Sentenza n. 38 del 1957

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SENTENZA N. 38

 

ANNO 1957

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

 

composta dai signori Giudici:

 

Avv. Enrico DE NICOLA, Presidente

 

Dott. Gaetano AZZARITI

 

Avv. Giuseppe CAPPI

 

Prof. Tomaso PERASSI

 

Prof. Gaspare AMBROSINI

 

Prof. Ernesto BATTAGLINI

 

Dott. Mario COSATTI

 

Prof. Francesco PANTALEO GABRIELI

 

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

 

Prof. Antonino PAPALDO

 

Prof. Mario BRACCI

 

Prof. Nicola JAEGER

 

Prof. Giovanni CASSANDRO

 

Prof. Biagio PETROCELLI,

 

ha pronunziato la seguente

 

 

 

 

SENTENZA

 

sui seguenti cinque ricorsi iscritti ai nn. 54, 55, 59, 60 e 63 del Registro ricorsi 1956 proposti dal Presidente del Consiglio dei Ministri:

  1. - Ricorso n. 54, notificato il 23 luglio 1956 e depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 28 successivo, per la dichiarazione di illegittimità costituzionale della legge regionale siciliana 30 giugno 1956, n. 40, intitolata "Provvedimenti in materia di imposta generale sull'entrata".
  2. - Ricorso n. 55, notificato il 23 luglio 1956 e depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 28 successivo, per la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 13 della legge regionale siciliana intitolata "Fondo di sovvenzione e prestiti per i dipendenti regionali".
  3. - Ricorso n. 59, notificato il 29 settembre 1956 e depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 4 ottobre 1956, per la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell' art. 13 della legge regionale siciliana 13 settembre 1956, n. 47, intitolata "Fondo di sovvenzione e prestiti per i dipendenti regionali".
  4. - Ricorso n. 60, notificato il 10 ottobre 1956 e depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 19 successivo, per la dichiarazione di illegittimità costituzionale della legge regionale siciliana, approvata in data 5 ottobre 1956 dal titolo "Modifiche alla legge 29 aprile 1949, n. 264, e provvedimenti in materia di avviamento al lavoro e di assistenza ai lavoratori involontariamente disoccupati".
  5. - Ricorso n. 63, notificato il 2 novembre 1956 e depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 7 successivo per la dichiarazione di illegittimità costituzionale degli art. 80, 53 e 82, 3, 79 e 83, 48 lett. g, 7, 67 della legge regionale siciliana 1 ottobre 1956, n. 54, sulla "Disciplina della ricerca e coltivazione delle sostanze minerali nella Regione".

Viste le costituzioni in giudizio del Presidente della Giunta regionale siciliana;

udita nell'udienza pubblica del 6 febbraio 1957 la relazione del Giudice Giovanni Cassandro;

uditi i sostituti avvocati generali dello Stato Cesare Arias, Giuseppe Guglielmi e Giuseppe Belli per il ricorrente, e gli avvocati Giuseppe Chiarelli, Franco Pierandrei, Giuseppe Guarino, Alfonso Tesauro, Emilio Crosa, Pietro Virga e Camillo Ausiello Orlando per la Regione siciliana.

 

Ritenuto in fatto

 

  1. - Con ricorso notificato al Presidente della Giunta regionale siciliana il 23 luglio 1956 il Presidente del Consiglio dei Ministri, su conforme deliberazione del Consiglio stesso, sollevò la questione di legittimità costituzionale della legge regionale siciliana 30 giugno 1956, n. 40, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Regione n. 41 del 7 luglio 1956, recante "provvedimenti in materia di imposta generale sull'entrata". Questa legge, nell'art. 1, stabilisce testualmente: "L'Assessore per le finanze può avvalersi della facoltà prevista dall'art. 10 del D.L.L. 19 ottobre 1944, n. 348, ai fini della determinazione degli speciali regimi di imposizione dell'imposta sull'entrata ivi contemplati, oltre che per le entrate derivanti dagli atti economici indicati nel detto articolo e da quelli previsti dall'art. 9 del D.L.L. 7 giugno 1945, n. 386, dall'art. 12 del D.L.C.P.S. 27 dicembre 1946, n. 469, dall'art. 13 del D.L. 3 maggio 1948, n. 799, dall'art. 11 della legge 7 gennaio 1949, n. 1, dall'art. 8 della legge 29 dicembre 1949, n. 955, dall'art. 3 della legge 4 marzo 1952, n. 110, anche per le entrate derivanti dal commercio delle fave secche e della manna".
  2. - La difesa dello Stato sottolinea che questa legge fu emanata quando già pendeva davanti alla Corte costituzionale un ricorso dello Stato contro il decreto 31 dicembre 1954, n. 147, dell'Assessore per le finanze, che stabiliva speciali regimi di imposizione dell'imposta generale sull'entrata per l'anno 1955 e per alcune categorie di entrate e dopo che un analogo decreto del 31 dicembre 1955 non era stato registrato dalla Corte dei conti. Si può ora aggiungere che il conflitto di attribuzione sollevato con quel ricorso é stato esaminato dalla Corte e deciso con sentenza n. 9 del 16 gennaio 1957.

La Corte già conosce la tesi della difesa dello Stato sulla potestà legislativa della Regione siciliana in materia tributaria: l'art. 36 dello Statuto, pure nella sua formulazione imprecisa e lacunosa, non conferisce alcuna potestà legislativa alla Regione tranne che per i tributi propri. Per conseguenza, nessuna potestà amministrativa può essere riconosciuta alla Regione siciliana, nemmeno nel caso in cui si concedesse quel che si nega e cioè che l'art. 36 sia fonte di un potere legislativo della Regione, stante che nessun richiamo a questo articolo é fatto nell'altro - 20 dello Statuto medesimo - che delinea i poteri amministrativi della Regione. Né, infine, può richiamarsi questo medesimo art. 20, primo comma, seconda parte, perché l'esercizio di potestà amministrativa ivi previsto é sottoposto alla condizione che siano impartite le direttive del Governo dello Stato che nella materia tributaria mancano.

  1. - La difesa dello Stato fa poi un'ipotesi subordinata che ha un maggiore interesse e un riferimento più immediato al presente giudizio. E l'ipotesi é la seguente. Se si vuol riconoscere alla Regione potestà legislativa in materia tributaria, questa potestà non potrebbe essere se non di natura sussidiaria o concorrente e non potrebbe trovare fondamento se non nell'art. 17 dello Statuto. Ma anche in tal caso la legge impugnata sarebbe costituzionalmente illegittima, in quanto essa, attribuendo all'Assessore per le finanze poteri maggiori di quelli assegnati dalla legge statale al Ministro per le finanze, ed estendendo la facoltà di cui all'art. 10 del D.L.L. 19 ottobre 1944, n. 348, anche a materia diversa da quella contemplata dalla legislazione dello Stato (fave secche e manna), non avrebbe osservato i limiti posti dal medesimo art. 17 dello Statuto speciale al potere legislativo concorrente o secondario della Regione.
  2. - La Regione siciliana, nelle sue deduzioni difensive depositate nella cancelleria della Corte il 14 agosto 1956, ha eccepito l'inammissibilità e l'irricevibilità del ricorso per i seguenti motivi:

1) lo Stato non potrebbe proporre questione di legittimità costituzionale di una legge regionale siciliana davanti a questa Corte, perché per la Sicilia non hanno vigore le norme degli artt. 2 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e 31 della legge 11 marzo 1953, n. 87, in relazione all'art. 127 della Costituzione, ma bensì le norme contenute negli artt. 24 a 30 dello Statuto siciliano, che stabiliscono un particolare regime di controllo delle leggi siciliane, articoli che non possono considerarsi abrogati dall'art. 134 della Costituzione e dalle disposizioni transitorie VII e XVI della Costituzione stessa;

2) questa tesi troverebbe conferma nel fatto che le leggi siciliane non sono soggette a quel controllo politico del Governo che si esprime nell'apposizione del visto o nel rinvio all'Assemblea regionale per una seconda deliberazione con maggioranza qualificata, né subiscono il controllo di merito da parte dello Stato in quanto, ai sensi dell'art. 29 dello Statuto siciliano, esse devono essere promulgate e pubblicate decorsi otto giorni dalla comunicazione al Commissario dello Stato se non vi sia stata impugnativa davanti all'Alta Corte per la Regione siciliana;

3) in particolare la legge, della cui legittimità si discute, é stata promulgata e pubblicata il 7 luglio 1956 e pertanto non può più essere impugnata in via principale dallo Stato davanti alla Corte costituzionale, perché il sistema stabilito dall'art. 127 della Costituzione e 31 della legge 11 marzo 1953,n. 87,consente allo Stato di impugnare soltanto leggi deliberate, ma non ancora promulgate e tanto meno pubblicate;

4) il Presidente del Consiglio dei Ministri che ha proposto la questione non é legittimato ad agire perché ai sensi dell'art. 27 dello Statuto speciale l'impugnativa delle leggi siciliane deve essere proposta dal Commissario dello Stato per la Regione siciliana;

5) il ricorso sarebbe irricevibile per scadenza dei termini, tanto di quello di cinque giorni dalla comunicazione della legge al Commissario dello Stato di cui all'art. 28 dello Statuto speciale, quanto dell'altro di quindici giorni di cui al quinto comma dello art. 127 della Costituzione che é il solo applicabile al caso, dato che le deliberazioni dell'Assemblea siciliana hanno carattere definitivo;

6) inammissibili, infine, sarebbero i motivi secondo e terzo del ricorso dello Stato in quanto essi denunziano vizi di violazione dello Statuto fondati sul contenuto della legge, e non vizi di competenza: i soli che possa conoscere la Corte costituzionale ai sensi degli artt. 127 della Costituzione, 2 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e 31 della legge 11 marzo 1953, n. 87.

