SENTENZA
N. 16
ANNO
1965
REPUBBLICA
ITALIANA
IN
NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA
CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori
Giudici:
Prof. GASPARE
AMBROSINI, Presidente
Prof. GIUSEPPE
CASTELLI AVOLIO
Prof. NICOLA JAEGER
Prof. GIOVANNI
CASSANDRO
Dott. ANTONIO MANCA
Prof. ALDO SANDULLI
Prof. GIUSEPPE BRANCA
Prof. MICHELE FRAGALI
Prof. COSTANTINO
MORTATI
Prof. GIUSEPPE
CHIARELLI
Dott. GIUSEPPE VERZÌ
Dott. GIOVANNI
BATTISTA BENEDETTI
Prof. FRANCESCO PAOLO
BONIFACIO
ha pronunciato la
seguente
SENTENZA
nel giudizio di
legittimità costituzionale degli artt. 8 e 9 del R.D.L. 13 aprile 1939, n. 652,
modificati dalla legge 8 aprile 1948, n. 514, degli artt. 1 e 2 della legge 23
febbraio 1960, n. 131, e del D. M. 19 febbraio 1962, promosso con ordinanza
emessa il 4 marzo 1964 dalla Commissione distrettuale delle imposte di Napoli
su ricorso di Spanò Maria contro l'Ufficio distrettuale delle imposte di
Napoli, iscritta al n. 79 del Registro ordinanze 1964 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 144 del 13 giugno 1964.
Visto l'atto di
intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
udita nell'udienza
pubblica del 3 febbraio 1965 la relazione del Giudice Giuseppe Branca;
udito il sostituto
avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio
dei Ministri.
Ritenuto
in fatto
1. - Nel corso d'un
procedimento aperto dalla signora Maria Spanò contro l'Ufficio distrettuale
delle imposte di Napoli la Commissione distrettuale delle imposte di Napoli ha
emesso il 4 marzo 1964 ordinanza di rinvio alla Corte costituzionale. Con
questa ordinanza, che é stata ritualmente pubblicata e notificata, si é
promossa questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 23
febbraio 1960, n. 131 (e correlativamente del D. M. 19 febbraio 1962 pubblicato
nella Gazzetta Ufficiale, n. 104 del 20 aprile 1962), in riferimento agli artt.
23 e 76 della Costituzione, dell'art. 2 della stessa legge in riferimento agli
artt. 24, primo comma, 53 e 76 della Costituzione e degli artt. 8 e 9 del
R.D.L. 13 aprile 1939, n. 652, modificati dalla legge 8 aprile 1948, n. 514, in
riferimento all'art. 53 della Costituzione.
La Commissione delle
imposte mette in dubbio la legittimità dell'art. 1 della legge 23 febbraio
1960, n. 131, che ha delegato al potere esecutivo (Ministro delle finanze) il
compito di aggiornare annualmente le rendite catastali accertate in ossequio
alle disposizioni del R.D.L. 13 aprile 1939, n. 652 (relativo al catasto edilizio):
la norma contrasterebbe con l'art. 23 della Costituzione, secondo cui solo il
potere legislativo può imporre prestazioni personali e patrimoniali.
Quella delega inoltre
non conterrebbe né l'indicazione di principi e criteri direttivi per il Ministro
né la limitazione temporale dei poteri di quest'ultimo: perciò tanto il citato
art. 1 quanto il successivo art. 2 violerebbero l'art. 76 della Costituzione.
Lo stesso art. 2 e
gli artt. 8 e 9 del R.D.L. 13 aprile 1939, n. 652 (modificati con legge 8
aprile 1948, n. 514) non rispetterebbero il principio secondo cui la tassazione
deve essere proporzionata alla capacità contributiva del cittadino (art. 53
della Costituzione): infatti avrebbero introdotto un criterio di tassazione
obiettiva riferita all'immobile in sé considerato invece di colpire il reddito
effettivamente prodotto dall'immobile e realmente percepito dal contribuente.
