SENTENZA N. 133
ANNO 1970
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta
dai signori Giudici:
Prof.
Giuseppe BRANCA, Presidente
Prof.
Michele FRAGALI
Prof.
Costantino MORTATI
Prof.
Giuseppe CHIARELLI
Dott.
Giuseppe VERZI'
Dott.
Giovanni BATTISTA BENEDETTI
Prof.
Francesco PAOLO BONIFACIO
Dott.
Luigi OGGIONI
Dott.
Angelo DE MARCO
Avv.
Ercole ROCCHETTI
Prof.
Enzo CAPALOZZA
Prof.
Vincenzo MICHELE TRIMARCHI
Prof.
Vezio CRISAFULLI
Dott.
Nicola REALE
Prof.
Paolo ROSSI
ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
nei
giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 145, primo comma, e 156,
primo comma, del codice civile, promossi con le seguenti ordinanze:
1)
ordinanza emessa il 17 ottobre 1968 dal tribunale di Udine nel procedimento
civile vertente tra Ellero Gianvittore e Pinto Carmela, iscritta al n. 26 del
registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 66 del 12 marzo 1969;
2)
ordinanza emessa il 9 gennaio 1969 dalla Corte d'appello di Genova nel
procedimento civile vertente tra Tognetti Elio e Ballarini Gina, iscritta al n.
141 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 128 del 21 maggio 1969;
3)
ordinanza emessa il 21 dicembre 1968 dalla Corte d'appello di Roma nel
procedimento civile vertente tra Alliata di Montereale Gianfranco e Guirola
Margherita, iscritta al n. 170 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 145 dell'11 giugno 1969;
4)
ordinanza emessa l'8 gennaio 1969 dalla Corte di appello di Roma nel
procedimento civile vertente tra Biagioni Ernesto e Passi Rosa, iscritta al n.
222 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 165 del 2 luglio 1969;
5)
ordinanza emessa il 17 giugno 1969 dal pretore di Venezia nel procedimento
penale a carico di Paganuzzi Aldo, iscritta al n. 297 del registro ordinanze
1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 207 del 13
agosto 1969.
Visti gli
atti di costituzione di Ellero Gianvittore e di Alliata di Montereale
Gianfranco;
udito
nell'udienza pubblica del 17 giugno 1970 il Giudice relatore Francesco Paolo
Bonifacio;
udito
l'avv. Sergio Belardini, per l'Alliata.
Ritenuto
in fatto
1. -
Quattro ordinanze del tribunale di Udine (17 ottobre 1968), della Corte di
appello di Roma (21 dicembre 1968 e 8 gennaio 1969) e della Corte di appello di
Genova (9 gennaio 1969) propongono una questione di legittimità costituzionale
concernente l'art. 156, primo comma, in relazione all'art. 145 del codice
civile, nella parte relativa agli obblighi patrimoniali che nei confronti del
coniuge incolpevole gravano sul coniuge per colpa del quale sia stata
pronunziata la separazione personale.
Le
ordinanze mettono in rilievo che dalla disposizione impugnata deriva un
trattamento più sfavorevole per il marito colpevole della separazione, tenuto a
somministrare alla moglie incolpevole tutto ciò che é necessario ai bisogni
della vita indipendentemente dalle condizioni economiche di lei, e più
favorevole per la moglie in colpa, che al mantenimento del marito incolpevole é
tenuta solo se egli non abbia mezzi sufficienti: siffatta disparità -
concludono le ordinanze violerebbe gli artt. 3 e 29 della Costituzione, non
essendo possibile giustificarla in funzione di quella unità della famiglia che
con la separazione é venuta meno. A questo proposito il tribunale di Udine e la
Corte di appello di Genova richiamano la sentenza n. 46 del
1966, con la quale questa Corte dichiarò l'illegittimità costituzionale del
primo comma dell'art. 156 nella parte riferibile alla separazione consensuale,
e sostengono che i principi ivi affermati dimostrano la fondatezza anche
dell'attuale questione.
2. -
L'art. 145, primo comma, del codice civile viene denunziato dal pretore di
Venezia (ord. 17 giugno 1969) in riferimento all'art. 29 della Costituzione e
limitatamente alla "parte in cui prevede l'obbligo del marito di
somministrare alla moglie tutto ciò che é necessario ai bisogni della vita in
proporzione delle sue sostanze".
