Sentenza n. 171 del 2019

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SENTENZA N. 171

ANNO 2019

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giorgio LATTANZI;

Giudici: Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 6, comma 7, e 13, comma 1, della legge della Regione Piemonte 19 giugno 2018, n. 5 (Tutela della fauna e gestione faunistico-venatoria), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il 17-22 agosto 2018, depositato in cancelleria il 24 agosto 2018, iscritto al n. 55 del registro ricorsi 2018 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell’anno 2018.

Visto l’atto di costituzione della Regione Piemonte;

udito nella udienza pubblica del 4 giugno 2019 il Giudice relatore Daria de Pretis;

uditi l’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Massimo Colarizi per la Regione Piemonte.

Ritenuto in fatto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna gli artt. 6, comma 7, e 13, comma 1, della legge della Regione Piemonte 19 giugno 2018, n. 5 (Tutela della fauna e gestione faunistico-venatoria). L’art. 6, comma 7, prevedeva, nel testo vigente al momento del ricorso, quanto segue: «Il proprietario o il conduttore di un fondo che intende vietare sullo stesso l’esercizio dell’attività venatoria inoltra al Presidente della provincia e al sindaco della Città metropolitana di Torino e, per conoscenza all’ATC o CA di competenza, una richiesta motivata che, ai sensi dell’articolo 20 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), in assenza di risposta entro i termini ivi contenuti si intende accolta. La Giunta regionale, sentita la commissione consiliare competente, stabilisce i criteri e le modalità di esercizio del presente divieto, compresa l’apposizione, a cura del proprietario o del conduttore del fondo ove insiste il divieto di caccia, di tabelle esenti da tasse, che delimitano in maniera chiara e visibile il perimetro dell’area interessata».

Tale disposizione sarebbe illegittima per due motivi. In primo luogo, secondo il ricorrente essa si porrebbe in contrasto con l’art. 842 del codice civile, con l’art. 15 della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), e con l’art. 20, comma 4, della legge n. 241 del 1990, là dove prevede il meccanismo del silenzio-assenso sulla richiesta del privato di vietare la caccia sul suo fondo.

L’art. 842 cod. civ. stabilisce che «[i]l proprietario di un fondo non può impedire che vi si entri per l’esercizio della caccia, a meno che il fondo sia chiuso nei modi stabiliti dalla legge sulla caccia o vi siano colture in atto suscettibili di danno». L’art. 15, comma 3, della legge n. 157 del 1992 stabilisce che «[i]l proprietario o conduttore di un fondo che intenda vietare sullo stesso l’esercizio dell’attività venatoria deve inoltrare, entro trenta giorni dalla pubblicazione del piano faunistico-venatorio, al presidente della giunta regionale richiesta motivata che, ai sensi dell’art. 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241, dalla stessa è esaminata entro sessanta giorni».

Il silenzio-assenso non sarebbe previsto dall’art. 15 della legge n. 157 del 1992 e sarebbe escluso in materia ambientale dall’art. 20 della legge n. 241 del 1990. Poiché il divieto riguarderebbe un fondo in cui la pianificazione regionale consente la caccia “in movimento”, secondo il ricorrente la Regione deve valutare necessariamente la compatibilità ambientale del provvedimento di esclusione della caccia. Dunque, l’introduzione di una semplificazione procedurale come il silenzio-assenso violerebbe, tramite le norme statali interposte, le competenze esclusive statali in materia di ordinamento civile (in relazione alla proprietà privata) e tutela dell’ambiente (art. 117, secondo comma, lettera l e lettera s della Costituzione).

L’art. 6, comma 7, della legge reg. Piemonte n. 5 del 2018 sarebbe illegittimo anche là dove non prevede il termine di presentazione della richiesta del provvedimento di divieto della caccia su un certo fondo. Infatti, come visto, l’art. 15 della legge n. 157 del 1992 impone al proprietario di chiedere la chiusura del fondo «entro trenta giorni dalla pubblicazione del piano faunistico-venatorio».

Tale norma riguarderebbe l’esercizio del diritto di partecipazione dei cittadini alla predisposizione degli strumenti di pianificazione regionali e il mancato rispetto di tale modalità dell’esercizio del diritto di partecipazione inciderebbe «sulla razionalità della scelta pianificatoria regionale e quindi sulla sua idoneità a conseguire la finalità della salvaguardia e del recupero naturalistico del territorio regionale».

