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Guerino Fares

Rafforzate ancora le garanzie per i burocrati della sanità: eclissi dello spoil system

 

Le premesse della sentenza n. 224/2010 - In un noto precedente, la Corte costituzionale aveva riconosciuto che gli incarichi di direttore amministrativo e direttore sanitario hanno natura esclusivamente fiduciaria e terminano in caso di cessazione per qualunque causa del direttore generale, con risoluzione di diritto dei relativi contratti di lavoro (sent. n. 233/2006).

In quella occasione la Corte chiariva, con argomentazioni condivisibili, che il rapporto fra direttore generale, da un lato, e direttore amministrativo e sanitario, dall’altro, non dà luogo ad una forma di spoil system in senso proprio, sicché la misura legislativa della decadenza automatica non contrasta con l’art. 97 Cost. ma, anzi, tende ad assicurare il buon andamento dell’amministrazione.

Veniva puntualmente evidenziato che si tratta di un rapporto che, anziché fondarsi sull’intuitus personae tra l’organo politico che conferisce un incarico e il soggetto che lo riceve e risponde al primo dell’efficienza dell’amministrazione, concerne tecnicamente l’organizzazione della struttura amministrativa regionale in materia sanitaria e mira a garantire, all’interno di essa, la consonanza di impostazione gestionale fra il direttore generale e i direttori amministrativo e sanitario dell’azienda da lui stesso nominati.

Guardando alle linee della legislazione nazionale, ne risultava un quadro tendenzialmente univoco.

Nelle ipotesi, ad esempio, di mancato raggiungimento dell’equilibrio economico delle aziende sanitarie e ospedaliere, anziché sanzionare la regione interessata la legge colpisce direttamente l’azienda, obbligando la regione stessa – che, altrimenti, non può accedere al finanziamento integrativo del Ssn – a prevedere, con provvedimenti adeguati, la decadenza automatica dei direttori generali (art. 52, comma 4, lett. d, l. n. 289/2002).

L’imputazione di una precisa e diretta responsabilità ai direttori generali in caso di grave disavanzo o, più in generale, di inadempimento degli obblighi a carico delle aziende sanitarie, può considerarsi una costante del nostro ordinamento giuridico: cfr. art. 3, comma 6, d.lgs. n. 502/1992, modif. dal d.p.r. n. 517/1993; art. 32, l. n. 449/1997; art. 3, comma 2, lett. c, d.l. n. 347/2001, conv. in l. n. 405/2001.

Questo schema sanzionatorio, assai ricorrente nella legislazione, ha superato indenne il vaglio di costituzionalità. Da ultimo, la sentenza n. 36/2005 della Consulta ne ha ribadito la legittimità, condizionata a che la normativa statale non risulti impositiva di un obbligo cogente capace di eliminare ogni spazio di autonomia legislativa ed organizzativa regionale: autonomia che si traduce nella determinazione dei presupposti sostanziali e delle forme procedimentali attraverso cui viene inflitta la misura sanzionatoria.

Il presupposto logico di simili disposizioni è evidentemente che il direttore generale debba intendersi come una propaggine dell’azienda nella regione, legato a quest’ultima da rapporto fiduciario.

Rileva, ancora, l’art. 4, comma 2, lett. b, d.l. n. 159/2007 (conv. in l. n. 222/2007), come modificato dall’art. 1, d.l. n. 154/2008 (conv. in l. n. 189/2008), il quale consente al commissario governativo, il quale subentra in sostanza all’assessore alla sanità, di disporre nei confronti del direttore generale della Asl la sospensione delle funzioni in atto, fermo restando il trattamento economico, e l’assegnazione ad altro incarico fino alla durata massima del commissariamento.

In pratica, il potere di “sollevare” il direttore generale, esautorandolo dalla prosecuzione dell’attività finora svolta, postula un rapporto così strettamente fiduciario fra regione e direttore generale, da porre l’incarico di quest’ultimo nella disponibilità del vertice politico regionale, o del soggetto che si insedi in sua vece in situazioni particolari.

In armonia con le tendenze della legislazione statale, la normativa regionale ha, per lo più, stabilito che – sulla base del principio secondo cui simul stabunt simul cadent – con l’avvicendamento della giunta il direttore generale decade in via automatica e consequenziale.

