Sentenza n. 26 del 1961
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SENTENZA N. 26

ANNO 1961

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Avv. Giuseppe CAPPI, Presidente

Prof. Gaspare AMBROSINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco Pantaleo GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI,

ha pronunciato la seguente  

SENTENZA 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 2 del T.U. delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con R.D. 18 giugno 1931, n. 773, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza 12 giugno 1959 del Pretore di Livorno emessa nel procedimento penale a carico di Lucarelli Guglielmo e Comelato Renzo, iscritta al n. 77 del Registro ordinanze 1959 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 171 del 18 luglio 1959;

2) ordinanza 27 febbraio 1960 del Pretore di Livorno emessa nel procedimento penale a carico di Tadini Manrico, iscritta al n. 32 del Registro ordinanze 1960 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 100 del 23 aprile 1960;

3) ordinanza 27 febbraio 1960 del Pretore di Livorno emessa nel procedimento penale a carico di Ferrigni Raffaele, iscritta al n. 33 del Registro ordinanze 1960 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 100 del 23 aprile 1960;

4) ordinanza 27 febbraio 1960 del Pretore di Livorno emessa nel procedimento penale a carico di Calugi Riccardo e Demi Dino, iscritta al n. 34 del Registro ordinanze 1960 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 100 del 23 aprile 1960.

Viste le dichiarazioni di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 15 febbraio 1961 la relazione del Giudice Antonino Papaldo;

uditi gli avvocati Umberto Terracini e Luciano Ventura, per Tadini Manrico; Leopoldo Piccardi e Giuseppe Guarino, per Ferrigni Raffaele; Virgilio Andrioli, per Demi Dino; ed il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe Guglielmi, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.  

Ritenuto in fatto 

Con ordinanza del 12 giugno 1959, emessa nel procedimento penale a carico di Lucarelli Guglielmo e Comelato Renzo, imputati di contravvenzione all'art. 650 del Codice penale, per aver distribuito giornali a domicilio a scopo di propaganda politica, in violazione del divieto fatto da quel Prefetto con ordinanza emessa in base all'art. 2 del T.U. delle leggi di pubblica sicurezza, il Pretore di Livorno ha considerato che

1) la Corte costituzionale, nel dichiarare, con la sentenza 20 giugno 1956, n. 8, infondata la questione di legittimità Costituzionale del citato art. 2, aveva attribuito alle ordinanze prefettizie, previste in tale norma, carattere di atti amministrativi vincolati ai presupposti dell'ordinamento giuridico, precisando che "la formula dell'art. 2, nella sua latitudine, potrebbe dar adito ad arbitrarie applicazioni, se si affermassero interpretazioni diverse da quella rilevata dalla Corte. Ma, in tal caso, la decisione non precluderebbe il riesame della questione di legittimità costituzionale della norma contenuta nel citato articolo". Ed aveva enunciato i criteri, cui la revisione in corso presso gli organi legislativi si sarebbe dovuta informare;

2) mentre la revisione legislativa dell'art. 2 non ha ancora avuto luogo, le Sezioni unite della Corte di cassazione, con sentenza 16 giugno 1958, n. 2068, hanno, invece, inquadrato l'ordinanza prefettizia nella categoria delle "ordinanze libere", idonee, nel concorso di determinati presupposti, ad affievolire i diritti soggettivi dei cittadini, garantiti dalla Costituzione, ad interessi legittimi;

