Sentenza n. 9 del 1957
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SENTENZA N. 9

ANNO 1957

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Avv. Enrico DE NICOLA, Presidente

Dott. Gaetano AZZARITI

Avv. Giuseppe CAPPI

Prof. Tomaso PERASSI

Prof. Gaspare AMBROSINI

Prof. Ernesto BATTAGLINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco PANTALEO GABRIELLI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Mario BRACCI

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA, 

ha pronunziato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio promosso dal Presidente del Consiglio dei Ministri con ricorso notificato il 20 marzo 1956, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 21 successivo ed iscritto al n. 43 del Registro ricorsi 1956, per conflitto di attribuzione sorto a seguito del decreto dell'Assessore per le finanze della Regione siciliana 31 dicembre 1954, n. 147, contenente "speciali regimi di imposizione una volta tanto dell'imposta sull'entrata per l'anno 1955 per alcune categorie di entrate".

Udita nell'udienza pubblica del 17 ottobre 1956 la relazione del Giudice Giuseppe Cappi;

uditi il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe Guglielmi per il ricorrente e gli avvocati Pietro Bodda, Giuseppe Chiarelli, Pietro Virga e Giuseppe Guarino per la Regione siciliana.

 

Ritenuto in fatto

 

Con ricorso notificato al Presidente della Regione siciliana il 20 marzo 1956, depositato nella cancelleria il 21 marzo 1956, il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, ha sollevato conflitto di attribuzione fra lo Stato e la Regione, ai sensi delle disposizioni contenute negli artt. 38, 39 e 41 della legge 11 marzo 1953, n. 87, in relazione al decreto dell'Assessore per le finanze del 31 dicembre 1954, n. 147, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Regione n. 20 del 21 aprile 1955, contenente "speciali regimi di imposizione una volta tanto dell'imposta sull'entrata per l'anno 1955 per alcune categorie di entrate".

L'Avvocatura sostiene che, con l'accennato decreto, sarebbero state violate le norme contenute negli artt. 14, 15, 17 e 20 dello Statuto regionale, nonché quelle contenute negli artt. 23 e 119 della Costituzione, e si sarebbe perciò invasa la competenza dello Stato in materia tributaria. Ciò perché alla Regione non sarebbe riconosciuta potestà normativa, né primaria né concorrente, in materia di tributi erariali: né, in base agli artt. 14, 15 e 17 dello Statuto, che contengono norme tassative, e neppure in base all'art. 36. Sarebbe ad essa assegnata soltanto competenza a deliberare circa tributi propri.

L'Avvocatura dello Stato aggiunge che non potrebbe riconoscersi neanche potestà amministrativa in base all'art. 20, perché, questo, nella prima parte del primo comma, non menziona l'art. 36; e che comunque, non essendo state ancora emanate, nella speciale materia, norme direttive da parte del Governo, non potrebbe ammettersi la possibilità, da parte della Regione, di svolgere attività amministrativa con riferimento all'ultima parte del primo comma dello stesso art. 20.

L'Avvocatura dello Stato chiede che la Corte costituzionale, risolvendo il conflitto, dichiari che ogni attribuzione in materia di tributi erariali spetta allo Stato, che, in particolare, spetta al Ministro delle finanze la determinazione di speciali regimi di imposizione in ordine all'imposta sulla entrata; e, per conseguenza, annulli il provvedimento emanato dall'Assessore della Regione siciliana.

