Sentenza n. 249 del 2019

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SENTENZA N. 249

ANNO 2019

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giorgio LATTANZI;

Giudici: Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, della legge della Regione Marche 7 novembre 2018, n. 44 (Modifiche alla legge regionale 5 gennaio 1995, n. 7 “Norme per la protezione della fauna selvatica e per la tutela dell’equilibrio ambientale e disciplina dell’attività venatoria” e disposizioni urgenti sulla pianificazione faunistico-venatoria), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 27 dicembre 2018-7 gennaio 2019, depositato in cancelleria il 28 dicembre 2018, iscritto al n. 86 del registro ricorsi 2018 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4, prima serie speciale, dell’anno 2019.

Visto l’atto di costituzione della Regione Marche;

udito nell’udienza pubblica del 22 ottobre 2019 il Giudice relatore Luca Antonini;

uditi l’avvocato dello Stato Marina Russo per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Stefano Grassi per la Regione Marche.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso spedito per la notificazione il 27 dicembre 2018 e depositato in cancelleria il 28 dicembre 2018, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato l’art. 2, comma 1, della legge della Regione Marche 7 novembre 2018, n. 44 (Modifiche alla legge regionale 5 gennaio 1995, n. 7 “Norme per la protezione della fauna selvatica e per la tutela dell’equilibrio ambientale e disciplina dell’attività venatoria” e disposizioni urgenti sulla pianificazione faunistico-venatoria).

La disposizione impugnata inserisce all’art. 29 (Tesserino di caccia) della legge della Regione Marche 5 gennaio 1995, n. 7 (Norme per la protezione della fauna selvatica e per la tutela dell’equilibrio ambientale e disciplina dell’attività venatoria), il comma 5-bis, il quale dispone che «[i]l cacciatore deve annotare in modo indelebile, negli appositi spazi del tesserino personale, il numero di capi di selvaggina stanziale e migratoria dopo gli abbattimenti accertati».

2.– Ad avviso del ricorrente, questa norma violerebbe, in primo luogo, l’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, invadendo la competenza legislativa esclusiva statale nella materia «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», dal momento che, secondo l’orientamento della giurisprudenza costituzionale, la disciplina dettata dalla legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio) rappresenterebbe quel nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica il cui rispetto deve essere assicurato sull’intero territorio nazionale, «ponendo regole che possono essere modificate dalle Regioni, nell’esercizio della loro potestà legislativa in materia di caccia, esclusivamente nella direzione dell’innalzamento del livello di tutela».

Nel caso di specie, tale nucleo minimo sarebbe ravvisabile nella norma posta dall’art. 12, comma 12-bis, della citata legge n. 157 del 1992 – introdotto dall’art. 31 della legge 7 luglio 2016, n. 122 (Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea - Legge europea 2015-2016), al fine di risolvere le criticità sollevate dalla Commissione europea in occasione della procedura «EU pilot 6955/14/ENVI» –, il quale, prevedendo che la fauna selvatica stanziale e migratoria debba essere annotata sul tesserino venatorio «subito dopo l’abbattimento», avrebbe lo scopo «di fornire un dato reale sul prelievo venatorio».

Secondo l’Avvocatura, la norma impugnata, «intesa nel senso» che i capi di selvaggina possano non essere annotati «subito dopo l’abbattimento», si porrebbe in contrasto con tale disciplina, determinando una riduzione del livello minimo di protezione della fauna.

Per effetto della stessa disposizione «potrebbero, invero, non venire riportati sul tesserino venatorio i capi di selvaggina feriti, non rinvenuti, o quelli per cui, anche se abbattuti, particolari condizioni di tempo, luce e sparo ne impediscano il recupero».

3.– In secondo luogo, ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, l’art. 2, comma 1, della legge reg. Marche n. 44 del 2018 recherebbe un vulnus anche all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione al sopra menzionato «caso EU pilot 6955/14/ENVI».

