Sentenza n. 48 del 1961
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SENTENZA N. 48

ANNO 1961

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori:

Avv. Giuseppe CAPPI, Presidente

Prof. Gaspare AMBROSINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco Pantaleo GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA 

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge 20 ottobre 1954, n. 1044, promosso con ordinanza emessa il 9 aprile 1959 dalla Commissione provinciale delle imposte di Siena su ricorso di Meocci Achille e Maria contro l'Ufficio del registro di Siena, iscritta al n. 123 del Registro ordinanze 1959 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 316 del 31 dicembre 1959.

Vista la dichiarazione di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 7 giugno 1961 la relazione del Giudice Michele Fragali;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio dei Ministri e per il Ministro per le finanze.  

Ritenuto in fatto 

1. - L'Ufficio del registro di Siena, nel procedere alla liquidazione dell'imposta di successione dovuta dai signori Meocci Achille e Maria riguardo ai fondi rustici relitti dal loro padre Pietro, applicò il criterio tabellare stabilito nell'art. 1 della legge 20 ottobre 1954, n. 1044.

Ricorsero gli eredi Meocci alla Commissione provinciale di Siena e, tra l'altro, chiesero che l'accertamento fosse ridotto all'importo che corrispondeva al valore venale dei beni caduti in successione, perché la legge applicata dall'ufficio fiscale aveva sostituito il criterio del valore venale previsto dalla legge 30 dicembre 1923, n. 3270, e dal R.D.L. 7 agosto 1936, n. 1639, soltanto per l'ipotesi in cui quello dichiarato dal contribuente non risultasse inferiore a quello tabellare, e perciò aveva lasciato in vigore il sistema precedente nella ipotesi che venisse dichiarato un valore inferiore a quello tabellare, che era l'ipotesi concretatasi nella fattispecie in decisione.

I ricorrenti, per il caso in cui si fosse ritenuto che il sistema creato dalla legge 20 ottobre 1954, n. 1044, abbia carattere generale ed escluda sempre l'accertamento del valore venale ai fini dell'imposta di successione, eccepirono l'illegittimità costituzionale della legge predetta. Rilevarono all'uopo che essa:

a) introduce un principio contrario agli artt. 3 e 53 della Costituzione, la quale sancisce l'uguaglianza del cittadino anche nei rapporti di natura fiscale, il cui carico deve essere commisurato alla reale capacità contributiva dell'obbligato: l'unico coefficiente nazionale non soltanto non permette di tenere presente tale principio, ma altresì conduce, in determinati casi, stante la progressività dell'aliquota, alla espropriazione totale e senza indennizzo, in violazione dell'art. 42, terzo comma, della Costituzione;

b) viola gli artt. 23, 70 e 76 della Costituzione, che determina la natura della norma diretta a stabilire la prestazione patrimoniale del cittadino, l'art. 77 della Costituzione stessa perché la legge impugnata sembra avere il carattere di una delegazione perpetua, l'art. 113 della Costituzione perché la legge impugnata avrebbe limitato i mezzi della tutela giurisdizionale dei diritti lesi, alle sole due ipotesi del suo art. 2.

2. - La Commissione provinciale delle imposte, con ordinanza 9 aprile 1959, ritenne che la legge 20 ottobre 1954, n. 1044, applicata dall'ufficio fiscale, non intese consentire al contribuente, come sostenevano gli eredi Meocci, la possibilità di scelta fra l'accertamento tabellare e quello venale quando il valore dichiarato fosse inferiore a quello risultante dalla applicazione del primo, ma intese creare la possibilità di una pronta liquidazione dell'obbligazione tributaria, mediante l'adozione di un sistema di valutazione fondato sull'applicazione di coefficienti fissi, nel caso in cui il valore dichiarato fosse inferiore a quello calcolato secondo il predetto sistema; in modo che, se il valore denunciato corrisponde a quello tabellare, non si procede ad accertamento, mentre si applica il valore tabellare ove quello denunciato risulti inferiore. La Commissione ritenne, pertanto, di dovere applicare alla specie la legge del 1954; onde era necessario prendere in esame l'eccezione di illegittimità di detta legge proposta dai ricorrenti.

