Sentenza n. 126 del 1968
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SENTENZA N. 126

ANNO 1968

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Aldo SANDULLI, Presidente

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE, 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 559 del Codice penale, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 13 ottobre 1965 dal Tribunale di Ascoli Piceno nel procedimento penale a carico di Palestini Ivana ed altri, iscritta al n. 223 del Registro ordinanze 1965 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25 del 29 gennaio 1966;

2) ordinanza emessa il 18 febbraio 1966 dal pretore di Biella nel procedimento penale a carico di Galeotti Paola ed altro, iscritta al n. 84 del Registro ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 124 del 21 maggio 1966;

3) ordinanza emessa il 3 giugno 1966 dal pretore di Bologna nel procedimento penale a carico di Ferri Clara ed altro, iscritta al n. 143 del Registro ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 226 del 10 settembre 1966;

4) ordinanza emessa il 7 ottobre 1967 dal pretore di Torino nel procedimento penale a carico di Furlan Ofelia Bruna ed altro, iscritta al n. 257 del Registro ordinanze 1967 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 321 del 23 dicembre 1967.

Udita nella camera di consiglio del 21 novembre 1968 la relazione del Giudice Giuseppe Verzì.

 

Ritenuto in fatto

 

Con ordinanza del 13 ottobre 1965, emessa nel procedimento penale contro Palestini Ivana ed altri, il Tribunale di Ascoli Piceno ha denunziato l'illegittimità costituzionale dell'art. 559 del Codice penale in riferimento agli artt. 3 e 29 della Costituzione, in quanto - punendo soltanto la moglie adultera e non il marito che offenda il bene della fedeltà coniugale - la legge fa un diverso trattamento fra i coniugi, che difficilmente riesce ad essere giustificato.

L'ordinanza rileva che la Corte costituzionale, con sentenza n. 64 del 23 novembre 1961, ha dichiarato non fondata la questione proposta negli stessi termini, ma che tuttavia si impone il riesame di essa per riscontrare se - nell'attuale momento storico sociale - sussiste tuttora quella situazione obbiettivamente diversa fra marito e moglie, che possa legittimare la discriminazione posta dalla norma impugnata. Confutando le argomentazioni addotte nella suindicata sentenza, a favore della non fondatezza, l'ordinanza osserva: 1) la discriminazione non può trovare giustificazione nel fatto che, dovendo vincere particolari ostacoli fisiologici, la moglie adultera dimostra maggiore carica di criminosità; oppure nel fatto che l'adulterio dalla stessa commesso importa maggiori pericoli, implicando i rischi della commistio sanguinis, della usurpazione di stato del figlio, ecc. Ed invero, siffatte circostanze riposano su una distinzione per sesso esplicitamente vietata dall'art. 3 della Costituzione. 2) Non sembra che, attualmente, la coscienza collettiva annetta all'adulterio della moglie un particolare carattere di gravità, come avveniva nei tempi passati, coerentemente allo stato di soggezione morale, giuridica e materiale in cui era tenuta la donna; e non può pertanto sostenersi che esso rappresenti una maggiore offesa al bene della fedeltà coniugale, che l'art. 559 vuol tutelare.

3) Anche in riferimento all'art. 29 della Costituzione, che garantisce l'unità familiare, deve riconoscersi la illegittimità della norma impugnata. L'adulterio rappresenta un fatto dimostrativo dell'avvenuta rottura di tale unità, sicché non si vede quale sia la ragione della discriminazione, mentre qualunque limitazione del principio di eguaglianza incide sull'unità stessa, spostando l'equilibrio a favore di uno ed a danno dell'altro coniuge. 4) L'illecito comportamento della moglie rispetto alla liceità dell'identico comportamento del marito pone la prima in condizioni di inferiorità morale e giuridica e ne offende la dignità personale, costringendola a sopportare le infedeltà del marito.

L'ordinanza ha disposto, pertanto, la sospensione del procedimento e la rimessione degli atti a questa Corte. Essa é stata regolarmente notificata, comunicata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25 del 29 gennaio 1966.

Nel giudizio innanzi a questa Corte non vi é stata costituzione di parti; né é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri.