Con la memoria, depositata il 4 ottobre 1956, la difesa dello Stato illustra le tesi accennate nel ricorso. In ordine alla potestà normativa, ribadito il carattere tassativo delle disposizioni contenute negli artt. 14, 15 e 17, scendendo all'esame dell'art. 36 dello Statuto siciliano, osserva che detta norma (di non chiara formulazione per difetto di connessione logica fra i suoi due commi), collocata fra le disposizioni concernenti le entrate della Regione, non potrebbe correttamente riferirsi, nel primo comma, se non ai tributi propri della Regione, che questa può deliberare nell'ambito e per effetto della sua autonomia, e a quelli predeterminati dallo Stato. A questa interpretazione, si dovrebbe pervenire, secondo la difesa dello Stato, anzitutto in base ad un necessario coordinamento col sistema della Costituzione, unitariamente considerato, e più precisamente con l'art. 119; il quale, dettando norme di carattere generale e fondamentale, applicabili a tutte le Regioni e quindi anche a quelle a statuto speciale, dispone, nel primo comma, che "le Regioni hanno autonomia finanziaria nelle forme e nei limiti stabiliti da leggi della Repubblica, che la coordinano con la finanza dello Stato, delle Province e dei Comuni". Ed aggiunge, nel secondo comma, che "alle Regioni sono attribuiti tributi propri e quote di tributi erariali, in relazione ai bisogni delle Regioni, per le spese necessarie ad adempiere le loro funzioni normali". L'Avvocatura non esclude che a queste statuizioni possano eventualmente derogare gli statuti speciali, ma la deroga dovrebbe risultare da un'espressa disposizione che, nella specie, non sussisterebbe. L'interpretazione anzidetta, d'altra parte, sarebbe confermata dal raffronto con gli altri statuti speciali, per la Sardegna, per il Trentino - Alto Adige e per la Valle d'Aosta, che autorizzano le Regioni ad emanare provvedimenti legislativi per i tributi propri, in armonia col sistema tributario dello Stato. Sarebbe quindi da ritenere che, se pure l'art. 36 dello Statuto siciliano consentisse anche una interpretazione diversa, si dovrebbe tuttavia preferire quella sopra indicata, essendo coerente con l'art. 119 della Costituzione e con l'ordinamento costituzionale generale, il quale si inquadra nei principi tradizionali dell'ordinamento tributario.

L'esclusione di potestà normativa riguardo ai tributi erariali porterebbe inoltre, secondo l'assunto della difesa dello Stato, alla esclusione di attività amministrativa primaria nella stessa materia. Attività che non sarebbe consentita dalla prima parte del primo comma dell'art. 20 dello Statuto regionale, perché la norma richiama espressamente soltanto le materie indicate negli artt. 14, 15 e 17. Sarebbe quindi legittima unicamente l'attività amministrativa decentrata, ai sensi della seconda parte dello stesso primo comma, vale a dire in conformità alle direttive del Governo dello Stato.

La difesa del ricorrente deduce infine che, in ogni caso, anche se si ammettesse, per i tributi erariali, potestà normativa e amministrativa, il provvedimento dell'Assessore dovrebbe essere sempre annullato per difetto di potere, sia perché non si sarebbe ancora verificato il trasferimento delle funzioni e degli uffici dallo Stato alla Regione; sia perché la Regione, quando fu emanato il provvedimento, non aveva ancora legiferato in ordine all'imposta sull'entrata. Dovrebbesi infatti escludere che il riconoscimento di potestà normativa tributaria in determinate materie, importi di per sé, ai sensi del ricordato art. 20, il trasferimento automatico della potestà esecutiva, a prescindere cioè dalla effettiva emanazione di leggi regionali nelle materie stesse.

Con atto depositato nella cancelleria il 9 aprile 1956, il Presidente della Regione, si é costituito ed ha presentato le deduzioni, nelle quali preliminarmente si rileva l'inammissibilità del ricorso e, nel merito, si contestano le tesi sostenute dall'Avvocatura dello Stato. Si afferma al riguardo che nella materia tributaria sarebbe attribuita alla Regione, in base appunto all'art. 36 dello Statuto, competenza legislativa primaria ed esclusiva anche per quanto attiene ai tributi erariali, fatta eccezione per le imposte di produzione e per le entrate dei tabacchi e del lotto; nonché, in forza sempre dell'art. 36, potestà amministrativa. Questa - si aggiunge - dovrebbe riconoscersi anche se la competenza normativa regionale fosse soltanto concorrente con quella dello Stato, in base all'art. 17 lett. i dello Statuto, o comunque in base all'ultima parte del primo comma dell'art. 20, in virtù del quale spetterebbe una potestà amministrativa di carattere generale per l'esecuzione delle leggi regionali e di quelle statali.

Nella successiva memoria, depositata il 4 ottobre 1956, la difesa della Regione deduce, preliminarmente, la irricevibilità del ricorso, perché notificato nei termini prescritti al Presidente della Giunta regionale, ma non all'Assessore per le finanze, che ha emanato l'atto impugnato. Fa rilevare in proposito, che la notificazione al Presidente sarebbe stata ritualmente eseguita, qualora si fosse trattato di questioni di legittimità costituzionale attinenti alle leggi o agli atti aventi valore di legge, ma non quando, come nella specie, l'impugnazione, per difetto di potere, riguarda un atto particolare emanato da altra autorità della Regione.