3) poiché la sentenza delle Sezioni unite appare innovativa della precedente giurisprudenza e destinata, per l'autorità dell'organo che l'ha emanata, ad instaurare un nuovo corso interpretativo, appare necessario riesaminare la questione di legittimità costituzionale del citato art. 2, considerata in tale interpretazione, che é nuova rispetto a quella la cui legittimità costituzionale fu controllata dalla Corte costituzionale con la sua sentenza n. 8 del 1956. Difatti, se é vero che il giudice, nell'interpretare le leggi, deve costantemente tenere presenti i principi della Costituzione allo scopo di scegliere le soluzioni più conformi al precetto costituzionale, é altresì vero che questo può valere soltanto nei casi in cui, in un determinato momento storico, manchi un indirizzo giurisprudenziale prevalente, e sussista incertezza tra indirizzi contrastanti. Tale incertezza, invece, non può sussistere quando, su un determinato problema giuridico, si siano pronunziate ex professo le Sezioni unite della Suprema Corte, il cui compito istituzionale é, appunto, quello di assicurare l'esatta ed uniforme interpretazione della legge. Dal che consegue che, in tale ipotesi, il principio della interpretazione adeguatrice deve cedere di fronte al principio della concretezza storica, per cui il giudice deve tener conto della effettiva attuazione che una determinata norma di legge trova da parte degli operatori giuridici.

Sulla base di tali premesse, il Pretore ha ritenuto la questione non manifestamente infondata:

a) in quanto, se la categoria delle ordinanze libere con forza di legge é scientificamente esatta e positivamente riscontrabile, specie negli ordinamenti giuridici di tipo autoritario, essa viene, però - nel nostro ordinamento attuale, fondato sulla Costituzione del 1948 - a contrastare con il disposto degli artt. 70, 76 e 77 della stessa, che riservano la funzione legislativa al Parlamento e, in ipotesi tipicamente determinate, al Governo;

b) poiché la diffusione dei giornali a scopo non professionale, ma propagandistico, costituisce esercizio della libertà di diffusione del pensiero, tale diritto verrebbe ad essere limitato per effetto dell'ordinanza emanata dal Prefetto in base all'art. 2 del T.U. delle leggi di pubblica sicurezza.

L'ordinanza, iscritta al n. 77 del Registro ordinanze del 1959, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 171 del 18 luglio 1959, comunicata ai Presidenti delle Camere legislative in data 16 giugno 1959 e notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri il 18 dello stesso mese.

La medesima questione é stata sollevata anche con altre tre ordinanze dello stesso Pretore, tutte del 27 febbraio 1960, emanate in procedimenti penali analoghi a quello sopraindicato: l'ordinanza iscritta al n. 32 del Registro ordinanze 1960 nel procedimento a carico di Tadini Manrico; quella iscritta al n. 33 nel procedimento a carico di Ferrigni Raffaele; quella iscritta al n. 34 nel procedimento a carico di Calugi Riccardo e Demi Dino.

In queste ordinanze il Pretore, richiamandosi alle sentenze n. 8 del 1956 della Corte costituzionale e n. 2068 del 16 giugno 1958 delle Sezioni unite della Corte di cassazione, e ritenendo non manifestamente infondato il dubbio che l'interpretazione data all'art. 2 delle leggi di pubblica sicurezza dai due consessi possa non coincidere, chiede:

1) che la Corte costituzionale voglia interpretare autenticamente la propria sentenza n. 8 del 1956 ed, in particolare, dichiarare se essa intese affermare la legittimità costituzionale, in relazione agli artt. 76 e 77 della Costituzione, del citato art. 2, come fonte di un potere del Prefetto di disporre temporaneamente, con atto amministrativo, nel caso di urgenza o di grave necessità, di qualsiasi diritto dei cittadini, e così anche di quelli garantiti dalla Costituzione (fra i quali é da comprendere quello previsto dall'art. 21), degradandoli ad interessi legittimi;

2) che la Corte costituzionale voglia dichiarare se il citato art. 2, inteso nel senso sopra indicato, sia in contrasto, oltre che con gli artt. 76 e 77 della Costituzione, anche con l'art. 1, secondo comma, della Costituzione.

Le tre ordinanze, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 100 del 23 aprile 1960, sono state comunicate ai Presidenti delle Camere legislative in data 1 marzo 1960 e notificate al Presidente del Consiglio dei Ministri il 7 dello stesso mese.

Delle parti private, nei giudizi promossi con le quattro ordinanze del Pretore di Livorno, non si sono costituiti Lucarelli e Comelato, mentre si sono costituiti Tadini Manrico, rappresentato e difeso dagli avvocati Umberto Terracini e Luciano Ventura, Ferrigni Raffaele, rappresentato e difeso dagli avvocati Leopoldo Piccardi e Giuseppe Guarino, Demi Dino, rappresentato e difeso dagli avvocati Costantino Mortati e Virgilio Andrioli.