Il giudice
a quo - che esprime un motivato e positivo giudizio in ordine alla rilevanza
della questione osserva che il riesame della legittimità costituzionale
dell'art. 145 del codice civile non trova ostacolo nella precedente sentenza n. 144 del
1967, giacché la motivazione di quella decisione di non fondatezza deve
considerarsi superata in seguito a successive pronunzie adottate dalla Corte in
tema di eguaglianza fra i coniugi. In particolare il pretore si riferisce alla sentenza n. 127 del
1968, con la quale venne dichiarata l'illegittimità costituzionale del
secondo comma dell'art. 151 del codice civile, ed osserva che per effetto di
essa é venuta meno quella situazione di vantaggio del marito in relazione alla
quale la Corte aveva ritenuto dovessero essere valutati anche i particolari
obblighi a lui imposti dalla legge, nell'ambito di un sistema unitario che
peraltro la stessa Corte mostrava di considerare non perfettamente aderente
allo spirito della Costituzione. L'ordinanza rileva che, poiché la residua
preminenza del marito (quale é quella che si esprime nella patria potestà e
nella potestà maritale) non si risolve in un complesso di privilegi ma é
strumento necessario per la formazione di una volontà unitaria della famiglia,
la diversificazione degli obblighi nascenti dalla disposizione impugnata non si
inserisce in un insieme unitario, ora venuto meno, di vantaggi e svantaggi del
marito: di tal che essa oramai va valutata come fonte di un illegittimo
privilegio della moglie.
3. - Nel
giudizio promosso dal tribunale di Udine si é costituito il signor Gianvittore
Ellero (atto del 24 dicembre 1968), il quale, richiamandosi alla motivazione
dell'ordinanza di rimessione, chiede che l'art. 156, primo comma, del codice
civile venga dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte denunziata.
Negli
stessi sensi conclude il signor Gianfranco Alliata, costituitosi (atto del 9
maggio 1969) nel giudizio promosso con l'ordinanza 21 dicembre 1968 della Corte
di appello di Roma.
La difesa
dell'Alliata non manca di tener conto che nel frattempo la stessa questione di
legittimità costituzionale é stata dichiarata non fondata con sentenza n. 45 del
1969, ma esprime la fiducia che la Corte possa ora giungere a diversa
conclusione. A tal fine la difesa richiama particolarmente l'attenzione sul
caso del marito povero e della moglie ricca, in relazione al quale non é esatto
affermare che il primo, ove non fosse mantenuta la disciplina vigente,
trarrebbe un vantaggio dalla separazione pronunziata per sua colpa: ed invero
il marito povero in costanza di convivenza deve essere mantenuto dalla moglie
ricca, mentre, intervenuta la separazione per colpa, egli ha diritto solo agli
alimenti e non partecipa più "alla fiorente vita cui la convivenza con la
moglie ricca lo porterebbe". La difesa, richiamandosi al principio di
eguaglianza, conclude mettendo in rilievo che é da escludersi che l'unità
familiare sarebbe minacciata ove i coniugi, in regime di parità, dovessero
concorrere al reciproco mantenimento in proporzione dei rispettivi redditi.
All'udienza
pubblica la difesa dell'Alliata ha insistito nelle proprie conclusioni.
Considerato
in diritto
1. - Le
cinque ordinanze indicate in epigrafe propongono identiche o connesse questioni
di legittimità costituzionale e pertanto i relativi giudizi vengono riuniti e
decisi con unica sentenza.
2. - In
forza di quanto dispone l'art. 145 del codice civile mentre il marito ha il
dovere di somministrare alla moglie, in proporzione delle sue sostanze, tutto
ciò che é necessario ai bisogni della vita (primo comma), la moglie é tenuta a
contribuire al mantenimento del marito (solo) se questi non ha mezzi
sufficienti (secondo comma).
Sul
presupposto che questa disciplina si traduca in una disparità di trattamento
fra i due coniugi e ponga la moglie in situazione di ingiustificato vantaggio,
il pretore di Venezia, facendo richiamo ai più recenti orientamenti
giurisprudenziali di questa Corte in materia di diritti e doveri dei coniugi,
ripropone, in riferimento all 'art. 29 della Costituzione, la questione di
legittimità costituzionale del primo comma della predetta disposizione, che già
fu dichiarata non fondata con sentenza n. 144 del
1967.
