Sentenza n. 63 del 2020

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SENTENZA N. 63

ANNO 2020

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Marta CARTABIA;

Giudici: Aldo CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettere b) e c), della legge della Regione Veneto 8 febbraio 2019, n. 6 (Modifiche e integrazioni alla legge regionale 20 gennaio 2000, n. 2 “Addestramento e allenamento dei falchi per l’esercizio venatorio”), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato l’8-12 aprile 2019, depositato in cancelleria il 16 aprile 2019, iscritto al n. 51 del registro ricorsi 2019 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, prima serie speciale, dell’anno 2019.

Visto l’atto di costituzione della Regione Veneto;

udito nella udienza pubblica del 25 febbraio 2020 il Giudice relatore Giulio Prosperetti;

uditi l’avvocato dello Stato Maria Letizia Guida per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Andrea Manzi per la Regione Veneto;

deliberato nelle camere di consiglio del 26 febbraio e del 9 marzo 2020.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato l’8-12 aprile 2019 e depositato il 16 aprile 2019 (reg. ric. n. 51 del 2019), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, e in relazione agli artt. 13, 18 e 19, comma 2, della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettere b) e c), della legge della Regione Veneto 8 febbraio 2019, n. 6 (Modifiche e integrazioni alla legge regionale 20 gennaio 2000, n. 2 “Addestramento e allenamento dei falchi per l’esercizio venatorio”), che si riporta:

«Art. 1 Modifiche all’articolo 3 della legge regionale 20 gennaio 2000, n. 2 “Addestramento e allenamento dei falchi per l’esercizio venatorio”.

1. All’articolo 3 della legge regionale 20 gennaio 2000, n. 2 sono apportate le seguenti modifiche:

a) il comma 2 dell’articolo 3 della legge regionale 20 gennaio 2000, n. 2, è così sostituito: “2. Il falconiere deve inoltre comunicare alla Regione una o più località ove esercitare al volo i falchi, allegando il consenso scritto del proprietario o del titolare di altro diritto reale o personale di godimento del fondo di esercitazione, nonché il periodo di utilizzo del falco stesso.”;

b) il comma 3 dell’articolo 3 della legge regionale 20 gennaio 2000, n. 2, è così sostituito: “3. Con l’iscrizione al registro di cui al comma 2 dell’articolo 2, il falconiere viene altresì autorizzato dalla Regione ad addestrare ed allenare i falchi durante l’intero periodo dell’anno, con divieto di cattura di fauna selvatica limitatamente ai periodi e laddove non è previsto l’abbattimento, nelle zone di cui all’articolo 18 comma 1 della legge regionale 9 dicembre 1993, n. 50, nonché a partecipare alle gare o alle prove cinofile di cui al comma 3 del medesimo articolo.”;

c) dopo il comma 3 dell’articolo 3 della legge regionale 20 gennaio 2000, n. 2 sono inseriti i seguenti:

“3-bis. La Regione autorizza l’istituzione di apposite zone con periodi per l’addestramento e l’allenamento dei falchi, accompagnati anche dai cani, con l’abbattimento di fauna di allevamento appartenente a specie cacciabili.

3-ter. La Regione per le finalità di cui all’articolo 1 può avvalersi dei falconieri registrati ai sensi dell’articolo 2 in possesso di requisiti specifici a svolgere attività:

a) di controllo di cui all’articolo 17 comma 2 della legge regionale 9 dicembre 1993, n. 50, di altri piani di controllo o di dissuasione di specie invasive;

b) di riabilitazione dei rapaci in difficoltà di cui all’articolo 5 della legge regionale 9 dicembre 1993, n. 50.”».

2.– La difesa dello Stato rappresenta che l’art.1, comma 1, lettera b), della legge impugnata ha modificato il comma 3, dell’art. 3, della legge della Regione Veneto 20 gennaio 2000, n. 2 (Addestramento e allenamento dei falchi per l’esercizio venatorio), nel senso di consentire tali attività durante tutto l’anno, ma con divieto di “cattura” di fauna selvatica limitatamente ai periodi nei quali non è previsto l’abbattimento e solo nelle zone di cui all’art. 18, comma 1, della legge della Regione Veneto 9 dicembre 1993, n. 50 (Norme per la protezione della fauna selvatica e per il prelievo venatorio).