Le deduzioni delle parti private sono state depositate in data 11 maggio 1960 e le memorie in data 24 novembre successivo. Le difesa del Tadini ha, inoltre, depositato un fascicolo contenente le copie di n. 103 ordinanze prefettizie emanate ai sensi dell'art. 2 della legge di pubblica sicurezza tra il 18 luglio ed il 9 settembre 1958.

Nei rispettivi atti di costituzione e nelle successive memorie, tutte di identico contenuto, le difese private, richiamandosi alla sentenza della Corte costituzionale n. 8 del 1956, rilevano come essa, nel dichiarare infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 del T.U. delle leggi di pubblica sicurezza, volle invitare gli organi legislativi a rivedere la formulazione della norma e precisare che la decisione non avrebbe precluso un riesame della questione, qualora la disposizione, nella sua latitudine, avesse dato luogo ad arbitrarie applicazioni, derivanti da interpretazioni diverse da quella rilevata dalla Corte.

Ora, di fronte al nuovo orientamento assunto dalle Sezioni unite della Cassazione con la sentenza 16 giugno 1958, cui ha fatto seguito qualche decisione delle magistrature di merito, un riesame da parte della Corte costituzionale appare necessario. Anzitutto, in relazione all'art. 1, secondo comma, della Costituzione, in base al quale il potere statale può essere legittimamente esercitato solo nelle forme e nei limiti della Costituzione, per cui, allo stato attuale, é inconcepibile attribuire ad un organo dello Stato, quale che esso sia, il potere di travolgere le garanzie sancite dalla Costituzione a tutela della libertà dei cittadini.

Infatti, se é vero che, ai fini del giudizio di costituzionalità, bisogna prendere le mosse dalla interpretazione che la norma riceve "concretamente" nel sistema in cui vive, non v'é dubbio che l'art. 2 in questione, nel sistema in cui vive, riceve concretamente, dagli organi amministrativi, cui esso si rivolge, e dagli organi giurisdizionali, che ne devono sindacare l'applicazione, il contenuto di una norma attributiva del potere di modificare sia le leggi che la Costituzione.

Ora, se tale é l'effettivo contenuto dell'art. 2, non sì può non dichiararne l'incostituzionalità, perché in contrasto con lo spirito che informa tutto il nostro ordinamento costituzionale. La Costituzione, infatti, disciplina essa stessa, in modo esplicito e completo, negli artt. 70 e 117, quali sono gli atti cui spetta la efficacia della legge ordinaria ed esclude in maniera assoluta che possa esservi altro atto con forza di legge, attribuito ad organi non legislativi, all'infuori del decreto legge e del decreto legislativo. Il potere conferito dall'art. 2 delle leggi di pubblica sicurezza, invece, si discosta da entrambe queste fattispecie, mentre, in pratica, gli si riconosce la possibilità concreta di derogare persino alle norme costituzionali. Sotto questo profilo la norma é in stridente contrasto anche con l'art. 138 della Costituzione, che attribuisce la forza di legge costituzionale ai soli atti approvati con lo specifico procedimento di approvazione della legge di revisione della Costituzione.

Una eventuale dichiarazione di costituzionalità dell'art. 2 delle leggi di pubblica sicurezza, tenuto conto del contenuto che concretamente gli viene attribuito nel sistema in cui storicamente esso vive, sconvolgerebbe, pertanto, i cardini del nostro ordinamento costituzionale, perché legittimerebbe il conferimento ai Prefetti di un potere che contraddice il principio della "rigidità" della nostra Costituzione e che sarebbe, nella pratica, molto più ampio non solo del potere normativo attribuito al Governo, ma persino del potere legislativo ordinario del Parlamento.

La prospettata violazione dell'art. 138 della Costituzione esime da ogni indagine sul contrasto tra i singoli atti emanati sulla base dell'art. 2 e le specifiche disposizioni costituzionali. La incostituzionalità riguarda, infatti, prima che questi atti, il potere su cui essi si fondano.

