Sentenza n. 291 del 2019

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SENTENZA N. 291

ANNO 2019

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Aldo CAROSI;

Giudici: Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 15, comma 1, lettere j), m), e q), della legge della Regione Lombardia 4 dicembre 2018, n. 17 (Legge di revisione normativa e di semplificazione 2018), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 4-8 febbraio 2019, depositato in cancelleria il 12 febbraio 2019, iscritto al n. 22 del registro ricorsi 2019 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell’anno 2019.

Visto l’atto di costituzione di Regione Lombardia;

udito nell’udienza pubblica del 19 novembre 2019 il Giudice relatore Giulio Prosperetti;

uditi l’avvocato dello Stato Francesca Morici per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Piera Pujatti per la Regione Lombardia.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato il 4-8 febbraio 2019 e depositato il 12 febbraio 2019 (reg. ric. n. 22 del 2019), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 15, comma 1, lettere j), m) e q), della legge della Regione Lombardia 4 dicembre 2018, n. 17 (Legge di revisione normativa e di semplificazione 2018), in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione e in relazione agli artt. 5, comma 5, 12, commi 5 e 12-bis, e 21, comma 1, lettere e) ed f), della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio).

2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri rappresenta che, con le disposizioni oggetto di impugnativa, la Regione Lombardia ha apportato modifiche alla legge regionale 16 agosto 1993, n. 26 (Norme per la protezione della fauna selvatica e per la tutela dell’equilibrio ambientale e disciplina dell’attività venatoria); in particolare, l’art. 15, comma 1, lettera j), della legge reg. Lombardia n. 17 del 2018 ha modificato l’art. 22, comma 7, della legge reg. Lombardia n. 26 del 1993, prevedendo che le annotazioni dei capi di selvaggina migratoria sul tesserino venatorio devono essere effettuate, in modo indelebile, sul posto di caccia, dopo gli abbattimenti e l’avvenuto recupero dell’animale.

Secondo il ricorrente la previsione regionale sarebbe in contrasto con la disciplina nazionale di cui all’art. 12, comma 12-bis, della legge n. 157 del 1992, che prescrive che l’obbligo dell’annotazione sia adempiuto subito dopo l’abbattimento, per finalità statistiche e per garantire il rispetto del limite giornaliero dei prelievi delle specie.

Secondo l’Avvocatura generale dello Stato, il fatto di subordinare tale obbligo di annotazione al preventivo recupero dell’animale abbattuto comporterebbe il rischio di escludere dal conteggio gli animali non rintracciati e non recuperati, sia per l’eventuale difficoltà di ricerca nella vegetazione, dovuta alla natura impervia, paludosa o lacustre delle aree, sia per sopraggiunte condizioni di scarsa luminosità.

L’art. 12, comma 12-bis, della legge n. 157 del 1992, ponendo un obbligo funzionale al regime vigente di caccia programmata, che fissa quote massime di esemplari passibili di caccia in un determinato territorio, sarebbe espressione di quel nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica da assicurare su tutto il territorio nazionale, di competenza del legislatore statale nell’esercizio delle attribuzioni in materia ambientale, non derogabile in peius dalle Regioni.

La norma regionale, introducendo l’ulteriore requisito del preventivo recupero dell’animale da parte del cacciatore, avrebbe, dunque, violato la norma interposta, abbassando lo standard di tutela ambientale, con conseguente violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

3.– In riferimento all’art. 15, comma 1, lettera m), della legge regionale impugnata, la difesa dello Stato rappresenta che esso, modificando il comma 9 dell’art. 25 della legge reg. Lombardia n. 26 del 1993, consente ai titolari ed utilizzatori degli appostamenti di caccia di vagare «in attitudine di caccia», anche con uso di cane da riporto o con l’uso di natante con motore fuoribordo, con obbligo di arma scarica e riposta nell’apposita custodia, entro un raggio di duecento metri dagli appostamenti medesimi, per abbattere e recuperare la fauna precedentemente ferita.