E la sentenza n. 233 aveva, in definitiva, fatto salva la regola dello spoil system negli ordinamenti regionali, sia sul versante interno della struttura (rapporti fra direttore generale e direttori sanitario e amministrativo) sia, a monte, nei rapporti fra l’organo politico della regione e i vertici o i componenti o rappresentanti della regione nei consigli di amministrazione ed organi equiparati della aziende sanitarie.

La scelta di nuovi soggetti veniva giustificata nella duplice prospettiva di assicurare la coesione tra l’organo politico regionale e gli organi di vertice dell’apparato burocratico, e di garantire l’efficienza e il buon andamento della nuova maggioranza di governo, evitando così il condizionamento delle nomine effettuate nello scorcio finale della legislatura precedente: secondo la pronuncia del 2006, la previsione di un meccanismo di valutazione tecnica della professionalità e competenza dei nominati non era configurabile, nella specie, come misura costituzionalmente vincolata e non si addiceva, del resto, alla natura personale del rapporto sotteso alla nomina.

Unico limite invalicabile alla discrezionalità del legislatore regionale era costituito dalla inammissibilità di un azzeramento automatico dell’intera dirigenza in carica.

 

Gli sviluppi successivi della giurisprudenza costituzionale - Dopo aver affermato la legittimità del meccanismo dello spoil system regionale, se applicato alle nomine su base fiduciaria degli organi di vertice, la Corte ha successivamente ritenuto imprescindibile, con riguardo alla dirigenza statale (sent. n. 103/2007), la previsione di una verifica in contraddittorio della attitudine del burocrate a realizzare i compiti e le direttive assegnati dall’organo politico.

Dando, tuttavia, risalto, ai fini della valutazione da effettuare secondo le regole del giusto procedimento, oltre che all’attività svolta anche agli obiettivi programmati dalla nuova compagine governativa, si presupponeva che i dirigenti dovessero in qualche misura “sintonizzarsi” con le esigenze, i programmi e i fini della nuova maggioranza di governo.

Il punto di equilibrio così raggiunto viene messo in discussione dalla sentenza n. 104/2007, preoccupata fondamentalmente di sottrarre gli organi burocratici alla presa della politica nell’ordinamento regionale della sanità.

La pronuncia, molto articolata e pregevole per ricostruzione sistematica, si fonda su uno schema replicato in successive decisioni: la sent. n. 390/2008, in cui vengono rimarcate le esigenze di distinzione ed autonomia in relazione ai soggetti che svolgono compiti di controllo del rispetto della legge e di regolare tenuta della contabilità; la sent. n. 34/2010, ove si sottolinea il rilievo centrale del dovere di neutralità del pubblico funzionario.

Lo spoil system è incostituzionale se esteso anche agli incarichi non apicali: rileva, in proposito, la molteplicità di livelli intermedi lungo la linea di collegamento che unisce l’organo politico ai direttori generali delle Asl. Pertanto la posizione di tali soggetti deve essere circondata da garanzie, in quanto la dipendenza funzionale del dirigente non può diventare dipendenza politica.

Secondo la Corte, sul piano normativo il direttore generale è qualificato come una figura tecnico-professionale avente il compito di perseguire, in adempimento di una obbligazione di risultato, gli obiettivi gestionali e operativi definiti a livello politico. Esso non collabora direttamente al processo di formazione dell’indirizzo politico, dovendo solo garantirne l’attuazione, e perciò viene scelto non in base a criteri puramente fiduciari, ossia secondo valutazioni soggettive legate alla consonanza, o consentaneità, politica e personale fra nominante e nominato, ma attraverso una forma di selezione che, sebbene priva di natura concorsuale in senso stretto, è comunque basata sull’apprezzamento oggettivo, ed eventualmente anche comparativo, delle qualità professionali e del merito.

Dopo la svolta della sent. n. 104, le garanzie ricavabili dal principio costituzionale di continuità dell’azione amministrativa assurgono a presidio del titolare dell’ufficio. Il baricentro si trasferisce dalle esigenze di carattere impersonale e generale della p.a. alle esigenze di tutela individuale del singolo titolare della carica. Sfumato del tutto il peso degli obiettivi programmati della coalizione politica che si insedia in esito alla consultazione elettorale, viene enfatizzato il disvalore insito nel carattere punitivo e sanzionatorio della misura della rimozione.