Con altra ordinanza del 18 febbraio 1966 del pretore di Biella nel procedimento penale contro Galeotti Paola ed Amato Natalino nonché con le ordinanze del 3 giugno 1966 del pretore di Bologna nel procedimento penale contro Ferri Clara e Moschini Dino, e del 7 ottobre 1967 del pretore di Torino nel procedimento penale a carico di Furlan Ofelia Bruna e Passariello Michele é stata sollevata la medesima questione di legittimità dell'art. 559 del Codice penale e sono stati addotti identici motivi.

In particolare il pretore di Bologna osserva che l'art. 3 della Costituzione consente al legislatore di adeguare le norme giuridiche ai vari aspetti sociali dettando norme diverse per situazioni diverse, ma la discriminazione sembra giustificata solo laddove essa si fondi su oggettive necessità di ordine materiale e fisiologico. Le contingenti valutazioni sociali o di costume non appaiono tali da legittimare una disciplina discriminatoria, in quanto in esse manca quello stato di cogenza assoluta collegata alla natura dei destinatari della norma. La punizione del solo adulterio della moglie si fonda sulla concezione della donna come essere inferiore soggetta all'uomo, cioè su una valutazione sociale assai discutibile. Anche in relazione all'art. 29 della Costituzione, é da osservare che la discriminazione non é atta a garantire l'unità familiare.

Il pretore di Torino osserva inoltre che, a termini dell'art. 3 della Costituzione, il compito del legislatore é quello di rimuovere quegli ostacoli, che, fondandosi su apparenti concezioni diffuse nella collettività, vengono frapposti alla eguale considerazione giuridica dell'uomo e della donna rispetto a fatti di identica natura, quale il rapporto sessuale extraconiugale. L'art. 29 della Costituzione é collegato con l'art. 3, perché la parità giuridica é rafforzata da pari dignità dei coniugi. Se l'adulterio offende l'unità della famiglia, le eventuali differenziazioni, che si possono riscontrare in relazione alla posizione del marito e della moglie, riguardano soltanto un aspetto quantitativo di cui non si può tenere conto perché anche l'adulterio del marito lede, in una certa misura, l'unità della famiglia.

Le ordinanze suindicate, regolarmente notificate e comunicate, sono state pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 124, 226 e 321 del 21 maggio 1966, del 10 settembre 1966 e del 23 dicembre 1967.

Non essendovi stata costituzione delle parti dei suddetti giudizi, né essendo intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, la questione é stata decisa in camera di consiglio.

 

Considerato in diritto

 

1. - I vari giudizi possono essere riuniti e definiti con unica sentenza, perché tutte le ordinanze di rimessione hanno per oggetto la stessa questione di legittimità costituzionale.

2. - Occorre precisare preliminarmente che la denunzia di illegittimità é limitata alla ipotesi prevista dal primo comma dell'art. 559 del Codice penale. Ed invero, le ordinanze discutono dell'adulterio della moglie, ma nessuna di esse prende in considerazione l'altra fattispecie delittuosa contemplata da terzo comma dello stesso articolo come reato a sé stante, la relazione adulterina, per la quale, quindi, non risulta proposta alcuna questione.

3. - Con la sentenza n. 64 del 23 novembre 1961, questa Corte ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 559, primo comma, del Codice penale, in riferimento agli artt. 3 e 29 della Costituzione. L'ordinanza del Tribunale di Ascoli Piceno prima, e le altre successivamente hanno riproposto la questione ulteriormente argomentando e sostenendo che, negli ultimi anni, é sostanzialmente mutata in materia la coscienza collettiva. Di conseguenza sarebbe necessario accertare se - nell'attuale momento storico sociale - continui a sussistere oppure no quella diversità obbiettiva di situazione che nella precedente sentenza la Corte ritenne di riscontrare sì da giustificare il differente trattamento, fatto dal legislatore penale all'adulterio della moglie rispetto a quello del marito.

La Corte ritiene che la questione meriti di essere riesaminata.