La norma, non distinguendo tra appostamenti fissi o temporanei, con o senza richiami vivi, violerebbe il principio di esclusività dell’opzione di caccia, fissato dagli artt. 5, comma 5, e 12, comma 5, della legge n. 157 del 1992, in base al quale il cacciatore, con opzione in via esclusiva per la caccia da appostamento con richiami vivi, non può esercitare la caccia in forma vagante per la stagione venatoria in corso, incorrendo nella sanzione amministrativa di cui all’art. 31, comma 1, lettera a), della legge n. 157 del 1992, nonché nella sospensione della licenza di porto di fucile per uso di caccia per un anno, ai sensi del successivo art. 32, comma 4.

Le norme statali, prosegue l’Avvocatura, sono volte ad assicurare la sopravvivenza e la riproduzione delle specie cacciabili e, quindi, possono essere oggetto di integrazione da parte della legge regionale solo nel senso dell’incremento della tutela, non riscontrabile lì ove, come nella specie, si ampli la possibilità di cacciare, consentendo una forma di caccia diversa da quella per cui si è optato in via generale.

4.– Infine, la difesa dello Stato censura l’art. 15, comma 1, lettera q), della legge reg. Lombardia n. 17 del 2018, che aggiunge il comma 19-bis all’art. 25 della legge reg. Lombardia n. 26 del 1993, prevedendo che le distanze attinenti agli appostamenti di caccia debbano essere misurate seguendo il profilo morfologico del terreno e non in forma lineare.

Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, tale modalità di misurazione comporterebbe una riduzione delle distanze minime e la conseguente diminuzione della tutela della pubblica incolumità, in funzione della quale queste distanze sono prescritte dall’art. 21, comma 1, lettera e), della legge n. 157 del 1992.

La difesa dello Stato sottolinea che la modalità di misurazione realizzata seguendo l’andamento morfologico del terreno non è conosciuta dall’ordinamento e, infatti, in materia urbanistico-edilizia la giurisprudenza si richiama al sistema di misurazione lineare delle distanze tra i fabbricati, mentre la disciplina venatoria statale, per l’uso delle armi da fuoco, prende in considerazione il concetto di gittata massima (art. 21, comma 1, lettera f, della legge n. 157 del 1992), incompatibile con una misurazione che includa l’increspatura dei terreni.

Conseguentemente, l’art. 15, comma 1, lettera q), della legge regionale impugnata si porrebbe in contrasto con lo standard di tutela uniforme in materia ambientale prescritto dal legislatore nazionale nell’esercizio della sua competenza esclusiva.

5.– Nella prospettazione dell’Avvocatura generale, le questioni di costituzionalità trovano fondamento nel fatto che le norme nazionali sono poste a protezione della fauna selvatica, bene di notevole rilievo che rientra nella materia tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, di competenza esclusiva del legislatore nazionale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.; ne deriva che solo lo Stato può porre la relativa disciplina, integrante un limite invalicabile per l’attività legislativa della Regione.

Sebbene, dunque, a quest’ultima competa la potestà legislativa in materia di caccia, il suo esercizio non può avvenire in contrasto con le prescrizioni nazionali in materia di tutela della fauna e, segnatamente, con le previsioni di cui alla legge n. 157 del 1992, che, come sancito da questa Corte con la sentenza n. 4 del 2000, costituisce il punto di equilibrio tra il primario obiettivo di salvaguardia del patrimonio faunistico e l’interesse all’esercizio dell’attività venatoria.

La legge regionale impugnata, contrastando con la legge n. 157 del 1992, avrebbe abbassato il livello di tutela della fauna selvatica stabilito dal legislatore nazionale, con illegittima invasione della sfera di competenza statale esclusiva in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema e, pertanto, ne andrebbe dichiarata l’illegittimità costituzionale per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

6.– Si è costituita in giudizio la Regione Lombardia chiedendo che il ricorso sia dichiarato infondato ed eccependo in primo luogo l’inesatta interpretazione, da parte dello Stato, della previsione introdotta dall’art. 15, comma 1, lettera j), della legge regionale impugnata, che ha previsto che i capi di selvaggina migratoria vanno annotati sul tesserino venatorio, sul posto di caccia, dopo gli abbattimenti e l’avvenuto recupero.

A parere della difesa regionale, la prescrizione non avrebbe introdotto una condizione ulteriore rispetto a quanto disposto dalla legge statale, che impone che l’annotazione avvenga subito dopo l’abbattimento, ma avrebbe rafforzato l’obbligo, imponendo che anche il solo recupero sia oggetto di annotazione, nel caso, possibile, in cui la contezza dell’abbattimento, anche ad opera di terzi, avvenga solo al momento del recupero.