Infine l'art. 2 della
legge 1960, n. 131, contrasterebbe anche con l'art. 24, primo comma, della
Costituzione: esso prevede una facoltà di ricorso per quei contribuenti il cui
reddito lordo, ridotto del 25 per cento, sia inferiore, d'oltre un quinto, alla
rendita catastale aggiornata coi coefficienti stabiliti dal Ministro (per
costoro il reddito imponibile sarà quello accertato coi criteri introdotti
dalla legge 1951, n. 1219); ma la prevede per i possessori d'immobili a fitto
bloccato, e non per i possessori di immobili locati a fitto libero; i quali
ultimi, perciò, sarebbero privi di tutela, essendo stato soppresso, col. D.L.
del 1948, n. 514, il secondo comma dell'art. 23 della legge del 1939, n. 652
che trattava tutti a un modo: difatti in virtù di questo comma e dell'art. 24,
che lo seguiva, qualunque contribuente avrebbe potuto ricorrere, qualora gli
uffici distrettuali lo avessero tassato in base alla rendita catastale e non
avessero tenuto conto del suo reddito effettivo che risultasse inferiore di
almeno un quinto.
Se, abrogato questo
comma, che attribuisce il diritto di ricorrere, il legislatore ha lasciato
fermo l'articolo seguente che disciplina l'esercizio di tale diritto, segno é
che si riprometteva di tornarvi con norme integrative; ciò in effetti é
avvenuto con la legge del 1951, n. 1219, che tuttavia la disposizione impugnata
ha reso applicabile soltanto ai possessori di immobili a fitto bloccato
rendendo privi di tutela tutti gli altri.
2. - Il Presidente
del Consiglio é intervenuto, a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, con
atto depositato il 27 maggio 1964.
Sulla prima questione
l'Avvocatura dello Stato richiama un precedente in termini, la sentenza n. 48 del 1961. In particolare nega che vi sia violazione
dell'art. 76 della Costituzione: il provvedimento, con cui il Ministro delle
finanze aggiorna ogni anno la rendita catastale, non é legge delegata, ma
espressione di attività amministrativa. Inoltre esso non é esercizio di potestà
meramente discrezionale, ma frutto d'un giudizio tecnico fondato, nello spirito
della legge, sull'individuazione di "mutamenti delle condizioni economiche
degli immobili", cioé di "situazioni obiettivamente rilevabili":
non per niente il Ministro é assistito dalla Commissione censuaria centrale;
perciò neanche l'art. 23 della Costituzione sarebbe intaccato.
Anche la seconda
questione avrebbe il suo precedente nella sentenza di rigetto ricordata poco fa
(n. 48 del 1961): il principio della capacità contributiva
non é offeso poiché l'aggiornamento delle tariffe ha per base un reddito
imponibile acquisito attraverso validi mezzi di indagine e tiene conto di
fenomeni di ordine generale che influiscono su tutti i redditi del Paese.
Infondata sarebbe
inoltre l'ultima questione. É vero, anche per l'Avvocatura dello Stato, che la
tariffa della rendita catastale non é soggetta a ricorso (l'art. 13 della legge
n. 652 del 1939 non vi si riferisce); ma é indiscutibile che essa viene
determinata su dati obiettivi, per ogni singola categoria e classe di immobili,
dagli organi competenti, presso i quali il cittadino ha modo di farsi sentire.
Se poi solo i possessori di immobili soggetti al vincolo delle locazioni
possono ricorrere per una diversa determinazione del reddito imponibile, ciò si
spiega agevolmente: soltanto loro possono trovarsi con un reddito effettivo
sensibilmente inferiore alla rendita catastale aggiornata. Né l'art. 24 della
Costituzione né l'art. 3, se fosse addotto, apparirebbero violati.