  1. - Quanto al merito della questione di legittimità la difesa della Regione riafferma la tesi del potere legislativo regionale siciliano ex art. 36 e sostiene che da questa affermata potestà legislativa discende come necessario corollario la competenza amministrativa della Regione. Impossibile perciò il ricorso all'art. 17 dello Statuto, alla pretesa violazione dei principi della legislazione statale e all'affermata, ma non dimostrata, mancanza del fine di soddisfare alle condizioni particolari e agli interessi propri della Regione, di cui fa parola il citato art. 17.
  2. - Con memoria depositata nella cancelleria della Corte il 22 gennaio 1957, la Regione, partendo anch'essa dall'ipotesi che le spettano in materia tributaria poteri legislativi secondari, respinge la tesi dello Stato che la norma regionale abbia violato i principi della legislazione statale e perché tale motivo, come che riferito al contenuto della legge, non é rilevabile dalla Corte costituzionale, competente a giudicare soltanto sui vizi di incompetenza, e perché il precetto contenuto in quella norma non urta contro alcun principio espresso dal D.L.L. 19 ottobre 1944, n. 348, e successive integrazioni, dal quale decreto si potrebbe ricavare soltanto il criterio che debba essere la legge a determinare caso per caso i prodotti da assoggettare allo speciale regime di imposizione, non l'altro che tale regime sia da applicare soltanto ai prodotti appartenenti alle particolari categorie stabilite inizialmente una volta per tutte. In linea più subordinata e per mera cautela la Regione chiede che una eventuale pronuncia di illegittimità abbia ad oggetto non l'intera legge, sebbene unicamente quel precetto di essa che si riferisce alle fave secche e alla manna.
  3. - Con altro ricorso notificato al Presidente della Giunta regionale il 23 luglio 1956, il Presidente del Consiglio dei Ministri, su conforme deliberazione del Consiglio, ha proposto la questione di legittimità costituzionale dell'art. 13 della legge regionale siciliana regolante il "fondo di sovvenzioni e prestiti per i dipendenti regionali", comunicata al Commissario dello Stato il 9 luglio 1956. Tale articolo dispone: "Sono estesi ai prestiti di cui all'art. 1 le agevolazioni fiscali previste dall'art. 47 e dall'art. 66 del T.U. approvato con decreto del Presidente della Repubblica il 5 gennaio 1950, n. 180, in quanto applicabili".
  4. - La difesa dello Stato ripropone, in questo giudizio, gli stessi motivi svolti nel ricorso precedente e intorno alla potestà legislativa regionale in materia tributaria e alla connessa potestà amministrativa. Per quanto specificamente attiene all'articolo di legge in contestazione essa, muovendo dall'ipotesi subordinata che una potestà legislativa della Regione non potrebbe essere fondata se non sull'art. 17 dello Statuto speciale, afferma che, pure in questa ipotesi, sussisterebbe l'illegittimità costituzionale dell'art. 13, perché questo articolo sarebbe in contrasto con i principi ai quali si ispira la legislazione dello Stato, dato che le agevolazioni fiscali previste dagli artt. 47 e 66 del T.U. 5 gennaio 1950, n. 180, sono state abrogate per effetto dell'art. 47 del D.L. 25 giugno 1953, n. 492, il quale ha disposto che tutte le esenzioni e riduzioni dell'imposta di bollo stabilite senza determinazione di tempo o per tempo superiore al quinquennio cesseranno "di diritto allo scadere del quinquennio dalla data in cui ha avuto inizio la esenzione o la riduzione". Né sarebbe possibile invocare condizioni particolari o interessi propri della Regione, dei quali parla il citato art. 17 dello Statuto, perché non sarebbe in nessun modo giustificato che i dipendenti della Regione siciliana godano un privilegio fiscale negato ai dipendenti dello Stato o degli altri enti pubblici.

La difesa regionale, da parte sua, ha riproposto le eccezioni di irricevibilità e di inammissibilità già sollevate per il ricorso precedente, ribadita la sua tesi intorno ai limiti della potestà legislativa e amministrativa della Regione siciliana in materia tributaria, e respinta la tesi subordinata della difesa dello Stato della violazione dell'art. 17 dello Statuto siciliano.

  1. - Sennonché, mentre pendeva davanti alla Corte il ricorso del Presidente del Consiglio, il Presidente della Regione ha promulgato e pubblicato la legge in questione che ha preso la data del 13 settembre 1956, n. 47, ed é comparsa nel n. 61 del 15 settembre 1956 della Gazzetta Ufficiale della Regione. Di qui nuovo ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri, notificato al Presidente della Giunta regionale il 29 settembre dello scorso anno.

Anche questo ricorso, sostiene la difesa regionale, nelle sue deduzioni depositate nella cancelleria della Corte il 24 ottobre 1956, deve essere ritenuto inammissibile, sia perché tardivo - il Commissario dello Stato non propose impugnativa entro i cinque giorni dalla comunicazione della legge giusta l'art. 28 dello Statuto siciliano - e sia perché diretto contro una legge legittimamente già promulgata - il Presidente della Giunta regionale, trascorso il termine dell'art. 28, ha l'obbligo di promulgare la legge ai sensi dell'art. 29 dello Statuto -.

  1. - Nel merito, con memoria depositata nella cancelleria della Corte il 24 gennaio 1957, che sarà ricordata in seguito, per la parte che attiene alle eccezioni pregiudiziali di inammissibilità, la difesa regionale nega che il vizio di violazione di legge denunciato dallo Stato possa rientrare tra quelli il cui giudizio competa alla Corte costituzionale. Subordinatamente, sostiene che l'asserita violazione dei principi della legislazione statale non ha avuto luogo. L'articolo 13 della legge regionale non detta un nuovo precetto, ma recepisce quello contenuto nella legge statale 5 gennaio 1950, n. 180, che non sarebbe stato abrogato dall'art. 47 dei D.P.R. 25 giugno 1953, n. 492, ma piuttosto integrato con la fissazione di un termine di durata. E codesta integrazione opererebbe anche nei confronti della legge siciliana che conterrebbe un rinvio formale e non materiale. Ma, anche se si volesse ammettere l'abrogazione delle disposizioni contenute negli artt. 47 e 66 del T.U. 5 gennaio 1950, n. 180, non per questo sarebbe illegittima la norma regionale, perché essa si inspirerebbe ai principi impliciti nelle esenzioni elencate nella tabella B allegata al D.P.R. 25 giugno 1953. In linea subordinatissima, infine, qualora si ritenesse l'art. 13 della legge regionale incompatibile coi principi della legge statale, la pronuncia di illegittimità dovrebbe limitarsi soltanto al precetto che accorda l'esenzione per un periodo superiore al quinquennio.
  2. - L'Assemblea regionale siciliana il 5 ottobre 1956 approvava una legge recante "modifiche alla legge 29 aprile 1949, n. 264, e provvedimenti in materia di avviamento al lavoro e di assistenza ai lavoratori involontariamente disoccupati". Questa legge stabilisce che nel territorio della Regione siciliana "le funzioni esecutive ed amministrative sono esercitate dall'Assessore al lavoro, previdenza ed assistenza sociale anche per le materie previste dalla legge 29 aprile 1949, n. 264, la cui applicazione nel territorio della Regione avviene secondo le norme e le direttive disposte dall'assessore predetto" (art. 1); dispone che il ricordato assessore ha il potere di emanare "i provvedimenti connessi ai pareri espressi dalla Commissione regionale per l'avviamento al lavoro" istituita con decreto del Presidente della Regione siciliana 18 aprile 1951, n. 25 (art. 2); detta norme circa la formazione nel territorio della Regione delle liste di collocamento, previste dall'art. 10 della legge 264 del 1949 (art. 3); conferisce al Presidente della Regione su proposta dell'Assessore al lavoro, alla previdenza ed assistenza sociale e sentita la Commissione regionale, la facoltà di organizzare in caso di necessità per determinate categorie di lavoratori il servizio di collocamento con carattere interprovinciale o regionale, nonché di provvedere alle "altre incombenze previste dall'art. 23" della citata legge statale del 1949 (art. 4); attribuisce all'Assessore regionale al lavoro la nomina delle commissioni provinciali previste dall'art. 25 della legge 29 aprile 1949, n. 264, nonché quella dei coadiutori previsti dall'ultimo comma dell'art. 26 della stessa legge (art. 5); fissa la composizione delle commissioni comunali per il collocamento e conferisce all'Assessore regionale al lavoro la facoltà di nominarne i membri (art. 6); allo stesso Assessore, infine, attribuisce il potere di risolvere le divergenze che possano sorgere tra le commissioni comunali ora ricordate, competenti a dare parere sulla materia prevista dalla lettera c dell'art. 25 della legge statale del 1949, e il collocatore, sentita la Commissione regionale per l'avviamento al lavoro, per la massima occupazione in agricoltura e per l'assistenza ai lavoratori disoccupati, e dichiara inapplicabile nel territorio regionale l'ultimo comma di questo stesso art. 25.
  3. - La legge fu comunicata il giorno successivo 6 ottobre 1956 al Commissario dello Stato per la Regione siciliana. Essa fu impugnata con ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri su conforme deliberazione del Consiglio stesso e "per quanto possa occorrere" dal Commissario dello Stato, con ricorso notificato al Presidente della Regione siciliana il 10 ottobre 1956 e depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 19 dello stesso mese. Di questo deposito fu data notizia, per disposizione del Presidente della Corte costituzionale, nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica e in quella della Regione siciliana rispettivamente n. 279 del 3 novembre 1956 e n. 73 del 10 novembre dello stesso anno.
  4. - La difesa dello Stato e del Commissario per la Regione siciliana, dopo avere negato che la materia del collocamento rientri nella competenza legislativa e amministrativa della Regione, ha sostenuto che, in ogni caso, sarebbero violati i limiti imposti al potere legislativo della Regione dall'art. 17 dello Statuto, in quanto la legge regionale avrebbe contraddetto ai principi fissati dalla legge statale 29 aprile 1949, n. 264:
  5. a) disponendo nell'art. 3 la pubblicazione delle liste di collocamento;
  6. b) istituendo con l'art. 6 in tutti i comuni la Commissione per il collocamento, la cui istituzione l'art. 26 della legge statale rimette all'apprezzamento discrezionale del Ministro per il lavoro e la previdenza sociale;
  7. c) riducendo col medesimo articolo 6 da sette a quattro i rappresentanti dei lavoratori in seno alle Commissioni;
  8. d) richiamando in vigore, per quanto attiene alla nomina dei coadiutori, la legge 21 agosto 1949, n. 586, che é stata abrogata dall'art. 21 della legge 16 maggio 1956, n. 562, sulla condizione giuridica ed economica dei collocatori comunali.
  9. - La difesa della Regione siciliana, nelle deduzioni depositate nella cancelleria della Corte l'8 novembre 1956, premessa la eccezione di irricevibilità e di improponibilità del ricorso per incompetenza della Corte costituzionale, ne ha chiesto il rigetto nel merito sostenendo:

1) la competenza legislativa e amministrativa della Regione in materia di collocamento ex art. 17, lett. f, dello Statuto siciliano;

2) l'insussistenza della violazione dei principi della legislazione statale e perché, in linea generale, non ogni difformità da singoli precetti contenuti in norme di leggi dello Stato configura una contrarietà ai principi e perché, in particolare:

  1. a) l'art. 3 della legge regionale, imponendo la pubblicità delle liste, avrebbe assicurato una obiettiva comparazione delle posizioni individuali;
  2. b) l'art. 6 risponderebbe, in sede regionale, alle medesime esigenze garantite dall'art. 26, primo comma, della legge n. 264 del 1949;
  3. c) sempre l'art. 6, riducendo i rappresentanti dei lavoratori da sette a quattro, assicurerebbe egualmente, conformemente alla norma statale, la prevalenza in seno alle Commissioni, dei lavoratori rispetto ai datori di lavoro;
  4. d) il riferimento ai principi contenuti nella legge 16 maggio 1956, n. 562, che sarebbero stati violati, col richiamo della abrogata legge statale 21 agosto 1949, n. 586, non sarebbe pertinente perché non é stato indicato quali questi principi siano.
  5. - L'Assemblea regionale siciliana il 14 marzo 1956 approvò la legge sulla "disciplina della ricerca e coltivazione delle sostanze minerali della Regione". Il 17 dello stesso mese la legge venne comunicata, ai sensi dell'art. 28 dello Statuto della Regione siciliana, al Commissario dello Stato, il quale la impugnò davanti all'Alta Corte siciliana; ma nel relativo giudizio di legittimità costituzionale la difesa del Commissario dello Stato eccepì l'incompetenza dell'Alta Corte siciliana.

Nelle more del giudizio la legge regionale fu promulgata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Regione n. 67 del 18 ottobre 1956. Il Presidente del Consiglio dei Ministri, su conforme deliberazione del Consiglio stesso del 26 ottobre 1956, e il Commissario dello Stato per la Regione siciliana "per quanto possa occorrere" hanno impugnato davanti a questa Corte la ricordata legge regionale con ricorso notificato il 2 novembre 1956 al Presidente della Regione siciliana e depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 7 dello stesso mese. Di questo ricorso, per disposizione del Presidente della Corte costituzionale, é stata data notizia nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica e in quella della Regione siciliana rispettivamente del 10 e del 17 novembre 1956.

  1. - La difesa dello Stato e del Commissario dello Stato per la Sicilia propone i seguenti motivi di impugnazione:

1) L'art. 80 della legge regionale, trasformando in concessione trentennale la concessione mineraria perpetua di cui allo art. 54 del R.D. 29 luglio 1927, n. 1443, e subordinando la nuova concessione alla istanza degli aventi diritto, da proporre entro sei mesi dall'entrata in vigore della stessa legge regionale, avrebbe violato l'art. 42 della Costituzione. Il decreto del 1927, ora ricordato, avrebbe conferito alle concessioni perpetue, che esso regola, il carattere di un diritto reale immobiliare tutelabile erga omnes che può essere affievolito soltanto in ipotesi tassativamente determinate dalla legge. L'art. 80, invece, avrebbe attuato una espropriazione ex lege, senza indennità, dei diritti dei concessionari perpetui, non avrebbe rispettato un diritto quesito e avrebbe stabilito una situazione di disuguaglianza tra i concessionari perpetui di miniere della Regione siciliana e quelli del restante territorio statale. La violazione dell'art. 42 della Costituzione risulterebbe da ciò: che codesto articolo garantisce non soltanto il diritto di proprietà ma tutti i diritti reali, alla stessa guisa che la legge sulla espropriazione per pubblica utilità si riferisce sia al diritto di proprietà sia ai diritti reali.

2) Gli artt. 53, commi terzo e quarto, e 82 della legge, prevedendo un diritto di accrescimento della quota a favore degli eredi e dei contitolari di concessioni minerarie violerebbe egualmente l'art. 42 della Costituzione. Si avrebbe, infatti, in questo caso la espropriazione di un diritto reale senza indennità e a favore di privati, mentre la Costituzione vuole che l'espropriazione avvenga col pagamento di una indennità. Ma quegli articoli violerebbero anche lo Statuto siciliano, perché, configurando una comunione di diritti in contrasto con le disposizioni del Codice civile, non avrebbero rispettato i limiti posti dall'art. 14 dello Statuto alla potestà legislativa della Regione.

3) L'art. 3 della legge, riconoscendo al Presidente della Regione la facoltà di trasferire con decreto le sostanze comprese nella categoria "cave" nell'altra "miniere" (l'art. 2 della medesima legge distingue i giacimenti delle sostanze minerali in miniere e cave), violerebbe lo Statuto siciliano e l'art. 76 della Costituzione. Non si tratterebbe, invero, di un mero accertamento amministrativo costitutivo in base ai criteri fissati dalla legge, ma di una delega legislativa, che lo Statuto non prevede e che, ad ogni modo, si porrebbe senza l'osservanza delle disposizioni dell'art. 76 della Costituzione. La norma, poi, operando un trasferimento dalla proprietà privata (cava) alla proprietà demaniale (miniera) configurerebbe un altro caso di esproprio senza indennità e sarebbe, perciò, anche dal punto di vista sostanziale, illegittimo.

4) Gli artt. 79 e 83 della legge regionale, disponendo in materia tributaria, violerebbero gli artt. 14, 17 e 20 dello Statuto siciliano che non riconoscono alla Regione potere legislativo né amministrativo in tale materia e invaderebbero la sfera di competenza dello Stato. D'altra parte, la stessa Alta Corte siciliana, che pure ha ammesso che alla Regione spetti un siffatto potere legislativo, avrebbe escluso che esso possa essere esercitato per stabilire agevolazioni ed esenzioni tributarie. In terzo luogo, se si volesse fondare un potere di emanare norme in materia tributaria sull'art. 17 dello Statuto, le disposizioni della legge regionale sarebbero egualmente illegittime, perché avrebbero varcato i limiti posti dal medesimo art. 17 alla potestà legislativa secondaria o concorrente della Regione.

5) L'art. 48, lettera g, della legge, riconoscendo validità giuridica erga omnes ai contratti collettivi di lavoro e agli accordi interconfederali circa le commissioni interne e ricollegando alla loro inosservanza la decadenza dalla concessione, avrebbe violato l'art. 17, lettera f, dello Statuto siciliano. Questo articolo attribuisce, infatti, alla Regione in materia di lavoro una potestà legislativa secondaria o complementare, tenuta all'osservanza di limiti precisi, che qui invece sarebbero stati superati, col riconoscere, anche in mancanza di una legge statale, efficacia generale ai contratti collettivi e agli accordi confederali.

6) La legge, non riproducendo nell'art. 7, che pur regola l'intera materia dei permessi di ricerca, l'art. 5 del R.D. 29 luglio 1927, n. 1443, il quale subordina la concessione di permessi di ricerca nelle zone interessanti la difesa al parere dell'amministrazione militare, avrebbe attribuito a organi regionali (esattamente all'Assessore per l'industria), competenza per le zone di interesse militare, la cui tutela é riservata allo Stato.

7) L'art. 67 prima parte della legge, comminando una pena pecuniaria di 300. 000 lire a carico di chi intraprenda lavori di ricerca senza permesso o di coltivazione senza concessione, avrebbe violato gli artt. 14 e 17 dello Statuto siciliano in relazione all'art. 25 della Costituzione. Vero é, aggiunge la difesa dello Stato, che non può negarsi alla Regione il potere di applicare sanzioni amministrative, ma la sanzione amministrativa presupporrebbe uno stato di subordinazione del soggetto, al quale essa si rivolge, di fronte all'amministrazione. Quando queste condizioni non si verificano, e nel caso non si verificherebbero, si avrebbe, nonostante il nomen iuris di sanzione amministrativa, la creazione di un illecito penale. Trasgressori della norma sarebbero qui, infatti, persone che non sono né permissionari né concessionari.

  1. - La difesa della Regione, con deduzioni depositate nella cancelleria della Corte il 23 novembre 1956, ha sollevato, pure nei confronti di questo ricorso, eccezioni di inammissibilità per incompetenza di questa Corte, per decorso del termine e perché il ricorso sarebbe diretto a promuovere in via principale un sindacato successivo di legittimità costituzionale della legge regionale. Inoltre viene denunziato, anche questa volta, un difetto di legittimazione attiva, ma in termini diversi, nel senso che, essendo stato il ricorso proposto dal Presidente del Consiglio e per "quanto possa occorrere" dal Commissario dello Stato per la Regione siciliana, ma sottoscritto soltanto da quest'ultimo, si sostiene che o si ammette che la impugnativa doveva essere proposta dal Presidente del Consiglio ai sensi dell'art. 127, e allora doveva rimanere estraneo al ricorso stesso il Commissario dello Stato, o si ammette che legittimato ad agire fosse quest'ultimo, e allora avrebbe dovuto essere adita l'Alta Corte per la Sicilia e non la Corte costituzionale. Sicché in tutte e due le ipotesi si avrebbe difetto di legittimazione processuale.
  2. - Nel merito la difesa della Regione osserva:

1) Non sussiste la violazione dell'art. 42 della Costituzione. Il diritto del concessionario, quale é stato determinato dalla legge mineraria e quale é stato costantemente configurato dalla giurisprudenza, sarebbe un semplice "diritto di esercizio di una attività di sfruttamento di cose immobili, condizionato dall'interesse pubblico che tale attività presenta per l'economia generale". La riprova di codesta natura del diritto del concessionario si trae sia dal regime della decadenza così come é delineato dalla legge del 1927 e per il quale, nei numerosi casi in cui la decadenza si verifica, non si fa luogo a indennizzo a favore del concessionario decaduto, sia dall'identità della natura del diritto del concessionario tanto nei casi di concessioni temporanee quanto nei casi di concessioni perpetue. Si dovrebbe, perciò, parlare più che di concessioni perpetue, di concessioni a scadenza indeterminata e concludere che la unificazione di tipi di concessione mineraria stabilita dalla legge regionale non costituisce espropriazione della proprietà privata agli effetti dell'art. 42 della Costituzione, "ma soltanto una disciplina, con carattere generale e per esigenze di interesse pubblico, della durata del rapporto di concessione".