A conferma di ciò permarrebbe la sanzione, prevista dall’art. 31, comma 1, lettera i), della legge n. 157 del 1992 in caso di mancata annotazione, e il fatto che quest’ultima debba avvenire sul posto di caccia, quindi, nell’immediatezza dell’abbattimento.

La Regione dà conto del fatto che la norma statale interposta è stata modificata su richiesta della Commissione europea, che aveva rilevato che in Italia vi era una legislazione regionale che generava incertezza, poiché prevedeva l’annotazione subito dopo l’abbattimento solo per le specie stanziali, mentre, per quelle migratorie, l’adempimento era rinviato alla fine della giornata di caccia.

Secondo la prospettazione della Regione, la legge regionale impugnata garantirebbe l’esigenza di certezza sulla consistenza del prelievo venatorio, poiché il recupero dell’animale, lungi dal costituire una condizione aggiuntiva per l’annotazione, consentirebbe di dirimere ogni dubbio in ordine all’effettività dell’abbattimento, che dovrebbe essere annotato anche se effettuato da terzi.

Pertanto, la previsione censurata non si porrebbe affatto in contrasto con la norma statale interposta, ma anzi ne chiarirebbe la portata applicativa, senza alcun abbassamento del livello di tutela ambientale.

7.– Quanto all’art. 15, comma 1, lettera m), della legge regionale censurata, la difesa della Regione osserva che la norma si è limitata ad ampliare la zona per il recupero dell’animale colpito dall’appostamento di caccia, prevedendo che il suddetto recupero possa avvenire non nell’ambito di cento metri, già previsto dalla legge reg. Lombardia n. 26 del 1993, ma nell’ambito di duecento metri, così da consentire l’apprensione del capo ferito anche quando elementi naturali, come il vento o la corrente d’acqua, lo trasportino oltre il raggio di cento metri dal capanno.

La norma non influirebbe in negativo sulla tutela dell’ambiente e della fauna e non violerebbe le norme interposte richiamate, ovvero l’art. 5, comma 5, e l’art. 12, comma 5, della legge n. 157 del 1992, che si occupano, rispettivamente, di definire quando un appostamento è da considerarsi fisso e quali siano le modalità per l’esercizio venatorio, precisando che si può scegliere solo una delle seguenti forme: vagante in zona Alpi; da appostamento fisso; altre forme consentite dalla legge e praticate nel rimanente territorio destinato all’attività venatoria programmata.

Al contrario, secondo la difesa della Regione, il contenuto delle norme interposte sarebbe stato ribadito dalla norma impugnata poiché essa, ampliando la zona di recupero dell’animale ferito, ha espressamente previsto che rimane fermo il principio di esclusività della caccia e, conseguentemente, il radicamento del cacciatore sul territorio e il rispetto dell’equilibrio faunistico, senza che sia consentito effettuare la caccia in forma diversa da quella prescelta.

Viceversa, a ritenere illegittima la previsione normativa, si svuoterebbe del tutto la competenza regionale in materia di caccia, inibendo anche la possibilità di modificare un aspetto tecnico della legislazione venatoria.

Da ultimo, la Regione rappresenta che, in ogni caso, resta ferma la previsione dell’art. 5 della legge n. 157 del 1992 in materia di distinzione tra caccia da appostamento fisso e in forma vagante, con o senza richiami vivi, e che la normativa comunitaria nulla prescrive sulle distanze per il recupero del capo ferito, così che la norma regionale non può ritenersi con essa in contrasto.

8.– Con riguardo, infine, all’art. 15, comma 1, lettera q), della legge regionale impugnata, la Regione rappresenta che la norma intende introdurre un criterio di misurazione delle distanze tra appostamento fisso e immobili o fabbricati adibiti a civile abitazione o a posto di lavoro, senza incidere sulla disciplina della caccia, e che comunque la norma interposta invocata dalla difesa statale sarebbe inconferente, poiché prevede solo il divieto di sparare a distanza di meno di centocinquanta metri dai suddetti immobili.