La difesa della Regione deduce altresì che una delle argomentazioni prospettate dalla difesa dello Stato riguarda l'ipotesi che l'atto impugnato sia stato emanato in base alla disposizione dell'ultima parte del primo comma dell'art. 20 dello Statuto siciliano; disposizione che consente alla Regione di svolgere attività amministrativa secondo le direttive del Governo dello Stato. E poiché, a quanto sostiene la difesa della Regione, nel ricorso si afferma che "tale attività dovrebbe essere svolta nell'ambito e con l'osservanza delle leggi dello Stato, cosa che nella specie non risulta fatta", si dovrebbe ritenere che il motivo così formulato sarebbe inammissibile, in quanto denuncerebbe una violazione di legge in stretto senso, non deducibile in sede di impugnazione per difetto di potere costituzionale. E, nell'ambito di una violazione di legge, in senso stretto, si resterebbe anche sotto altro profilo; in quanto cioè, essendo le direttive del Governo costituite dal complesso delle leggi emanate dallo Stato nella materia, nel ricorso si prospetterebbe l'inosservanza di norme non aventi efficacia costituzionale.

Che se poi fosse fondata l'opinione, espressa dal ricorrente, che l'attività amministrativa svolta, in base all'ultima parte del primo comma dell'art. 20, sarebbe attività statale delegata, non potrebbe configurarsi un conflitto di attribuzione, perché si verificherebbe l'ipotesi di conflitto fra due organi amministrativi dello Stato, dovendosi appunto, in tal caso, considerare come organo statale l'Assessore della Regione.

Per quanto concerne il merito, la difesa della Regione nella predetta memoria, a conferma delle tesi già enunciate, deduce in sintesi quanto segue:

La potestà normativa in ordine a tutti i tributi, anche erariali, sarebbe attribuita alla Regione siciliana dall'art. 36 dello Statuto, approvato con legge costituzionale del 26 febbraio 1948, n. 2. Onde non sarebbe abrogato dall'art. 119 della Costituzione, trattandosi di norma successiva, e, comunque, di carattere speciale. Ed appunto, nel primo comma dell'art. 36, in quanto stabilisce che la Regione provvede al suo fabbisogno finanziario con i tributi da essa deliberati, sarebbe contenuta, in relazione alle esigenze di un autonomo sviluppo economico della Regione stessa, una norma di portata più ampia di quella che il secondo comma dell'art. ll9 detta per le Regioni di diritto comune, perché alle medesime attribuisce quote di tributi erariali e tributi propri, per le spese necessarie ad adempiere le loro funzioni normali. Che se, nel secondo comma del ricordato art. 36, si stabilisce una riserva a favore dello Stato per le imposte di produzione e per le entrate dei tabacchi e del lotto, analoga riserva dovrebbe pure riconoscersi a favore della Regione; alla quale, fatta eccezione per i tributi anzidetti, per il regime doganale e per le disposizioni concernenti il controllo valutario spetterebbe un'ampia competenza legislativa, anche riguardo agli altri tributi erariali, di qualsiasi genere, non espressamente esclusi. In sostanza, quindi, secondo quanto sostiene la difesa della Regione, nell'art. 36 si sarebbe attuata, a differenza delle norme stabilite per le altre Regioni a statuto speciale, una separazione tra il sistema finanziario dello Stato e quello regionale, con l'attribuzione di alcune imposte alla competenza esclusiva dello Stato e di altre alla competenza esclusiva della Regione.

Tutto ciò troverebbe conferma nei provvedimenti legislativi emanati dalla Regione e non impugnati dal Governo; fra questi la legge regionale 1 luglio 1947, n. 2, che autorizza la riscossione per conto della Regione di tutti i tributi e delle altre entrate già di spettanza dello Stato, con la sola esclusione delle imposte di produzione e delle entrate dei monopoli dei tabacchi e del lotto, presupponendo il potere legislativo della Regione ai sensi dell'art. 36 dello Statuto; la legge regionale 1 luglio 1947, n. 3, che ha temporaneamente recepito, nelle materie di competenza regionale, la legislazione statale in vigore fino al 21 maggio 1947; recezione che dovrebbe intendersi riferita anche alla materia tributaria, ferma l'eccezione per i tributi sopra indicati; ed infine il decreto legislativo del Presidente della Repubblica 13 aprile 1948, n. 507, nel quale, disponendosi che la Regione riscuote direttamente le entrate di sua spettanza e richiamando il decreto del Presidente della Regione 5 luglio 1947, n. 14, e di riflesso la legge 1 luglio 1947, n. 2, che ne costituisce la premessa, si verrebbe, in definitiva, ad ammettere la piena competenza tributaria della Regione. Queste norme costituirebbero, finora, le fonti legislative di attuazione dell'art. 36.