Considerò, a tal fine, che la delegazione data al Ministro di approvare con suo decreto il coefficiente di valutazione determinato annualmente dalla Commissione censuaria, essendo priva di limiti di tempo, viola l'art. 77 della Costituzione; rilevò, inoltre, che, mediante quella delegazione, in contrasto con l'art. 23 della Costituzione, si dà al potere esecutivo la potestà di determinare coefficienti unici di valutazione, i quali, data la natura dell'imposta di successione e le diversità delle condizioni di produttività e redditività dei singoli fondi rustici, spesso riscontrabile anche tra fondi siti in una stessa Provincia, portano a carichi tributari o eccessivi od esigui, in violazione dell'art. 53 della Costituzione.

La Commissione sospese, pertanto, il giudizio sul merito del ricorso Meocci e rimise a questa Corte la questione di legittimità da essa esaminata.

3. - L'ordinanza venne notificata il 17 ottobre 1959 alle parti e il 30 ottobre 1959 alla Presidenza del Consiglio dei Ministri; venne comunicata ai Presidenti delle Camere del Parlamento il 20 novembre 1959 e venne pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 31 dicembre 1959, n. 316.

Si costituirono in giudizio il Ministro per le finanze e i signori Achille e Maria Meocci, mediante deposito di deduzioni avvenuto rispettivamente il 16 e il 20 gennaio 1960; il 16 gennaio 1960 intervenne il Presidente del Consiglio dei Ministri.

Il Presidente del Consiglio e il Ministro per le finanze depositarono una memoria il 26 ottobre 1960; il 27 successivo provvidero ad analogo deposito i signori Meocci.

4. - I ricorrenti rilevano di avere impugnato il 22 settembre 1959, innanzi la Commissione centrale, la decisione di quella provinciale, nel punto in cui ritenne che la legge del 1954 non aveva mantenuto fermo in nessun caso il criterio dell'accertamento secondo il valore venale, e chiedono la sospensione del giudizio di legittimità costituzionale, sotto il riflesso che, ove la Commissione centrale non avesse fatto propria l'interpretazione data dalla Commissione provinciale alla legge predetta, questa non sarebbe applicabile alla controversia, e la questione di legittimità non avrebbe più rilevanza: un'interpretazione autonoma ad opera della Corte costituzionale potrebbe portare ad un contrasto di decisioni.

Osservano, inoltre, che essi avevano lamentato la violazione degli artt. 23, 53, 70, 76 e 77 della Costituzione, in ordine all'art. 1 della legge impugnata, e dell'art. 113 della Costituzione, in ordine all'art. 2 della stessa legge, mentre, nella parte di diritto, l'ordinanza della Commissione indica specificatamente solo le violazioni degli artt. 77, 23 e 53 della Costituzione ed esclusivamente in relazione all'art. 1 della legge, per quanto abbia poi, più generalmente, ritenuto non manifestamente infondate tutte le eccezioni sollevate contro la legge e abbia rinviato alla Corte genericamente la questione di legittimità della legge stessa, senza limitazione ad alcuno dei suoi articoli. Per il caso in cui la indicazione, nella motivazione della ordinanza, solo di alcune delle norme violate rappresenti limite riflettentesi sul dispositivo, i ricorrenti chiedono che gli atti siano rimessi alla Commissione provinciale per le necessarie specificazioni.

Nel merito essi rilevano che, se fosse esatta l'interpretazione data dalla Commissione provinciale alla legge 20 ottobre 1954, n. 1044, apparirebbero evidenti le dedotte violazioni delle norme costituzionali.

a) Il rimettere al Ministro la determinazione dei coefficienti annui sui quali debbono calcolarsi gli imponibili, implica affidare al potere esecutivo la determinazione delle aliquote dell'imposta, di competenza esclusiva della legge. L'art. 1 della legge impugnata contiene perciò una delegazione, ed una delegazione illegittima; sia perché il relativo potere non é stato dato al Governo, ma ad un singolo Ministro, sia perché é stato dato senza criteri direttivi e senza determinazione di tempo.