Nella precedente formulazione il citato comma 3 dell’art. 3, consentiva ai falconieri, previa autorizzazione, l’addestramento e l’allenamento dei falchi con divieto di “predazione” di fauna selvatica limitatamente ai periodi di caccia chiusa.

3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ricorda che con la sentenza n. 468 del 1999 questa Corte, in sede di ricorso avverso la precedente formulazione del citato comma 3, dell’art. 3 della legge reg. Veneto n. 2 del 2000, «ha dichiarato non fondata la questione proprio con riferimento al “divieto di predazione” […] ritenendolo il punto di equilibrio del sistema con riferimento alla normativa nazionale, “poiché vieta in termini assoluti ogni attività di addestramento o allenamento implicante predazione”».

Infatti, prosegue l’Avvocatura generale, l’istinto predatorio dei rapaci si conserva anche durante l’addestramento, così da rendere impossibile distinguerlo dall’attività venatoria in senso stretto e da determinare importanti ricadute negative sulla consistenza della fauna selvatica, in special modo durante il periodo della riproduzione e della dipendenza, periodo in cui i giovani involati sono maggiormente vulnerabili.

L’art. 1, comma 1, lettera b), impugnato, secondo il ricorrente, nell’autorizzare l’addestramento e il volo del falco «senza limiti temporali e in tutto il territorio regionale, senza prevedere contestualmente il “divieto di predazione”», non garantirebbe il rispetto della normativa nazionale e dell’art. 18 della legge n. 157 del 1992, che indica le specie cacciabili e i relativi periodi entro cui è consentita l’attività venatoria, proprio al fine di preservare la consistenza della fauna selvatica.

4.– La difesa dello Stato ricorda che la legge n. 157 del 1992, inerendo ad un interesse pubblico di valore costituzionale primario e assoluto, è espressione della competenza legislativa statale in materia di tutela dell’ambiente e che in forza di tale competenza lo Stato è legittimato ad intervenire anche in “campi di esperienza”, le cosiddette “materie”, di competenza legislativa regionale, con la conseguenza che le Regioni possono soltanto incrementare i livelli di tutela ambientale, senza compromettere il punto di equilibrio, tra esigenze contrapposte, espressamente individuato dalla norma statale.

La norma regionale oggetto di censura, abbassando il livello di tutela posto dal legislatore nazionale, sarebbe, pertanto, in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione agli artt. 13 e 18 della legge n. 157 del 1992.

5.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha anche impugnato l’art. 1, comma 1, lettera c), della legge reg. Veneto n. 6 del 2019, che ha introdotto i commi 3-bis e 3-ter, dopo il comma 3 dell’art. 3 della legge reg. Veneto n. 2 del 2000, in forza dei quali la Regione può autorizzare l’istituzione di apposite zone, con periodi per l’addestramento e l’allenamento dei falchi, accompagnati anche da cani, con l’abbattimento di fauna di allevamento appartenente alle specie cacciabili e può avvalersi dei falconieri in possesso di requisiti specifici per svolgere attività di controllo e dissuasione di specie invasive; tale attività di controllo, oltre all’utilizzo di metodi ecologici, ai sensi dell’art. 17, comma 2, della legge della reg. Veneto n. 50 del 1993, prevede anche la disciplina dei piani di abbattimento (comma 3-ter, lettera a); infine, la Regione può avvalersi dei falconieri registrati per la riabilitazione dei rapaci in difficoltà (comma 3-ter, lettera b).

In particolare, la censura dell’Avvocatura, pur impugnando formalmente tutta la lettera c) della disposizione in questione, si incentra sulla utilizzazione dei falconieri nei piani di abbattimento.

Ma, nelle more del giudizio è intervenuta la legge della Regione Veneto 28 giugno 2019, n. 24 (Legge regionale di adeguamento ordinamentale 2018 in materia di tartuficoltura, usi civici, agricoltura, caccia, commercio e piccole e medie imprese) che ha modificato l’art. 3, comma 3-ter, lettera a), della legge reg. Veneto n. 2 del 2000, modificato dall’impugnato art. 1, comma 1, lettera c), della legge reg. Veneto n. 6 del 2019, escludendo l’utilizzazione dei falconieri nei piani di abbattimento.

