Sentenza n. 117 del 1970
 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 117

ANNO 1970

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 170, terzo comma, del codice di procedura penale, in relazione all'articolo 510, primo comma, dello stesso codice, promosso con ordinanza emessa il 15 ottobre 1968 dal pretore di Iseo nel procedimento penale a carico di Isola Giacomo, iscritta al n. 163 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 145 dell'11 giugno 1969.

Udito nella camera di consiglio del 21 maggio 1970 i1 Giudice relatore Nicola Reale.

 

Ritenuto in fatto

 

Con ordinanza pronunziata il 15 ottobre 1968 nel corso del procedimento penale a carico di Isola Giacomo, opponente a decreto penale di condanna per emissione di assegno a vuoto, il pretore di Iseo ha sollevato, in riferimento all'articolo 24, secondo comma, della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 170, terzo comma, in relazione all'art. 510, primo comma, del codice di procedura penale.

La violazione del ricordato precetto costituzionale, secondo il pretore, deriverebbe dal fatto che lo svolgimento del giudizio di opposizione sarebbe impedito dalla limitazione dei poteri del difensore di ufficio ed in particolare dalla esclusione della possibilità che egli rappresenti, per gli accennati fini, l'imputato. La comparizione di questo, d'altra parte, non sarebbe neppure assicurata dalla notificazione del decreto di citazione col rito degli irreperibili, volta soltanto a costituire una presunzione legale di conoscenza, non la effettiva comunicazione della fissazione del dibattimento.

In difetto di costituzioni di parti la Corte ha proceduto all'esame della questione in camera di consiglio, ai sensi degli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9 delle Norme integrative.

 

Considerato in diritto

 

1. - L'ordinanza del pretore di Iseo solleva il dubbio che sia in contrasto con la garanzia costituzionale del diritto di difesa il terzo comma dell'art. 170 del codice di procedura penale, nella parte in cui é disposto che le notificazioni all'imputato irreperibile, eseguite con le modalità stabilite nei precedenti commi, "non conferiscono al difensore il diritto di sostituirsi all'imputato negli atti che questi deve compiere personalmente o per mezzo di procuratore speciale".

La questione é prospettata con specifico riferimento alla ipotesi di giudizio conseguente all'opposizione al decreto penale di condanna, per la quale l'art. 510, primo comma, del detto codice prescrive che, "se l'opponente non si presenta all'udienza, senza giustificare un legittimo impedimento, il pretore pronunzia sentenza con la quale ordina l'esecuzione del decreto stesso".

Lo svolgimento del giudizio in sede di opposizione sarebbe quindi impedito, secondo l'assunto del giudice del merito, dalla esclusione di poteri di rappresentanza legale nel difensore nominato di ufficio all'imputato; la cui comparizione all'udienza non sarebbe, peraltro, assicurata dalla notificazione, mediante deposito in cancelleria, del decreto di citazione, la quale implica, si osserva, una presunzione di conoscenza e non l'effettiva comunicazione della data del dibattimento.

La questione non é fondata.

2. - In merito alla disciplina della opposizione a decreto penale di condanna, questa Corte ha più volte negato l'illegittimità costituzionale dell'art. 510 c.p.p. (sent. n. 46/1957; 170/1963) ed ha osservato che gli effetti della mancata comparizione dell'opponente sono conseguenza del riconoscimento legislativo della carenza di un interesse, in lui, alla prosecuzione del procedimento di opposizione.

All'inattività dell'imputato conseguono, infatti, sia l'esclusione dell'esercizio ulteriore del diritto di difesa ai fini del riesame del merito della contestazione, sia la limitazione di esso al solo controllo della volontarietà o meno della mancata comparizione. La comparizione, infatti, integra un onere processuale, il cui adempimento implica una manifestazione di volontà dell'opponente, al quale unicamente é rimessa, nel sistema del giudizio monitorio penale, la eventualità dello svolgersi del dibattimento (sent. n. 26 del 1966).

Nel quadro del sistema medesimo trova giustificazione razionale la disposizione del terzo comma dell'art. 170 nello specifico profilo applicativo, che é stato a torto denunziato dal giudice a quo.

L'attribuzione, invero, al difensore d'ufficio del potere di sostituirsi all'imputato irreperibile ai fini della comparizione all'udienza dibattimentale, risulterebbe incompatibile con la accennata disciplina del procedimento di opposizione, al quale apporterebbe grave e non necessaria deviazione.

Giova ricordare, peraltro, che, a prescindere dalla possibilità che l'imputato si avvalga, ove ricorrano le condizioni di cui all'art. 125 c.p.p., del diritto di farsi rappresentare dal difensore munito di procura speciale, la sua tutela é assicurata, anche in tale fase del procedimento, dal diritto di ricorrere per cassazione contro la pronunzia che, nel dare atto della mancata comparizione, abbia dichiarato esecutivo il decreto di condanna oggetto di opposizione.

E non vale obiettare, come si rileva nell'ordinanza di rimessione, che la volontarietà del comportamento processuale dell'opponente, nel caso che il decreto di citazione sia stato notificato col rito degli irreperibili, é fondata soltanto sulla presunzione che l'opponente stesso ne abbia preso conoscenza a seguito del deposito in cancelleria.

Tale forma di notificazione, che si ha per eseguita dopo che del deposito del decreto di citazione é dato avviso al difensore di fiducia o nominato di ufficio, é configurata dall'ordinamento quale ultimo e necessario strumento processuale onde rendere possibile l'ulteriore svolgersi del giudizio, a salvaguardia dell'interesse pubblico connesso all'esercizio della giurisdizione penale. Va ricordato che tale forma di notifica può essere disposta soltanto a seguito dell'accertamento, da parte del magistrato, della impossibilità che la notificazione, in difetto di consegna personale, sia eseguita, con speciali modalità, nei luoghi previsti dalla legge, risultanti dagli atti ed in ispecie da dichiarazioni dell'imputato, o risultanti dalle ulteriori ricerche, che devono essere ordinate a norma dell'art. 170, secondo comma, cod. proc. penale. Il tutto in adempimento di obblighi imposti all'ufficio giudiziario a tutela dei diritti dell'imputato, su cui peraltro, ai sensi dell'art. 171, terzo comma, incombe l'onere di comunicare all'ufficio medesimo le eventuali mutazioni relative ai luoghi dichiarati o al domicilio eletto.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata, in riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione, la questione sollevata con l'ordinanza di cui in epigrafe, sulla legittimità costituzionale dell'art. 170, terzo comma, del codice di procedura penale, in relazione all'art. 510 dello stesso codice.

 

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 giugno 1970.

Giuseppe BRANCA  -  Michele FRAGALI  -  Costantino MORTATI  -  Giuseppe CHIARELLI  -  Giovanni BATTISTA BENEDETTI  -  Francesco PAOLO BONIFACIO  -  Luigi OGGIONI  -  Angelo DE MARCO  -  Ercole ROCCHETTI  -  Enzo CAPALOZZA  -  Vezio CRISAFULLI  -  Nicola REALE  -  Paolo ROSSI

 

Depositata in cancelleria il 6 luglio 1970.