2) L'art. 42 della Costituzione non sarebbe stato violato nemmeno dagli artt. 53 e 82 della legge. Non sarebbe esatto parlare, nei confronti della disciplina posta da questi articoli, di un'avocazione alla Regione del diritto del privato. Quegli articoli fanno derivare certe conseguenze dal rifiuto, nel caso di pluralità di permissionari o concessionari, di ottemperare alla condizione, imposta dalla legge per esigenze imperiose della tecnica produttiva, per l'esercizio del permesso o della concessione: l'associazione, cioè, in una forma di impresa che abbia natura di società commerciale. Codesto rifiuto verrebbe equiparato dalla legge ad un atto volontario di rinuncia, le cui conseguenze (reintegrazione della frazione rinunciata nell'entità unitaria complessiva a beneficio dei rimanenti contitolari) sarebbero conformi a un principio generale del diritto, che trova specifica applicazione negli artt. 572 e 674 del Codice civile. Con ciò perderebbe fondamento anche l'altra censura mossa dall'Avvocatura dello Stato che la Regione avrebbe, cioè, statuito in materia di rapporti privati in modifica del Codice civile: censura che, per altro, la difesa della Regione ritiene di dover respingere in via generale. Comunque, gli articoli in questione non avrebbero il fine di regolare direttamente rapporti privati ma rientrerebbero tra quelle norme, che senza dubbio possono essere emanate dalla Regione, in quanto hanno come scopo il conseguimento di fini di pubblico interesse e interferiscono sui diritti privati nei limiti in cui la sfera di tali diritti tocca l'interesse pubblico.

3) Infondato é anche il rilievo della violazione dello Statuto regionale e dell'art. 76 della Costituzione. L'art. 3 della legge non contempla un caso di delegazione di potestà legislativa, ma prevede un'attività tipicamente amministrativa fondata sul variare delle condizioni di fatto e degli sviluppi dei sistemi produttivi. Le conseguenze che derivano dall'appartenenza all'una o all'altra categoria di sostanze minerali non sono prodotte dall'atto amministrativo, ma dalla legge. Né può dirsi che la norma impugnata abbia preveduto un caso di espropriazione senza indennità. La stessa legislazione statale (art. 45 R.D. 29 luglio 1927) prevede in certi casi il passaggio in virtù di semplice provvedimento amministrativo della cava sotto il regime della concessione previsto per le miniere ed accorda in tali casi al proprietario il semplice rimborso del valore degli impianti, dei lavori utilizzabili e del materiale estratto disponibile. La legge regionale si mantiene perfettamente aderente a tali principi.

4) Nemmeno violati gli artt. 14, 17, 20 dello Statuto siciliano dagli artt. 79 e 83 della legge, posto che la Regione avrebbe una potestà legislativa propria in materia tributaria. Ma nemmeno fondata é la tesi subordinata dello Stato: che sarebbero stati violati i principi e gli interessi generali ai quali si informa la legge statale. Nulla direbbe il fatto che nella legge statale manchino agevolazioni corrispondenti puntualmente a quelle previste dalla legge regionale, perché é un indirizzo generale della legge statale quello del favore fiscale per certe attività industriali e nelle stesse forme adottate dalla legge siciliana. L'Alta Corte per la Sicilia, contrariamente a quel che afferma la difesa dello Stato, avrebbe in più occasioni riconosciuta la legittimità del potere legislativo regionale di estendere agevolazioni fiscali da una categoria all'altra.

5) L'art. 48, lettera g, non ha violato l'art. 17, lettera f, dello Statuto, perché esso non riguarderebbe direttamente la disciplina della materia del lavoro, ma mirerebbe ad assicurare il regolare andamento dell'attività mineraria, a salvaguardare la funzionalità della concessione, e rientrerebbe nell'ambito dell'art. 14, lettera h, dello Statuto. Comunque, la norma regionale, prevedendo la grave inadempienza dei contratti liberamente stipulati fra i rappresentanti delle categorie come causa suscettibile di turbare il normale andamento dell'esercizio minerario, si sarebbe tenuta nei limiti dell'art. 17 dello Statuto, dovendo essere considerato il rispetto degli accordi stipulati un interesse generale, che sussiste anche quando manchi nella legislazione attuale dello Stato esplicito riconoscimento dell'efficacia generale degli accordi sindacali.

6) Non sarebbe vero che la mancanza di una esplicita norma della legge regionale che riproduca l'art. 5 del R.D. 29 luglio 1927, n. 1443, significhi che questo articolo non sia più in vigore nel territorio della Regione siciliana. Esso non é stato né esplicitamente né implicitamente abrogato dalla legge regionale, la quale, se regola l'intera materia dei permessi di ricerca, la regola ovviamente nei limiti della potestà legislativa della Regione, alla quale é sottratta la materia della difesa militare.

7) Nemmeno fondato l'ultimo motivo di ricorso dello Stato: l'art. 67 porrebbe una sanzione amministrativa, non una sanzione penale, e la differenza tra l'una e l'altra sanzione non può dedursi dal fatto che la prima deve essere rivolta a soggetti legati alla pubblica amministrazione da un rapporto di subordinazione, bensì, oltre che dal contenuto della sanzione e dai presupposti della sua applicabilità, dalla materia degli interessi a cui tutela é disposta la sanzione: "l'interesse generale offeso dall'atto illecito nel caso di violazione di una norma penale, l'interesse particolare del ramo di attività pubblica cui presiede l'amministrazione nel caso di violazione del precetto amministrativo".

  1. - Nelle note aggiunte, depositate nella cancelleria della Corte il 24 gennaio 1957, la difesa dello Stato respinge l'eccezione d'inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione processuale sollevata dalla Regione in questo giudizio in termini in parte diversi. La presenza nel giudizio del Commissario dello Stato sarebbe stata dettata da motivi di cautela processuale, dato anche che era stato appunto il Commissario a impugnare la legge davanti all'Alta Corte per la Regione siciliana. Il Presidente del Consiglio, poi, non sarebbe tenuto a sottoscrivere l'atto di ricorso, dato che, come si deduce dall'art. 20 della legge 11 marzo 1953, n. 87, e dall'art. 1 del T.U. 30 ottobre 1933, n. 1611, egli é rappresentato ex lege dall'Avvocato generale dello Stato.

Per quel che attiene al merito, la difesa dello Stato riprende e svolge la tesi e i motivi esposti nelle deduzioni. Per la chiarezza delle posizioni delle parti é sufficiente ricordare quanto segue:

1) La tesi che la concessione perpetua rappresenti un diritto privato di godimento di carattere reale viene svolta col richiamo alla legge del 1927, che, con l'attuazione del regime demaniale delle miniere, avrebbe rispettato nella sostanza i diritti dei privati, convertendo il diritto di proprietà in un diritto o concessione perpetua, che avesse un contenuto analogo a quello del diritto di proprietà e come questo una durata illimitata nel tempo. Codesto rispetto invece non sarebbe stato osservato dalla legge regionale, che ha trasformato la concessione perpetua in concessione temporanea, convertendo, cioè, un diritto in altro di contenuto economico non equivalente.

2) Che l'art. 3 della legge regionale configuri un caso di delega legislativa sarebbe confermato dall'art. 4 della medesima, che, consentendo al Presidente di assegnare all'una o all'altra categoria (miniere o cave), sostanze non indicate nell'art. 2, avrebbe veramente previsto un caso di accertamento tecnico amministrativo, fondato sulla volontà della legge già espressa nell'elenco dell'art. 2. Non così, invece, nel caso dell'art. 3 che, attribuendo al Presidente regionale la facoltà di mutare la classificazione stabilita dall'art. 2 e di modificare pertanto una disposizione di legge, presuppone l'esercizio di un potere legislativo. Inoltre questo cambio di qualificazione comporterebbe la sostituzione di un diritto di proprietà in una aspettativa di concessione, che può ottenersi soltanto dal proprietario che coltivi direttamente la cava. Né varrebbe il richiamo dell'art. 45 della legge del 1927, perché questo, prevedendo nel caso di inerzia del proprietario, la concessione ad altri della cava, non attenterebbe ai diritti del proprietario, ma creerebbe un sistema idoneo a conciliare questi diritti con la pubblica utilità e il pubblico interesse in applicazione del principio del fine sociale della proprietà privata. Né si avrebbe una espropriazione, perché, in questo caso, cessando per qualsiasi motivo la concessione, il giacimento ritorna nella disponibilità del proprietario.

3) La difesa dello Stato prende atto che la Regione non nega che l'art. 5 del R.D. 1927 relativo all'obbligo di sentire, per il rilascio dei permessi, il Ministero della difesa, sia in vigore in Sicilia, ma conclude egualmente perché la Corte dichiari l'illegittimità costituzionale dell'art. 7 della legge regionale oppure affermi che l'art. 5 ha vigore tuttora in Sicilia.

  1. - Sulla eccezione pregiudiziale di incompetenza della Corte costituzionale sollevata dalla difesa della Regione in tutti i ricorsi che formano l'oggetto del presente giudizio, la difesa dello Stato ha esposto le sue tesi in un'ampia memoria depositata nella cancelleria della Corte il 24 gennaio di quest'anno. Il quesito che la Corte deve risolvere viene posto in questa memoria nei termini seguenti: si tratta di decidere, dice la difesa dello Stato, "se la competenza generale della Corte costituzionale abbia o non assorbito la particolare competenza attribuita all'Alta Corte per la Regione siciliana dagli artt. 25 e 26 dello Statuto speciale".

Tale quesito dovrebbe essere risoluto con la dichiarazione "che la competenza generale sulle questioni di legittimità costituzionale delle leggi o degli atti aventi forza di legge dello Stato e delle Regioni attribuita alla Corte costituzionale dagli artt. 134 della Costituzione, 2 legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e 1 legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, non soffra alcuna eccezione o limitazione e che, quindi, con l'entrata in funzione della Corte, sia venuta meno la speciale giurisdizione costituzionale in tale materia attribuita all'Alta Corte, precisamente come é venuta meno quella attribuita ai giudici ordinari dalla VII disposizione transitoria e finale della Costituzione". Fondamento di questa tesi la constatazione che la concorrenza delle due giurisdizioni sarebbe in contrasto col principio dell'unità dello Stato, sancito solennemente nell'art. 5 della Costituzione e nell'art. 1 dello Statuto siciliano, e con l'altro che discende dall'unità dell'ordinamento costituzionale e della giurisdizione costituzionale.