Anche la mancata indicazione del termine, dunque, «violando la norma interposta che nell’interesse unitario della tutela dell’ambiente rende effettiva la partecipazione dei cittadini allo esercizio della attività pianificatoria faunistico-venatoria regionale», lederebbe la competenza esclusiva riconosciuta allo Stato in materia di ordinamento civile e di tutela dell’ambiente dall’art. 117, secondo comma, lettere l) e s), Cost.

Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna poi l’art. 13, comma 1, della legge reg. Piemonte n. 5 del 2018. Tale disposizione stabilisce quanto segue: «1. La Giunta regionale, sentiti l’ISPRA e la Commissione consultiva regionale di cui all’articolo 25, entro e non oltre il 15 giugno di ogni anno, adotta con proprio provvedimento il calendario venatorio e le disposizioni relative alla stagione venatoria nel rispetto dell’articolo 18 della legge 157/1992 e dell’articolo 11-quaterdecies, comma 5, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito con modificazioni dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248 e concernenti i seguenti aspetti: a) specie cacciabili e periodi di caccia; b) giornate e orari di caccia; c) carniere giornaliero e stagionale; d) giorni da destinare, per tutto il territorio regionale, alla caccia programmata; e) periodi e modalità di allenamento degli ausiliari».

Secondo il ricorrente, il procedimento di approvazione del calendario venatorio non sarebbe «coerente con le disposizioni di cui alla legge statale n. 157 dell’11 febbraio 1992 cui pure fa esplicito riferimento». Le Regioni con il calendario venatorio potrebbero «intervenire solo sulla regolamentazione dei periodi dell’attività venatoria per determinate specie in relazione alle situazioni ambientali». La norma impugnata, «in assenza di una disposizione espressa che specifichi […] le modalità per la individuazione delle specie cacciabili», assumerebbe «il valore di attribuzione di un potere incondizionato di gestione del patrimonio faunistico regionale vanificando la pianificazione faunistico-venatoria regionale che costituisce componente essenziale della protezione nazionale ambientale». Di qui la violazione della competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile e di tutela dell’ambiente attribuita dall’art. 117, secondo comma, lettere l) e s), Cost.

2.– La Regione Piemonte si è costituita con atto depositato il 21 settembre 2018.

Con riferimento alla prima questione concernente l’art. 6, comma 7, della legge reg. Piemonte n. 5 del 2018, relativa alla previsione del silenzio-assenso, la Regione ne eccepisce l’inammissibilità per «inesatta, confusa e contraddittoria identificazione dei termini della questione e del contesto normativo di riferimento», e per «genericità ed incompletezza» della motivazione. Da un lato, il ricorrente non distinguerebbe due ipotesi ben distinte di esclusione della caccia dai fondi, previste rispettivamente dal comma 8 e dal comma 3 dell’art. 15 della legge n. 157 del 1992, dall’altro, là dove menziona l’indennizzo riconosciuto al proprietario del fondo, confonderebbe la fattispecie dell’accesso al fondo altrui a fini venatori (art. 842 cod. civ.) con quella dell’accesso al fondo altrui per opere necessarie alla manutenzione della cosa propria (art. 843 cod. civ.).

La Regione rileva poi che sarebbe inammissibile l’invocazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in quanto si tratterebbe di parametro inconferente: la disciplina statale della “chiusura del fondo” non mirerebbe a contemperare, come sostiene il ricorso, l’interesse privato del proprietario alla salvaguardia delle colture con quello pubblico alla tutela della fauna, ma quello del proprietario con quello opposto dei cacciatori, per i quali l’ingresso sul fondo altrui può essere necessario per l’esercizio della caccia.

La stessa questione sarebbe comunque infondata perché, «non dovendosi valutare la “compatibilità ambientale” del provvedimento inibitorio, potrà operare l’istituto del silenzio assenso».

Quanto all’invocazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., la censura sarebbe inammissibile perché «prospettata in modo del tutto generico ed oscuro».