La disposizione censurata difatti, «modificando» l’art. 12, comma 12-bis, della legge n. 157 del 1992 – norma preordinata a superare le criticità oggetto della menzionata procedura di pre-infrazione – «ripropo[rrebbe] le illegittimità riscontrate dalla Commissione europea», così ledendo l’evocato parametro costituzionale.

4.– Si è costituita la Regione Marche, chiedendo la declaratoria d’inammissibilità e di infondatezza delle questioni promosse.

4.1.– La Regione resistente prende le mosse dalla questione prospettata in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., eccependone l’inammissibilità per omessa individuazione del parametro interposto.

Il ricorrente non avrebbe, infatti, indicato le norme europee e i conseguenti vincoli in ipotesi violati; né sarebbe sufficiente la mera evocazione – che peraltro si tradurrebbe in una motivazione per relationem – delle «illegittimità riscontrate dalla Commissione europea», non essendo state in alcun modo precisate le ragioni in forza delle quali è stata aperta l’indicata procedura.

4.2.– Sarebbe, invece, infondata, a parere della Regione Marche, la questione promossa in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

Contrariamente a quanto ipotizzato dal ricorrente, infatti, la norma impugnata non escluderebbe che i capi di selvaggina debbano essere annotati sul tesserino venatorio subito dopo il loro abbattimento, limitandosi piuttosto a precisare che tale annotazione presuppone che l’abbattimento stesso sia «accertato», ovvero costituisca un dato reale ed effettivo, e non semplicemente «presunto».

Così rettamente interpretata, la disposizione censurata non comporterebbe, avuto particolare riguardo al momento in cui deve essere effettuata l’annotazione, una diminuzione dello standard minimo di tutela della fauna stabilito dal legislatore nazionale con l’art. 12, comma 12-bis, della legge n. 157 del 1992. Essa, d’altro canto, sarebbe del tutto coerente con il disposto della norma statale appena citata, giacché anche questa impone ai cacciatori l’annotazione della fauna «abbattuta» e non «di quella che, per l’appunto, non risulti tale».

5.– In prossimità dell’udienza, la Regione Marche ha depositato tempestiva memoria.

5.1.– Con riferimento alla questione riferita all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., la resistente segnala che non è stata oggetto di impugnazione da parte del Presidente del Consiglio dei ministri la legge della Regione Toscana 28 luglio 2017, n. 37 (Disposizioni in materia faunistico-venatoria e di manufatti per esigenze venatorie. Modifiche alle leggi regionali 3/1994, 84/2016 e 65/2014), il cui art. 8 prevede che «[n]el tesserino è annotata, subito dopo l’abbattimento accertato, la fauna selvatica stanziale e migratoria abbattuta». Ad avviso della Regione Marche, tale disposizione espliciterebbe ciò che nella norma impugnata con l’odierno ricorso «è rimasto sotteso […], ovvero che l’accertamento dell’abbattimento di un esemplare della fauna selvatica non impedi[rebbe] affatto» di annotare l’evento subito dopo l’abbattimento stesso.

Analogamente, la resistente evidenzia che nemmeno vi è stata impugnativa statale nei confronti di una «previsione identica» a quella oggetto del presente giudizio, contenuta nell’art. 8, comma 1, lettera c), della legge della Regione Lombardia 28 dicembre 2017, n. 37 (Disposizioni per l’attuazione della programmazione economico-finanziaria regionale, ai sensi dell’articolo 9-ter della L.R. 31 marzo 1978, n. 34 “Norme sulle procedure della programmazione, sul bilancio e sulla contabilità della Regione” - Collegato 2018), che ha sostituito il comma 7 dell’art. 22 della legge della Regione Lombardia 16 agosto 1993, n. 26 (Norme per la protezione della fauna selvatica e per la tutela dell’equilibrio ambientale e disciplina dell’attività venatoria). Viceversa, la memoria sottolinea che è stata invece impugnata la modifica – apportata dall’art. 15, comma 1, lettera j), della legge della Regione Lombardia 4 dicembre 2018, n. 17 (Legge di revisione normativa e di semplificazione 2018) – alla disposizione da ultimo richiamata, che ora richiede di compiere l’annotazione «dopo gli abbattimenti e l’avvenuto recupero»: tale locuzione, assente nella disposizione marchigiana, imporrebbe di recuperare il capo abbattuto prima di procedere all’annotazione sul tesserino e ciò giustificherebbe, secondo la resistente, la censura del Presidente del Consiglio.