9.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha replicato alla difesa regionale con memoria del 19 novembre 2019 ribadendo che, in base al tenore letterale della norma, l’art. 15, comma 1, lettera j), della legge regionale impugnata aggiunge un ulteriore adempimento rispetto alla previsione statale, prevedendo che l’annotazione avvenga dopo l’abbattimento «e» il recupero del capo ferito; l’utilizzo della congiunzione «e» confermerebbe la duplicità delle condizioni richieste, né sarebbe possibile riferire il recupero alla sola annotazione di capi abbattuti da terzi, mancando nel testo ogni prescrizione in tal senso.

Quanto agli argomenti spesi dalla Regione circa la sanzionabilità dell’omessa annotazione, la difesa dello Stato osserva la loro irrilevanza ai fini del giudizio di costituzionalità, poiché l’art. 31 della legge n. 157 del 1992 collega l’irrogazione della sanzione alla violazione delle norme, statali e regionali, senza riferimento al contenuto di esse, così che, nella fattispecie concreta, la condotta sanzionabile sarebbe quella prevista dalla legge regionale ovvero l’omessa annotazione successiva al recupero del capo ferito.

A maggior sostengo delle proprie argomentazioni, l’Avvocatura ricorda come l’esigenza dell’annotazione immediata dell’abbattimento trovi la sua ratio nelle richieste della Commissione europea, che, nel 2014, aveva avviato una procedura (caso EU Pilot 6955/14/ENVI) con una richiesta di informazioni sull’attività di monitoraggio del prelievo venatorio in Italia, poiché aveva rilevato che la legislazione regionale differenziava il momento di insorgenza dell’obbligo di annotazione sul tesserino venatorio in base alla natura, stanziale o migratoria, delle specie monitorate, prevedendo solo per le prime l’annotazione immediata degli abbattimenti e differendo, alla fine della giornata di caccia, l’annotazione degli abbattimenti delle specie migratorie, con negativa incidenza sull’attendibilità dei dati raccolti.

Per chiudere la procedura di infrazione, il legislatore nazionale ha introdotto il comma 12-bis nel testo dell’art. 12 della legge n. 157 del 1992, imponendo l’annotazione immediata dell’abbattimento a garanzia della correttezza del monitoraggio delle specie, così che la richiesta di provvedere al preventivo recupero del capo abbattuto, imposta dalla norma regionale impugnata, frusterebbe le esigenze di certezza e tempestività sollecitate dalla Commissione europea.

10.– Quanto all’art. 15, comma 1, lettera m), della legge regionale impugnata che, a parere della Regione, si limiterebbe ad ampliare la zona di recupero del capo ferito, la difesa dello Stato ribadisce che la norma, nel consentire la mobilità in assetto di caccia anche a coloro che hanno scelto di esercitare l’attività venatoria da appostamento fisso, violerebbe il principio di esclusività della caccia.

11.– Con riferimento, infine, alla previsione dell’art. 15, comma 1, lettera q), la difesa dello Stato osserva di aver correttamente richiamato, quali norme interposte, l’art. 21, comma 1, lettere e) ed f), della legge n. 157 del 1992, che limita l’attività venatoria in ragione delle distanze misurate in termini lineari e non seguendo l’andamento morfologico del terreno, poiché quest’ultima modalità di misurazione comporterebbe una riduzione dello spazio e una corrispondente diminuzione del livello di tutela.

Considerato in diritto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 15, comma 1, lettere j), m) e q), della legge della Regione Lombardia 4 dicembre 2018, n. 17 (Legge di revisione normativa e di semplificazione 2018), in riferimento all’articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, per invasione della sfera di competenza attribuita al legislatore nazionale in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, in relazione a numerose norme della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio).

In particolare, è stato censurato l’art. 15, comma 1, lettera j), della legge reg. Lombardia n. 17 del 2018, che prevede che le annotazioni dei capi di selvaggina migratoria sul tesserino venatorio devono essere effettuate, in modo indelebile, sul posto di caccia, dopo gli abbattimenti e l’avvenuto recupero dell’animale, deducendone il contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione all’art. 12, comma 12-bis, della legge n. 157 del 1992, che prevede che l’annotazione sul tesserino venatorio deve essere effettuata subito dopo l’abbattimento.