Conseguentemente, il ricorrente, con delibera assunta dal Consiglio dei ministri il 6 febbraio 2020, ha rinunciato alla questione di legittimità costituzionale limitatamente all’art. 1, comma 1, lettera c), della legge reg. Veneto n. 6 del 2019, in ragione della modifica della disposizione ad opera della legge reg. Veneto n. 24 del 2019 che ha escluso l’attuazione dei piani di abbattimento dalle attività di controllo della fauna selvatica delegabili ai falconieri registrati.

La Regione ha accettato la rinuncia con dichiarazione del difensore resa all’udienza pubblica del 25 febbraio 2020.

6.– Si è costituita la Regione Veneto eccependo l’infondatezza delle questioni; quanto all’art. 1, comma 1, lettera b), della legge reg. Veneto n. 6 del 2019, che ha modificato il comma 3 dell’art. 3 della legge reg. Veneto n. 2 del 2000, la resistente ricorda che, prima della censurata modifica normativa, la stessa legge reg. Veneto n. 2 del 2000 già consentiva che i falconieri fossero autorizzati ad addestrare e allenare i rapaci in tutti i periodi dell’anno, purché ciò avvenisse con divieto di “predazione” di fauna selvatica nei periodi di caccia chiusa.

La disposizione era stata ritenuta legittima dalla sentenza n. 468 del 1999 di questa Corte, poiché il rispetto dell’ambiente era garantito dall’espressa previsione del divieto di predazione e dalla possibilità di irrogare le sanzioni previste dalla legge n. 157 del 1992, in caso di violazione del divieto di caccia nei periodi di esclusione dell’attività venatoria.

7.– Secondo la difesa della Regione la novella intervenuta, che consente l’allenamento e l’addestramento dei falchi con divieto di cattura di fauna selvatica, limitatamente ai periodi e laddove non è previsto l’abbattimento, equivarrebbe al previgente divieto di predazione e la sostanziale omogeneità delle due disposizioni succedutesi nel tempo renderebbe insussistente il lamentato vulnus costituzionale, essendo comunque garantito il rispetto dei periodi venatori, di cui alla legge n. 157 del 1992.

8.– In particolare, secondo la resistente, l’attività di predazione, consistente nella cattura e assunzione, come alimento, di un organismo appartenente ad altra specie, coinciderebbe con la cattura di fauna selvatica, cattura che la norma impugnata vieta espressamente durante l’allenamento e l’addestramento dei falchi, nei periodi di caccia chiusa.

L’asserzione della difesa dello Stato, secondo cui i falchi conserverebbero l’istinto predatorio anche durante l’addestramento, con conseguenti ricadute negative sulla consistenza della fauna selvatica, sarebbe un’illazione priva di supporto probatorio e comunque irrilevante; questa Corte, infatti, avrebbe già chiarito che eventuali condotte contrarie al divieto di caccia, tenute durante l’addestramento del falco, sono presidiate da un adeguato apparato sanzionatorio, che funge da strumento dissuasivo. Tale apparato non sarebbe stato neutralizzato dalla novella regionale, che anzi costituirebbe titolo per la sua applicazione, imponendosi al falconiere il divieto di cattura della fauna selvatica nei periodi di caccia chiusa, salva l’applicazione delle sanzioni previste in materia di caccia.

9.– Inoltre, prosegue la difesa della Regione, contrariamente a quanto asserito nel ricorso, l’attività del falconiere sarebbe sottoposta a precisi limiti spaziali, essendo l’addestramento autorizzato tutto l’anno nelle sole zone di cui all’art. 18, comma 1, della legge reg. Veneto n. 50 del 1993, corrispondenti alle zone nelle quali è previsto l’addestramento dei cani da caccia (e sono consentiti gli appostamenti fissi).

Secondo la Regione, l’art. 1 della legge reg. Veneto n. 6 del 2019 sarebbe addirittura più garantista della normativa regionale previgente, poiché, facendo riferimento al divieto di cattura della fauna nei periodi in cui non è previsto l’abbattimento, includerebbe anche quei periodi in cui, pure se la caccia è aperta, è preclusa in specifiche giornate (art. 18, comma 5, della legge n. 157 del 1992) o per altri motivi (art. 19 della legge n. 157 del 1992).

10.– Con memoria del 30 gennaio 2020 la Regione Veneto ha insistito nelle proprie conclusioni, precisando che l’allenamento e addestramento dei falchi è autorizzato dalla legge censurata per tutto l’anno, ma con l’espresso divieto di cattura di fauna selvatica; sarà dunque cura del falconiere non compiere atti illeciti, che riceverebbero il previsto trattamento sanzionatorio.

