Sentenza n. 8 del 1956
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SENTENZA N. 8

ANNO 1956

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Avv. Enrico DE NICOLA, Presidente

Dott. Gaetano AZZARITI

Avv. Giuseppe CAPPI

Prof. Tomaso PERASSI         

Prof. Gaspare AMBROSINI

Prof. Ernesto BATTAGLINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco PANTALEO GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Mario BRACCI

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni  CASSANDRO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 2 del T.U. delle leggi di p.s., approvato con R.D. 18 giugno 1931, n. 773, promossi con le seguenti ordinanze:

1) Ordinanza 12 gennaio 1956 del Pretore di Finale Emilia nel procedimento penale a carico di Messori Liseo, rappresentato e difeso nel presente giudizio dagli avvocati Vezio Crisafulli, Costantino Mortati, Massimo Severo Giannini e Piero Calamandrei, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53 del 3 marzo 1956 ed iscritta al n. 42 del Reg. ord. 1956;

2) Ordinanza 8 febbraio 1956 del Pretore di Poppi nel procedimento penale a carico di Bernardini Luigi, non costituitosi nel presente giudizio, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53 del 3 marzo 1956 ed iscritta al n. 32 del Reg. ord. 1956;

3) Ordinanza 12 gennaio 1956 del Pretore di Finale Emilia nel procedimento penale a carico di Bertoncelli Gino, rappresentato e difeso nel presente giudizio dagli avvocati Massimo Severo Giannini, Arturo Carlo Jemolo e Narciso Vezzali, non costituitosi nel presente giudizio, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 64 del 16 marzo 1956 ed iscritta al n. 83 del Reg. ord. 1956:

Udita nell'udienza pubblica del 16 maggio 1956 la relazione del Giudice Antonino Papaldo;

Uditi gli avvocati Vezio Crisafulli, Costantino Mortati e Massimo Severo Giannini per Messori Liseo ed il vice avvocato generale dello Stato Marcello Frattini per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto 

 

Nei procedimenti penali a carico di:

Bernardini Luigi, innanzi al Pretore di Poppi;

Messori Liseo o Eliseo, innanzi al Pretore di Finale Emilia;

Bertoncelli Gino e Vezzani Narciso, innanzi allo stesso Pretore di Finale Emilia;

imputati di violazione di ordinanze prefettizie emesse in base all'art. 2 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza per disciplinare lo strillonaggio dei giornali nelle pubbliche vie e la vendita degli stessi a domicilio, la difesa degli imputati impugnò di illegittimità l'art. 2 cit. e quindi le ordinanze prefettizie, in relazione agli artt. 76, 77 e 21 della Costituzione.

I giudici, con ordinanze emesse in data 12 gennaio e 8 febbraio del corrente anno, ritennero rilevante per i giudizi e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dagli imputati e rimisero gli atti a questa Corte per la soluzione relativa.

Le ordinanze vennero ritualmente notificate al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicate ai Presidenti delle due Camere del Parlamento nonché pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica.

Nei giudizi é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, sostenendo (deduzioni 1 e 5 marzo 1956): 1) il difetto di giurisdizione della Corte costituzionale in quanto non é ammissibile il vizio e quindi l'impugnativa di illegittimità costituzionale per le norme legislative che, come quella impugnata, sono anteriori alla Costituzione; 2) nel merito: a) che le ordinanze di urgenza del Prefetto "sia per la forma, sia per la sostanza, non sono né leggi, né decreti legislativi, né decreti-legge, ma semplici atti amministrativi" , e quindi non vi é contrasto tra l'art. 2 del T.U. delle leggi di p.s., che le prevede, e gli artt. 76 e 77 della Costituzione; b) che l'anzidetto art. 2, attribuendo "una potestà amministrativa a necessaria tutela dell'ordine pubblico" , neppure é in contrasto "col riconoscimento programmatico della libertà del pensiero e delle sue espressioni sancita dall'art. 21 della Costituzione".