b) Il prevedere un coefficiente nazionale unico per la determinazione dell'imponibile vuol dire prescindere dalla capacità contributiva del cittadino, che é, invece, rilevante secondo la regola dell'art. 53 della Costituzione, e che va accertata con riferimento a ciascun contribuente, mediante una valutazione in concreto dei patrimonio o del reddito, che tenga conto di ogni specifico elemento.

c) L'avere limitato l'impugnativa contro gli accertamenti alle questioni della non corrispondenza dei fondi alla qualità di coltura risultanti dal catasto, esclude al contribuente la tutela giurisdizionale per ogni altra ragione (errore di intestazione o di calcolo, perimento del fondo, ecc.).

5. - Il Ministero delle finanze e la Presidenza del Consiglio ribadiscono il significato della legge impugnata nel senso deciso dalla Commissione provinciale: la valutazione automatica si sostituisce alla valutazione caso per caso, qualunque sia il valore dichiarato dal contribuente, superiore od inferiore a quello deducibile dalle tabelle legali. La questione di legittimità costituzionale della legge impugnata deve perciò essere presa in esame; ma deve essere dichiarata non fondata.

a) Non appare agevole l'interpretazione dell'ordinanza di rinvio. Essa lascia credere che la legge impugnata contenga una delegazione, ma afferma la sussistenza di un contrasto fra la legge medesima e l'art. 77 della Costituzione, mentre questo articolo, al primo comma, riguarda la legge delegata: avrebbe dovuto richiamare l'art. 76.

b) L'affermazione di illegittimità della legge ex art. 77 (rectius: 76) é in contrasto con l'altra di illegittimità nei confronti dell'art. 23: nel primo caso si afferma che il decreto ministeriale che determina il coefficiente nazionale é una legge delegata, nel secondo caso si sostiene che é un regolamento. Se poi la pretesa illegittimità nei confronti dell'art. 23 volesse rilevare un contrasto fra la norma della legge impugnata e la situazione che si viene a determinare qualora una prestazione sia imposta con atto diverso dalla legge, si rileverebbe agevolmente l'infondatezza dell'osservazione.

c) L'obbligo della prestazione, la misura astratta di essa, i presupposti dell'imposizione, i soggetti dell'obbligazione tributaria sono determinati dalla legge impugnata. Viene soltanto affidata all'Amministrazione la valutazione del bene, secondo un sistema da valere per tutti i casi rientranti in certi schemi, invece che caso per caso; e ciò non costituisce offesa al principio del l'art. 23 della Costituzione, che contiene una riserva di legge di carattere relativo.

All'Amministrazione é conferito un potere che non é assolutamente discrezionale, ma che deve esplicarsi con riferimento a criteri tecnici, la rilevazione dei quali viene approfondita dalle indagini affidate alla Commissione censuaria centrale; non é stato attribuito al Ministro delle finanze il potere di fissare la misura dell'imposta, ma il Ministro viene chiamato a partecipare alla preparazione degli elementi di carattere tecnico obiettivo, da utilizzare per la determinazione del valore imponibile nei casi concreti.

Se talora la valutazione dei beni non coincidesse con il valore venale dei medesimi, non si avrebbe una situazione diversa da quella che si determina quando l'accertamento del valore dei beni singoli, nel sistema dell'accertamento caso per caso, non coincide con il valore reale.

d) Per quest'ultima ragione non é sostenibile che la possibilità in astratto che la Commissione censuaria sbagli nella determinazione delle tabelle base e del coefficiente di aggiornamento, dia luogo a violazione del principio costituzionale secondo il quale tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.

6. - Nella memoria presentata il 27 ottobre 1960, gli eredi Meocci insistono nel sostenere la necessità della sospensione del processo di legittimità costituzionale e contestano l'affermazione dell'Avvocatura dello Stato, secondo cui l'ordinanza di rinvio contiene sostanziali contraddizioni.

