ROSSANA BRANDOLIN

La Corte alle prese con un nuovo parametro costituzionale

(appunti preliminari)

 

1. Introduzione. - Le riforme costituzionali che si sono susseguite dal 1999 ad oggi hanno, com’è noto, profondamente inciso sull’assetto della nostra forma di Stato e, in particolare, sui rapporti tra Stato, Regioni ed enti locali, particolarmente con l’intento di ridefinire in termini più forti la posizione di autonomia costituzionale attribuita alle Regioni.

Una delle conseguenze è stato il più ampio ruolo che in questo contesto  è venuta ad assumere la Corte costituzionale soprattutto per effetto dell’abolizione del controllo preventivo da parte dello Stato sulle leggi regionali., talché particolarmente la riforma attuata con la l. cost. n. 3 del 2001 ha finito per caricare di importanti aspettative ogni decisione che la Corte è stata chiamata a pronunciare sulla base dei nuovi parametri costituzionali con riguardo al nuovo assetto dei rapporti tra Stato e Regioni (ed autonomie locali).

In questo senso peraltro una situazione analoga si produrrà prevedibilmente con l’eventuale approvazione del disegno di legge C. 4862-A, dato che, a parere di autorevoli osservatori, si presenta anch’esso con margini di ambiguità per il cui chiarimento sarà decisivo l’intervento della Corte costituzionale.

Ma il circoscritto scopo di questa succinta rassegna è tentare di enucleare dalla giurisprudenza della Corte costituzionale formatasi immediatamente a ridosso dell’entrata in vigore della riforma del Titolo V Cost. alcune regolarità, se non vere e proprie regole, di diritto processuale transitorio, al fine di evidenziarne le possibili ragioni e il grado interno di coerenza

 

2. Il parametro di costituzionalità nell’impugnativa regionale di leggi statali - La questione relativa al parametro di costituzionalità è divenuta dunque di decisiva importanza soprattutto a seguito alla riforma del 2001, la quale s’è essenzialmente caratterizzata per aver operato un rovesciamento del criterio di ripartizione delle competenze legislative tra Stato e Regioni.

L’attitudine adottata dalla Corte non è stata la medesima in tutte le situazioni. Per quanto concerne le impugnative proposte dalle Regioni anteriormente all’entrata in vigore della ridetta riforma, a partire dalla sent. n. 376/2002, si è in qualche modo fatto riferimento al principio tempus regit actum: nel senso che è l’epoca di proposizione del ricorso a “radicare” il parametro costituzionale del giudizio. Pertanto la normativa impugnata prima dell’entrata in vigore della novella costituzionale resta sindacabile solo in rapporto al previgente parametro costituzionale. Di un simile principio di continuità, tale cioè che la legislazione statale pregressa continui per così dire a fare “sistema” in positivo e in negativo con il previdente testo costituzionale può del resto forse vedersi un riecheggiamento nell’art.1, comma 2, della legge n. 131 del 2003, dove non a caso è evocato espressamente il ruolo della Corte costituzionale nella soluzione delle questioni di diritto intertemporale.

Tale orientamento appare ribadito dalla sent. n. 422/2002, secondo cui la questione proposta dovesse “essere decisa esclusivamente alla stregua delle norme costituzionali del Titolo V della Parte II della Costituzione nella formulazione originaria (quali in effetti invocate dalla ricorrente), non rilevando, in questa circostanza, il sopravvenuto mutamento di quadro costituzionale operato con la legge costituzionale menzionata”.

Del resto, nel caso di giudizi in via principale promossi dalle Regioni avverso leggi statali anteriormente alla data dell’8 novembre 2001, una dichiarazione di improcedibilità e, comunque, di non passaggio al merito della questione veniva rienuta preclusa dalla circostanza che la legge o l’atto avente forza di legge dello Stato aveva comunque prodotto i suoi effetti, trattandosi di un’impugnazione in via successiva. Sussisteva, quindi, un preciso interesse a ricorrere della Regione avverso l’atto statale lesivo, che permane anche dopo l’entrata in vigore della riforma costituzionale.