Delle parti che sollevarono la questione si sono costituiti solo il Messori ed il Bertoncelli. Il primo ha chiesto, con deduzioni del 4 aprile 1956, la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 650 del codice penale in relazione agli artt. 76, 77 e 1 della Costituzione, e successivamente (deduzioni del 2 maggio 1956, depositate il giorno successivo) che fosse dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 2 del T.U. delle leggi di p.s. Ha assunto all'uopo che detto articolo é in contrasto con gli artt. 77, 70 e 76 della Costituzione, che regolano la produzione di norme giuridiche, perché le ordinanze di urgenza da esso previste sono atti amministrativi per la forma e veri e propri atti normativi per la sostanza; che in subordine lo stesso articolo é in contrasto con la norma dell'art. 21 della Costituzione, la quale garantisce la libertà del pensiero e delle sue manifestazioni. Pur se questa norma si ritenga di natura programmatica e non precettiva, come secondo la difesa sarebbe più esatto, essa vincola il potere legislativo, e "pertanto anche.... una potestà legislativa straordinaria, temporanea e territorialmente circoscritta", come quella esercitata dal Prefetto nell'emettere ordinanze di urgenza, e non può quindi consentire che tale potestà si esplichi in danno dei diritti da essa garantiti.

Il Bertoncelli con l'unica difesa depositata (deduzioni del 4 aprile 1956) ha chiesto che fosse dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 650 del Codice penale perché in contrasto con gli artt. 76, 77 ed 1 della Costituzione.

 

Considerato in diritto

 

1. - Nelle tre cause in oggetto, congiuntamente discusse all'udienza, si può emettere un'unica decisione, unica essendo la questione da decidere.

2. - Con la sentenza n. 1 del 5 giugno 1956 questa Corte ha dichiarato la propria competenza a giudicare sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi anche se anteriori all'entrata in vigore della Costituzione. A tale decisione ed ai motivi che la sorreggono si fa qui espresso riferimento.

3. - Con le ordinanze del Pretore di Finale Emilia del 12 gennaio 1956, aventi identico testo, é stata sollevata la questione di legittimità costituzionale in ordine all'art. 2 della legge di pubblica sicurezza e dell'ordinanza 16 aprile 1950 del Prefetto di Modena, emanata in base a tale disposizione, perché in contrasto con l'art. 77 della Costituzione e, limitatamente all'ordinanza prefettizia, anche con l'art. 21 della Costituzione. L'ordinanza del Pretore di Poppi ha sollevato la medesima questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge di pubblica sicurezza in relazione, oltre che all'art. 77 della Costituzione, anche agli articoli 1 e 76 della Costituzione stessa.

La difesa di Messori Liseo, dopo aver concluso, con le prime deduzioni, per la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 650 del Codice penale per incompatibilità con gli artt. 1, 76 e 77 della Costituzione, ha, con successiva memoria, chiesto che fosse dichiarata, in relazione all'ordinanza 16 aprile 1950 del Prefetto di Modena, l'illegittimità costituzionale dell'art. 2 della legge di pubblica sicurezza in rapporto all'art. 650 del Codice penale.

Senza prendere in considerazione il generico richiamo all'art. 1 della Costituzione stante la sua manifesta irrilevanza ai fini del decidere, é da osservare che la questione fondamentale da risolvere é se l'art. 2 della legge di pubblica sicurezza, attribuendo al Prefetto il potere di adottare, nel caso di urgenza o per grave necessità pubblica, i provvedimenti indispensabili per la tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza pubblica, sia in contrasto con le norme della Costituzione (artt. 76 e 77) che determinano rigidamente la procedura della formazione delle leggi e degli atti aventi valore di leggi, o comunque sovverta l'ordinamento dei pubblici poteri con menomazione della sfera di attribuzione del legislativo e della libertà dei cittadini.

Rileva la Corte che la disposizione di cui trattasi deve essere interpretata, al fine di accertarne la legittimità costituzionale, non nel sistema in cui essa storicamente ebbe nascimento, bensì nell’attuale sistema nel quale vive. Ora, la giurisprudenza, tanto della magistratura ordinaria che di quella amministrativa, nell'ultimo decennio può dirsi costante nel ritenere che i provvedimenti in questione - non i soli di questo genere previsti nel nostro ordinamento - hanno il carattere di atti amministrativi, adottati dal Prefetto nell'esercizio dei compiti del suo ufficio, strettamente limitati nel tempo e nell'ambito territoriale dell'ufficio stesso e vincolati ai presupposti dell'ordinamento giuridico.