Considerato
in diritto
1. - L'art. 1 della
legge 23 febbraio 1960, n. 131, conferisce al Ministro delle finanze il compito
di aggiornare le rendite catastali urbane con un coefficiente da determinare
anno per anno. Non si tratta di delegazione dell'esercizio di potestà
legislativa, come invece é detto nell'ordinanza di rinvio, ma di attribuzione
di competenza amministrativa: il che si ricava da una serie di elementi
univoci, come la figura dell'organo al quale é stato conferito quel potere (si
tratta di un Ministro e non del Governo), la formula usata, nella presunta
legge di delegazione, per conferirglielo, la natura eminentemente tecnica del
compito da svolgere anno per anno, la stessa assenza d'un sicuro limite di
tempo. Perciò l'art. 76 della Costituzione é stato male invocato dall'ordinanza
di rinvio.
Secondo la norma
impugnata, la rendita catastale, calcolata, per categorie e classi di immobili
urbani con riferimento ai redditi del triennio 1937-39, si deve moltiplicare
per un coefficiente che il Ministro delle finanze non può stabilire a suo arbitrio.
La legge infatti parla di "aggiornamento" e con ciò delimita
rigorosamente i poteri dell'autorità amministrativa: dato che la tariffa della
rendita é stata determinata, per il catasto urbano, sulla media delle pigioni
al 1939 (artt. 14 e 15 del regolamento n. 1142 del 1949), il Ministro dovrà
registrare l'aumento delle pigioni intervenuto negli anni successivi al '39;
deve raccogliere dati obiettivi e calcolarne le medie per categorie e classi
d'immobili, cioè svolgere un'opera che non consente iniziative o risultati
arbitrari. Perciò la riserva di legge, contenuta nell'art. 23 della
Costituzione, non é violata né elusa (v. anche sentenza n. 48 del
1961 della Corte costituzionale).
2. - A parere della
Commissione distrettuale di Napoli, il sistema adottato dall'art. 2 della legge
1960, n. 131, e dagli artt. 8 e 9 del R.D.L. 13 aprile 1939, n. 652 (modificati
con legge 11 agosto 1939, n. 1249), che disciplina il catasto edilizio urbano,
violerebbe quel principio costituzionale che esige una tassazione proporzionata
alla capacità contributiva del cittadino: infatti la rendita catastale, che,
calcolata in ossequio a quelle norme, é la base per la determinazione del
reddito imponibile, non corrisponde necessariamente alla pigione realmente
percepita dal singolo possessore dell'immobile; pigione sulla quale invece,
secondo l'ordinanza di rinvio, sarebbe giusto che gravasse l'imposta
immobiliare.
Anche questa censura
é infondata.
La capacità
contributiva non é rivelata soltanto dal reddito che percepisce di fatto la
persona gravata dal tributo. Quando oggetto dell'imposta sia una cosa
produttiva, la base per la tassazione é data (e la capacità del contribuente é
rivelata) dall'attitudine del bene a produrre un reddito economico e non dal
reddito che ne ricava il possessore, dalla produttività e non dal prodotto
reale: ed é giusto che ciò avvenga perché l'imposta costituisce anche incentivo
ad una congrua utilizzazione del bene e favorisce tra l'altro un migliore
adempimento dei doveri di solidarietà economica e un più ampio contributo al
progresso materiale del Paese (artt. 3 e 4 della Costituzione). La legge, che
disciplina le imposte immobiliari non indulge né può indulgere all'inerzia,
all'incapacità di gestione, alla liberalità del contribuente, che ad esempio
non tragga adeguato compenso dall'impiego del suo immobile. Perciò colpisce il
possessore (almeno se lo stabile é di quelli che hanno una "destinazione
ordinaria", ad es. é una casa d'abitazione) non sopra il canone
effettivamente conseguito, ma su quello che, a parità di condizioni, avrebbe
potuto conseguire l'uomo medio (v. anche art. 74 del T.U. sulle imposte
dirette).