Diffondendosi in un esame esegetico della lettera della legge, ribadiscono la tesi che questa, intesa nel senso fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e secondo le risultanze dei lavori preparatori, esige l'accertamento del valore venale dei fondi rustici caduti in successione quando il valore dichiarato é inferiore a quello tabellare, limitando l'applicazione di questo ultimo valore soltanto al caso di dichiarazione coincidente o superiore alle risultanze delle tabelle legali.

Affermano che la potestà data al Ministro di variare in via generale la determinazione del coefficiente per la determinazione dell'imponibile si risolve in una potestà di variare le aliquote, e che non é perciò influente rilevare che l'Amministrazione finanziaria é vincolata da criteri tecnici.

Rilevano che la valutazione automatica elimina le particolari caratteristiche dei beni; in modo che nella maggior parte dei casi non sarà possibile dare ad essi il valore effettivo.

7. - Il Ministero delle finanze e la Presidenza del Consiglio, con la memoria depositata il 26 ottobre 1960, deducono che la legge impugnata non impedisce al contribuente di contestare i valori tabellari per far sì che questi corrispondano alla realtà del mercato, quando ritiene che tale corrispondenza non esiste.

Le parti predette descrivono, poi, il procedimento tecnico seguito nella determinazione dei valori di tabella e rilevano che la Corte costituzionale non é chiamata a pronunciarsi in relazione all'art. 2 della legge impugnata.  

Considerato in diritto 

1. - La pendenza del ricorso alla Commissione centrale delle imposte avverso la decisione della Commissione provinciale di Siena che ritenne applicabile alla controversia la legge 20 ottobre 1954, n. 1044, non implica, come ritengono gli eredi Meocci, che debba essere sospeso il giudizio sulla questione di legittimità promossa in ordine a quella legge.

Il processo incidentale di legittimità costituzionale si svolge, non nell'interesse privato, ma per la tutela dell'interesse pubblico al rispetto delle norme della Costituzione; e non é, quindi, suscettibile di essere influenzato dalle vicende del processo ordinario dal quale ha ricevuto impulso.

E per questo che l'art. 22 delle Norme integrative per i giudizi innanzi a questa Corte esclude l'applicabilità al processo costituzionale delle norme sulla sospensione, interruzione ed estinzione del processo ordinario, ed esclude tale applicabilità anche nell'ipotesi in cui, per qualsiasi causa, sia venuto a cessare il giudizio rimasto sospeso davanti all'Autorità giurisdizionale che ha promosso la questione di legittimità; ed anche perciò questa Corte ha deciso (3 marzo e 6 luglio 1959, nn. 10 e 38), che la pronunzia sulla questione di legittimità costituzionale di una norma, sollevata nel corso di un processo ordinario, non può essere sospesa per il fatto che sul rapporto controverso, cui si riferisce il giudizio di rilevanza, non sia ancora intervenuta una sentenza passata in giudicato (nello stesso senso sostanziale é la sentenza 18 aprile 1959, n. 24).

La domanda di sospensione deve essere in conseguenza respinta.

2. - Sorte diversa non possono avere i rilievi che l'Avvocatura dello Stato trae, sia dall'erroneo richiamo all'art. 77 della Costituzione, che si legge nell'ordinanza della Commissione provinciale di Siena, sia dalla incertezza che l'ordinanza stessa dimostra circa la qualificazione del potere conferito al Ministro nell'art. 1 della legge succitata.

Risulta chiaramente dalla sostanza della sua pronunzia che la Commissione provinciale ritenne che l'art. 1 della legge impugnata avesse dato al Ministro una delegazione legislativa di durata illimitata, gli avesse attribuito il potere di dettare norme in materia di imposizione di tributi. che é invece, di spettanza del legislatore, avesse determinato criteri di imposizione che non hanno riguardo alla capacità contributiva del soggetto debitore.

L'art. 1 della legge 20 ottobre 1954, n. 1044, avrebbe perciò violato, secondo l'opinione sostanziale espressa nell'ordinanza, gli artt. 76, 23 e 53 della Costituzione. Ne consegue che il richiamo del solo art. 77 della Costituzione, invece che anche dell'art. 76, é frutto di un errore materiale e la caratterizzazione come regolamentare del potere conferito al Ministro, che l'ordinanza stessa aveva già prima ritenuto di carattere legislativo, si risolve in un vizio formale senza incidenza sul pensiero della Commissione.