Circa i limiti della potestà normativa tributaria, la difesa della Regione sostiene che, per stabilirli, non si potrebbe far richiamo alle disposizioni degli artt. 14 e 17; bensì fondarsi sempre sull'art. 36 che ha carattere autonomo. Il quale peraltro non pone al riguardo alcun vincolo, a differenza dell'art. 119 della Costituzione e delle norme contenute negli altri statuti speciali; onde i limiti sarebbero quelli che implicitamente é dato desumere dai caratteri generali della legge siciliana, vale a dire la subordinazione alla Costituzione e la efficacia territoriale limitata alla Sicilia. Altri limiti non sarebbero consentiti dato che, nella materia tributaria, sussisterebbe una riserva a favore della Regione ed una separazione di competenza legislativa fra Stato e Regione.

Coerentemente alla potestà legislativa si dovrebbe riconoscere alla Regione anche la competenza ad emanare provvedimenti amministrativi, sia in base al principio generale stabilito nell'art. 118 della Costituzione circa la coincidenza dell'attività amministrativa con la potestà legislativa (coincidenza rispondente anche alle esigenze del decentramento), sia in base allo stesso art. 36, che, stabilendo i mezzi per provvedere al fabbisogno finanziario della Regione, autorizzerebbe, per logica coerenza, anche l'esercizio di attività amministrativa, per attuare in concreto le norme legislative. Né, d'altra parte, questa attività sarebbe da escludere per il fatto che l'art. 36 non é richiamato nell'art. 20, posto che questo non fa che applicare, nelle materie ivi indicate, il principio, già accennato, della necessaria correlazione fra attività legislativa e attività amministrativa.

La difesa della Regione aggiunge, in via subordinata, che, anche prescindendo dalle considerazioni anzidette, la potestà amministrativa degli organi regionali troverebbe fondamento nello stesso art. 20, in quanto richiama l'art. 17, che, sotto la lettera i, si riferisce a tutte le altre materie che implicano servizi di prevalente interesse regionale; o comunque nell'ultima parte del primo comma dello stesso art. 20, che ammette la possibilità di emanare provvedimenti amministrativi nelle materie non comprese negli artt. 14, 16 e 17. E all'obiezione che, per l'esercizio dell'attività amministrativa sotto tale profilo, sarebbero necessarie le direttive del Governo, si risponde che la disposizione prevede soltanto una attività decentrata, non delegata; e che quindi, nel caso in cui il Governo omettesse di impartire espressamente tali direttive, queste si dovrebbero desumere dalla legislazione e dal generale indirizzo politico amministrativo.

Per quanto concerne poi il provvedimento dell'Assessore delle finanze, ora impugnato, la difesa della Regione fa notare che esso, pur riguardando in parte la misura dell'imposizione, in parte l'accertamento e in parte la riscossione, sarebbe da considerare dal punto di vista formale, come un atto regolamentare avente base nell'art. 36; ciò sul riflesso che, se questa norma contiene l'attribuzione di un potere legislativo, a maggior ragione potrebbe giustificare l'attività deliberativa degli organi regionali, quando si tratti di provvedimenti di carattere esecutivo.

Dal punto di vista del contenuto, d'altra parte, la competenza regionale in materia di accertamento sarebbe costantemente riconosciuta dagli statuti regionali, anche nei casi in cui spettano alla Regione soltanto quote di tributi erariali.

 

Considerato in diritto

 

Come si é accennato, la difesa della Regione ha dedotto preliminarmente l'irricevibilità del ricorso perché notificato, nei termini prescritti, al Presidente della Giunta regionale, ma non all'Assessore per le finanze che ha emanato il provvedimento impugnato.

L'eccezione non é fondata. L'art. 39 della legge 11 marzo 1953, n. 87, riguardante i conflitti di attribuzione fra Stato e Regioni e fra Regioni, dispone, nel quarto comma, che il ricorso é proposto per lo Stato, dal Presidente del Consiglio dei Ministri o da un Ministro da lui delegato e, per la Regione, dal Presidente della Giunta regionale, in seguito a deliberazione della Giunta stessa. Determina quindi chiaramente quali sono i soggetti processuali nelle controversie per regolamento di competenza fra Stato e Regione; di guisa che ad essi, e ad essi soltanto, spetta rispettivamente la legittimazione attiva e passiva per stare in giudizio.