Sul punto la Corte costituzionale ha tuttavia spiegato che la pronuncia da essa emessa non pregiudicava l’ambito delle competenze, rispettivamente dello Stato e della Regione, determinate dalla nuova normativa costituzionale; chiarendo che ciò era vero laddove vi fosse stato l’accoglimento della questione e la legge dello Stato fosse stata annullata ma era altrettanto vero quando nel caso di rigetto della questione consentendosi, così, il perdurare della disciplina statale impugnata successivamente all’entrata in vigore della legge di riforma costituzionale, dal momento che il nuovo assetto delle competenze legislative consentiva allo Stato e alle Regioni con nuovi atti di esercizio della competenza attribuita di “prendere ciò che la Costituzione dà loro, senza necessità di rimuovere previamente alcun impedimento normativo”. Di qui la conclusione che “le norme che definiscono le competenze legislative statali e regionali contenute nel nuovo Titolo V della Parte II della Costituzione potranno, di norma, trovare applicazione nel giudizio di costituzionalità promosso dallo Stato contro leggi regionali e dalle Regioni contro leggi statali soltanto in riferimento ad atti di esercizio delle rispettive potestà legislative, successivi alla loro nuova definizione costituzionale” (sent. n.422/2002).

 

3. Segue: nell’impugnativa statale di leggi regionali. - La Corte costituzionale ha adottato invece una soluzione diversa nell’ipotesi in cui l’impugnativa fosse di origine governativa a carico delle delibere legislative regionali.

Ora, una delle novità introdotte dalla l. cost. n. 3 del 2001 è rappresentata dalla riscrittura dell’art. 127 della Costituzione, per cui

Ø      non si contempla più  la possibilità di un’impugnativa di merito;

Ø      si è abolita la facoltà di sollevare una questione di legittimità in via preventiva;

Ø      tale facoltà può essere esercitata solo successivamente ed entro 60 giorni dalla pubblicazione della legge regionale;

Ø      infine le condizioni di accesso alla Corte costituzionale di Stato e Regioni vengono esaustivamente indicate nella medesima disposizione costituzionale..

In questo quadro ha rilevato in primo luogo il caso di leggi regionali sottoposte a controllo governativo ai sensi dell’art. 127 Cost. e non ancora impugnate innanzi al giudice di costituzionalità delle leggi alla data dell’8 novembre 2001 (data di entrata in vigore della l. cost. n. 3/2001). Qui, la questione di fondo era se le delibere legislative adottate dai Consigli regionali sotto la vigenza del vecchio ordinamento, ma il cui iter di formazione era destinato a perfezionarsi solo dopo l’entrata in vigore della riforma del Titolo V, fossero soggette al vecchio regime procedimentale (e, di conseguenza, non potessero essere promulgate dal Presidente della Regione se non alla conclusione della complessa fase dei controlli statali prevista dal vecchio testo dell’art. 127 Cost.), oppure se da subito fossero soggette al nuovo regime, che, avendo eliminato proprio il controllo preventivo statale, ne avrebbe consentito l’immediata promulgazione.

Secondo i tradizionali schemi elaborati soprattutto con riferimento al processo amministrativo, in forza del principio tempus regit actum i requisiti di validità formale di un atto dovrebbero essere valutati in base alle disposizioni procedimentali vigenti nel momento in cui tale atto è venuto in essere, sicché, per determinare il “tempo” in cui l’atto è posto in essere, diviene fondamentale individuare il complesso di elementi che devono concorrere affinché l’atto possa dirsi perfezionato.

L’argomento forte che, almeno in apparenza, poteva essere utilizzato a sostegno di tale prospettiva, era agevolmente rintracciabile proprio nella prima, storica sentenza della Corte costituzionale, la sent. n.1 del 1956, in cui il principio suddetto venne espressamente richiamato per escludere che la legislazione prerepubblicana potesse essere caducata per vizi di legittimità costituzionale di tipo formale.

Bisogna dire, però, che l’osservazione valeva solo parzialmente per la situazione considerata, dove non ci si interrogava tanto sulla la validità di norme legislative sulla base di regole procedurali ormai irrimediabilmente mutate, ma, più semplicemente, sulla necessità che anche i procedimenti legislativi pendenti andassero adeguati alle nuove regole.