3. - Non é il caso nemmeno che si rinviino gli atti al giudice a quo perché chiarisca se la questione da lui sollevata si riferisca anche all'art. 2 della legge, come sostengono gli eredi Meocci, o soltanto all'art. 1, come assume l'avvocatura dello Stato.

Per quanto sia generico il dispositivo dell'ordinanza, esso va inteso in correlazione ai suoi motivi, nei quali si prospettano soltanto questioni inerenti all'art. 1 della legge 20 ottobre 1954, n. 1044: e, se é vero che gli eredi Meocci avevano fatto valere ragioni di illegittimità relative all'art. 2, la circostanza che la Commissione non ebbe ad esprimere alcun giudizio di rilevanza al riguardo delle stesse, impedisce alla Corte di ritenere che queste possano formare oggetto di sue pronunzie.

4. - Inoltre, si rileva che, l'avere sollevato la questione di legittimità costituzionale per il solo caso in cui al rapporto controverso si fosse ritenuta applicabile la predetta legge 20 ottobre 1954, n. 1044, non include, come sostengono gli eredi Meocci e come, del resto, mostra di credere anche l'Avvocatura dello Stato, che la Corte costituzionale debba ricercare il significato della legge medesima per decidere se essa effettivamente regoli il rapporto predetto: infatti, l'interpretazione di una norma impugnata di illegittimità costituzionale, quando tende a stabilire se ad essa sia soggetto il rapporto dedotto nel processo a quo, é parte del giudizio di rilevanza della questione di legittimità.

La Commissione provinciale procedette alla determinazione del contenuto precettivo della norma richiamata dall'ufficio fiscale con diffuse argomentazioni, che seguirono le tracce di una sentenza della Commissione centrale delle imposte; epperò l'ordinanza di rinvio non é inficiata da alcuno di quei vizi la cui esistenza impone a questa Corte di giudicare mancante il presupposto del processo costituzionale incidentale.

5. - Nel merito si osserva che la questione sollevata é priva di fondamento.

L'art. 1 della legge 20 ottobre 1954, n. 1044, come si esprime la sua lettera, dà al Ministro il potere di approvare un atto della Commissione censuaria centrale, e questo potere non può essere che espressione di attività di indole meramente amministrativa. Sulla legittimità costituzionale della norma impugnata non influiscono, pertanto, i principi che regolano la delegazione legislativa, sia che si opponga la durata illimitata del potere attribuito al Ministro dalla norma stessa, come ha fatto l'ordinanza di rinvio, sia che si rilevi l'inammissibilità di una delegazione ad un Ministro del potere legislativo, secondo quanto gli eredi Meocci hanno dedotto innanzi a questa Corte.