Premessa alla dimostrazione di questa tesi é l'affermazione che nel nostro ordinamento esisterebbe una graduazione delle norme costituzionali, secondo la quale quelle contenute nella Costituzione, fonte autonoma rispetto ad ogni altra fonte, sarebbero in una posizione di assoluta prevalenza. A un grado inferiore si troverebbero le leggi di revisione costituzionale perché derivano dalla Costituzione la loro efficacia e trovano in questa i loro limiti formali e sostanziali; da codesta loro posizione discenderebbe, per esempio, la conseguenza che esse devono procedere in modo espresso con dichiarata volontà ai mutamenti della Costituzione. Allo stesso grado delle leggi di revisione si troverebbero le altre leggi costituzionali e fra queste, ovviamente, anche quelle che approvano uno Statuto regionale, le quali, anzi, troverebbero un limite insuperabile nelle norme contenute negli artt. 114 e 116 della Costituzione. Esse farebbero parte dell'ordinamento costituzionale, ma non della Costituzione e potrebbero essere abrogate con successive leggi costituzionali o attraverso speciali procedimenti senza necessità di un'esplicita applicazione del procedimento di revisione di cui all'art. 138 della Carta costituzionale.

Ciò che l'art. 116 della Costituzione consentirebbe é la deroga non già ai principi fondamentali della Costituzione, ma a quelle particolari norme di questa relative alla potestà legislativa e amministrativa delle Regioni a statuto comune. Ora, la "costituzionalizzazione" dello Statuto siciliano, avvenuta il 26 febbraio 1948, altro scopo non ebbe, come si deduce, del resto, dal testo della legge, se non quello di assicurare allo Statuto siciliano efficacia costituzionale esclusivamente a questi effetti. Ne conseguirebbe che non si é derogato alla competenza generale, estesa anche alla Sicilia, della Corte costituzionale, espressione del principio dell'unità della giurisdizione costituzionale sancito dalla Costituzione e dalle successive leggi costituzionali. Un esame appunto di queste norme nonché dello Statuto siciliano porterebbe alla conclusione che, per quanto riguarda la materia, cioè le leggi e gli atti aventi forza di legge dello Stato o della Regione siciliana, la competenza della Corte costituzionale é comprensiva di quella attribuita all'Alta Corte. Sarebbe, infatti, pacifico, anche tra le parti, che la competenza della Corte costituzionale sussiste per i giudizi di legittimità costituzionale di leggi regionali siciliane sorti in via incidentale - ai sensi dell'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e 23 e seguenti della legge 11 marzo 1953, n. 87 - e altrettanto pacifico sarebbe il riconoscimento della competenza della Corte costituzionale a conoscere dei giudizi di legittimità costituzionale della legge regionale siciliana, su impugnativa delle altre Regioni, ai sensi dell'art. 2 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e 33 della legge 11 marzo 1953, n. 87. Escludere dal campo di una competenza così ampia quella dei giudizi di legittimità costituzionale delle leggi regionali, quando l'impugnativa sia proposta in via principale dallo Stato, significherebbe snaturare il principio fondamentale che emerge dall'art. 134 della Costituzione, secondo il quale la competenza in materia costituzionale si determina esclusivamente in base all'oggetto: più specificamente, significherebbe affermare l'esistenza di una competenza speciale concorrente fondata sul procedimento, per cui una controversia nella stessa materia fra gli stessi soggetti ed avente lo stesso oggetto sarebbe devoluta alla cognizione di questo o quel giudice secondo il diverso insorgere della controversia.

La difesa dello Stato espone poi gli inconvenienti a cui porterebbe la coesistenza delle due giurisdizioni in materia di legittimità costituzionale delle leggi regionali siciliane. Tali inconvenienti rivelerebbero la violazione di un altro principio che é della "certezza" dei giudicati: in tale materia imprescindibile esigenza.

Si dovrebbe perciò concludere che la competenza dell'Alta Corte in materia di legittimità costituzionale delle leggi regionali siciliane é caducata perché incompatibile con l'entrata in funzione della Corte costituzionale. Né codesta caducazione contrasterebbe con l'autonomia siciliana che trova la sua garanzia non già nell'esistenza di un organo giurisdizionale particolare, ma nell'attribuzione di particolari poteri e funzioni di carattere sostanziale, legislativo e amministrativo, e nella istituzione dei mezzi e dei rimedi giurisdizionali necessari ad assicurarne l'esercizio.

  1. - In secondo luogo, la difesa dello Stato sostiene che l'articolo 134 é uno degli articoli della Costituzione di non immediata applicazione. Sicché, a buon diritto, si dette attuazione alle norme dello Statuto siciliano che prevedevano l'Alta Corte. Ma, una volta entrata in funzione la Corte costituzionale, doveva cessare di esistere non già l'Alta Corte come organo, ma dovevano e devono rimanere assorbite le competenze di questa nelle altre non diverse della Corte costituzionale, ai sensi della VII disp. trans. della Costituzione. Queste competenze sono comprensive anche di quella in materia di regolamenti statali, dato che essa andrebbe ricondotta alla competenza generale della Corte costituzionale a giudicare sui conflitti di attribuzione fra Stato e Regione.
  2. - Infondati la difesa dello Stato ritiene anche gli argomenti della difesa della Regione:
  3. a) lo Statuto siciliano non é successivo nel tempo alla Costituzione. Esso fu approvato con R.D.L. 15 maggio 1946, n. 455; né la legge 26 febbraio 1948, n. 2, poté apportare innovazioni o modifiche allo Statuto. Essa si limitò ad attribuire valore di legge costituzionale, ai sensi e per gli effetti dell'art. 116 della Costituzione, allo Statuto quale esso era al momento in cui la legge costituzionale entrò in vigore - abrogato nelle sue norme incompatibili con la Costituzione, successiva nel tempo al R.D.L. 15 maggio 1946. Né potrebbe invocarsi il principio che la norma speciale - nel caso lo Statuto - deroga alla norma generale (Costituzione), essendo questo un principio valido tra norme di pari grado non tra quelle di grado diverso.
  4. b) Nemmeno fondata é l'obiezione che le leggi regionali siciliane non siano soggette al visto e siano definitive subito che siano state approvate dall'Assemblea regionale e non siano impugnabili dopo la loro promulgazione, perché tutte le leggi regionali sono impugnabili soltanto prima della promulgazione, e tutte le leggi regionali possono essere impugnate dopo la promulgazione da parte di un'altra Regione o in via incidentale nel corso di un giudizio.
  5. - Per quel che attiene poi al problema della forma e dei termini del procedimento, la difesa dello Stato sostiene che l'ultimo comma dell'art. 127 della Costituzione sarebbe applicabile anche per la Regione siciliana, dovendosi dire che esso si trova occasionalmente inserito in detto articolo dal quale anzi può considerarsi "estratto", per effetto del rinvio recettizio, di cui é parola nell'art. 2 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e nell'art. 31 della legge ordinaria 11 marzo 1953, n. 87. Mentre tutto quanto si riferisce all'autonomia regionale può essere derogato dallo Statuto siciliano - e sarebbero le norme contenute nei commi 1 a 4 dell'art. 127 - le forme e i termini del procedimento davanti alla Corte, regolati, ai sensi dell'art. 1 della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, dalle norme della Costituzione, dalla legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e dalla legge ordinaria 11 marzo 1953, n. 87, non potrebbero essere derogate, per non riguardare l'autonomia siciliana, dallo Statuto della Regione.

Da ciò si dovrebbero trarre queste conclusioni:

1) la questione di legittimità costituzionale delle leggi siciliane deve essere proposta dal Presidente del Consiglio dei Ministri entro 15 giorni dalla comunicazione, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri;

2) il ricorso ha effetto sospensivo e non può trovare applicazione la norma dell'art. 29 dello Statuto siciliano dato che il potere che vi é attribuito al Presidente della Regione siciliana di promulgare e pubblicare la legge é collegata al termine per la proposizione del ricorso - che sarebbe ora di 15 giorni e non più di 5 - e all'altro di 20, imposto all'Alta Corte per la Regione siciliana per la decisione, termine che non potrebbe essere valido per la Corte costituzionale.

  1. - In una lunga e dettagliata memoria allegata agli atti del ricorso n. 55, ma riferibile, ora tutta, ora in parte, agli altri ricorsi che hanno promosso le questioni di legittimità costituzionale oggetto dei presenti giudizi, la difesa della Regione ripropone e svolge le eccezioni di inammissibilità e improponibilità sopra esposte. Ai fini della chiarezza delle reciproche posizioni delle parti va ricordato quanto segue:

1) L'esame comparativo delle competenze dell'Alta Corte per la Sicilia e della Corte costituzionale dimostrerebbe che le competenze di questi due organi non sono del tutto identiche, non soltanto perché l'Alta Corte ha il potere di giudicare il Presidente e gli Assessori regionali posti in istato d'accusa dall'Assemblea, ma anche perché essa, nei giudizi promossi in via principale, é competente a giudicare di tutti i vizi di costituzionalità delle leggi regionali, e non soltanto del vizio di competenza, ed egualmente di ogni illegittimità costituzionale delle leggi e dei regolamenti dello Stato, nell'ambito dell'osservanza dello Statuto e limitatamente all'efficacia loro nel territorio della Regione. Inoltre, là dove l'Alta Corte ha competenza limitata alle sole leggi regionali, la Corte costituzionale estende il suo esame ai regolamenti e agli atti amministrativi quando diano luogo a conflitti di attribuzione; e ancora, là dove l'Alta Corte limita la sua competenza alle leggi e ai regolamenti dello Stato, la Corte costituzionale estende la sua competenza anche agli atti amministrativi, sempre nell'ipotesi di conflitto di attribuzione.

2) In secondo luogo, l'Alta Corte per la Sicilia si inserirebbe in un sistema di norme, relativo ai rapporti tra Stato e Regione, diverso da quello stabilito per i rapporti tra Stato e Regioni di diritto comune e per quanto attiene ai controlli e per quanto attiene all'impugnativa giurisdizionale.