D’altro canto, come acutamente osservato, la tentazione di un immediato “azzeramento” delle regole precedentemente vigenti e la riconduzione al nuovo regime di tutto il contenzioso, anche quello preesistente, sembrava ampiamente giustificata dall’obiettivo di perseguire, nell’immediato, una coerenza ed una organicità complessive che l’istituto del controllo sulle leggi regionali non ha mai avute.

Comunque fosse, potevano in proposito essere individuate quattro ipotesi particolari:

I.  Leggi che al momento di entrata in vigore della riforma erano state deliberate dal Consiglio regionale ma non ancora trasmesse al Commissario del Governo: in questo caso, la mancata “fuoriuscita” della legge dal circuito istituzionale regionale consentiva di ritenere non ancora avviato il procedimento di controllo preventivo, con la conseguenza che il venir meno di tale procedimento avrebbe dovuto consentire la promulgazione immediata della legge, alla data dell’8 novembre 2001.

II. Leggi per le quali era pendente il termine di trenta giorni per il rinvio governativo: le nuove regole costituzionali, avendo eliminato proprio il controllo preventivo al quale il termine di trenta giorni era riferito, potevano implicare che la fase costitutiva del procedimento poteva ormai dirsi esaurita con l’intervenuta delibera del Consiglio regionale, aprendo la strada alla promulgazione da parte del Presidente della Giunta regionale.

III. Leggi già rinviate dal Governo e in attesa di eventuale riapprovazione da parte del Consiglio regionale.

IV. Leggi “non nuove” riapprovate a maggioranza assoluta dal Consiglio regionale e per le quali pendeva il termine di impugnazione innanzi alla Corte costituzionale.

Per queste due ultime ipotesi, avrebbe potuto consentirsi l’immediata promulgazione da parte del Presidente della Giunta, anche se non sono mancate incertezze negli interpreti che si sono occupati della questione.

Occorre tuttavia rilevare come in ogni caso il favore della Corte sia  andato nel senso l’improcedibilità dei ricorsi presentati anteriormente all’entrata in vigore della riforma del Titolo V (sent. n. 17 del 2002). Ciò essenzialmente sulla base dell’argomento che la modifica dell’art.1 27 Cost., avendo espunto dall’ordinamento la sequenza procedimentale del rinvio governativo e della successiva riapprovazione a maggioranza assoluta impediva ormai alla Corte di pronunciarsi prima che la legge fosse entrata in vigore, così che i ricorsi pendenti non potevano più considerarsi compatibili col nuovo art. 127 Cost., sia pure con la  salvaguardia della posizione dello Stato come ricorrente, potendo esso riproporre il ricorso, una volta promulgata la legge, ai sensi del nuovo art. 127 Cost. Nel medesimo senso va letta la sent. n. 408 del 2002, che ha dichiarato la cessazione della materia del contendere in ordine ad un conflitto di attribuzione sorto in relazione alle vicende del controllo di una legge approvata precedentemente alla riforma.

Più in generale comunque si consentiva così un’ulteriore valutazione sulla persistenza dell’interesse all’impugnativa, essendo d’altro canto plausibile che l’innovazione costituzionale avesse ampliato gli ambiti dell’intervento della legge regionale e che, conseguentemente, vizi di legittimità astrattamente ipotizzabili alla stregua del vecchio parametro nei confronti delle delibere legislative adottate avrebbero potuto non più sussistere alla luce del nuovo riparto delle competenze legislative.

Questa scelta della Corte ha però comportato la possibilità di un “raddoppio del controllo”, nei casi di leggi rinviate od impugnate sotto la vigenza del vecchio art. 127 Cost. e successivamente impugnabili in via successiva, ai sensi della nuova formulazione dello stesso articolo. Bisogna comunque dire che il possibile raddoppio del controllo governativo sullo stesso atto è un effetto sicuramente indesiderato ma forse inevitabile della conversione del controllo da preventivo in successivo. Ed è forse per questa ragione che la Corte è parsa muoversi con grande cautela nel disbrigo dei ricorsi statali avverso le leggi regionali nel periodo transitorio dal vecchio al nuovo regime. Non può essere una circostanza casuale che, già prima della data di promulgazione della riforma costituzionale e fino alla sent. n. 17/2002, la Corte non ha più discusso e, dunque, definito con sentenza alcun ricorso statale, congelando di fatto il contenzioso pendente.