3. - Nella
ricordata precedente occasione la Corte, pur rilevando che l'art. 145 del codice
civile é fonte di obblighi sostanzialmente differenziati secondo che si tratti
della moglie o del marito, pervenne alla dichiarazione di non fondatezza sulla
base della considerazione che i particolari doveri imposti dalla legge al
marito - fra i quali, appunto, quello derivante dalla norma de qua - si trovano
in rapporto di necessaria correlazione con la situazione di preminenza a lui
conferita (specie con l'attribuzione della potestà maritale), sicché, ferma
restando quest'ultima, "nessuna attenuazione potrebbe apportarsi negli
obblighi, venendo altrimenti meno l'equilibrio voluto costituire nei rapporti
reciproci". La Corte, tuttavia, non mancò di ribadire l'esigenza di una
sollecita adeguazione legislativa del sistema al nuovo ordine sociale secondo
le direttive tracciate dalla Costituzione.
Successivamente
a tale decisione - mentre l'auspicata riforma del diritto di famiglia é rimasta
tuttora inattuata - la Corte é stata più volte chiamata ad esercitare il
controllo di legittimità costituzionale di altre disposizioni attinenti alla
materia. Ed é di particolare rilievo la circostanza che, a partire dalla sentenza n. 126 del
1968, é stato affermato il principio che, quando si tratti di questioni
relative all'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, queste vanno esaminate
non alla stregua dell'art. 3, ma solo in riferimento all'art. 29, secondo
comma, della Costituzione: e quest'ultima disposizione é stata interpretata (sentenze n. 127 del
1968 e n. 147
del 1969) nel senso che "la Costituzione direttamente impone che la
disciplina giuridica del matrimonio - col solo limite dell'unità della famiglia
- contempli obblighi e diritti eguali per il marito e per la moglie"; é
stato infine precisato che ciò si traduce nella irrilevanza di ragioni di
differenziazione nel trattamento che siano "diverse da quelle concernenti
la predetta unità".
Conformemente
a tale indirizzo - sulla base del quale la Corte é già pervenuta alla
dichiarazione di illegittimità costituzionale delle disposizioni penali e
civili che in ordine alle sanzioni del dovere di fedeltà coniugale operavano
una discriminazione fra marito e moglie - si deve ritenere che le norme che
siano fonte di svantaggio per un coniuge non possano essere giustificate,
nell'ambito di una valutazione di legittimità costituzionale, dal fatto che
altre norme conferiscano allo stesso coniuge, a proposito di altre situazioni
subbiettive nascenti dal matrimonio, una posizione di vantaggio (o viceversa).
Ed invero, dal momento che si riconosce che la salvaguardia dell'unità
familiare costituisce il solo legittimo limite dell'eguaglianza dei coniugi,
bisogna convenire che l'unico accertamento rilevante é se le diversità di
trattamento di volta in volta considerate trovino in quella esigenza - e solo
in essa - la loro giustificazione costituzionale.
4. - É
sulla base degli anzidetti principi che deve essere riesaminata la questione
proposta dal pretore di Venezia.
Che l'art.
145 del codice civile, nella parte oggetto della denunzia, tratti diversamente
i due coniugi é cosa di cui non si può dubitare. Si deve, é vero, riconoscere
che il dovere del marito di somministrare alla moglie "tutto ciò che é
necessario ai bisogni della vita in proporzione delle sue sostanze"
corrisponde al dovere di "contribuire al mantenimento del marito" che
il capoverso dello stesso articolo pone a carico della moglie. Lo dimostra il
successivo art. 146 che all'abbandono ingiustificato del domicilio coniugale da
parte della donna collega la sospensione dell'"obbligazione del marito di
provvedere al mantenimento della moglie": ciò significa che obbligo di
somministrazione di tutto ciò che é necessario ai bisogni della vita equivale
ad obbligo di mantenimento, e se a proposito della moglie si parla di
"contributo" ciò avviene perché la rilevanza dei mezzi economici di
cui il marito disponga (del che subito si dirà) importa necessariamente che il
mantenimento sia totale solo se questi difettino del tutto e parziale se essi
sussistano in misura non pienamente sufficiente. Ma, nonostante questa
equivalenza di contenuto, é chiaro che i due obblighi restano nettamente
differenziati, perché mentre quello a carico del marito é incondizionato, nel
senso che esso é imposto quali che siano le condizioni economiche della moglie,
quest'ultima é tenuta al mantenimento del marito solo se egli non abbia mezzi
sufficienti: l'assenza di questa condizione nel primo comma dell'art. 145 del
codice civile comporta una sostanziale ed assai rilevante diseguaglianza
giuridica fra i due coniugi.