É pure da tener presente che, secondo l'art. 27 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, il ricorso previsto negli artt. 39 e 42 della legge n. 87 del 1953 deve essere notificato al Presidente del Consiglio dei Ministri, salvi i casi in cui egli sia il ricorrente; cioè all'organo che rappresenta il Governo. Il che importa, coerentemente, che il ricorso debba essere notificato al Presidente della Giunta regionale, quale organo, nell'ambito della Regione, costituzionalmente qualificato, ai sensi dell'art. 21 dello Statuto, ad assumerne la rappresentanza particolarmente nelle questioni, come la attuale, in cui si discute dei limiti della competenza fra lo Stato e la Regione.

Si é pure accennato in precedenza che la difesa della Regione, riferendosi ad alcune argomentazioni del ricorrente, deduce l'inammissibilità di un motivo del ricorso, in quanto, come sarebbe formulato, denunzierebbe, sotto tre aspetti, non già il difetto di competenza costituzionale dell'Assessore, bensì una violazione di legge in stretto senso, non prospettabile in sede di conflitto di attribuzione.

Anche questa eccezione non può ritenersi fondata.

É da osservare che il Presidente del Consiglio dei Ministri ha sollevato il conflitto in quanto l'Assessore regionale era privo di qualsiasi potere per emanare il decreto in materia di imposta sull'entrata. Ciò sia perché, alla Regione, in base all'art. 36 dello Statuto, non potrebbe essere riconosciuta potestà normativa e quindi anche amministrativa ed esecutiva, salvo che per i tributi propri e per quelli predeterminati dallo Stato; sia perché l'esercizio dell'attività amministrativa non potrebbe neppure ricollegarsi all'ultima parte del primo comma dell'art. 20, poiché, come si legge testualmente nelle deduzioni dell'Avvocatura, "tale attività potrebbe essere svolta unicamente secondo le direttive del Governo dello Stato, che, nella materia tributaria, non sono state ancora impartite".

É chiaro perciò che, con l'accenno all'ultima parte del primo comma dell'art. 20, si é inteso dedurre dal ricorrente non già l'inosservanza delle direttive del Governo, ma piuttosto che, non essendo impartita alcuna direttiva, ai sensi della ricordata disposizione, mancava, anche sotto questo aspetto, nell'organo regionale, qualsiasi potere che legittimasse l'esercizio dell'attività amministrativa nella materia tributaria. Si é inteso cioè sostenere che l'Assessore per le finanze, emanando il decreto impugnato, non aveva rispettato, sotto qualsiasi profilo, i limiti posti alla sua attività amministrativa dalle leggi costituzionali.

Questi rilievi sono sufficienti per affermare la competenza di questa Corte, con riguardo all'oggetto della contestazione, nei limiti in cui é stata dedotta nel ricorso.

Nel merito si prospettano le seguenti questioni: se, e in quali limiti, debba riconoscersi alla Regione siciliana potestà normativa, non soltanto per i tributi propri, ma altresì per i tributi erariali; se, per conseguenza, agli organi regionali sia demandato l'esercizio di attività amministrativa nella stessa materia; e se, in particolare, l'Assessore per le finanze avesse il potere di emanare il decreto 31 dicembre 1954, che é stato ora impugnato dal Presidente del Consiglio dei Ministri.

Ritiene la Corte (e su questo punto concordano la difesa dello Stato e quella della Regione) che l'art. 36 dello Statuto per la Sicilia costituisca la base positiva per la risoluzione della controversia.

La norma, posta sotto il titolo quinto relativo al patrimonio e alle finanze regionali, nel primo comma dispone che, al fabbisogno, si provvede con i redditi patrimoniali della Regione e a mezzo di tributi deliberati dalla medesima. Nel secondo comma aggiunge: "Sono però riservate allo Stato le imposte di produzione e le entrate dei tabacchi e del lotto". Queste disposizioni sono interpretate dalle parti in modo del tutto divergente. Assume infatti il ricorrente che i tributi, cui si accenna nel primo comma, sono soltanto quelli propri della Regione e gli altri predeterminati dallo Stato. Sostiene, invece, la difesa della Regione che a questa spetta potestà normativa esclusiva, anche riguardo ai tributi, fatta eccezione per le imposte di fabbricazione, i monopoli fiscali, il regime doganale e le disposizioni generali sul controllo valutario.