Con riferimento alla seconda questione concernente l’art. 6, comma 7, della legge reg. Piemonte n. 5 del 2018 (mancata indicazione di un termine per la richiesta di chiusura del fondo), la questione basata sull’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. sarebbe inammissibile per inconferenza del parametro. Il ricorrente osserva che la domanda di chiusura del fondo presuppone che esso sia inserito nel piano faunistico-venatorio regionale. Tale piano attiene anche alla tutela dell’ambiente ma, una volta approvato, «il profilo ambientale recede ed il conflitto si “sposta” tra il diritto di proprietà e il diritto/libertà di cacciare». Dunque, dopo l’approvazione del piano si “uscirebbe” dalla materia ambientale e si rientrerebbe nella materia della caccia, di competenza regionale. Anzi, la mancata indicazione del termine consentirebbe di chiedere in ogni tempo la chiusura del fondo, favorendo il ricovero sicuro e la tutela della fauna.

La questione basata sull’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. sarebbe infondata. L’art. 6, comma 7, impugnato prevede l’adozione di un regolamento attuativo e la Giunta, «nel dettare i criteri, dovrà sicuramente prevedere, pena l’illegittimità dello stesso Regolamento, un termine decadenziale».

In relazione alla questione concernente l’art. 13, comma 1, della legge reg. Piemonte n. 5 del 2018 (calendario venatorio), essa sarebbe inammissibile per insufficienza e oscurità della motivazione.

La questione sarebbe comunque infondata, in quanto l’art. 2 della legge reg. Piemonte n. 5 del 2018 individua le specie cacciabili in Piemonte. Il calendario venatorio di cui all’art. 13 sarebbe dunque limitato dall’art. 18 della legge n. 157 del 1992 e dall’art. 2 della legge reg. Piemonte n. 5 del 2018: esso potrà solo sospendere la caccia ad una specie in una certa stagione e potrà stabilire il numero massimo dei capi da abbattere in ciascuna giornata.

3.– La Regione ha depositato una memoria integrativa il 15 marzo 2019.

In essa riferisce che l’art. 6, comma 7, della legge reg. Piemonte n. 5 del 2018 è stato sostituito dall’art. 141 della legge della Regione Piemonte 17 dicembre 2018, n. 19 (Legge annuale di riordino dell’ordinamento regionale. Anno 2018), nei seguenti termini: «Il proprietario o il conduttore di un fondo che intende vietare sullo stesso l’esercizio dell’attività venatoria inoltra al Presidente della provincia e al Sindaco della Città metropolitana di Torino e, per conoscenza all’ATC o CA di competenza, una richiesta motivata che deve essere esaminata dall’amministrazione nel rispetto dei termini di cui all’articolo 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi). La Giunta regionale, sentita la commissione consiliare competente, stabilisce i criteri e le modalità di esercizio del presente divieto, compresa l’apposizione, a cura del proprietario o del conduttore del fondo ove insiste il divieto di caccia, di tabelle esenti da tasse, che delimitano in maniera chiara e visibile il perimetro dell’area interessata».

La nuova disposizione elimina il meccanismo del silenzio-assenso censurato nel ricorso e, in tal modo, avrebbe fatto venir meno l’affermata lesione della competenza statale in materia di ordinamento civile. Dunque, poiché lo jus superveniens ha modificato in modo satisfattivo la disposizione impugnata, «che non ha mai trovato applicazione», la Regione chiede la dichiarazione di cessazione della materia del contendere, con riferimento alla questione relativa all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.

Quanto alla questione riguardante l’art. 13, comma 1, della legge reg. Piemonte n. 5 del 2018, la Regione richiama la sentenza della Corte costituzionale n. 7 del 2019, che avrebbe riconosciuto il potere delle regioni di innalzare il livello di tutela ambientale, estendendo le specie non cacciabili rispetto alla disciplina statale.

Inoltre, la censura basata sull’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. sarebbe inammissibile per difetto di motivazione.

4.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria integrativa il 14 maggio 2019.

In essa osserva, in primo luogo, che le eccezioni di inammissibilità sarebbero infondate, in quanto le censure sarebbero articolate in modo compiuto e i parametri costituzionali correttamente invocati. Del resto, osserva il ricorrente, la Regione ha potuto compiutamente svolgere le proprie difese.

Quanto alla modifica dell’art. 6, comma 7, della legge reg. Piemonte n. 5 del 2018, operata dall’art. 141 della legge reg. Piemonte n. 19 del 2018, il ricorrente dà atto della eliminazione del silenzio-assenso ma osserva che la norma resta illegittima in relazione alla mancata previsione del termine per la domanda di chiusura del fondo.