Si è impugnato l’art. 15, comma 1, lettera m), della legge reg. Lombardia n. 17 del 2018, in base al quale, ferma restando l’esclusività della forma di caccia prescelta, è consentito il recupero del capo ferito, in attitudine di caccia, nel raggio di duecento metri dal capanno, anche con l’uso del cane da riporto o con l’uso di natante con motore fuoribordo, con obbligo di arma scarica e riposta nell’apposita custodia, deducendone il contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione agli artt. 5, comma 5, e 12, comma 5, della legge n. 157 del 1992, che fissano il principio di esclusività dell’opzione di caccia, per cui il cacciatore, con opzione in via esclusiva per la caccia da appostamento con richiami vivi, non può esercitare la caccia in forma vagante per la stagione venatoria in corso.

Infine, si è impugnato l’art. 15, comma 1, lettera q), della legge reg. Lombardia n. 17 del 2018, che prevede che le distanze attinenti agli appostamenti di caccia devono essere misurate seguendo il profilo morfologico del terreno, deducendone il contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione all’art. 21, comma 1, lettere e) ed f), della legge n. 157 del 1992, che, nel porre prescrizioni in materia di distanze da rispettare per l’esercizio dell’attività venatoria, a tutela della pubblica incolumità, impongono che la misurazione avvenga in forma lineare.

2.– La prima norma impugnata dal Presidente del Consiglio dei ministri è l’art. 15, comma 1, lettera j), della legge reg. Lombardia n. 17 del 2018 che, modificando le prescrizioni di cui all’art. 22, comma 7, della legge della Regione Lombardia 16 agosto 1993, n. 26 (Norme per la protezione della fauna selvatica e per la tutela dell’equilibrio ambientale e disciplina dell’attività venatoria), prevede che le annotazioni sul tesserino venatorio dei capi abbattuti devono essere effettuate dopo gli abbattimenti e l’avvenuto recupero; tale previsione sarebbe in contrasto con l’art. 12, comma 12-bis, della legge n. 157 del 1992, che impone l’annotazione subito dopo l’abbattimento, poiché la necessità di provvedere al preventivo recupero dell’animale consentirebbe di escludere dal conteggio i capi non recuperabili per ragioni logistiche quali la sopraggiunta scarsa luminosità o la caduta di essi in un luogo impervio.

La Regione si è difesa suggerendo una diversa interpretazione della norma censurata secondo cui essa, lungi dal porre un adempimento aggiuntivo per procedere all’annotazione, avrebbe imposto al cacciatore di registrare sul tesserino venatorio anche il mero rinvenimento di un animale abbattuto da terzi.

3.– La questione è fondata.

Il possesso del tesserino venatorio per il legittimo esercizio della caccia è imposto dall’art. 12, comma 12, della legge n. 157 del 1992; il documento viene rilasciato dalla regione di residenza e indica le specifiche norme inerenti al calendario regionale, alla forma di caccia prescelta e agli ambiti territoriali in cui essa è consentita.

Questa Corte ha riconosciuto al tesserino venatorio funzione abilitativa e di controllo per la verifica della selvaggina cacciata e il rispetto del regime della caccia controllata (sentenza n. 90 del 2013); infatti, attraverso le annotazioni presenti sul tesserino, sono acquisiti gli elementi di conoscenza della consistenza numerica della fauna selvatica, necessari a predisporre le misure di salvaguardia, in special modo quelle riguardanti le specie più vulnerabili.

4.– L’attendibilità dei dati raccolti è maggiormente garantita quando l’adempimento viene effettuato in maniera tempestiva e, per tale ragione, il legislatore nazionale, con la legge 7 luglio 2016, n. 122 (Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea – Legge europea 2015-2016), ha aggiunto il comma 12-bis all’art. 12 della legge n. 157 del 1992, prevedendo che l’annotazione sul tesserino venatorio debba essere effettuata subito dopo l’abbattimento, sia per la fauna selvatica stanziale che per quella migratoria.

L’intervento normativo deriva da una sollecitazione della Commissione europea, poiché l’art. 12 della legge n. 157 del 1992 non prevedeva un tempo specifico per adempiere all’obbligo di annotazione, e la Commissione europea, nell’ambito della procedura avviata nei confronti dell’Italia (caso EU Pilot 6955/14/ENVI) con richiesta di informazioni sull’attività di monitoraggio del prelievo venatorio, aveva riscontrato l’esistenza di una variegata legislazione regionale, che consentiva di differire, con riferimento alle sole specie migratorie, l’annotazione degli abbattimenti al termine della giornata di caccia.