Sennonché l'interpretazione restrittiva dell'Avvocatura contrasta con il testo legislativo, che, nel primo comma, quali cespiti della Regione, indica, con frase generica e comprensiva, i tributi dalla medesima deliberati. Un argomento esegetico non trascurabile, contrario a tale interpretazione, si può anche desumere dalle disposizioni contenute nello stesso titolo quinto dello Statuto siciliano. Non soltanto infatti nel secondo comma dell'art. 36, ma anche nell'art. 39 sono riservate esclusivamente alla legislazione statale materie di carattere tributario. Il che lascia intendere, sia pure in via indiretta, che la potestà normativa, di cui é cenno nel primo comma dell'art. 36, non sia circoscritta ai tributi locali, ma possa estendersi anche a quelli erariali non espressamente eccettuati. Ma l'esattezza di questi rilievi é confermata da altro ordine di considerazione. Per interpretare il significato e la portata di una norma giuridica é necessario tener conto anche del modo e dei limiti nei quali essa ha avuto concreta attuazione. Ora, riguardo al primo comma del ricordato art. 36, é da tener presente la situazione derivata dall'attività legislativa, svolta dalla Regione siciliana, relativamente a vari tributi erariali. E’ da osservare infatti che, nel non breve periodo successivo alla emanazione dello Statuto, oltre a recepire leggi finanziarie statali, la Regione ha deliberato numerosi e importanti provvedimenti legislativi, specialmente diretti ad introdurre benefici fiscali nel territorio regionale: di particolare rilievo, fra questi, le esenzioni dall'imposta di ricchezza mobile e le facilitazioni in ordine all'imposta di registro e alle tasse ipotecarie, a favore delle industrie e delle attività armatoriali locali (leggi regionali 20 marzo 1950, n. 29, e 26 gennaio 1952, n. 1); le agevolazioni fiscali a favore delle industrie asfaltifere e delle attività turistiche e termali (leggi regionali 3 gennaio 1951, n. 3, e 9 aprile 1954, n. 10); la sospensione per un anno dal pagamento delle imposte sui terreni e sui redditi agrari e delle relative sovrimposte comunali e provinciali a favore delle aziende danneggiate da eventi meteorici (legge regionale 30 gennaio 1956, n. 6).

Ed é pure da notare che molte leggi di carattere finanziario non sono state impugnate dallo Stato; che altre, impugnate, sono state ritenute costituzionalmente legittime, sia pure entro certi limiti, dall'Alta Corte per la Regione siciliana, realizzandosi così una situazione di fatto e di diritto che la legislazione statale non ha modificato, ed alla quale il potere esecutivo si é uniformato.

Ora questo comportamento della Regione da un lato e degli organi dello Stato dall'altro é indubbiamente significativo e induce a ritenere che, fino a quando la materia non sia compiutamente e definitivamente disciplinata, si debba riconoscere alla Regione, in base alla formulazione generica usata nel primo comma dell'art. 36, potere normativo in materia tributaria, anche riguardo ai tributi erariali, salvi i limiti di cui si farà cenno in seguito.

Potere che peraltro non può costituire, contrariamente a quanto sostiene la difesa della Regione, una riserva legislativa a favore della medesima. Difatti la potestà di legiferare, in via esclusiva, ai termini e nei limiti dell'art. 14 dello Statuto siciliano, non può essere riferita, per il suo carattere eccezionale, se non a materie esplicitamente e tassativamente indicate. Il che é particolarmente giustificabile in ordine alla materia tributaria, dato che una potestà normativa, nel senso indicato, potrebbe turbare il sistema tributario dello Stato, con ripercussioni della cui gravità si rende giustamente conto anche la difesa della Regione. Ne deriva quindi che la legislazione regionale, nella materia di che trattasi, non essendo questa menzionata nell'art. 14 dello Statuto, non può avere se non carattere concorrente o sussidiario. Onde é necessario anzitutto che le leggi della Regione riguardanti i tributi rispettino, non soltanto le leggi costituzionali e i limiti territoriali, ma anche quelli derivanti dai principi e dagli interessi generali cui si uniformano le leggi dello Stato, secondo quanto dispone la prima parte dell'art. 17 dello Statuto siciliano per la legislazione concorrente. Inoltre, poiché risponde ad una esigenza fondamentale per l'economia e per l'eguaglianza di tutti i cittadini, a qualsiasi parte del territorio della Repubblica appartengono, che l'obbligazione tributaria si ricolleghi ad un sistema unitario, in ordine alle caratteristiche di ciascun tributo, ai cespiti colpiti e alle modalità della riscossione, é palese che, anche a questa esigenza, occorre sia subordinata la legislazione regionale; la quale deve essere quindi coordinata con la finanza dello Stato e degli altri enti locali, affinché non derivi turbamento ai rapporti tributari nel resto del territorio nazionale; e deve uniformarsi all'indirizzo ed ai principi fondamentali della legislazione statale per ogni singolo tributo.