Secondo questa interpretazione, che pone in risalto il significato attuale della norma, questa non appare in contrasto con i principii costituzionali che regolano la produzione delle leggi, giacché i provvedimenti amministrativi adottati dal Prefetto, anche se talvolta valgono a fronteggiare una pluralità di situazioni, non sono da confondersi né con le leggi né con i decreti-legge, che hanno altro carattere ed altri effetti.

Nel quadro della esposta interpretazione, l'esercizio di queste facoltà del Prefetto non viene a sovvertire l'ordinamento dei pubblici poteri, restando tali provvedimenti nella legittima sfera delle attribuzioni dell'autorità amministrativa locale.

Non é, poi, a parlare di violazione dell'art. 21 della Costituzione. I provvedimenti emanati sulla base dell'art. 2 possono, in ipotesi, toccare tutti i campi nei quali si esercitano i diritti dei cittadini, garantititi dalla Costituzione (libertà di pensiero, di religione, di circolazione, ecc.). Ma il giudicare se l'ordinanza prefettizia leda tali diritti é indagine da farsi di volta in volta dal giudice, ordinario o amministrativo, competente. In questa sede di legittimità costituzionale, in cui ciò che viene in esame é la norma legislativa e non il provvedimento amministrativo che la applica, un sindacato sulla costituzionalità dell'art. 2 in relazione ai casi concreti in cui tale applicazione potrebbe importare la violazione dei diritti statutari dei cittadini, non é ammissibile. Ed ecco perché questa Corte non può prendere in considerazione, ai fini del decidere, quella parte delle ordinanze del Pretore di Finale Emilia, con cui si denunzia l'illegittimità costituzionale dell'ordinanza del Prefetto di Modena del 16 aprile 1950.

Non é nemmeno deducibile nella presente controversia la questione dell'illegittimità costituzionale dell'art. 650 del codice penale, giacché tale disposizione, per sua natura, presuppone ed espressamente richiede la legittimità dei provvedimenti dati dall'autorità competente. Il determinare, quindi, se la sanzione comminata da questa norma sia o non applicabile nei singoli casi, non é compito del giudice costituzionale, al quale spetta soltanto l'esame della legittimità della norma stessa.

Non si può negare che la formula dell'art. 2 della legge di p.s., nella sua latitudine, potrebbe dare adito ad arbitrarie applicazioni, se si affermassero interpretazioni diverse da quella rilevata dalla Corte. Ma in tal caso l'odierna decisione non precluderebbe il riesame della questione di legittimità costituzionale della norma contenuta nel citato articolo.

Certo, é auspicabile che, nell'opera di revisione che é in corso presso gli organi legislativi, il testo dell'art. 2 trovi una formulazione che lo ponga, nella misura massima possibile, al riparo da ogni interpretazione contraria allo spirito della Costituzione. Ed a tal proposito piace alla Corte ricordare come la stessa difesa delle parti private abbia messo in luce, sia pure in via subordinata, specialmente nella discussione orale, l'esigenza che una nuova formulazione dell'art. 2 assicuri l'attuazione di alcuni canoni derivanti principalmente dal carattere amministrativo dei provvedimenti prefettizi di urgenza. Tali canoni, che la Corte ritiene che si debbano tener presente, possono così riassumersi: efficacia limitata nel tempo in relazione ai dettami della necessità e dell'urgenza; adeguata motivazione; efficace pubblicazione nei casi in cui il provvedimento non abbia carattere individuale; conformità del provvedimento stesso ai principii dell'ordinamento giuridico.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

giudicando con unica sentenza nei procedimenti riuniti di cui in epigrafe, e respinta l'eccezione di incompetenza proposta dall'Avvocatura dello Stato, dichiara infondata la questione di legittimità costituzionale nei riguardi dell'art. 2 del T.U. leggi di p.s., approvato con R.D. 18 giugno 1931, n. 773, salva la opportuna revisione del testo della norma predetta, al fine di renderlo formalmente più adeguato al carattere dei poteri attribuiti al Prefetto.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 giugno 1956.

 

 Enrico DE NICOLA - Gaetano AZZARITI - Giuseppe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Mario BRACCI - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO.

 

Depositata in cancelleria il 2 luglio 1956.