Secondo la Commissione europea, l’assenza di una regolamentazione omogenea generava difficoltà nell’espletamento dei controlli da parte delle autorità competenti e il tempo trascorso tra l’abbattimento e l’annotazione rendeva inattendibili i dati raccolti.

Pertanto, l’aggiunta del comma 12-bis all’art. 12 della legge n. 157 del 1992 si è resa necessaria per la chiusura della ricordata procedura e per garantire una raccolta più puntuale delle informazioni, derivante dalla contestualità dell’annotazione, in funzione dell’efficace programmazione del prelievo faunistico.

La finalità di tutela delle specie sottesa all’art. 12, comma 12-bis, della legge n. 157 del 1992 motiva l’inclusione della norma nell’ambito delle prescrizioni statali costituenti soglie minime di protezione ambientale (sentenza n. 249 del 2019), non derogabili neppure nell’esercizio della competenza regionale in materia di caccia, salva la possibilità di prescrivere livelli di tutela ambientale più elevati di quelli previsti dallo Stato (sentenze n. 174 e n. 74 del 2017, n. 278 del 2012, n. 104 del 2008 e n. 378 del 2007).

Nella prospettiva di tutela della sopravvivenza della fauna selvatica, l’obbligo di annotazione non può che investire l’abbattimento dell’esemplare, inteso come evento effettivamente realizzatosi, a nulla rilevando la materiale apprensione del capo.

Dunque, la norma censurata, che subordina le annotazioni sul tesserino venatorio al preventivo recupero dell’animale, frustra la ratio sottesa alla disciplina normativa statale e abbassa la soglia di protezione da essa stabilita.

La criticità non è superabile accedendo alla tesi della difesa regionale, che ritiene di aver esteso l’adempimento ai casi di recupero di abbattimenti effettuati da terzi, poiché l’interpretazione offerta trova ostacolo nel dato letterale della norma, che utilizza la congiunzione «e» e non la disgiunzione «o», per precisare che l’annotazione va effettuata dopo l’abbattimento e l’avvenuto recupero.

5.– Pertanto, va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 15, comma 1, lettera j), della legge reg. Lombardia n. 17 del 2018 nella parte in cui ha sostituito le parole «dopo gli abbattimenti accertati» con le parole «dopo gli abbattimenti e l’avvenuto recupero». Ciò in quanto l’ulteriore requisito dell’avvenuto recupero, per procedere all’annotazione sul tesserino venatorio dei capi abbattuti, determina un abbassamento del livello statale di tutela ambientale.

6.– La seconda questione prospettata ha ad oggetto l’art. 15, comma 1, lettera m), dell’impugnata legge regionale, secondo cui la selvaggina ferita può essere recuperata fino a duecento metri dal capanno, in attitudine di caccia e con l’uso del cane o del natante, ma con arma scarica e riposta in custodia.

Il Presidente del Consiglio dei ministri ha dedotto la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione al principio di esclusività della caccia, per il quale il cacciatore può esercitarla solo nella singola modalità prescelta, come stabilito dall’art. 12, comma 5, della legge n. 157 del 1992, così evitando di esporre tutto il territorio agro-silvo-pastorale all’esercizio venatorio indiscriminato.

Secondo la prospettazione del ricorrente, la norma censurata, consentendo di vagare fuori dal capanno in assetto di caccia, autorizzerebbe colui che ha optato per la caccia da appostamento fisso a esercitarla in una modalità aggiuntiva.

7.– La questione non è fondata.

La prescrizione è stata posta dalla Regione nell’ambito dell’esercizio della potestà legislativa residuale in materia di caccia, che subisce limiti per effetto della normativa statale quando la materia regionale si sovrappone, per naturale coincidenza, con ambiti afferenti ad interessi diversi che insistono su specifici aspetti del bene ambiente, così che le attribuzioni legislative delle Regioni non possono essere esercitate abbassando lo standard di tutela ambientale previsto dal legislatore nazionale (sentenze n. 74 del 2017 e n. 278 del 2012).