Ma non é nemmeno sostenibile che, nella specie, si sia conferito al Ministro il potere di imporre una prestazione tributaria, in violazione dell'art. 23 della Costituzione. Questo articolo non esige che la istituzione del tributo avvenga "per legge", cioè che tutti i presupposti e gli elementi della prestazione ricavino dalla legge la loro determinazione; ma vuole che avvenga "in base alla legge", di tal che, come altre volte ha deciso questa Corte (4 luglio 1957, n. 122), consente che sia rinviata a provvedimenti amministrativi la determinazione di elementi o di presupposti della prestazione che siano espressione di discrezionalità tecnica, purché risultino assicurate le garanzie atte ad escludere che la discrezionalità si trasformi in arbitrio. Ora, l'art. 1 della legge impugnata si é limitato a dettare norme per l'accertamento dell'imponibile di un tributo che, come l'imposta di successione, ha ben lontane radici legislative; e ha dettato norme che impegnano, non una discrezionalità mera dell'ente impositore, ma un suo apprezzamento tecnico. La legge, infatti, impone di calcolare il valore dei fondi rustici caduti in successione in base alle tabelle compilate dalla Commissione censuaria centrale, per l'applicazione, a tali fondi, dell'imposta progressiva straordinaria sul patrimonio, ed aggiornate secondo un coefficiente determinato ogni anno dalla stessa Commissione censuaria, che deve essere approvato con decreto del Ministro delle finanze. E le tabelle base, in forza degli artt. 9 e seg. del D. Lg. 11 ottobre 1947, n. 1131, erano state formate mediante l'aggiunta, al reddito imponibile dominicale, di coefficienti stabiliti dalla Commissione censuaria centrale per zone economico - agrarie, con riguardo alla qualità di coltura ed alla classe di produttività; non é contestabile che queste direttive non lasciavano alcun arbitrio alla Commissione censuaria, la quale aveva un compito di controllo dei dati predisposti dall'amministrazione del catasto e dei servizi tecnici erariali, sulla base delle osservazioni prodotte dalle Commissioni censuarie comunali e da quelle provinciali. Gli ulteriori coefficienti che la legge impugnata impone di applicare per l'adeguamento delle tabelle - base non possono nemmeno essi risultare dall'esercizio di una mera discrezionalità, perché é nello spirito della legge che debbono rapportare le tabelle stesse ai mutamenti delle condizioni economiche verificatesi successivamente alla data della compilazione di quelle tabelle e, quindi, a situazioni obiettivamente rilevabili: il deferimento del compito di determinare il coefficiente a quella stessa Commissione censuaria centrale che istituzionalmente opera assistita da un collegio di periti, chiamato, fra l'altro, a raccogliere e coordinare, in ufficio e con sopraluoghi, tutti gli elementi tecnici ed economici necessari alla Commissione stessa (art. 28 T.U. 8 ottobre 1931, n. 1572, delle leggi sul nuovo catasto, e artt. 7 e 24 legge 8 marzo 1943, n. 153, sulle Commissioni censuarie), é prova certa del carattere tecnico del giudizio che conduce alla determinazione del coefficiente adeguativo; in modo che, per questa parte, non v'é infrazione, nella legge impugnata, alla norma della Costituzione invocata dell'ordinanza di rimessione.

6. - Rimane da vedere se il procedimento dettato dalla legge 20 ottobre 1954, n. 1044, per l'accertamento della base imponibile viola il principio secondo cui l'obbligo dei cittadini di concorrere alle spese pubbliche deve proporzionarsi alla capacità contributiva di ciascuno.

Gli eredi Meocci osservano che l'adozione di un coefficiente di aggiornamento unico per più fondi impedisce di riconoscere le particolarità dei singoli fondi e, quindi, di determinare quale sia il valore dell'indice, che il fondo segna, della capacità contributiva dell'obbligato. L'osservazione, però, non considera che la modalità di accertamento stabilita con l'art. 1 della legge impugnata, ancorandosi, secondo quanto si é sopra osservato, agli artt. 9 e 10 del D. Lg. 11 ottobre 1947, n. 1131, istitutivo delle imposte straordinarie sul patrimonio, e, quindi, muovendo dal reddito imponibile dominicale determinato per ciascun fondo rustico a seguito della revisione disposta con il R.D.L. 4 aprile 1939, n. 589, convertito nella legge 29 giugno 1939, n. 979, parte da valori stabiliti con riguardo alle qualità di coltura e di produttività particolari a ciascun fondo accatastato, e, quindi, tenendo conto delle condizioni di questo fondo. Solo i coefficienti di adeguamento debbono essere determinati con criteri generali; e ciò é giustificato dal fatto che essi sono indici economici di mutamenti verificatisi rispettivamente in una sfera generale o in un ambito locale. La loro applicazione non parifica il valore dei beni, se costituiscono misura di maggiorazione del valore che é stato attribuito a ciascuno di essi in base alle particolarità che ciascuno presenta.  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

respinte le eccezioni pregiudiziali proposte dalle parti;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 20 ottobre 1954, n. 1044, in riferimento agli artt. 76, 23 e 53 della Costituzione.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 luglio 1961.

Giuseppe CAPPI - Gaspare AMBROSINI - Mario COSATTI - Francesco Pantaleo GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI

 

Depositata in cancelleria l'11 luglio 1961.