Per calcolare questa
cifra il legislatore ha adottato un sistema che potrà essere discusso o
migliorato, ma che non é irragionevole ed é certo più efficiente di quello già
in vigore. In tutti i Comuni, per ogni tipo (categoria e classe) di immobili
urbani con destinazione ordinaria, si é registrata la misura della pigione che
ne ha tratto realmente, nel 1937 - 39, un certo numero di possessori; se ne é
calcolata la media, la si é ridotta ad anno e (portata al netto dalle spese) la
si é divisa per il numero dei vani (o, a seconda dei casi, dei metri quadri o
dei metri cubi) dell'immobile tipo; così se ne é ricavata una tariffa unitaria
per vano (o per metro quadro o per metro cubo). La rendita fondiaria, che gli
uffici hanno iscritto sotto il nome di ogni contribuente, corrisponde alla
tariffa unitaria moltiplicata per il numero dei vani (o dei metri quadri o dei
metri cubi) di cui si compone l'immobile posseduto da ciascuno.
Certo può accadere
che in questo modo la rendita catastale segnata per taluni contribuenti non
coincida col reddito effettivamente percepito da loro; ma già si é detto come
ciò non contrasti con quel principio di giustizia che deve presiedere
all'imposizione fiscale e che fa omaggio alla capacità contributiva di
ciascuno.
Se poi questo reddito
effettivamente conseguito dovesse discostarsi largamente dalla cifra della
rendita catastale, non é che il contribuente si troverebbe del tutto privo di
tutela: la legge stabilisce che l'uscio distrettuale, dopo un triennio,
solleciterà presso l'ufficio tecnico erariale la correzione della cifra (art.
25 della legge del 1939, n. 652).
3. - L'aggiornamento
delle rendite catastali, come s'é premesso, é condotto con criteri più o meno
analoghi a quelli seguiti per la determinazione originaria della rendita
(quella calcolata sul triennio '37-'39). Perciò, se questa determinazione non
contraddice al principio della giustizia tributaria, non vi contrasta neanche
l'aggiornamento: il relativo coefficiente dà modo di calcolare con una certa
approssimazione i redditi che si sono potuti o si potevano percepire dopo il
'39. Tale é la ragione per cui il contribuente non può reclamare contro la
misura della rendita unitaria aggiornata, così come non ha potuto reclamare
contro la misura della rendita unitaria segnata nel catasto. Egli non ha tutela
processuale proprio perché non ha diritto alla riduzione di quella cifra;
dimodoché l'art. 24 della Costituzione non appare invocato a proposito.
Ci sono tuttavia
molti possessori di immobili che per legge non hanno potuto procedere agli
aumenti della pigione col ritmo suggerito dall'andamento del mercato.
Per costoro la cifra
della rendita catastale calcolata moltiplicando la rendita originaria per il
coefficiente di aggiornamento, sarebbe di regola sensibilmente più alta di
quella che corrisponde al reddito conseguito o conseguibile. Questo é l'ovvio
motivo per cui la legge li ammette al reclamo stabilendo che l'imponibile sia
quello accertato singolarmente coi criteri previsti nelle leggi n. 1219 del
1951 e n. 1521 del 21 dicembre 1960 (art. 6). L'art. 2 della legge del 1960 n.
131 non fa che riconoscere e tutelare questa particolare situazione; cosicché
appare esente da vizi di legittimità costituzionale.
PER
QUESTI MOTIVI
LA
CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata
la questione, proposta con l'ordinanza di cui in epigrafe, sulla legittimità
costituzionale degli artt. 1 e 2 della legge 23 febbraio 1960, n. 131; 8 e 9
della legge 8 aprile 1948, n. 514; 8 del R.D.L. 13 aprile 1939, n. 652,
convertito in legge 11 agosto 1939, n. 1249, in riferimento agli artt. 23, 76,
53, primo comma, e 24, primo comma, della Costituzione.
Così deciso in Roma,
nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 marzo
1965.
Gaspare AMBROSINI -
Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni
CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA
- Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI – Giuseppe VERZì -
Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco
Paolo BONIFACIO.
Depositata in Cancelleria
il 31 marzo 1965.