3) Non vi sarebbe stata abrogazione delle norme relative alla Alta Corte, né esplicita né implicita. Non esplicita, perché manca qualsiasi espressa disposizione a riguardo, e nemmeno implicita, perché non é sufficiente, per un'abrogazione siffatta, che la legge anteriore e la legge posteriore regolino la stessa materia, ma é necessario che l'una e l'altra regolino i medesimi rapporti relativi alla stessa materia e, ciò che é più, che la legge posteriore si ispiri a una ratio e postuli principi, che escludano la validità della ratio e dei princip1 consacrati nella legge anteriore. E questo non é il caso in discussione. Infatti le norme statutarie che istituiscono e regolano l'Alta Corte per la Sicilia sarebbero norme speciali, perfettamente compatibili con le norme generali sulla Corte costituzionale, ispirate - a differenza di queste che hanno per scopo di tutelare da un canto il principio della legittimità degli atti di legislazione ordinaria e dall'altro quello di garanzia della coordinata distribuzione della competenza legislativa - al principio della tutela della particolare autonomia della Regione siciliana.

4) La conferma della tesi si trarrebbe dall'esame delle disposizioni costituzionali. L'art. 134 non può avere abrogato le norme sull'Alta Corte, perché ha stabilito in termini generali le attribuzioni della Corte costituzionale e ha disciplinato le controversie di legittimità costituzionale, tra le quali non può essere inquadrata l'impugnazione in via principale promossa dallo Stato avverso una legge regionale. Per questa parte la competenza della Corte costituzionale trae la sua origine dagli artt. 127 della Costituzione e 2 della legge costituzionale 1948, n. 1, come risulta dal rilievo testuale che l'ora citato art. 2 richiama proprio l'art. 127 e non l'art. 134. Né questo effetto abrogativo si può giustificare collegando l'art. 134 con l'art. 1 della legge 9 febbraio 1948, n. 1, perché - e ne sono conferma gli artt. 23 e segg. della legge 11 marzo 1953, n. 87 -, quest'articolo si riferisce soltanto al giudizio di legittimità sorto in via incidentale. Ma v'é di più. L'art. 127 non é applicabile alle Regioni a statuto speciale, ma soltanto a quelle di diritto comune; del che sarebbero conferma:

  1. a) il più volte citato art. 2 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, che, per i ricorsi dello Stato in via principale contro leggi regionali, non delinea una competenza generale della Corte costituzionale, ma una competenza limitata ai casi in cui l'art. 127 della Costituzione é applicabile, che sono quelli nei quali l'impugnativa davanti alla Corte si inserisce in un sistema di controlli politico - giurisdizionali non estendibile alle Regioni ad autonomia speciale;
  2. b) il fatto che quando il Costituente ha voluto estendere il medesimo sistema di controllo alle leggi delle Regioni a statuto speciale lo ha dovuto fare in maniera esplicita; nemmeno conforta il richiamo alle disp. trans. XVII e VII, tutte e due estranee al problema che si deve risolvere: quello cioè, se le norme sull'Alta Corte siano state oppure no abrogate dalla Costituzione.

5) Mancherebbe anche, per potere parlare di abrogazione, la successione cronologica tra le due discipline normative: lo Statuto siciliano, al quale venne attribuita forza di legge costituzionale con la legge 26 febbraio 1948, n. 2, deve ritenersi a tutti gli effetti successivo alla Costituzione. Il conferimento di efficacia costituzionale diede luogo a una novazione della fonte delle norme dello Statuto siciliano e di tutte le norme in esso contenute, dovendosi respingere la tesi, anche sulla base del testo della legge, che tale conversione fosse limitata alle norme in precedenza non abrogate dal sopravvenire della Costituzione.

  1. - Come infondata é la tesi dell'abrogazione tacita dell'Alta Corte per la Sicilia con l'entrata in funzione della Corte costituzionale, così infondata sarebbe la tesi che l'Alta Corte debba intendersi ipso iure caducata con l'entrata in funzione di detta Corte per contrasto radicale coi principi dell'unità e indivisibilità della Repubblica (art. 5 della Costituzione), dell'accentramento della giurisdizione costituzionale (art. 134 e segg. della Costituzione), della indipendenza dei giudici (artt. 104 e 108). Non vi sarebbe il contrasto col primo principio, perché la particolare composizione della Corte siciliana, alla quale si é voluto fare riferimento, é giustificata dal proposito di consentirle di adempiere nella maniera più soddisfacente il compito di salvaguardare le rispettive sfere giuridiche di competenza dello Stato e della Regione. Non contrasto col principio dell'indipendenza dei giudici, perché il fatto che i giudici dell'Alta Corte siano nominati in parti eguali dallo Stato e dalla Regione serve a una più efficace rappresentanza degli interessi dei due enti, senza dire che per i giudici della Corte siciliana vi sarebbe la massima delle gare dovendosi essi considerare come nominati a vita. Non contrasto col principio dell' "accertamento della giurisdizione costituzionale" - che sarebbe il presupposto dell'altro dell'"unità e indivisibilità dello Stato" -, perché i conflitti che si determinerebbero tra le due Corti, che la difesa della Regione esamina particolarmente, non sarebbero di tale portata, né di così facile insorgere da porre in pericolo l'unità dello Stato e, più che riconducibili a un insanabile contrasto di principi, sono espressione di una situazione singolare che si é venuta a determinare e comunque non potrebbe essere risoluta se non mediante l'approvazione di norme esplicite attraverso il procedimento della legiferazione costituzionale.

Nemmeno, infine, può essere richiamato il principio dell'unità della giurisdizione costituzionale, perché questo é un principio particolare della giustizia civile e penale per la tutela dei diritti soggettivi (e pur qui sottoposto a deroghe) e non della giustizia amministrativa e non sarebbe comunque invocabile per la giurisdizione costituzionale la quale, alla pari di quella amministrativa ha caratteri particolari.

  1. - Ma, anche se si volesse ritenere la Corte decaduta per "illegittimità costituzionale" in quanto incompatibile con alcuni dei sommi principi dell'ordinamento, non sarebbe certo la Corte costituzionale competente a emettere un giudizio, perché essa può bensì giudicare le leggi costituzionali dal punto di vista formale, ma non ha il potere di controllare le disposizioni contenute in leggi costituzionali dal punto di vista del loro rapporto di conformità o difformità ai principi supremi dell'ordinamento, che dovrebbero considerarsi sottratti alla possibilità giuridica di qualsiasi modificazione o deroga.
  2. - La difesa della Regione respinge anche la tesi che l'Assemblea costituente avrebbe agito invalidamente quando approvò lo Statuto siciliano. La verità sarebbe, invece, che essa anche dopo il l gennaio 1948 era investita della pienezza del potere costituente e non si era trasformata nell'organo di un potere costituito. Il che sarebbe confermato dalla stessa XVII disposizione transitoria, che esplicitamente le riconobbe il potere di deliberare sulla materia costituzionale; né si potrebbe fare richiamo alle necessità che la medesima disposizione poneva come condizione per le deliberazioni relative, perché di questa necessità la stessa Assemblea, una volta che fosse riunita, era l'unico giudice.
  3. - La difesa della Regione nella stessa memoria riprende e svolge anche l'eccezione di inammissibilità per mancanza di legittimazione attiva del Presidente del Consiglio e per tardività della presentazione del ricorso. Sul primo punto essa sostiene che la proposizione del ricorso non é atto di natura giurisdizionale, ma può essere variamente qualificata e certamente, quando é il Governo che é autorizzato a compierla, può essere inspirata da motivi politici. Non così, invece, quando autorizzato a sollevare - la questione di legittimità costituzionale sia il Commissario dello Stato, nominato sì dal Governo, ma col compito di controllare l'osservanza dello Statuto, nei confronti sia dello Stato sia della Regione, senza perseguire finalità politiche, ma inspirandosi a motivi di legittimità. Sul secondo punto la difesa regionale sostiene che il termine da osservare é quello di cinque giorni dell'art. 28 dello Statuto speciale: anch'esso, nella sua brevità, é la conferma del carattere più ampio ed intenso dell'autonomia siciliana, alla quale si collega tutto il sistema di impugnativa posto dagli artt. 27 e 28 dello Statuto.

Né queste norme debbono seguire la sorte dell'Alta Corte, - distinte come sono da quelle che disciplinano gli organi e l'attività giurisdizionale, e connesse invece con la disciplina del rapporto sostanziale -, dovendo essere pacifico, anche in linea generale, che le modalità della impugnativa sono sempre determinate dalla natura delle situazioni soggettive alle quali di volta in volta si ricollega l'azione. Il che sarebbe confermato dal fatto che la Costituzione si é occupata delle impugnative delle leggi regionali non nel titolo che regola la Corte costituzionale, ma nell'altro relativo alle Regioni. Comunque, il sistema di impugnativa delineato dallo Statuto siciliano sarebbe perfettamente compatibile coi principi della Costituzione, anche a non voler ripetere qui l'affermazione che l'Assemblea costituente aveva in ogni modo il potere di porre validamente norme di contenuto diverso da quelle della Costituzione.

  1. - Il Presidente, avvalendosi della facoltà conferitagli dallo art. 15 delle Norme integrative, ha ordinato che i cinque giudizi fossero congiuntamente discussi. Alla pubblica udienza, i patroni delle parti hanno riassunto e illustrato le argomentazioni ampiamente svolte negli scritti difensivi.

 

Considerato in diritto

 

  1. - La Corte, tenuto conto che nei cinque giudizi indicati nell'epigrafe é stata sollevata l'eccezione d'incompetenza della Corte costituzionale, e che in quattro di essi é stata eccepita la inammissibilità dei ricorsi per inosservanza dei termini e per mancanza di legittimazione attiva del Presidente del Consiglio - eccezioni di particolare rilievo e di importanza determinante ai fini della decisione -, ha ritenuto opportuno riunire i cinque giudizi e deciderli con unica sentenza.
  2. - La difesa della Regione ha sollevato in primo luogo l'eccezione d'incompetenza della Corte costituzionale a conoscere in via principale dei giudizi di legittimità costituzionale delle leggi siciliane. Questa eccezione non é fondata.

Non é dubbio, infatti, che l'art. 134 della Costituzione abbia istituito la Corte costituzionale come unico organo della giurisdizione costituzionale o, più specificamente, come unico giudice della legittimità delle leggi statali o regionali e dei conflitti di attribuzione tra lo Stato e le Regioni o delle Regioni tra loro.