In ogni caso, la natura opportunista del rapace, che predilige prede menomate, e il fatto che esso cacci solo quando ha fame, consentirebbero un addestramento di mero volo, utile a conservare l’animale in perfette condizioni di salute.

11.– Con memoria del 4 febbraio 2020 la difesa dello Stato ha insistito nel ricorso precisando, quanto alla prima delle disposizioni impugnate, che la sentenza di questa Corte n. 468 del 1999 aveva ritenuto legittima la previgente previsione se interpretata nel senso che è vietata l’attività di addestramento dei falchi nei periodi di caccia chiusa, sotto pena di applicazione delle relative sanzioni. La modifica della legge reg. Veneto n. 2 del 2000, ad opera della legge regionale impugnata, impedirebbe di attribuire ultrattività alla pronuncia, in quanto riferita al testo normativo precedente.

In ogni caso, la natura generica ed indeterminata del divieto di cattura di fauna selvatica, contenuto nella novella, indurrebbe a ritenere che il falconiere, autorizzato all’addestramento per tutto l’anno, non possa essere ritenuto responsabile per eventuali comportamenti aggressivi dell’animale, che determinino episodi di predazione durante il periodo in cui è vietato l’abbattimento della fauna selvatica.

12.– Quanto alla seconda disposizione impugnata, l’Avvocatura dello Stato, con memoria del 17 febbraio 2020, rilevato che le modifiche ad opera della legge della Regione Veneto 28 giugno 2019, n. 24 (Legge regionale di adeguamento ordinamentale 2018 in materia di tartuficoltura, usi civici, agricoltura, caccia, commercio e piccole e medie imprese), che ha escluso l’attuazione dei piani di abbattimento delle attività di controllo della fauna selvatica delegabili ai falconieri registrati, hanno determinato il venir meno dell’interesse al ricorso e che la norma impugnata non ha trovato “medio tempore” applicazione, ha presentato rinuncia parziale al ricorso, deliberata dal Consiglio dei ministri il 6 febbraio 2020, limitatamente all’impugnativa dell’art. 1, comma 1, lettera c), della legge reg. Veneto n. 6 del 2019, accettata in udienza da parte della difesa della Regione Veneto.

Considerato in diritto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato l’art. 1, comma 1, lettere b) e c), della legge della Regione Veneto 8 febbraio 2019, n. 6 (Modifiche e integrazioni alla legge regionale 20 gennaio 2000, n. 2 “Addestramento e allenamento dei falchi per l’esercizio venatorio”), in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, e in relazione agli artt. 13, 18 e 19, comma 2, della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio).

2.– La prima delle disposizioni impugnate consente l’allenamento e l’addestramento del falco durante tutto l’anno, con divieto di cattura di fauna selvatica, ma senza divieto di predazione e, secondo la difesa dello Stato, sarebbe in contrasto con le disposizioni statali che autorizzano l’esercizio dell’attività venatoria solo in determinati periodi dell’anno, al fine di salvaguardare la consistenza della fauna selvatica e di garantire la tutela dell’ambiente.

3.– Quanto all’altra previsione normativa censurata, l’art. 1, comma 1, lettera c), della legge reg. Veneto n. 6 del 2019, che prevedeva che la Regione potesse avvalersi dei falconieri registrati per svolgere l’attività di controllo della fauna selvatica, tra cui rientra l’attuazione dei piani di abbattimento, il Presidente del Consiglio dei ministri ne ha denunciato il contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione all’art. 19, comma 2, della legge n. 157 del 1992, che individua, in maniera tassativa, i soggetti abilitati all’attuazione dei piani di abbattimento, senza includervi i cacciatori, alla cui categoria appartengono i falconieri.

Su tale seconda questione è intervenuta la rinuncia dell’Avvocatura a seguito della sopravvenuta legge della Regione Veneto 28 giugno 2019, n. 24 (Legge regionale di adeguamento ordinamentale 2018 in materia di tartuficoltura, usi civici, agricoltura, caccia, commercio e piccole e medie imprese), con accettazione in udienza da parte della difesa della Regione Veneto; pertanto, con riferimento alla citata disposizione, va dichiarata l’estinzione del processo ai sensi dell’art. 23 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale (sentenze n. 107 del 2017 e n. 189 del 2016; ordinanze n. 224 e n. 204 del 2017).