Anche alla luce delle considerazioni appena esposte, la norma impugnata non si porrebbe dunque in contrasto con l’art. 12, comma 12-bis, della legge n. 157 del 1992.

5.2.– Quanto, invece, alla censura riferita all’art. 117, primo comma, Cost., la memoria ne ribadisce la manifesta inammissibilità e in ogni caso la infondatezza, precisando che la norma impugnata risulterebbe in linea con quanto richiesto dalla Commissione europea in ordine alla necessità di prevedere, per tutte le specie senza distinzioni, l’annotazione della fauna dopo l’abbattimento.

Considerato in diritto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato l’art. 2, comma 1, della legge della Regione Marche 7 novembre 2018, n. 44 (Modifiche alla legge regionale 5 gennaio 1995, n. 7 “Norme per la protezione della fauna selvatica e per la tutela dell’equilibrio ambientale e disciplina dell’attività venatoria” e disposizioni urgenti sulla pianificazione faunistico-venatoria), in riferimento all’art. 117, primo e secondo comma, lettera s), della Costituzione.

La disposizione impugnata inserisce all’art. 29 (Tesserino di caccia) della legge della Regione Marche 5 gennaio 1995, n. 7 (Norme per la protezione della fauna selvatica e per la tutela dell’equilibrio ambientale e disciplina dell’attività venatoria), il comma 5-bis, il quale dispone che «[i]l cacciatore deve annotare in modo indelebile, negli appositi spazi del tesserino personale, il numero di capi di selvaggina stanziale e migratoria dopo gli abbattimenti accertati».

2.– Con una prima censura, il ricorrente ritiene violato l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., per invasione della competenza legislativa esclusiva statale nella materia «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», in quanto l’art. 12, comma 12-bis, della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), prevedendo che «[l]a fauna selvatica stanziale e migratoria abbattuta deve essere annotata sul tesserino venatorio di cui al comma 12 subito dopo l’abbattimento», integrerebbe uno standard minimo di salvaguardia della fauna selvatica, il cui rispetto deve essere assicurato sull’intero territorio nazionale.

La norma regionale impugnata, invece, «intesa nel senso» che i capi non debbano essere necessariamente annotati subito dopo l’abbattimento, derogherebbe al suddetto standard statale riducendo il livello di tutela della fauna. Inoltre, in forza della stessa disposizione regionale potrebbero «non venire riportati sul tesserino venatorio i capi di selvaggina feriti, non rinvenuti, o quelli per cui, anche se abbattuti, particolari condizioni di tempo, luce e sparo ne impediscano il recupero».

3.– La questione non è fondata, nei termini di seguito precisati.

3.1.– Questa Corte ha già avuto modo di affermare che l’art. 12, comma 12, della legge n. 157 del 1992, laddove stabilisce che ai fini dell’esercizio dell’attività venatoria è necessario il possesso di un apposito tesserino rilasciato dalla Regione di residenza, esprime «una soglia uniforme di protezione da osservare su tutto il territorio nazionale» (sentenza n. 90 del 2013; nello stesso senso, sentenza n. 278 del 2012). Tale documento riveste, infatti, una generale funzione abilitativa e di controllo, la quale si aggiunge all’altra, che gli è parimenti propria, di consentire una verifica sulla selvaggina cacciata (sentenza n. 90 del 2013).