La precisazione della materia attribuita, dall'art. 36 dello Statuto siciliano, alla competenza normativa della Regione, riguardo ai tributi ed ai limiti che le leggi regionali devono rispettare, dimostra l'inapplicabilità delle disposizioni, cui si riferisce la difesa dello Stato, contenute nel primo e nel secondo comma dell'art. 119 della Costituzione. Nel quale, pur riconoscendosi alle Regioni autonomia finanziaria, questa é tuttavia subordinata all'emanazione di leggi statali, che ne determinino le forme ed i limiti; e si attribuiscono d'altra parte alle Regioni tributi propri e quote di tributi erariali. Ma la particolare autonomia concessa dall'art. 116 alle Regioni rette da statuti speciali importa logicamente che questi statuti, approvati con legge costituzionale, possano derogare anche a norme costituzionali di carattere generale, come quelle dell'art. 119 ora riportato. Deroga che, per quanto attiene alla legislazione tributaria, é contenuta nell'art. 36 delle Statuto siciliano, secondo l'interpretazione che, ad avviso della Corte, si deve dare a tale disposizione.

Né giova richiamare la disciplina della materia finanziaria negli altri Statuti speciali, poiché la materia é diversamente regolata, in relazione alle particolari esigenze di ciascuna Regione.

Al potere normativo attribuito alla Regione, nel senso e nei limiti sopra indicati, segue, con necessario collegamento ed entro gli stessi limiti, la potestà amministrativa; perché si tratta, di regola, di due attività che procedono parallelamente in attuazione del decentramento, come espressione dell'autonomia regionale. Non é perciò fondata l'obiezione, mossa dalla difesa dello Stato, che la prima parte del primo comma dell'art. 20 dello Statuto siciliano, attribuendo al Presidente della Regione ed agli Assessori funzioni esecutive e amministrative, con riferimento alle materie elencate negli artt. 14, 15 e 17, escluda, per tutte le altre, la possibilità di esercitare le funzioni stesse, se non nei casi previsti dall'ultima parte del primo comma, cioè secondo le direttive del Governo dello Stato. É da ritenere invece, per la ragione che si é accennata, che la prima parte del primo comma non contenga una disposizione di carattere eccezionale, bensì l'applicazione di un principio generale, estensibile a tutti i casi nei quali la Regione é autorizzata a legiferare, come appunto nella materia tributaria ai sensi dell'art. 36 dello Statuto.

Quanto si é finora esposto, peraltro, non esaurisce il tema del dibattito, in relazione alla fattispecie sottoposta al giudizio della Corte. Il riconoscimento generico infatti della potestà normativa ed amministrativa, non importa, di per sé, anche il trasferimento automatico delle funzioni e degli uffici statali; poiché la Regione, per quanto possa essere estesa la sua autonomia, resta sempre inquadrata nell'unità dello Stato ed é ad esso subordinata.

Non é perciò ammissibile che lo sostituisca nelle funzioni e negli organi senza che siano intervenute, al riguardo, particolari norme legislative. La necessità di queste norme si desume, per la materia tributaria, anche dalle disposizioni del decreto legislativo presidenziale 12 aprile 1948, n. 507, concernente la disciplina provvisoria dei rapporti finanziari fra lo Stato e la Regione. Il decreto, dopo avere stabilito, nell'art. 2, che "la Regione siciliana riscuote direttamente le entrate di sua spettanza", dispone nell'art. 3 che, "fino a quando non sarà intervenuto il passaggio alla Regione dei servizi ad essa spettanti, lo Stato continuerà a provvedere, per conto della Regione, al pagamento delle spese relative". Si tratta quindi di un regime provvisorio che esclude il passaggio automatico alla Regione della organizzazione amministrativa statale. E ad un regime provvisorio si riferisce altresì, in linea generale, anche l'art. 1 della legge regionale 1 luglio 1947, n. 3, poiché stabilisce che, fino a quando l'Assemblea regionale non abbia diversamente disposto, continua ad applicarsi, nelle materie attribuite alla competenza regionale, la legislazione dello Stato, in vigore al 25 maggio 1947.