 

3. Segue: nel giudizio in via incidentale. - Relativamente al giudizio in via incidentale, l’orientamento seguito dalla Corte, a partire dall’ord. n. 382/2001, è stato quello di evitare operazioni di automatica conversione delle questioni sollevate con riferimento ai vecchi parametri in questioni relative ai nuovi parametri, od, in alternativa, quella di sterilizzare gli effetti della pronuncia alla data di entrata in vigore della riforma.

Con una scelta che è stata però criticata, la soluzione adottata dalla Corte è stata quella di restituire gli atti al giudice a quo per una nuova valutazione delle sopravvenienze derivanti dalla modificazione del parametro costituzionale, con l’unica eccezione delle questioni sollevate con ordinanze depositate dopo l’8/11/2001, dichiarate manifestamente inammissibili per omessa considerazione del nuovo parametro costituzionale[1].

Si è peraltro ritenuto che la Corte abbia utilizzato la tecnica della restituzione degli atti per ius superveniens a finalità dilatorie, per evitare cioè di impegnarsi nell’immediatezza dell’entrata in vigore della riforma in complesse operazioni di corrispondenza e conversione tra vecchie e nuove voci dell’elenco costituzionale delle competenze regionali.

Ciò è avvenuto, però, senza che tale soluzione venisse imposta dalla necessaria concretezza del giudizio costituzionale incidentale, ma, anzi, arrecando al giudizio a quo un danno, in conseguenza del trascorrere del tempo conseguente alla sospensione dello stesso.

 

4. Alcune osservazioni di sintesi. – Le succinte considerazioni finora effettuate possono ora forse utilmente completarsi con alcune osservazioni di carattere statistico.

L’anno 2002 è stato quello di transizione nel quale si sono profilate le prime posizioni della Corte sul piano processuale rispetto al “nuovo” istituzionale. È un anno, per questo motivo, con un numero limitato di decisioni, sia in assoluto, sia in termini relativi, rispetto alla complessiva produzione del giudice costituzionale. A fronte di 536 decisioni della Corte, quelle riferite alle questioni di legittimità costituzionale promosse in via principale dallo Stato, dalle Regioni e dalle Province autonome sono 28 (più 2 sentenze riferite a delibere legislative statutarie). Si tratta di una percentuale assai bassa, essendo appena il 5,2% del totale, e di un numero comunque molto limitato. A ciò si aggiunga, come conferma del dato, che sono predominanti le decisioni con ordinanza (17) rispetto alle sentenze (11); così come predominante è la decisione su ricorso statale (75%) rispetto a quelle su ricorso regionale (25%). In questo arco temporale sono le ordinanze di estinzione del giudizio per rinuncia e di improcedibilità per modifica dell’art. 127 Cost. a caratterizzare la conclusione del processo.

Altre caratteristiche si riscontrano nell’anno 2003: la Corte è chiamata, in questo periodo, a pronunciarsi su numerose questioni relative all’applicazione della nuova disciplina costituzionale. Si determina, in tal modo, un riequilibrio nelle posizioni delle parti processuali ricorrenti e un diverso rapporto fra sentenze ed ordinanze. Per il primo profilo, vengono così decisi 32 ricorsi proposti dallo Stato e 24 proposti dalle Regioni. Per il secondo, il numero delle sentenze è di gran lunga superiore a quello delle ordinanze (47 rispetto a 9).

La Corte costituzionale decide applicando il nuovo parametro e contribuisce in maniera importante a delineare gli ambiti di competenza dei due enti. Fa emergere, nel contempo, con le ordinanze, ma anche con le sentenze, conclusioni di tipo processuale di non poco momento. È utile ricordare che le ordinanze sono state nell’esperienza complessiva del giudizio in via di azione utilizzate dalla Corte costituzionale per dichiarare la cessazione della materia del contendere o l’estinzione per rinuncia del ricorso, anche se non sono mancate le pronunce di inammissibilità.