Va peraltro precisato che il citato art. 12, comma 12, prescrive soltanto che il tesserino indichi le specifiche norme inerenti il calendario regionale, nonché le forme in cui l’esercizio venatorio può essere praticato (individuate dal comma 5 dello stesso articolo, e tra le quali il cacciatore sceglie quella da esercitare in via esclusiva) e gli ambiti territoriali di caccia ove è consentita l’attività venatoria. Le modalità inerenti l’annotazione sul tesserino dei capi di fauna abbattuti sono state, invece, disciplinate dalle Regioni, in via legislativa o regolamentare, e questa Corte, in passato, ha ritenuto che il suddetto art. 12, comma 12, non dettasse alcuna prescrizione specifica in ordine a tali modalità di annotazione, rimesse in linea di massima alla potestà legislativa residuale regionale inerente l’attività venatoria (sentenze n. 227 del 2011 e n. 332 del 2006).

3.2.– La previsione che sul tesserino debbano essere eseguite le annotazioni dei capi di fauna abbattuti è stata introdotta dal legislatore statale solo successivamente, con l’art. 31 della legge 7 luglio 2016, n. 122 (Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea - Legge europea 2015-2016), che ha aggiunto all’art. 12 della legge n. 157 del 1992 il comma 12-bis.

Come risulta dalla relazione al disegno di legge governativo, tale disposizione è finalizzata alla chiusura di alcune questioni inerenti il caso citato nella rubrica dello stesso art. 31 (Disposizioni relative alla protezione della fauna selvatica omeoterma e al prelievo venatorio. Caso EU Pilot 6955/14/ENVI), avviato dalla Commissione europea nell’ottobre 2014 con una richiesta di informazioni sull’attività di monitoraggio del prelievo venatorio in Italia e sul relativo impatto, in particolare con riferimento alle specie in cattivo stato di conservazione.

Nel corso di tale procedura informativa era stato rilevato, in particolare, che le previsioni di numerose Regioni, collocando l’obbligo di annotare i capi di fauna migratoria abbattuti solo al termine della giornata di caccia (o – ma unicamente per le specie di fauna stanziale – subito dopo il singolo abbattimento), rendevano più difficili le operazioni di controllo, riducendo altresì l’affidabilità dei dati raccolti.

3.3.– L’introduzione del comma 12-bis nell’art. 12 della legge n. 157 del 1992 persegue dunque la chiara finalità di dettare una disciplina uniforme dell’annotazione sul tesserino degli abbattimenti di capi di fauna selvatica, sia essa stanziale o migratoria: la prescritta tempestività dell’annotazione stessa rispetto al momento dell’abbattimento (e la connessa sanzionabilità dell’omissione mediante l’illecito amministrativo previsto dall’art. 31, comma 1, lett. i, della legge n. 157 del 1992) è preordinata ad assicurare maggiore efficacia ai controlli sulla selvaggina cacciata e a conseguire dal complesso dei tesserini venatori dati più genuini e affidabili in ordine alla effettiva consistenza della popolazione faunistica.

A tale riguardo, mette conto altresì rilevare che la direttiva 2009/147/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 novembre 2009, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, prevede all’art. 2 che «[g]li Stati membri adottano le misure necessarie per mantenere o adeguare la popolazione di tutte le specie di uccelli di cui all’articolo 1 a un livello che corrisponde in particolare alle esigenze ecologiche, scientifiche e culturali, pur tenendo conto delle esigenze economiche e ricreative», mentre all’art. 7, paragrafo 4, impone agli Stati di accertarsi che «l’attività venatoria […] rispetti i principi di una saggia utilizzazione e di una regolazione ecologicamente equilibrata delle specie di uccelli interessate e sia compatibile, per quanto riguarda la popolazione delle medesime, in particolare delle specie migratrici, con le disposizioni derivanti dall’articolo 2. […] Gli Stati membri trasmettono alla Commissione tutte le informazioni utili sull’applicazione pratica della loro legislazione sulla caccia».