8.– Il recupero del capo ferito da appostamento fisso, come previsto dalla legge regionale censurata, integra un’attività neutra ai fini della tutela ambientale, poiché deve avvenire con arma scarica e riposta nell’apposita custodia; pertanto, essendo esclusa la possibilità di uccisione di capi aggiuntivi rispetto a quelli già feriti, il recupero non può essere ricondotto alla caccia vagante, che si aggiungerebbe a quella da appostamento fisso prescelta dal cacciatore che spara dal capanno.

La norma censurata, che ha allargato il raggio di azione nell’ambito del quale si può procedere al recupero dell’animale, va ricondotta al legittimo esercizio della competenza residuale delle Regioni in materia di caccia, quale disciplina delle modalità di esercizio delle attività afferenti ad essa.

9.– Venendo, infine, alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 15, comma 1, lettera q), della legge reg. Lombardia n. 17 del 2018, il Presidente del Consiglio dei ministri lamenta che la norma, imponendo di verificare le distanze dei capanni di caccia dagli immobili destinati ad abitazione o al lavoro e quelle per l’uso delle armi da sparo seguendo l’andamento morfologico del terreno, sarebbe in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione alle prescrizioni dell’art. 21, comma 1, lettere e) ed f), della legge n. 157 del 1992, relative al rispetto delle distanze minime dai fabbricati adibiti ad abitazione o al lavoro e dalle vie di comunicazione e dalle strade e al rispetto delle distanze per l’esercizio venatorio e per l’uso dei fucili da caccia.

10.– La questione non è fondata.

Le prescrizioni dell’art. 21 della legge n. 157 del 1992, che sono state indicate quali norme interposte rispetto alla violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., sono estranee alla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema.

11.– Questa Corte ha più volte affermato che per individuare la materia in cui si colloca la norma, interposta nella specie, occorre aver riguardo all’oggetto, alla ratio e alla finalità della disciplina, verificando il nucleo centrale delle prescrizioni e le finalità dell’intervento legislativo, a prescindere dagli effetti riflessi (sentenze n. 116 del 2019, n. 108 e n. 81 del 2017 e n. 21 del 2016).

Gli specifici divieti previsti dall’art. 21 della legge n. 157 del 1992 mirano a garantire la tutela di coloro che, trovandosi nei pressi del cacciatore, possono essere coinvolti dalla sua attività; le norme hanno valenza preventiva e sono volte a stabilire condizioni di sicurezza minime, a garanzia della pubblica incolumità.

Diversamente, la prescrizione dell’art. 15, comma 1, lettera q), della legge reg. Lombardia n. 17 del 2018, adottata in tema di modalità di misurazione delle distanze, in quanto volta alla disciplina dell’attività venatoria, ricade nell’ambito della competenza legislativa regionale residuale in materia di caccia, che è legittimamente esercitata anche quando le prescrizioni tecniche per il suo esercizio sono dettate in vista della tutela di interessi diversi, che si intrecciano o contrappongono a quello del cacciatore e che, nella specie, afferiscono alla pubblica incolumità.

La materia su cui ha inciso la legge regionale impugnata è del tutto estranea a quella ambientale, poiché non coinvolge alcun aspetto relativo alla conservazione della fauna e dell’ecosistema, così che la questione – che, in relazione alle norme indicate quali parametri interposti, avrebbe dovuto essere prospettata per tutt’altro parametro costituzionale e cioè per violazione delle attribuzioni statali in materia di ordine pubblico – va rigettata.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 15, comma 1, lettera j), della legge della Regione Lombardia 4 dicembre 2018, n. 17 (Legge di revisione normativa e di semplificazione 2018), nella parte in cui ha sostituito le parole «dopo gli abbattimenti accertati» con le parole «dopo gli abbattimenti e l’avvenuto recupero»;

2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 15, comma 1, lettera m), della legge reg. Lombardia n. 17 del 2018, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione e in relazione agli artt. 5, comma 5, e 12, comma 5, della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), con il ricorso indicato in epigrafe;

3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 15, comma 1, lettera q), della legge reg. Lombardia n. 17 del 2018, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. e in relazione all’art. 21, comma 1, lettere e) ed f), della legge n. 157 del 1992, con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 novembre 2019.

F.to:

Aldo CAROSI, Presidente

Giulio PROSPERETTI, Redattore

Filomena PERRONE, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 27 dicembre 2019.