In sostanza, la Corte punta a dimostrare come l’investitura dell’organo di vertice dell’apparato burocratico, pur non essendo qualificabile tecnicamente come accesso a un impiego pubblico mediante pubblico concorso (art. 97, comma 3, Cost.), abbia un carattere para-concorsuale, ancorata com’è a requisiti oggettivi e atteso che presuppone un minimo di comparazione (un barlume di concorsualità).

 

Il nuovo intervento della Consulta - Sorge, a questo punto, il quesito se anche il direttore sanitario e il direttore amministrativo debbano considerarsi meritevoli, rispetto al direttore generale, delle stesse garanzie di stabilità dell’incarico riconosciute a quest’ultimo nei confronti dell’organo politico.

La decisione in commento fornisce una risposta positiva.

E lo fa sviluppando coerentemente le linee interpretative tracciate dalla stessa Corte: si ha discontinuità di gestione in caso di interruzione automatica ed immotivata del rapporto, che non tenga conto della qualità dell’operato del direttore dell’azienda.

L’esito del percorso della giurisprudenza costituzionale è l’abiura dello spoil system nel nostro ordinamento: non solo nei rapporti fra organi politici e organi burocratici, ove si fronteggiano, bisognosi di un contemperamento, il principio di strumentalità dell’amministrazione rispetto alla politica desumibile dall’art. 95 Cost., da un lato, e il principio in base al quale i pubblici impiegati e funzionari agiscono secondo imparzialità al servizio esclusivo della Nazione, dall’altro (artt. 97 e 98); ma anche nei rapporti fra organi amministrativi.

Il pensiero della Corte è chiarissimo: non sono ammissibili cause di cessazione dell’incarico dirigenziale all’infuori di quelle legislativamente previste, di sospensione e revoca, che, nell’ottica di una doverosa tutela delle situazioni soggettive dell’interessato, si correlano alla valutazione delle pregresse modalità di svolgimento delle funzioni.

Solo fattori interni al rapporto – e non quindi cause estranee, di qualsiasi natura, alle vicende del rapporto stesso – possono compromettere la realizzazione dei principi di efficienza, efficacia e continuità dell’azione amministrativa. La consonanza di impostazione gestionale viene meno solo in caso di violazione delle direttive ricevute o di mancato raggiungimento dei risultati.

L’accento volutamente posto nella sentenza n. 224 del 2010 sulla necessità di un “accertamento oggettivo dei risultati conseguiti” e, in particolare, di una “fase procedurale che faccia dipendere la decadenza da pregressa responsabilità del dirigente” determina, in definitiva, una completa sovrapposizione fra responsabilità dirigenziale e spoil system: il quale non presenta più una propria ed autonoma identità.

Volendo tirare le somme del discorso, si può ritenere che nell’assetto della dirigenza sanitaria regionalizzata, e investita da un forte processo di aziendalizzazione, le nuove coordinate del sistema – distinzione di compiti e funzioni rispetto all’organo politico, autonomia, responsabilità di risultato – esigono che il legittimo stato di temporaneità degli incarichi non trasmodi nella patologia della precarietà, che significa esposizione all’arbitrio dell’organo politico, o amministrativo sovraordinato.

La soluzione mediana è, da un lato, neutralizzare il rischio di subordinazione politica (o fidelizzazione gerarchica), dall’altro evitare gli eccessi di autonomia del dirigente, cioè di un’autonomia pur sempre strumentale alla realizzazione dei risultati.

Gli assestamenti registrati nella giurisprudenza costituzionale sembrano scontare, a monte, un problema di tipo politico-organizzativo.

Con la riforma del 1992 si è cercato di spoliticizzare la gestione della sanità pubblica, già affidata a unità sanitarie locali che erano espressione degli enti locali, costituendo le Usl in aziende munite di “autonomia imprenditoriale” e articolate in “strutture operative dotate di autonomia gestionale e tecnico-professionale” (art. 3, d. lgs. n. 502/1992): sì da coniugare i valori di equità ed efficienza innestando, in un contesto istituzionale pubblico, un assetto di regole e principi di derivazione privatistica.

In realtà la presa politica sulla gestione della sanità si è rivelata più forte che mai, con la sola sostituzione del dominio della regione al dominio degli enti locali.

La giunta regionale nomina, con criteri di larghissima discrezionalità, il direttore generale dell’azienda (con la sola condizione che vanti un’esperienza di dirigenza pubblica o privata non inferiore a cinque anni); il direttore generale, unico organo dell’azienda (accanto al collegio sindacale) nomina il direttore amministrativo e il direttore sanitario.