Con riferimento all’art. 13, comma 1, della legge regionale impugnata, il ricorrente rileva che la competenza generica riconosciuta alla Giunta in relazione al calendario venatorio «determina potenzialmente un ingiustificato aumento delle specie cacciabili».

5.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato un atto di rinuncia parziale il 28 maggio 2019. Con esso il ricorrente rinuncia al ricorso limitatamente all’art. 6, comma 7, della legge reg. Piemonte n. 5 del 2018, precisando che restano fermi i motivi di ricorso relativi all’art. 13, comma 1, della stessa legge regionale.

Considerato in diritto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna gli artt. 6, comma 7, e 13, comma 1, della legge della Regione Piemonte 19 giugno 2018, n. 5 (Tutela della fauna e gestione faunistico-venatoria). L’art. 6, comma 7, prevedeva, nel testo vigente al momento del ricorso, quanto segue: «Il proprietario o il conduttore di un fondo che intende vietare sullo stesso l’esercizio dell’attività venatoria inoltra al Presidente della provincia e al sindaco della Città metropolitana di Torino e, per conoscenza all’ATC o CA di competenza, una richiesta motivata che, ai sensi dell’ articolo 20 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), in assenza di risposta entro i termini ivi contenuti si intende accolta. La Giunta regionale, sentita la commissione consiliare competente, stabilisce i criteri e le modalità di esercizio del presente divieto, compresa l’apposizione, a cura del proprietario o del conduttore del fondo ove insiste il divieto di caccia, di tabelle esenti da tasse, che delimitano in maniera chiara e visibile il perimetro dell’area interessata».

Tale disposizione sarebbe illegittima per due motivi. In primo luogo, l’art. 6, comma 7, là dove prevede il meccanismo del silenzio-assenso sulla richiesta del privato di vietare la caccia sul suo fondo, violerebbe l’art. 842 del codice civile, l’art. 15, comma 3, della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), e l’art. 20, comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), con conseguente lesione delle competenze esclusive statali in materia di ordinamento civile (in relazione alla proprietà privata) e tutela dell’ambiente (art. 117, secondo comma, lettera l e lettera s, della Costituzione).

In secondo luogo, l’art. 6, comma 7, della legge reg. Piemonte n. 5 del 2018, là dove non prevede il termine di presentazione della richiesta del provvedimento di divieto della caccia su un certo fondo, violerebbe l’art. 15, comma 3, della legge n. 157 del 1992, con conseguente lesione delle competenze esclusive statali in materia di ordinamento civile e tutela dell’ambiente (art. 117, secondo comma, lettera l e lettera s, Cost.).

L’altra disposizione impugnata (art. 13, comma 1, della legge reg. Piemonte n. 5 del 2018) stabilisce quanto segue: «1. La Giunta regionale, sentiti l’ISPRA e la Commissione consultiva regionale di cui all’articolo 25, entro e non oltre il 15 giugno di ogni anno, adotta con proprio provvedimento il calendario venatorio e le disposizioni relative alla stagione venatoria nel rispetto dell’articolo 18 della legge 157/1992 e dell’articolo 11-quaterdecies, comma 5, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito con modificazioni dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248 e concernenti i seguenti aspetti: a) specie cacciabili e periodi di caccia; b) giornate e orari di caccia; c) carniere giornaliero e stagionale; d) giorni da destinare, per tutto il territorio regionale, alla caccia programmata; e) periodi e modalità di allenamento degli ausiliari».

Secondo il ricorrente, tale norma violerebbe l’art. 18 della legge n. 157 del 1992, in quanto, «in assenza di una disposizione espressa che specifichi […] le modalità per la individuazione delle specie cacciabili», assumerebbe «il valore di attribuzione di un potere incondizionato di gestione del patrimonio faunistico regionale», con conseguente lesione della competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile e di tutela dell’ambiente attribuita dall’art. 117, secondo comma, lettere l) ed s), Cost.

2.– In relazione alla questione concernente l’art. 6, comma 7, della legge reg. Piemonte n. 5 del 2018, va dichiarata la cessazione della materia del contendere.

Il Presidente del Consiglio dei ministri ha infatti depositato atto di rinuncia parziale al ricorso, limitatamente alla suddetta disposizione. Non essendo pervenuta da parte della Regione resistente l’accettazione della rinuncia, né risultando un suo interesse a coltivare il giudizio, si può dichiarare cessata la materia del contendere (sentenze n. 94 del 2018 e n. 19 del 2015, ordinanza n. 62 del 2015).