4.– Il giudizio deve proseguire in riferimento alla questione relativa all’art. 1, comma 1, lettera b), della legge reg. Veneto n. 6 del 2019, che autorizza l’allenamento e l’addestramento del falco per tutto l’anno, con divieto di cattura della fauna selvatica limitatamente ai periodi e laddove non è previsto l’abbattimento, nelle zone di cui all’art. 18, comma 1, della legge della Regione Veneto 9 dicembre 1993, n. 50 (Norme per la protezione della fauna selvatica e per il prelievo venatorio).

5.– La questione è fondata.

6.– La norma è stata censurata per contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione agli artt. 13 e 18 della legge n. 157 del 1992, poiché l’autorizzazione all’addestramento del falco, senza limiti temporali e spaziali e senza la specifica previsione del divieto di predazione, ma solo quello di cattura, non offrirebbe adeguate garanzie di rispetto della normativa nazionale, quanto alle specie cacciabili e ai periodi di caccia.

Il ricorso fonda le censure sulla base della giurisprudenza di questa Corte secondo la quale: «La normativa regionale deve garantire il rispetto dei livelli minimi uniformi posti dal legislatore nazionale in materia ambientale. Questa Corte, infatti, ha più volte ribadito che la materia dell’ambiente è una “materia traversale” poiché “sullo stesso oggetto insistono interessi diversi: quello alla conservazione dell’ambiente e quelli inerenti alle sue utilizzazioni […]. In questi casi, la disciplina unitaria di tutela del bene complessivo ambiente, rimessa in via esclusiva allo Stato, viene a prevalere su quella dettata dalle Regioni o dalle Province autonome, in materia di competenza propria, che riguardano l’utilizzazione dell’ambiente, e, quindi, altri interessi” (sentenza n. 104 del 2008, con richiamo a sentenza n. 378 del 2007)» (sentenza n. 74 del 2017).

L’esercizio della competenza legislativa regionale, dunque, trova un limite nella disciplina statale della tutela ambientale, salva la facoltà delle Regioni di prescrivere livelli di tutela ambientale più elevati di quelli previsti dallo Stato (sentenza n. 74 del 2017; nello stesso senso, sentenza n. 7 del 2019).

La Regione Veneto si è difesa deducendo che la norma impugnata vieta la cattura della fauna selvatica durante i periodi e nelle zone in cui è inibito l’abbattimento, e ha sottolineato che questo divieto avrebbe un contenuto “sostanzialmente identico” al divieto di predazione già previsto dalla legge della Regione Veneto 20 gennaio 2000, n. 2 (Addestramento e allenamento dei falchi per l’esercizio venatorio), su cui ha inciso la legge impugnata, la cui illegittimità costituzionale era stata già esclusa da questa Corte con la sentenza n. 468 del 1999.

7.– La norma impugnata, modificando la legge reg. Veneto n. 2 del 2000, sposta la competenza relativa alle autorizzazioni all’addestramento e all’allenamento dei falchi dalla Provincia alla Regione e modifica la legge regionale precedente in ordine ai periodi per i quali è richiesta tale autorizzazione. La norma precedente prevedeva l’autorizzazione per i periodi di caccia chiusa, mentre la novella si riferisce ai periodi in cui, pur essendo aperta la caccia, non è previsto “l’abbattimento”.

Va rilevato che le suddette specifiche modificazioni del comma 3 dell’art. 3 della legge reg. Veneto n. 2 del 2000 non violano la competenza statale in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema perché, come rilevato dalla difesa della Regione, la nuova disciplina viene, sotto questo aspetto, ad essere più restrittiva; infatti, i periodi nei quali non è previsto l’abbattimento, a cui si riferisce il divieto di cattura della fauna selvatica durante l’allenamento e l’addestramento del falco, includono anche i giorni di necessaria sospensione dell’attività venatoria; in tali giornate che, ai sensi dell’art. 18 della legge n. 157 del 1992, cadono il martedì e il venerdì, è in ogni caso preclusa la caccia, anche quando la stagione venatoria è aperta, così da attenuare l’impatto di tale attività sulla fauna selvatica.

Tuttavia, tale positivo aspetto della normativa impugnata non appare sufficiente ad escludere il complessivo abbassamento del livello della tutela ambientale come censurato dalla difesa dell’Avvocatura.

8.– Invero, il ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri si incentra su un’altra decisiva modificazione, laddove il precedente divieto di “predazione” da parte del falco è divenuto con la novella impugnata divieto di “cattura”.