Passando all'esame di quella parte dell'ordinanza di rinvio con la quale si chiede un nuovo giudizio sulla legittimità costituzionale dell'articolo in questione, le difese private chiedono che, ove la Corte non dovesse accogliere la richiesta e volesse procedere ad una più ampia puntuale determinazione dell'esatta portata da attribuire all'art. 2, voglia precisare il significato da attribuire al requisito della "conformità dei provvedimenti prefettizi ai principi dell'ordinamento giuridico" e ciò nel senso che ai detti provvedimenti debba in ogni caso rimanere inibito il potere di disposizione, sia in via generale che singolare, non solo contra, ma anche praeter legem, in qualsiasi materia per la quale la Costituzione abbia stabilito una "riserva di legge".

Concludendo, le difese private chiedono che sia dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 2 del T.U. delle leggi di pubblica sicurezza in relazione agli artt. 1, secondo comma, 70, 76,77,117 e 138 della Costituzione.

Nei quattro giudizi promossi con le dette ordinanze é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, la quale, con le separate deduzioni dell'8 luglio 1959, e del 26 marzo 1960, e con l'unica successiva memoria depositata in cancelleria il 24 novembre 1960, sostiene che la questione sollevata con le citate ordinanze del Pretore di Livorno é infondata.

L'Avvocatura così argomenta:

La definizione del provvedimento prefettizio, emanato a sensi dell'art. 2 del T.U. delle leggi di pubblica sicurezza, é stata data nella sentenza della Corte costituzionale n. 8 del 1956 e la tesi delle "ordinanze libere", aventi valore pratico di legge, é soltanto una elucubrazione dottrinale non corrispondente alla realtà, essendo il provvedimento prefettizio limitato nel tempo e nello spazio ed avendo soltanto l'effetto imperativo, pratico di tutte le disposizioni amministrative, immediatamente eseguibili, alle quali, se si aderisse a questa teoria, si dovrebbe sempre attribuire il valore pratico di legge.

Questa interpretazione, pacifica nella giurisprudenza della Corte di cassazione e seguita anche dal Consiglio di Stato, non é stata innovata dalla sentenza delle Sezioni unite della Suprema Corte del 16 giugno 1958, n. 2068, la quale, nella sostanza, ha richiamato tutti i principi affermati dalla Corte costituzionale e li ha rettamente applicati.

La decisione della Cassazione, infatti, conferma la natura di "atto amministrativo" dell'ordinanza prefettizia e mette in evidenza un' eccezione, che appare fondamentale, circa la possibilità di riprodurre la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 delle leggi di pubblica sicurezza.

Se la legge - nella specie: il citato art. 2 - conferisce all'Autorità amministrativa un determinato potere, sottoponendolo a determinate condizioni, quali l'urgenza e la necessità di tutelare l'ordine e la sicurezza pubblica, l'eventuale illegittimità del provvedimento, per il così detto "errore di interpretazione" o eccesso di potere, non costituisce vizio di illegittimità della norma, ma vizio del provvedimento, il cui accertamento é compito del giudice ordinario o speciale. Questi, se nella specie sottoposta al suo esame, riscontra non sussistere gli elementi della necessità o dell'urgenza o del pericolo per l'ordine pubblico - che, soli, giustificano l'emanazione del provvedimento ex art. 2 - non ha che da disapplicare l'ordinanza nel caso specifico. Ma ciò nulla ha che vedere con la legittimità del potere conferito al Prefetto dal citato art. 2, quando realmente sussistano gli estremi dell'urgenza, della necessità o del pericolo per l'ordine pubblico.

Quanto, poi, alla richiesta del Pretore di Livorno, di cui all'ordinanza del 27 febbraio 1960, affinché la Corte costituzionale interpreti autenticamente la propria sentenza n. 8 del 1956, l'Avvocatura dello Stato sostiene che nella specie manca il presupposto per una tale interpretazione.