Ora, un'analisi della legislazione dimostra che, in varie materie, nelle quali la Regione ha potestà legislativa, sono state emanate leggi statali che conferiscono agli organi regionali attribuzioni già di competenza dei Ministri. Così il decreto legislativo 7 maggio 1948, n. 789, per l'agricoltura e le foreste; il decreto legislativo 30 luglio 1950, n. 878, per le opere pubbliche; il decreto legislativo 5 novembre 1949, n. 1182, per le materie relative all'industria e commercio; il decreto legislativo 25 giugno 1952, n. 1138, per il lavoro e la previdenza sociale; quello del 27 giugno 1952, n. 1133, per il credito ed il risparmio; e quello del 17 dicembre 1953, n. 1113, riguardo alle comunicazioni ed ai trasporti.

Non risulta, invece, che finora siano state emanate leggi per il passaggio dallo Stato alla Regione delle funzioni e degli uffici statali in materia di tributi in genere e di imposta sull'entrata in particolare. É fatta eccezione per quanto riguarda la riscossione, cui si riferisce, oltre il decreto legislativo statale del 12 aprile 1948,n. 507, già citato, la legge regionale 1 luglio 1947, n. 2; la quale, nel primo comma dell'art. 3, dispone che "tutti i tributi e le altre entrate già di spettanza dello Stato, con la sola esclusione delle imposte di produzione e delle entrate dei monopoli dei tabacchi e del lotto, sono, a partire da 1 giugno 1947, riscossi per conto della Regione dagli enti ed organi che sono attualmente preposti alla riscossione". E, nel secondo comma, aggiunge che "rispetto a tali organi ed enti la Regione subentra nella posizione giuridica dello Stato".

Queste disposizioni, pertanto, e l'altra legge regionale del 20 dicembre 1947, n. 20 (di ratifica del decreto del Presidente 5 luglio 1947, n. 14), che riguarda l'autorizzazione all'esercizio provvisorio del bilancio regionale fino al 31 agosto 1947, dato l'oggetto chiaramente delimitato alla percezione concreta dei tributi, non contengono una sistemazione completa e definitiva dei rapporti finanziari fra lo Stato e la Regione siciliana; sistemazione che, appunto per quanto riguarda il passaggio dell'organizzazione amministrativa, richiede l'emanazione di altre provvidenze legislative.

Queste considerazioni portano a concludere che il decreto dell'Assessore per la finanza del 31 dicembre 1954, con il quale si stabiliscono speciali regimi di imposizione circa l'imposta sul l'entrata, é costituzionalmente illegittimo. Risulta infatti, anche dalle disposizioni delle leggi richiamate nell'epigrafe del decreto stesso, che l'Assessore ha esercitato facoltà che il decreto legislativo luogotenenziale 19 ottobre 1940, n. 348, contenente provvedimenti in materia di imposta generale sull'entrata e di addizionale straordinaria di guerra, il decreto legislativo C. P. S. 27 dicembre 1946, n. 469, e le successive leggi 7 gennaio 1949, n. 1, 29 dicembre 1949, n. 955, e 4 marzo 1952, n. 110, attribuiscono al Ministro delle finanze. Facoltà che, per quanto si é detto e in mancanza di esplicite disposizioni, non erano consentite quando il decreto é stato emanato.

Del resto, anche la difesa della Regione ammette, in ordine al contenuto del decreto, che, nella sostanza, esso non é limitato alla riscossione, ma in parte riguarda la misura dell'imposizione e in parte l'accertamento dell'imposta. Il decreto dell'Assessore per le finanze 31 dicembre 1954, n. 147, avendo invaso la sfera di competenza riservata allo Stato, deve essere pertanto annullato, ai sensi degli artt. 41 e 38 della legge 11 marzo 1953, n. 87.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

pronunciando sul confitto di attribuzione fra lo Stato e la Regione siciliana, sollevato dallo Stato con ricorso del 20 marzo 1956, in relazione al decreto 31 dicembre 1954, n. 147, dell'Assessore per le finanze della Regione siciliana:

respinte le eccezioni di irricevibilità e di inammissibilità sollevate dalla difesa della Regione siciliana;

riconosciuta la potestà legislativa e amministrativa della Regione in materia tributaria, entro i limiti indicati nella motivazione;

dichiara la competenza dello Stato nella materia di cui nel decreto impugnato e

annulla il decreto dell'Assessore per le finanze 31 dicembre 1954, n. 147.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 gennaio 1957.

 

Enrico DE NICOLA - Gaetano AZZARITI - Giuseppe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELLI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Mario BRACCI - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA

 

Depositata in cancelleria il 26 gennaio 1957.