove ricerche dell'imputato irreperibile, nel corso di ciascuna fase del processo, ai fini della notificazione di ogni atto del cui contenuto, per i fini della difesa, sia richiesta la comunicazione all'imputato, quale, nella specie, il provvedimento di rinvio del dibattimento ad altra successiva udienza.

Orbene a parte la considerazione che di fatto, anche se ne fosse possibile lo svolgimento, non deriverebbe alcuna utilità dalla reiterazione di successive indagini in brevi o brevissimi archi di tempo, le ragioni di speditezza ed economia processuale, pur fondamentali nel sistema ed accennate riguardo alla prima questione, escludono che il dubbio, nei termini ora prospettati, abbia alcun fondamento.

6. - Con la predetta ordinanza e con altra recante il n 134/1970 il pretore di Livorno ha denunziato, in relazione al citato secondo comma dell'art. 24 della Costituzione, l'art. 3 delle disposizioni di attuazione, emanate con il d.P.R. 8 agosto 1955, n. 666.

Con riferimento al sopra ricordato ultimo comma dell'articolo 170 c.p.p. il detto art. 5 precisa, fra l'altro, che il decreto di irreperibilità emanato nel giudizio di primo grado "cessa di avere efficacia con la trasmissione degli atti al giudice competente per il giudizio di appello".

Dal che deriva che l'obbligo di nuove ricerche dell'imputato irreperibile e contumace é imposto nel corso del giudizio di appello (poiché solo in tale momento, secondo la censura del giudice a quo, cessa l'effetto del decreto di irreperibilità) e non a seguito della sentenza di primo grado, ai fini della notifica dell'estratto di essa (ai sensi dell'art. 500 c.p.p.), onde consentire all'imputato medesimo di avvalersi tempestivamente del diritto di impugnazione.

7. - La questione é fondata.

La norma impugnata, infatti, incide negativamente sul diritto dell'imputato alla difesa in ogni stato e grado del processo, apportando limitazione al suo esercizio, con palese e non razionale deviazione dalle linee stesse del sistema. E ciò in quanto detta norma richiede l'espletamento di nuove ricerche dell'imputato irreperibile e contumace solo dopo che il procedimento di appello é già stato instaurato, ad iniziativa di coimputati o del p.m., ed anzi ha superato la fase di verifica dell'ammissibilità dell'impugnazione. Dette ricerche non sono imposte, invece, allo scopo di rendere possibile l'esercizio della difesa dell'imputato fin dal momento in cui sorge nei suoi riguardi l'onere di proporre l'impugnazione; ai fini, cioè, della notificazione dell'estratto della sentenza pronunziata a carico del contumace, giacché dalla data di questa notificazione decorre il termine perentorio per la dichiarazione di appello.

Non potrebbe obiettarsi in contrario che il diritto di difesa dell'imputato é da ritenersi garantito per il fatto che anche dal difensore può essere proposta l'impugnazione (art. 192, ultimo comma), e che a suo vantaggio, nei casi di cui all'articolo 203 c.p.p., si estendono gli effetti dell'impugnazione di altri legittimati. E nemmeno decisiva é la possibilità che l'imputato tragga pratico giovamento dall'appello del p.m.

Trattasi, infatti, di ipotesi che non possono considerarsi esaurienti ai fini dell'art. 24, secondo comma, della Costituzione, in quanto non assicurano al soggetto una compiuta tutela, quale può conseguirsi con l'esercizio diretto del diritto di impugnazione o comunque a seguito di una personale valutazione da parte dell'imputato del contenuto della pronunzia giudiziale; valutazione che può anche prevalere su quella che ha indotto il difensore a proporre appello, fino al punto di annullarne gli effetti (art. 193, primo comma, c.p.p.).  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 3 del d.P.R. 8 agosto 1955, n. 666, concernente disposizioni transitorie, di coordinamento e di attuazione della legge 18 giugno 1955, n. 517, nella parte in cui prescrive che il decreto di irreperibilità emesso nel giudizio di primo grado cessa di avere efficacia solo con la trasmissione degli atti al giudice competente per il giudizio di appello e non con la pronuncia del giudice di primo grado;

dichiara non fondate le questioni sulla legittimità costituzionale dell'art. 170 del codice di procedura penale sollevate con le ordinanze di cui in epigrafe in riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 marzo 1971.

Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI

 

Depositata in cancelleria il 22 marzo 1971.