Né può ritenersi che la formula adoperata nel ricordato art. 134 sia tale da lasciar fuori qualche parte della materia e che, per esempio, la competenza della Corte costituzionale a conoscere della "questione di legittimità" delle leggi regionali di cui é parola nell'ultimo comma dell'art. 127, debba intendersi come una competenza particolare aggiunta a quella generale e comprensiva dell'art. 134, e non già specificazione di questa. Vero é che si é sostenuto contro questa tesi che l'ora richiamata "questione di legittimità" dell'art. 127 sia da includere, per i suoi innegabili rapporti col procedimento di legiferazione regionale, nella categoria della giurisdizione volontaria o onoraria o nell'altra del controllo preventivo in forma contenziosa, e che essa quindi non possa essere ricompresa tra "le controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi" dell'art. 134 della Costituzione. Ma si tratta di affermazioni controvertibili sul piano teorico - dovendosi i giudizi di legittimità costituzionale intendere nella loro originale natura, senza ricondurli sic et simpliciter sotto categorie costruite ad altri fini e per altri istituti -, e non fondate sul terreno del diritto positivo, dall'esame del quale risulta che il legislatore, adoperando ora per i giudizi di legittimità sorti in via incidentale, ora per quelli introdotti mediante ricorso dello Stato o della Regione la medesima espressione (artt. 127 della Costituzione e 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1), ha voluto ricomprenderli, pur con le loro particolarità processuali, sotto un'unica e medesima categoria.

  1. - La competenza, pertanto, della Corte costituzionale quale unico organo della giurisdizione costituzionale risulta consacrata con ogni desiderabile chiarezza e senza riserve dalla Costituzione. Ma nemmeno le leggi costituzionali e ordinarie preannunziate dall'art. 137 della Carta costituzionale hanno modificato questa situazione: che anzi esse, articolando e specificando le competenze della Corte e le forme e condizioni dei procedimenti davanti ad essa, hanno confermato l'unicità dell'organo della giurisdizione costituzionale. Così la legge 9 febbraio 1948, n. 1, che regola tanto le questioni di legittimità costituzionale rilevate d'ufficio dal giudice o sollevate da una delle parti nel corso di un giudizio (art. 1) quanto le altre che la Regione sollevi nei confronti di una legge o di un atto avente forza di legge dello Stato, o che questo, oppure un'altra regione, sollevi contro le leggi di quella, ponendo anche qui un regolamento, conciso ma preciso, di ogni possibile controversia di legittimità costituzionale, senza riserve e senza limitazioni. Così, ancora, la legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, che richiama e riconsacra l'unitaria disciplina della giurisdizione costituzionale, elencandone tassativamente le relative fonti, sia pure con riferimento alle forme, ai limiti e alle condizioni, che la Corte costituzionale deve osservare nell'esercizio delle sue "funzioni". Così, infine, la legge ordinaria n. 87, pur essa dell'11 marzo 1953, che reca norme minuziose sulla costituzione e sul funzionamento della Corte. Leggi tutte quante posteriori allo Statuto siciliano e le due ultime successive anche alla legge cosiddetta di "costituzionalizzazione" promulgata il 26 febbraio 1948.
  2. - Che attraverso le norme della Costituzione e le altre contenute nelle leggi ora richiamate si sia affermato il principio dell'unità della giurisdizione costituzionale, espresso nella unicità dell'organo competente ad amministrarla, é non soltanto un dato certo del nostro ordinamento positivo, ma una conseguenza necessaria del nostro sistema costituzionale. Il quale sistema costituzionale ricomprende sì le autonomie regionali, ma nel quadro e sul fondamento dell'unità dello Stato, solennemente consacrata nella Costituzione e negli Statuti speciali delle Regioni, prezioso retaggio dei padri, che l'unità della giurisdizione costituzionale appunto riconferma e garantisce.

Sul piano tecnico - giuridico, poi, questa unità é richiesta, forse ancora più energicamente, dal carattere rigido della nostra Costituzione. Tale carattere rigido non postula già una innaturale immobilità dell'ordinamento costituzionale, ma si concreta nel rispetto di una regola fondamentale: che, cioè, modificazioni e revisioni avvengano con l'osservanza di procedimenti speciali e rigorosi. E l'esigenza contenuta in questa regola é soddisfatta non soltanto dal procedimento di revisione costituzionale consacrato dall'art. 138 della Costituzione, che richiede riflessione e consapevolezza nel legislatore, il quale, soltanto col rispetto di forme determinate, può apportare modifiche alle norme e ai principi costituzionali, ma altrettanto, e forse ancora di più, dalla unità della giurisdizione costituzionale che, per parte sua e nel campo suo proprio, assicura una vita organica e uno sviluppo coerente, pur nella varietà degli ordinamenti regionali - anzi proprio in virtù dell'esistenza di codesta varietà -, dei principi e delle norme fondamentali che il popolo italiano ha dato a se stesso nell'esercizio della sua sovranità. Non a caso, del resto, le norme sulla Corte costituzionale e quelle sulla revisione della Costituzione formano rispettivamente la prima e la seconda sezione del titolo VI della Carta fondamentale. Alla stregua di questi motivi, l'unità della giurisdizione costituzionale si pone come una esigenza logica prima ancora che come una necessità giuridica.

  1. - Vero é che lo Statuto siciliano stabilisce all'art. 25 che l'Alta Corte giudica sulla costituzionalità delle leggi emanate dall'Assemblea regionale e delle leggi e dei regolamenti emanati dallo Stato rispetto allo Statuto e limitatamente alla efficacia loro nel territorio della Regione. Ma, se si pone mente che quello Statuto fu approvato con D.L.L. 15 maggio 1946, quando cioè la Costituzione della Repubblica non era ancora nata, in un delicato momento di trapasso dal vecchio al nuovo ordinamento, del quale é in certa parte quasi un preannunzio, non si può non riconoscere che la ricordata competenza dell'Alta Corte sia stata travolta dalla Costituzione. Del che sono conferma non tanto o non soltanto gli inconvenienti - che variamente valutati nella loro gravità dalle avverse parti, deriverebbero dalla contemporanea esistenza delle due competenze -, quanto il fatto che nessun rimedio é posto dal nostro ordinamento per superare gli inevitabili conflitti fra i due organi, quando non si voglia far ricorso a escogitazioni che dimostrano la buona volontà di coloro che le propongono ma non trovano fondamento nel diritto positivo.

Né vale obiettare che la competenza dell'Alta Corte si pone legittimamente quale competenza speciale giustificata dalla particolare autonomia siciliana, accanto alla competenza generale della Corte costituzionale, dato che la ratio di tutto il sistema, così delle garanzie giurisdizionali come delle autonomie regionali, quale é delineato dalla Costituzione e dalle leggi sopra ricordate, postula la necessità dell'unità della giurisdizione costituzionale ed esclude la possibilità di competenze speciali. Deve essere osservato a questo proposito che la non perfetta coincidenza delle competenze assegnate all'uno e all'altro organo non comporta la conseguenza della valida esistenza di una competenza speciale accanto alla competenza generale della Corte costituzionale. Che anzi la diversità dei limiti e dell'oggetto della competenza dell'Alta Corte per la Regione siciliana é piuttosto argomento che sorregge la tesi del suo assorbimento in quella più ampia e diversamente regolata di questa Corte. La Costituzione, infatti, e le leggi successive hanno regolato ex novo e senza riserve l'intera materia, attribuendo alla Corte costituzionale tanto il potere di conoscere dei giudizi di legittimità costituzionale delle leggi siciliane e delle leggi dello Stato rispetto alla Regione e nei limiti territoriali di questa, quanto l'altro di risolvere i conflitti di attribuzione e, con ciò, anche di giudicare quelle controversie di costituzionalità dei regolamenti dello Stato, di cui nell'art. 25 dello Statuto siciliano: una specie particolare del più ampio genere dei conflitti di attribuzione. Più che di una competenza speciale dell'Alta Corte, occorre parlare di una competenza provvisoria, destinata a scomparire con l'entrata in funzione della Corte costituzionale, com'é attestato esplicitamente dalla VII disposizione transitoria della Costituzione.

  1. - L'obiezione principale contro questa conclusione e tale che ad essa si riconducono per l'una o per l'altra via tutte le altre, é quella che muove dalla considerazione che la competenza dell'Alta Corte sia protetta dalla natura di legge costituzionale conferita allo Statuto siciliano dalla legge 26 febbraio 1948, n. 2, posteriore nel tempo alla Costituzione; ma non é una obiezione che possa essere accolta. In primo luogo deve essere osservato che il carattere di legge costituzionale non poteva essere attribuito se non allo Statuto quale era nel momento in cui veniva promulgata la legge di "costituzionalizzazione", vale a dire modificato in questa parte, nella quale esso contrastava con la sopravvenuta Costituzione, e che veniva lasciata soltanto temporaneamente in vigore dalla ricordata VII disposizione transitoria. In secondo luogo, il primo comma dell'art. 1 di quella legge non affermava se non questo: che lo Statuto siciliano dovesse far parte delle leggi costituzionali della Repubblica "ai sensi e per gli effetti dell'art. 116 della Costituzione", cioè al fine di garantire "forme e condizioni particolari di autonomia", tra le quali non può farsi rientrare la competenza dell'Alta Corte siciliana in materia di giudizi di costituzionalità, necessariamente assorbita nel più ampio sistema posto dalla Costituzione, inspirato alla visione che il legislatore costituente ebbe delle autonomie regionali, saldamente ancorate all'unità e all'indivisibilità dello Stato.

Se così é, non occorre attardarsi ad esaminare la tesi, dibattuta tra le parti, intorno ai poteri dell'Assemblea costituente dopo l'entrata in vigore della Costituzione, dovendo essere chiaro, ormai, che l'Assemblea costituente non intese modificare né modificò la Costituzione, ma si limitò, in ossequio a questa, a conferire allo Statuto siciliano, ai fini dell'art. 116 della medesima Costituzione, il carattere di legge costituzionale. E nemmeno occorre esaminare l'altra tesi, che si fonda sulla inosservanza delle procedure stabilite nel secondo comma dell'art. 1 della legge costituzionale del 6 febbraio 1948, n. 2, dato che l'assorbimento della competenza dell'Alta Corte non é avvenuto in virtù di una modifica dello Statuto siciliano, ma ipso iure per incompatibilità con la Costituzione, e al momento dell'entrata in vigore di questa che operò l'inserimento dello Statuto nel nuovo ordinamento costituzionale.