Le prescrizioni dettate dall’art. 12, comma 12-bis, della legge n. 157 del 1992 sono quindi finalizzate – anche in ottemperanza a tali principi – a garantire l’efficacia dei controlli sugli abbattimenti e, per tale via, la rilevazione di dati attendibili al riguardo, quale necessaria premessa di una consapevole programmazione venatoria e dell’adozione di misure di protezione della selvaggina appropriate in quanto basate sulla conoscenza della consistenza effettiva della popolazione faunistica: in quest’ottica, la portata precettiva della norma statale concorre a definire il nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica, stabilendo una soglia uniforme di protezione da osservare su tutto il territorio nazionale.

3.4.– Venendo, dunque, alle specifiche censure mosse dal ricorrente, sotto un primo profilo non si può concludere che l’assenza nella norma impugnata della parola «subito» valga di per sé a ridurre il livello minimo di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema stabilito dalla disposizione statale che, con tale avverbio, sottolinea la immediatezza dell’obbligo di annotazione del capo abbattuto.

La norma impugnata, infatti, collega l’obbligo predetto all’evento dell’abbattimento e non, invece, a eventi successivi e da questo distinti (come il «recupero»), dei quali non vi è menzione nella disposizione stessa. Può ben dirsi, dunque, che già dopo l’abbattimento l’annotazione sul tesserino divenga immediatamente esigibile per il cacciatore.

D’altro canto, dai lavori preparatori della legge reg. Marche n. 44 del 2018 risulta che il testo unificato approvato dalla commissione referente, poi divenuto legge, non ha recepito la diversa proposta che, nel prevedere l’obbligo di annotazione, da un lato, ripeteva l’espressione della legge statale («subito dopo l’abbattimento») ma, dall’altro, vi aggiungeva le parole «e l’avvenuto recupero»: criterio, questo, che avrebbe differito l’annotazione a un momento, quello della concreta apprensione da parte del cacciatore, necessariamente successivo all’abbattimento stesso.

Pertanto, la norma regionale, interpretata nel senso che il cacciatore debba annotare il capo di fauna selvatica immediatamente dopo l’abbattimento, non riduce lo standard di tutela della fauna selvatica introdotto dalla legge statale.

3.5.– Né, sotto altro profilo, può valere a procrastinare l’obbligo di immediata annotazione – e, quindi, a ridurre lo standard di tutela stabilito dalla norma statale – la specificazione, da parte della disposizione regionale, dell’abbattimento come «accertato».

Al riguardo, occorre innanzitutto precisare che il concetto di abbattimento utilizzato dal comma 12-bis dell’art. 12 della legge n. 157 del 1992 si riferisce evidentemente solo all’avvenuta uccisione del capo di fauna selvatica, conformemente al significato che tale termine assume nel più generale sistema della medesima legge, anche perché è l’unico rispondente all’esigenza di conseguire dati certi sulla reale entità della popolazione faunistica.

Ciò premesso va altresì chiarito che se l’abbattimento ben può essere percepito contestualmente all’atto di caccia, tuttavia, in tutti gli altri casi di mancata evidenza, la sua verifica potrebbe richiedere un accertamento dell’effettiva uccisione del capo di fauna, che il cacciatore dovrà comunque effettuare – è opportuno precisarlo – immediatamente dopo avere sparato.

Così interpretata, dunque, la norma impugnata non collide con quella statale, la quale è sì incentrata sulla massima tempestività dell’annotazione, ma pur sempre in relazione a un evento effettivamente realizzatosi, coerentemente con la sopra evidenziata finalità di consentire un monitoraggio basato su dati genuini circa la consistenza della popolazione faunistica.

3.6.– Le considerazioni appena svolte consentono d’altro canto di escludere la fondatezza anche dell’ulteriore profilo di censura, che il ricorrente ravvisa in una serie di situazioni – capi di selvaggina feriti, o non rinvenuti, o abbattuti, ma di cui particolari condizioni di tempo, luce e sparo impediscano il recupero – in cui, per effetto della interpretazione prospettata dal ricorso statale, l’annotazione non sarebbe dovuta.