4. - Il principio che il marito possa violare impunemente l'obbligo della fedeltà coniugale, mentre la moglie debba essere punita - più o meno severamente - rimonta ai tempi remoti nei quali la donna, considerata perfino giuridicamente incapace e privata di molti diritti, si trovava in stato di soggezione alla potestà maritale. Da allora molto é mutato nella vita sociale: la donna ha acquistato pienezza di diritti e la sua partecipazione alla vita economica e sociale della famiglia e della intera collettività é diventata molto più intensa, fino a raggiungere piena parità con l'uomo; mentre il trattamento differenziato in tema di adulterio é rimasto immutato, nonostante che in alcuni stati di avanzata civiltà sia prevalso il principio della non ingerenza del legislatore nella delicata materia.

9. - Non appare molto appropriato il riferimento fatto dalle ordinanze di rimessione all'art. 3 della Costituzione per il quale tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali di fronte alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e simili. Questa norma, che tende ad escludere privilegi e disposizioni discriminatorie tra i cittadini, prende in considerazione l'uomo e la donna come soggetti singoli, che, nei rapporti sociali, godono di eguali diritti ed eguali doveri. Essa tutela la sfera giuridica della donna ponendola in condizioni di perfetta eguaglianza con l'uomo rispetto ai diritti di libertà, alla immissione nella vita pubblica, alla partecipazione alla vita economica ed ai rapporti di lavoro, ecc. E la differenza di sesso é richiamata nel detto articolo con riferimento ai diritti e doveri dei cittadini nella vita sociale, e non anche con riferimento ai rapporti di famiglia.

6. - I rapporti fra coniugi sono disciplinati invece dall'art. 29 della Costituzione, che riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, afferma l'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi e dispone che questa eguaglianza possa subire limitazioni soltanto a garanzia dell'unità familiare. Nel sancire dunque sia l'eguaglianza fra coniugi, sia l'unità familiare, la Costituzione proclama la prevalenza dell'unità sul principio di eguaglianza, ma solo se e quando un trattamento di parità tra i coniugi la ponga in pericolo.

Come é stato precisato nella precedente giurisprudenza di questa Corte, non vi é dubbio che, fra i limiti al principio di eguaglianza, siano da annoverare quelli che riguardano le esigenze di organizzazione della famiglia, e che, senza creare alcuna inferiorità a carico della moglie, fanno tuttora del marito, per taluni aspetti, il punto di convergenza dell'unità familiare, e della posizione della famiglia nella vita sociale. Ciò indubbiamente autorizza il legislatore ad adottare, a garanzia dell'unità familiare, talune misure di difesa contro influenze negative e disgregatrici.

Queste considerazioni tuttavia non spiegano né giustificano la discriminazione sanzionata dalla norma impugnata.

É questione di politica legislativa quella relativa alla punibilità dell'adulterio. Ma, poiché la discriminazione fatta in proposito dall'attuale legge penale viola il principio di eguaglianza fra coniugi - il quale rimane pur sempre la regola generale - occorre esaminare se essa sia essenziale alla unità familiare. Infatti solo in tal caso sarebbe ammissibile il sacrificio di quel principio di base nel nostro ordinamento.

Ritiene la Corte, alla stregua dell'attuale realtà sociale, che la discriminazione, lungi dall'essere utile, é di grave nocumento alla concordia ed alla unità della famiglia. La legge, non attribuendo rilevanza all'adulterio del marito e punendo invece quello della moglie, pone in stato di inferiorità quest'ultima, la quale viene lesa nella sua dignità, é costretta a sopportare l'infedeltà e l'ingiuria, e non ha alcuna tutela in sede penale.

Per l'unità familiare costituisce indubbiamente un pericolo l'adulterio del marito e della moglie, ma, quando la legge faccia un differente trattamento, questo pericolo assume proporzioni più gravi, sia per i riflessi sul comportamento di entrambi i coniugi, sia per le conseguenze psicologiche sui soggetti.

La Corte ritiene pertanto che la discriminazione sancita dal primo comma dell'art. 559 del Codice penale non garantisca l'unità familiare, ma sia più che altro un privilegio assicurato al marito; e, come tutti i privilegi, violi il principio di parità.

É chiaro che, il riconoscimento della illegittimità del primo comma investe anche il secondo comma dell'art. 559 del Codice penale, per il quale é punito il correo della moglie adultera.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale del primo e del secondo comma dell'art. 559 del Codice penale.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1968.

 

Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE 

 

Deposito in cancelleria: 19 dicembre 1968.