  1. - Devono essere, invece, accolte le altre due eccezioni sollevate dalla Regione siciliana dell'inammissibilità dei ricorsi per inosservanza dei termini fissati dagli artt. 28 e 29 dello Statuto siciliano e per mancanza di legittimazione attiva del Presidente del Consiglio dei Ministri (art. 27 del medesimo Statuto). Quale che sia la configurazione teorica che si voglia dare dei nessi che passano tra organo competente e modi e termini della proposizione del giudizio di legittimità costituzionale, non é dubbio che codesti nessi non sono di loro natura necessari, sicché il destino delle norme che regolano la competenza debba essere identico a quello delle altre che stabiliscono i modi e i termini del giudizio. Le particolari forme e condizioni di autonomia di cui é parola nell'art. 116 della Costituzione, e che sono stati erroneamente invocati per giustificare la competenza dell'Alta Corte per la Sicilia, vengono qui di proposito e giustificano le particolarità dell'impugnazione delle leggi siciliane e statali e dei termini relativi. L'esistenza di un organo speciale autorizzato a promuovere le questioni di legittimità - il Commissario dello Stato -, e i termini più brevi che l'art. 28 stabilisce, perché l'impugnativa sia valida, bene si inseriscono nella particolare forma di autonomia riconosciuta alla Regione siciliana. E lo stesso é da dire del termine di venti giorni per la decisione della Corte (art. 29), fermo restando, peraltro, nei rapporti di detto termine, il carattere ordinatorio, quale, del resto, é stato già ammesso nella prassi dell'Alta Corte per la Sicilia.
  2. - Dall'applicazione dei criteri ora enunciati ai ricorsi che hanno promosso le questioni di legittimità costituzionale oggetto dei presenti giudizi riuniti, discende:
  3. a) Il ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri contro la legge regionale siciliana recante "provvedimenti in materia d'imposta generale sull'entrata" é inammissibile. Esso, infatti, fu proposto dal Presidente del Consiglio dei Ministri e notificato al Presidente della Giunta regionale siciliana il 23 luglio 1956, quando la legge era stata già promulgata (30 giugno 1956, n. 40) e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana (n. 41 del 7 luglio 1956).
  4. b) Inammissibile é anche il ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri contro la legge regionale siciliana riguardante il "fondo sovvenzioni e prestiti per i dipendenti regionali", perché notificato il 23 luglio 1956 al Presidente della Giunta regionale, mentre l'approvazione della legge da parte dell'Assemblea siciliana era stata comunicata al Commissario dello Stato il 9 luglio 1956. A fortiori inammissibile é l'altro ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri notificato al Presidente della Giunta regionale siciliana il 29 settembre 1956 contro la medesima legge, dopo che essa era stata promulgata (13 settembre 1956, n. 47) e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana n. 61 del 15 settembre 1956.
  5. c) Inammissibile é anche il ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Commissario dello Stato contro la legge regionale siciliana 1 ottobre 1956, n. 54, "sulla disciplina della ricerca e coltivazione delle sostanze minerarie nella Regione" (Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana n. 67 del 18 ottobre dello stesso anno), notificato il 2 novembre 1956 al Presidente della Giunta regionale. Vero é che contro questa legge, prima della relativa promulgazione e pubblicazione e dentro i termini stabiliti dallo Statuto speciale, era stata proposta impugnativa davanti all'Alta Corte per la Sicilia. Ma é vero anche che il ricorso presentato alla Corte costituzionale é indipendente da quello, é diretto contro una legge già promulgata e pubblicata legittimamente per il decorso dei termini di cui all'art. 29 dello Statuto speciale, ed é stato notificato decorsi i termini fissati dall'art. 27 dello stesso Statuto. Resta, peraltro, del tutto salva e impregiudicata la questione della riproponibilità davanti alla Corte costituzionale di quel primo ricorso presentato nei termini all'Alta Corte dal Commissario dello Stato, dopo che ora la Corte costituzionale ha affermato la sua competenza a giudicare le controversie di legittimità costituzionale delle leggi siciliane.
  6. - Viceversa le eccezioni di inammissibilità non possono essere accolte per il ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Commissario dello Stato per la Regione siciliana contro la legge regionale siciliana recante "modifiche alla legge 29 aprile 1949, n. 264, e provvedimenti in materia di avviamento al lavoro e di assistenza ai lavoratori involontariamente disoccupati". Questa legge, infatti, fu approvata dall'Assemblea regionale il 5 ottobre 1956, comunicata al Commissario dello Stato il giorno successivo e impugnata da questo e dal Presidente del Consiglio dei Ministri il 10 dello stesso mese; l'impugnativa é stata quindi promossa nei termini anche dall'organo competente.

Di questa legge sono stati impugnati alcuni articoli, ma in linea preliminare é stata affermata l'incompetenza della Regione a emanare norme in materia di collocamento della mano d'opera, per non essere questa materia ricompresa nella "legislazione sociale" assegnata dalla lettera f dell'art. 17 dello Statuto alla Regione siciliana.

Ma la Corte ha già avuto occasione di affermare (sentenza n. 7 del 17 gennaio 1957) che nel concetto di legislazione sociale, sia pure nei limiti in cui la configura la lett. f del ricordato art. 17 dello Statuto, rientra la materia del collocamento, né ritiene di dover modificare questo suo convincimento.

Nemmeno fondate sono le censure di incostituzionalità mosse dalla difesa dello Stato agli artt. 3 e 6 della legge siciliana. L'art. 3, infatti, disponendo la pubblicazione delle liste di collocamento non viola in alcun modo i limiti posti dall'art. 17 alla potestà legislativa della Regione, non potendosi ravvisare nel maggiore rigore che così viene assicurato nella compilazione delle liste e nella maggiore tutela che ne deriva degli interessi dei lavoratori disoccupati, la violazione di principi o interessi generali affermati dalla legislazione statale.

E le medesime o analoghe considerazioni valgono per le censure mosse all'art. 6. L'art. 26 della legge statale 29 aprile 1949, n. 264, conferendo al Ministro del lavoro la facoltà di autorizzare il Prefetto a istituire, con proprio decreto, presso le Sezioni di collocamento ed i collocatori, una commissione per il collocamento, non ha stabilito altro principio, se si vuole che un principio abbia stabilito, se non quello di affidare alla valutazione discrezionale del Ministro l'istituzione nei comuni di commissioni per il collocamento. E la norma della legge siciliana, disponendo, una volta per tutte, che in ogni comune debba essere istituita una commissione per il collocamento ha interpretato e soddisfatto particolari esigenze locali, e con ciò si é tenuta dentro i confini assegnati alla legislazione secondaria dall'art. 17 dello Statuto.

Nemmeno fondata é l'altra censura rivolta allo stesso articolo della legge, nella parte che fissa a quattro il numero dei rappresentanti dei lavoratori in seno alle commissioni per il collocamento. Basterebbe, per respingere codesta censura, la considerazione, già fatta dalla difesa della Regione, che nella composizione di dette commissioni resta sempre rispettato il principio della legge statale che la prevalenza numerica debba essere assicurata ai rappresentati dei lavoratori, principio che non é violato dal fatto che, di fronte ai tre rappresentanti dei datori di lavoro, vi siano quattro e non sette rappresentati dei lavoratori. D'altro canto, é sfuggita alle parti la circostanza che il numero di tali rappresentanti non é diverso nemmeno per la legge statale. Vero é che la legge 21 agosto 1949, n. 586, modificò il primo comma dell'art. 26 della legge 29 aprile 1949, n. 264, elevando da quattro a sette il numero dei rappresentanti dei lavoratori, ma é vero anche che la legge 16 maggio 1956, n. 562, abrogò (art. 21) la legge precedente, ridando così vigore al primo comma dell'art. 26 della citata legge 264 del 1949.

  1. - La Corte ritiene fondata, invece, la censura di illegittimità mossa ai commi secondo, terzo e quarto dell'art. 5 della legge regionale. Tale articolo é fondato, infatti, sul presupposto, erroneo, che, nella materia in esso regolata, siano tuttavia in vigore le disposizioni contenute nella legge del 1949. Vero é, invece, che codeste disposizioni sono state abrogate dalla legge 16 maggio 1956, n. 562 (art. 21), la quale ha stabilito un diverso ordinamento della situazione giuridica ed economica dei collocatori e coadiutori comunali, delineando una nuova e diversa disciplina della materia, come si evince in particolare dall'art. 3 che distribuisce i collocatori in tre classi e dall'art. 12, dove é prevista la nuova figura del "corrispondente", che non é del tutto riconducibile a quella precedente del "coadiutore". É pacifico che questa legge é in vigore nel territorio della Regione siciliana senza necessità di un esplicito atto di recezione, e deve essere anche pacifica la conseguenza che il legislatore regionale non possa, nella sua limitata potestà legislativa ex art. 17, ignorarla, fondando le sue deliberazioni sopra una legge esplicitamente abrogata.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

pronunziando con unica sentenza nei giudizi riuniti indicati in epigrafe:

1) respinge l'eccezione di incompetenza della Corte costituzionale sollevata dalla difesa della Regione siciliana;

2) dichiara inammissibile i ricorsi registrati ai nn. 54, 55, 59 e 63 che chiedono la dichiarazione di illegittimità costituzionale:

  1. a) della legge regionale siciliana 30 giugno 1956, n. 40 intitolata "provvedimenti in materia di imposta generale sull'entrata",
  2. b) dell'art. 13 della legge regionale siciliana intitolata "fondo di sovvenzione e prestiti per i dipendenti regionali",
  3. c) dell'art. 13 della legge regionale siciliana 13 settembre 1956, n. 47, intitolata "fondo di sovvenzione e prestiti per i dipendenti regionali",
  4. d) degli artt. 80, 53 e 82, 3, 79 e 83, 48, lett. g, 7 e 67 della legge siciliana 1 ottobre 1956, n. 54, "sulla disciplina della ricerca e coltivazione delle sostanze minerali nella Regione";

3) in parziale accoglimento del ricorso registrato al n. 60, che chiede la dichiarazione di illegittimità costituzionale della legge regionale siciliana, approvata in data 5 ottobre 1956, dal titolo "modifiche alla legge 29 aprile 1949, n. 264, e provvedimenti in materia di avviamento al lavoro e di assistenza ai lavoratori involontariamente disoccupati", dichiara l'illegittimità costituzionale del secondo, terzo e quarto comma dell'art. 5 di detta legge.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 febbraio 1957.

 

Enrico DE NICOLA - Gaetano AZZARITI - Giuseppe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Mario BRACCI - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI

 

Depositata in cancelleria il 9 marzo 1957