La Corte
ritiene che siffatta disparità di trattamento non trovi giustificazione in
funzione dell'unità familiare. Si può, anzi, affermare che, quando si tratti
dei rapporti patrimoniali fra i coniugi, é proprio l'eguaglianza che garantisce
quella unità e, viceversa, é la diseguaglianza a metterla in pericolo. Certo é,
in verità, che, per quanti sforzi si facciano, l'obbligo del marito di
mantenere la moglie se questa disponga di mezzi sufficienti o più che
sufficienti in nessun modo riesce ad apparire come strumento necessario
all'unità della famiglia: la quale, al contrario, si rafforza nella misura in
cui i reciproci rapporti fra i coniugi sono governati dalla solidarietà e dalla
parità.
Ciò é
sufficiente a dimostrare l'illegittimità costituzionale di una diversità di
trattamento che, un tempo coerente con una concezione dei rapporti fra marito e
moglie radicalmente diversa da quella poi assunta dal legislatore costituente a
fondamento della nuova disciplina, appare ora come fonte di un puro privilegio
della moglie, non conforme all'odierna valutazione dei rapporti familiari e - ciò
che conta ai fini del controllo della sua legittimità costituzionale -
contrastante con l'art. 29 della Costituzione.
5. - La
questione di legittimità costituzionale dell'art. 156, primo comma, del codice
civile, nella parte concernente la ipotesi della separazione personale per
colpa del marito, venne dichiarata non fondata con sentenza n. 45 del
1969 sulla base della considerazione che la diversità di trattamento fra la
moglie colpevole - tenuta al mantenimento del marito solo se questi non
disponga di mezzi sufficienti - ed il marito colpevole - tenuto ad analogo
obbligo nei confronti della moglie, ma indipendentemente dalle condizioni
economiche di costei - trovava la sua premessa nella corrispondente
differenziazione di trattamento fra i coniugi conviventi e la sua
giustificazione costituzionale sia nel principio secondo il quale, nel rispetto
dell'eguaglianza sostanziale, la legge non può collegare all'illecito commesso
da un soggetto nei confronti di un altro conseguenze vantaggiose per il primo e
svantaggiose per l'altro, sia nella stessa esigenza di tutela dell'unità della
famiglia.
La
questione va ora dichiarata non fondata per esser venuto meno il suo
presupposto. Ed infatti, poiché a seguito della pronunzia di parziale
illegittimità del primo comma dell'articolo 145 il trattamento della moglie e
del marito - Conviventi risulta parificato, il denunziato primo comma dell'art.
156, che in regime di separazione conserva al coniuge incolpevole i diritti
inerenti alla sua qualità (quando, come nel caso in esame, non si tratti di
diritti incompatibili con lo stato di separazione), non contiene più alcuna
differenziazione secondo che si tratti dell'obbligo di mantenimento gravante
sul marito in colpa verso la moglie incolpevole ovvero dell'eguale obbligo
della moglie in colpa verso il marito incolpevole.
PER QUESTI
MOTIVI
LA CORTE
COSTITUZIONALE
dichiara
la illegittimità costituzionale dell'art. 145, primo comma, del codice civile,
nella parte in cui non subordina alla condizione che la moglie non abbia mezzi
sufficienti il dovere del marito di somministrarle, in proporzione delle sue
sostanze, tutto ciò che é necessario ai bisogni della vita;
dichiara
pertanto non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 156,
primo comma, del codice civile, nella parte concernente l'ipotesi di
separazione personale per colpa del marito, proposta dalle ordinanze del
tribunale di Udine, della Corte di appello di Roma e della Corte di appello di
Genova, indicate in epigrafe, in riferimento agli artt. 3 e 29, secondo comma,
della Costituzione.
Così
deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta,
il 24 giugno 1970.
Giuseppe
BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI -
Giuseppe VERZÌ - Giovanni BATTISTA BENEDETTI -
Francesco PAOLO BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO -
Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo MICHELE
TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI
Depositata
in cancelleria il 13 luglio 1970.