Quest’ultimo gestisce i concorsi ospedalieri a seguito dei quali viene formata una rosa di idonei (non collocati in una graduatoria) nell’ambito della quale il direttore generale sceglie il vincitore. Un meccanismo che nelle regioni italiane con tradizioni più clientelari ha finito per fare del presidente della regione o dell’assessore regionale alla sanità il dominus del reclutamento della classe medica, ossia di una classe di dipendenti che dovrebbe essere selezionata in base a canoni di stretta professionalità.

In pratica, allontanare il potere politico dalla gestione della sanità si è rivelato un obiettivo velleitario: prova ne siano le modalità di investitura degli organi gestori dell’azienda (direttore generale, direttore amministrativo e direttore sanitario) e i meccanismi di reclutamento della classe medica.

Una possibile controspinta a questo stato di cose potrebbe considerarsi l’evoluzione della Corte costituzionale negli ultimi anni in materia di spoil system nel settore sanitario, nella misura in cui ha inteso circondare di garanzie di stabilità nell’espletamento dell’incarico gli organi di vertice delle Asl: esigendo l’osservanza in loro favore delle regole del c.d. giusto procedimento e del diritto di difesa e il riconoscimento dei risultati conseguiti.

Un simile approdo sarebbe ancor più apprezzabile se si legasse quanto prima ad un recupero simmetrico, in via legislativa, di un adeguato livello di valutazione comparativa e di una piena valorizzazione delle capacità professionali ai fini dello svolgimento del rapporto, anziché accontentarsi solo di un barlume, o di una parvenza, di concorsualità.

La legge ha, infatti, maglie ancora troppo larghe: la nomina del direttore generale, ad es., è subordinata al solo requisito di aver svolto funzioni direttive di carattere tecnico o amministrativo in enti, aziende o strutture pubbliche o private in posizione dirigenziale con autonomia gestionale e responsabilità delle risorse, per almeno un quinquennio (art. 3-bis, comma 3, lett. b, d.lgs. n. 502/1992). E, in proposito, si discute perfino se occorra il formale possesso della qualifica dirigenziale o possa ritenersi sufficiente lo svolgimento dell’attività corrispondente.

Altrettanto importante sarebbe, poi, la precisa definizione degli obiettivi al momento della nomina, perché in seguito siano misurati adeguatamente i risultati dell’attività svolta.

Solo dopo appropriate modifiche nel senso suindicato, sarà possibile neutralizzare l’obiezione se sia giusto tutelare fino alla sostanziale inamovibilità, ossia come un dipendente assunto per concorso, il soggetto nominato attraverso una scelta ampiamente discrezionale.

 

[Nota bibliografica] S. De Götzen, Lo status di «neutralità» dei componenti dei collegi sindacali delle aziende sanitarie locali li pone al di fuori dello spoils system, in Regioni, 2009, 407 ss.; M.N. Bettini, Dirigenza sanitaria e disciplina di conferimento degli incarichi, in Lav. prev. oggi, 2008, 555 ss.; M. Montini, Sullo spoils system dei direttori generali delle aziende sanitarie, in Ragiusan, 2008, n. 287-288, 20 ss.; G. Corso – G. Fares, Quale spoils system dopo la sentenza 103 della Corte costituzionale?, in Consulta OnLine; C. Chiappinelli, Spoils system, procedure di bilancio e disegno amministrativo: la sentenza n. 103 del 2007 della Consulta ed i problemi ancora aperti, in Foro amm.-C.d.S., 2007, 1355 ss.; S. Grassi, Dirigenza pubblica e spoils system. Il caso del direttore generale della ASL, in Sanità pubblica, 2006, n. 6, 5 ss.; A. Farì, Funzioni dirigenziali e responsabilità politiche. Necessità di differenziare i modelli, in Serv. pubbl. app., 2006, 140 ss.; C. Corbetta, La disciplina dello spoils system e i direttori generali delle aziende Usl, in Sanità pubblica, 2006, n. 1, 90 ss.; G. Pagnoni, L’autonomia gestionale dei dirigenti delle aziende sanitarie, in Ragiusan, 2004, n. 241-242, 398 ss.; C. Catananti, Sul modello “fiduciario” di direzione delle aziende sanitarie, in Ragiusan, 2003, n. 235-236, 594 ss.