Il ricorso all'interpretazione autentica - si fa notare - é necessario solo quando il significato dell'atto da interpretare appaia equivoco. Ora, tale significato non può riscontrarsi nella motivazione della citata sentenza della Corte costituzionale perché in essa é chiaramente detto che l'art. 2 delle leggi di pubblica sicurezza del 1931, inteso nel senso che il Prefetto ha il potere di emanare ordinanze limitate nel tempo e nello spazio, in relazione a particolari situazioni di necessità e di urgenza, adeguatamente motivate e pubblicate, e aventi contenuto conforme ai principi, é costituzionalmente legittimo.

Ed in dottrina non si é mai dubitato della certezza di questi principi, tutt'al più della difficoltà della loro applicazione in alcuni casi concreti. Difficoltà, questa, che non costituisce motivo di eccessiva preoccupazione, sol che si consideri che al giudice ordinario - come si é detto - é pur sempre demandata la valutazione della legittimità dell'atto prefettizio in relazione al contenuto dell'art. 2 delle leggi di pubblica sicurezza.

Passando, poi, all'esame degli altri aspetti della questione, l'Avvocatura dello Stato osserva che essa é infondata perché l'art. 2 in parola non é in contrasto con nessuna disposizione della Costituzione; non con gli artt. 76 e 77, come già é stato affermato nella sentenza n. 8 del 1956 della Corte costituzionale; non con l'art. 1, secondo comma, della Costituzione, il cui richiamo é stato ritenuto irrilevante dalla stessa Corte nella medesima sentenza n. 8 del 1956; non con l'art. 21 della Carta costituzionale, in quanto nella fattispecie non può dirsi che l'ordinanza prefettizia abbia inciso sulla libertà di manifestazione del pensiero, dato che il giornale viene liberamente stampato e può essere liberamente venduto, ma solo su normale richiesta di chi lo voglia.

D'altro canto - prosegue l'Avvocatura dello Stato - non può dirsi neanche con tanta decisione che l'art. 2 in questione costituisca una di quelle norme "nocive", che una parte della dottrina vorrebbe che fosse dichiarata costituzionalmente illegittima. Esso, infatti, autorizza l'emanazione di atti che non vanno contro la legge, perché non pongono in essere una vera deroga alla legge, e che, per di più, hanno carattere provvisorio. Il vero é, invece, che la pubblica Amministrazione non deve rimanere insensibile a certi interessi della collettività, che non possono essere soddisfatti se non conferendo all'Autorità un potere di ordinanza e se é vero che qualunque ordinamento giuridico non può disconoscere - nel suo interesse e per le inderogabili esigenze dello Stato - questo potere, la tesi della Corte di cassazione, secondo la quale i diritti dei cittadini garantiti dalla Costituzione possono essere investiti dalle ordinanze prefettizie in questione, "limitandosi la disciplina di essi, prevista dalla Costituzione, alle ipotesi in via normale", purché - ben s'intende - sussistano le condizioni ed i requisiti di cui allo stesso art. 2, la decisione della Corte di cassazione, si diceva, deve essere condivisa: essa, oltre tutto, non é in contrasto con la nozione di "conformità all'ordinamento giuridico", indicata dalla Corte costituzionale, la quale ha ammesso che, in ipotesi, i provvedimenti emanati sulla base dell'art. 2 possono toccare anche il campo nel quale si esercita il diritto di libertà di pensiero. Il problema é, dunque, solo di interpretazione della nozione di "conformità all'ordinamento giuridico", ma non di contestazione della legittimità costituzionale del citato art. 2.

Per queste considerazioni l'Avvocatura dello Stato conclude perché la questione sollevata dal Pretore di Livorno sia dichiarata infondata.

Nell'unica discussione orale i difensori hanno illustrato le rispettive conclusioni.  

Considerato in diritto 

1. - Si può decidere con un'unica sentenza sulle questioni proposte con le quattro ordinanze del Pretore di Livorno, identico essendo l'oggetto delle questioni sollevate con le dette ordinanze.