La cattura si identifica, infatti, con lo scopo stesso della caccia, ma, contrariamente a quanto sottintende la difesa della Regione Veneto, il divieto per il falconiere di appropriarsi della preda non esclude che questa sia comunque uccisa dal falco.

Il precedente divieto di predazione, secondo la resistente, avrebbe gli stessi effetti pratici dell’attuale divieto di cattura, quando, invece, proprio a seguito dell’interpretazione data da questa Corte con la sentenza n. 468 del 1999 della precedente norma, novellata dalla disposizione impugnata, l’occasionale uccisione della selvaggina da parte del falco comportava la sanzione per il falconiere, integrando un’ipotesi di violazione del divieto di caccia.

La permanenza del divieto di predazione comporta l’obbligo per il falconiere di evitare, per quanto possibile, la predazione da parte del falco, adottando quelle cautele che vengono, del resto, già messe in atto con l’addestramento tramite il cosiddetto “logoro” (un finto uccello che funge da preda) e nutrendo in maniera appropriata il rapace, onde disincentivare la predazione da parte dello stesso.

In tal senso, la norma precedente, che, pur autorizzando il volo del falco durante l’intero periodo dell’anno, vietava «in termini assoluti ogni attività di addestramento o di allenamento implicante predazione» (sentenza n. 468 del 1999), costituiva un punto di equilibrio tra il rispetto della normativa statale e l’esigenza di mantenere il rapace, destinato alla caccia, in condizioni fisiche adeguate.

Va, comunque, sottolineato che la rinuncia del ricorrente all’impugnativa delle disposizioni di cui all’art. 1, comma 1, lettera c), della legge censurata, fa salva, tra l’altro, la possibilità per la Regione di autorizzare, in determinate aree, l’addestramento dei falchi, anche accompagnati dai cani, prevedendo la possibilità di abbattimento di fauna di allevamento appartenente alle specie cacciabili.

Questa norma, in ordine alla quale è stato rinunciato il ricorso, prevede un significativo ampliamento relativamente alle possibilità di volo ed addestramento del falco nelle aree che la Regione vorrà istituire, permettendo in tali limitati spazi l’abbattimento di fauna d’allevamento.

Invece, ciò che rimane interdetto, in accoglimento delle censure del Presidente del Consiglio dei ministri, è la possibilità di predazione negli spazi che la norma impugnata intende riservare alla falconeria e che corrisponde, ai sensi dell’art. 18, comma 1, della legge reg. Veneto n. 50 del 1993, a quella riservata all’addestramento dei cani.

Si tratta di aree che, in base all’art. 8, comma 4-ter, lettera e), della stessa legge regionale, sono quelle in cui sono collocabili gli appostamenti fissi e nessuna evidenza è stata data dalla Regione Veneto in ordine alla estensione di tali zone e alla percentuale che tali aree rappresentano rispetto a tutto il territorio in cui è normalmente consentita la caccia.

La limitazione riferita alle aree in cui sono consentiti gli appostamenti fissi e nelle quali possono essere addestrati i cani non risulta, in conclusione, elemento sufficiente a giustificare il superamento del divieto di predazione rispetto a quello di cattura introdotto dalla norma impugnata.

9.– Pertanto, l’art. 1, comma 1, lettera b), della legge reg. Veneto n. 6 del 2019, che sostituisce il divieto di predazione con il divieto di cattura della fauna selvatica, abbassa il livello di tutela dell’ambiente e, quindi, invade la competenza statale.

Da ciò discende l’illegittimità costituzionale della disposizione impugnata.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettera b), della legge della Regione Veneto 8 febbraio 2019, n. 6 (Modifiche e integrazioni alla legge regionale 20 gennaio 2000, n. 2 “Addestramento e allenamento dei falchi per l’esercizio venatorio”), che sostituisce l’art. 3, comma 3, della legge della Regione Veneto 20 gennaio 2000, n. 2 (Addestramento e allenamento dei falchi per l’esercizio venatorio), nella parte in cui prevede il divieto di cattura in luogo del divieto di predazione di fauna selvatica;

2) dichiara estinto il processo relativamente alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettera c), della legge reg. Veneto n. 6 del 2019, promossa, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 marzo 2020.

F.to:

Marta CARTABIA, Presidente

Giulio PROSPERETTI, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 10 aprile 2020.