Il dato quantitativo si è mostrato limitato e inferiore rispetto a quanto la Corte decide relativamente alle questioni sollevate dalle ordinanze di rimessione dei giudici, elemento che è stato collegato proprio alla elasticità che la Corte ha dimostrato nell’utilizzazione degli istituti processuali, per cui è consentito ravvisare una propensione a non valutare sempre con rigore i requisiti essenziali del ricorso ai fini della sua ammissibilità.

A fronte di questo elemento ricostruttivo si deve notare che una tale caratterizzazione della giurisprudenza costituzionale risulta, nel periodo considerato, per un verso confermata, ma per altro profilo mostra una non irrilevante quota di variabilità.

Ancora una volta è diversa la conclusione per i due anni.

Nell’anno 2002 vi sono due pronunce di manifesta inammissibilità con ordinanza (nn. 341 e 358) e due ipotesi di inammissibilità pronunciata con sentenza (nn.510 e 533). Mentre non si rinviene pronuncia di tal tipo all’interno della sentenza.

Diverse sono le conclusioni per l’anno 2003. Le pronunce che si esauriscono in una dichiarazione di inammissibilità sono 3 e sono tutte sentenze (nn. 197, 213 e 372/2003).

Sono invece numerose, e risultano ovviamente del tutto predominanti, le dichiarazioni di inammissibilità, sia nella formula della manifesta inammissibilità che della inammissibilità all’interno delle sentenze. Si tratta di un elemento che sembra caratterizzare, da un punto di vista quantitativo, questo periodo (sentt. nn. 37, 48, 94, 96, 186, 222, 228, 242, 274, 303, 313, 315, 338, 362/2003).

Su un totale di 56 pronunce intervenute a risolvere il giudizio in via principale, in 15 vi sono dichiarazioni di inammissibilità, con un riparto che si mostra sostanzialmente equilibrato nell’ipotesi di impugnativa statale (8 ipotesi) rispetto alle ipotesi di impugnativa regionale.

Nell’anno 2002 dichiarazioni di cessazione della materia del contendere sono contenute nelle decisioni nn. 438, 443 e 524 e nell’anno 2003 (in numero ben superiore) abbiamo 4 ordinanze (15, 292, 339 e 351) e 8 sentenze (92, 274, 303, 312, 313, 334, 339, 362). La pronuncia in tale direzione da parte della Corte costituzionale appare ancorata ai due elementi della modificazione del quadro normativo che incida radicalmente sui termini della questione di costituzionalità proposta e sulla mancata produzione di effetti delle disposizioni di legge impugnata. Con la precisazione che, pur quando vi siano state profonde modifiche del quadro normativo, la Corte procede a valutare se le modifiche medesime siano idonee a superare tutte le censure promosse. In tal senso può vedersi la sent. n.92/2003, laddove la Corte, pur dopo aver rilevato che nelle more della trattazione talune disposizioni oggetto del giudizio erano state modificate, così si esprime: “(…) il quadro normativo sopravvenuto non è tale da modificare sostanzialmente le norme oggetto di censura. Infatti, la principale disposizione (…) è rimasta immutata. Non sussistono pertanto i presupposti per una pronunzia preclusiva dell’esame del merito della medesima questione”.

Non rileva l’atteggiamento processuale assunto dalle parti, come significativamente si trae dalla sent. n.303/2003, quando la Corte rivolge la sua attenzione a valutare se vi sia stato un mutamento di natura della disciplina o soltanto una maggiore flessibilità della legislazione statale restando immodificato il principio ispiratore. Con la conseguenza che “La materia del contendere in relazione ai commi 6 e 12 non è dunque cessata, come invece vorrebbe l’Avvocatura generale dello Stato, ma le censure che le Regioni Umbria ed Emilia-Romagna hanno tenute ferme nei confronti di queste disposizioni non possono essere accolte, giacchè, anche dopo le sopravvenute modificazioni del comma 12, le disposizioni impugnate si limitano a porre principi e non costituiscono norme di dettaglio”.