2. - Con la sentenza 20 giugno 1956, n. 8, la Corte affermò che, ai fini della pronuncia sulla legittimità costituzionale dell'art. 2 del T.U. delle leggi di pubblica sicurezza, dovesse aversi riguardo non già al significato rivestito dalla norma nel sistema che le dette vita, bensì a quello acquistato sulla base della interpretazione che, in conformità alla Costituzione, ne era stata data dalla giurisprudenza.

Secondo tale interpretazione, la Corte ritenne che si potesse dichiarare infondata la questione relativa alla legittimità costituzionale di quella norma, in considerazione che i provvedimenti del genere hanno il carattere di atti amministrativi adottati dal Prefetto nell'esercizio dei compiti del suo ufficio, strettamente limitati nel tempo, in relazione ai dettami della necessità e dell'urgenza, e vincolati ai principi dell'ordinamento giuridico.

La Corte, non nascondendosi che la forma dell'art. 2, nella sua ampia dizione, avrebbe potuto dare adito ad arbitrarie applicazioni se si fossero affermate interpretazioni diverse da quella rilevata dalla Corte stessa, avverti che, in tal caso, la questione sarebbe stata riesaminata.

La Corte, infine, auspicò che, nell'intento di porre l'art. 2 al riparo da ogni interpretazione contraria allo spirito della Costituzione, il legislatore provvedesse ad inserire nel testo della disposizione l'espressa enunciazione dei detti canoni, ai quali i provvedimenti dovessero conformarsi, auspicando, altresì, che, nella nuova formulazione, si enunciasse l'obbligo della motivazione ed anche quello della pubblicazione nel caso in cui il provvedimento non avesse carattere individuale.

Nel tempo che é trascorso da quella sentenza il testo legislativo é rimasto inalterato e, come si rileva dalle numerose copie depositate nel presente giudizio, molti Prefetti hanno emesso provvedi menti che, a parte il loro contenuto, tendono ad avere carattere di permanenza. É inoltre, sopraggiunta qualche pronuncia giurisprudenziale che non sembra conforme all'indirizzo della giurisprudenza della Magistratura ordinaria e di quella amministrativa su cui si basò la sentenza del 1956 per dare all'art. 2 l'interpretazione sopra richiamata.

Essendo stata ora risollevata la questione, la Corte ritiene che debba essere compiuto quel riesame di cui fu fatta espressa riserva in detta sentenza.

3. - In ordine alla sentenza stessa occorre procedere ad una precisazione.

Da qualche parte, nel giudizio attuale, é stato detto che secondo quella sentenza sarebbe possibile emanare provvedimenti, in base all'art. 2 della legge di pubblica sicurezza, destinati a menomare l'esercizio dei diritti dei cittadini, anche se garantiti dalla Costituzione. Si é aggiunto che la Corte avrebbe dichiarato che non sussisterebbe contrasto tra lo stesso art. 2 e l'art. 21 della Costituzione. Ma non si é tenuto conto che quella sentenza, dopo avere affermato il principio che le ordinanze in questione non possano in nessun caso violare i principi dell'ordinamento giuridico, prospettò l'ipotesi che i provvedimenti prefettizi toccassero campi nei quali si esercitano i diritti dei cittadini garantiti dalla Costituzione: la sentenza affermò che in tali ipotesi spetta al giudice competente di accertare se nei singoli casi sussista la violazione di quei diritti. Ed in particolare la sentenza fece la stessa affermazione in ordine alla dedotta violazione dell'art. 21 della Costituzione.

É, dunque, da escludere che la precedente sentenza abbia dichiarato che le ordinanze prefettizie potessero menomare l'esercizio dei diritti garantiti dalla Costituzione: dichiarazione che sarebbe stata in netto contrasto con l'affermazione che quelle ordinanze debbono essere vincolate ai principi dell'ordinamento giuridico.

4. - L'art. 2 conferisce al Prefetto poteri che non possono in nessun modo considerarsi di carattere legislativo, quanto alla loro forma e quanto ai loro effetti. Quanto al loro contenuto, i relativi provvedimenti, finché si mantengano nei limiti dei principi dell'ordinamento giuridico, non possono mai essere tali da invadere il campo riservato alla attività degli organi legislativi, né a quella di altri organi costituzionali dello Stato: il rispetto di quei limiti impedisce ogni possibile violazione degli artt. 70, 76 e 77 e dell'art. 1, secondo comma, della Costituzione.