Sia nel caso del capo di fauna ferito che in quello del capo non rinvenuto, la ratio della norma statale non viene difatti in rilievo: mancando un abbattimento effettivo, il dato numerico della fauna selvatica non risulta con certezza alterato. Né, peraltro, si può ritenere, alla luce delle finalità di acquisire informazioni affidabili, che la norma statale obblighi ad annotare eventi incerti con l’effetto paradossale, peraltro contraddittorio rispetto alla finalità di tutela della fauna selvatica, di fornire dati solo ipotetici in merito alla sua composizione.

Quanto, invece, ai capi abbattuti, ma di cui non sia possibile il recupero, la circostanza che l’avvenuto abbattimento sia postulato dallo stesso ricorrente nel formulare la suddetta ipotesi, rende evidente che l’obbligo della relativa annotazione debba considerarsi già sorto, così che non sono idonee a farlo venir meno le particolari condizioni di tempo, luce e sparo che impediscano il recupero stesso.

3.7.– In conclusione, il percorso argomentativo fin qui illustrato conduce a una interpretazione adeguatrice della norma impugnata in senso compatibile con lo standard minimo e uniforme stabilito da quella statale e, pertanto, nei sensi precisati, all’esito di non fondatezza della questione.

4.– Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, l’art. 2, comma 1, della legge reg. Marche n. 44 del 2018 si porrebbe in contrasto anche con l’art. 117, primo comma, Cost., poiché «modificando» l’art. 12, comma 12-bis, della legge n. 157 del 1992, norma preordinata a superare le criticità oggetto del menzionato caso EU Pilot 6955/14/ENVI, «ripropo[rrebbe] le illegittimità riscontrate dalla Commissione europea».

4.1– La Regione Marche ha eccepito la inammissibilità della questione, per manifesta genericità della censura.

L’eccezione è fondata.

Come questa Corte ha più volte chiarito, il ricorso in via principale deve identificare «esattamente la questione nei suoi termini normativi, indicando le norme costituzionali (ed eventualmente interposte) e ordinarie, la definizione del cui rapporto di compatibilità o incompatibilità costituisce l’oggetto della questione e, inoltre, deve contenere una argomentazione di merito a sostegno della richiesta declaratoria di illegittimità costituzionale» (ex plurimis, sentenza n. 63 del 2016; nello stesso senso, ordinanza n. 201 del 2017).

La censura statale, invece, non indica alcuna disposizione sovranazionale contrastante con quella impugnata, in contrasto con il costante orientamento della giurisprudenza costituzionale che esclude l’ammissibilità delle questioni sollevate in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost. senza la specificazione delle norme interposte violate (ex plurimis, sentenza n. 156 del 2016; ordinanza n. 201 del 2017).

Né l’onere di identificare esattamente la questione può ritenersi assolto dal riferimento al caso EU Pilot sopra menzionato, mancando nel ricorso qualsiasi argomentazione in merito al contenuto delle violazioni asseritamente riscontrate dalla Commissione europea. A ciò si aggiunga che il meccanismo da questa attivato non necessariamente rappresenta un indice univoco della violazione di norme europee, essendo esso finalizzato principalmente, come emerge dalla comunicazione della Commissione del 5 settembre 2007, “Un’Europa dei risultati – applicazione del diritto comunitario”, allo scambio di informazioni e alla risoluzione di problemi in tema di applicazione del diritto dell’Unione europea nella fase antecedente all’apertura formale della procedura di infrazione ai sensi dell’art. 258 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130.

Deve quindi essere dichiarata l’inammissibilità della questione riferita all’art. 117, primo comma, Cost.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, della legge della Regione Marche 7 novembre 2018, n. 44 (Modifiche alla legge regionale 5 gennaio 1995, n. 7 “Norme per la protezione della fauna selvatica e per la tutela dell’equilibrio ambientale e disciplina dell’attività venatoria” e disposizioni urgenti sulla pianificazione faunistico-venatoria), promossa, in riferimento all’art. 117, primo comma, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;

2) dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, della legge reg. Marche n. 44 del 2018, promossa, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 ottobre 2019.

F.to:

Giorgio LATTANZI, Presidente

Luca ANTONINI, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 4 dicembre 2019.