La Corte costituzionale conferma inoltre la propria giurisprudenza sulla perentorietà dei termini che governano tutte le fasi processuali e ciò sulla base di un’impostazione da tempo acquisita, che individua la peculiarità della disciplina processuale “ che corrisponde all’interesse, di diritto obiettivo, alla sollecita rimozione di eventuali situazioni di illegittimità costituzionale, soprattutto nei rapporti fra Stato e Regione” (sent. n. 15/1967)

Interessante notare, poi, che in alcune occasioni, pur quando vi possano essere altri motivi per escludere l’ammissibilità della presenza nel processo di alcune parti, il giudice costituzionale concluda per la tardività della costituzione in giudizio. Ci si riferisce all’ipotesi di intervento spiegato nel processo costituzionale che la Corte ha sempre ritenuto inammissibile perché non consentito a soggetti terzi rispetto a quelli titolari delle competenze coinvolte nel processo costituzionale, ma che in non poche occasioni è stato dichiarato, appunto inammissibile, non già per questo motivo, bensì per la tardività nel deposito della memoria.

Non si tratta di un dato costante, e ciò è confermativo della già notata assenza di un ordine preciso nella valutazione e nell’applicazione delle regole processuali, ma più che altro di una linea di tendenza che può essere, ad esempio, riscontrata nelle sentenze nn. 536/2002, 376/2002, 226/2002, 228/2002.

Ma come esempio di diversa applicazione del criterio valga la sent. n. 338/2003 laddove, pur essendovi la tardività nel deposito della memoria, l’inammissibilità viene pronunciata facendo applicazione del principio secondo il quale la legittimazione ad essere parte nel giudizio in via principale è soltanto dei soggetti titolari delle competenze legislative di cui si discute.

 

5. Nota bibliografica – Nelle precedenti osservazioni si sono tenuti particolarmente presenti i seguenti studi:

  • R. Bin, G. Pitruzzella, Diritto costituzionale, IV ed., Torino, Giappichelli, 2003, 393 ss.;
  • P. Caretti, L’assetto dei rapporti tra competenza legislativa statale e regionale, alla luce del nuovo Titolo V della Costituzione: aspetti problematici, in Le Regioni 6/2001, 1223 ss.;ù
  • A. Cerri, Corso di giustizia costituzionale, III ed., Milano, Giuffrè, 2001,76 ss.;
  • L. Chieffi, G.C. di San Luca, Regioni ed enti locali dopo la riforma del Titolo V della Costituzione fra attuazione ed ipotesi di ulteriore revisione, Torino, Giappichelli, 2004, 245 ss.;
  • V. Cocozza, Corte costituzionale e Regioni due anni dopo la riforma: i profili processuali, in Le Regioni 2-3/2004, 479 ss.;
  • D’Atena, La Consulta parla e la riforma del Titolo V entra in vigore, in Giurisprudenza costituzionale 3/2002, 2027 ss.;
  • R. Dickmann, La Corte amplia la portata del principio di continuità, in www.federalismi.it;
  • F. Drago, Il soddisfacimento delle istanze unitarie giustifica la vecchia giurisprudenza in merito ai vizi delle leggi regionali, in www.federalismi.it;
  • G. Grasso, La Corte salva la continuità dell’ordinamento giuridico (di fonti di grado legislativo), ma indebolisce la forza delle (nuove) norme costituzionali di modifica del Titolo V, in www.associazionedeicostituzionalisti.it;
  • S. Illari, La Corte costituzionale in equilibrio tra continuità e discontinuità nell’opera di adeguamento dell’ordinamento alla riforma del Titolo V, in Giurisprudenza costituzionale 6/2002, 4399 ss.;
  • S. Mangiameli, Corte costituzionale e Titolo V: l’impatto della riforma, in Giurisprudenza costituzionale 1/2002, 457 ss.;
  • M. Olivetti, Le funzioni legislative regionali, in T.Groppi – M.Olivetti, La Repubblica delle autonomie. Regioni ed enti locali nel nuovo Titolo V, Torino, Giappichelli, 2001, 85 ss.;
  • A. Ruggeri, La Corte e lo ius superveniens, in www.giurcost.org.
  • F. Sorrentino, Le fonti del diritto, V ed., Genova, ECIG – Edizioni culturali internazionali Genova, 2002, 130 ss.


[1] Cfr. ordd. Nn.351, 412 e 420 del 2002