Difatti, anche a volerli considerare in ogni caso come aventi carattere normativo, i provvedimenti prefettizi ex art. 2, ove non contrastino con i principi dell'ordinamento, restano legittimamente nella sfera dell'attività spettante agli organi amministrativi: essi sono legittimi quando siano emanati in base ai presupposti, nei limiti, con le caratteristiche, le forme e le garanzie, secondo le indicazioni esposte fin dalla precedente sentenza.

Non sarà del tutto superfluo soggiungere che l'art. 77 dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige richiama espressamente l'applicazione dell'art. 2 della legge di pubblica sicurezza; dal che può dedursi che l'Assemblea costituente ritenne che l'istituto non fosse in contrasto con la Costituzione.

5. - Dai ripetuti richiami fatti ai principi dell'ordinamento giuridico si rileva che questo é il punto fondamentale della questione. Su di esso bisogna più diffusamente soffermarsi.

É, in primo luogo, da riaffermare che i provvedimenti prefettizi non possono mai essere in contrasto con i detti principi, dovunque tali principi siano espressi o comunque essi risultino, e precisamente non possono essere in contrasto con quei precetti della Costituzione che, rappresentando gli elementi cardinali dell'ordinamento, non consentono alcuna possibilità di deroga nemmeno ad opera della legge ordinaria. É, infatti, ovvio che l'art. 2 della legge di pubblica sicurezza non potrebbe disporre che, in un campo in cui il precetto costituzionale é inderogabile anche di fronte al legislatore ordinario, intervengano provvedimenti amministrativi in senso difforme.

Per quel che si riferisce alle riserve di legge, la Corte ritiene che si debba distinguere.

Nei casi in cui la Costituzione stabilisce che la legge provveda direttamente a disciplinare una determinata materia (per esempio, art. 13, terzo comma), non può concepirsi che nella materia stessa l'art. 2 permetta la emanazione di atti amministrativi che dispongano in difformità alla legge prevista dalla Costituzione.

Per quanto riguarda quei campi rispetto ai quali la Costituzione ha stabilito una riserva adoperando la formula "in base alla legge" o altra di eguale significato, giova ricordare che la costante giurisprudenza di questo Collegio, formatasi principalmente nei riguardi dell'art. 23 della Carta costituzionale, ha ritenuto ammissibile che la legge ordinaria attribuisca all'Autorità amministrativa l'emanazione di atti anche normativi, purché la legge indichi i criteri idonei a delimitare la discrezionalità dell'organo a cui il potere é stato attribuito. E, pertanto, nulla vieta che, nelle materie ora indicate, una disposizione di legge ordinaria conferisca al Prefetto il potere di emettere ordinanze di necessità ed urgenza, ma occorre che risultino adeguati limiti all'esercizio di tale potere.

Si può concludere che la omessa prescrizione, nel testo dell'art. 2, del rispetto dei principi dell'ordinamento giuridico renderebbe possibile - ed in realtà ha reso, di recente, possibile - un'applicazione della norma, tale da violare i diritti dei cittadini e da menomare la tutela giurisdizionale.

É, dunque, da ritenere che l'illegittimità dell'art. 2 sussiste soltanto nei limiti in cui esso attribuisce ai Prefetti il potere di emettere ordinanze senza il rispetto dei principi dell'ordinamento giuridico, intesa questa espressione nei sensi sopra indicati.  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

pronunziando sopra i quattro procedimenti riuniti di cui in epigrafe:

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 2 del T.U. delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con R.D. 18 giugno 1931, n. 773, nei sensi e nei limiti indicati nella motivazione.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 maggio 1961.

Giuseppe CAPPI - Gaspare AMBROSINI - Mario COSATTI - Francesco Pantaleo GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI

 

Depositata in cancelleria il 27 maggio 1961.