3.– La questione di legittimità costituzionale sollevata in relazione all’art. 13, comma 1, della legge reg. Piemonte n. 5 del 2018, con riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., è inammissibile per carenza di motivazione. Il ricorrente, infatti, non spiega in alcun modo per quale ragione la norma censurata interferirebbe con la materia dell’ordinamento civile (ex multis, sentenze n. 72 e n. 16 del 2019, n. 219 del 2018).

4.– La Regione ha eccepito l’inammissibilità della questione relativa all’art. 13, comma 1, della legge regionale impugnata, per insufficienza e oscurità della motivazione, anche con riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

L’eccezione non è fondata. Il ricorrente espone infatti le ragioni della sua censura, riassumibili nella considerazione che la norma impugnata, non precisando le modalità per l’individuazione delle specie cacciabili, conferirebbe alla Giunta un «potere incondizionato» di determinazione delle specie cacciabili, con possibile ingiustificato aumento di esse, al di là di quanto consentito in sede di determinazione del calendario venatorio. La motivazione risulta dunque sufficiente.

5.– Nel merito, tuttavia, la questione di legittimità costituzionale sollevata in relazione all’art. 13, comma 1, della legge reg. Piemonte n. 5 del 2018, con riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., non è fondata.

Innanzi tutto, si deve osservare che il ricorso riporta in modo inesatto la disposizione censurata. Il ricorrente scrive che l’art. 13, comma 1, lettera a), indica come specifico oggetto di individuazione da parte del calendario venatorio le «specie cacciabili», mentre esso prevede testualmente che la Giunta regionale adotti «con proprio provvedimento il calendario venatorio e le disposizioni relative alla stagione venatoria nel rispetto dell’articolo 18 della legge 157/1992 […] e concernenti i seguenti aspetti: a) specie cacciabili e periodi di caccia […]».

L’art. 13, comma 1, della legge regionale impugnata corrisponde sostanzialmente all’art. 45 della legge della Regione Piemonte 4 settembre 1996, n. 70 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), poi abrogato dall’art. 40 della legge della Regione Piemonte 4 maggio 2012, n. 5 (Legge finanziaria per l’anno 2012); peraltro, a differenza del citato art. 45, il censurato art. 13, comma 1, prescrive espressamente il rispetto dell’art. 18 della legge n. 157 del 1992.

Il ricorrente teme che la norma regionale, attribuendo una competenza generica alla Giunta in tema di individuazione delle specie cacciabili, determini potenzialmente un aumento delle stesse. Tale timore risulta ingiustificato. Come visto, l’art. 13, comma 1 impugnato, prescrive espressamente il «rispetto dell’articolo 18 della legge 157/1992», disposizione, questa, che indica, al comma 1, le specie cacciabili e i periodi di caccia e al comma 2 stabilisce quanto segue: «[i] termini di cui al comma 1 possono essere modificati per determinate specie in relazione alle situazioni ambientali delle diverse realtà territoriali. Le regioni autorizzano le modifiche previo parere dell’Istituto nazionale per la fauna selvatica. I termini devono essere comunque contenuti tra il 1° settembre ed il 31 gennaio dell’anno nel rispetto dell’arco temporale massimo indicato al comma 1». Infine, l’art. 18, comma 4, della legge n. 157 del 1992 dispone che le regioni adottano il calendario venatorio «nel rispetto di quanto stabilito ai commi 1, 2 e 3, e con l’indicazione del numero massimo di capi da abbattere in ciascuna giornata di attività venatoria».

Considerando dunque che la norma censurata sancisce il necessario rispetto dell’art. 18 della legge n. 157 del 1992, il riferimento alle «specie cacciabili» e ai «periodi di caccia» (contenuto nell’art. 13, comma 1, lettera a, della legge reg. Piemonte n. 5 del 2018) non può che essere inteso in senso conforme a quanto previsto dal citato art. 18, comma 2, della legge statale, cioè nel senso che la Giunta regionale può modulare il periodo di caccia di determinate specie, nel rispetto dei limiti fissati dallo stesso art. 18, comma 2, restando invece esclusa la possibilità di aumentare le specie cacciabili.

Tale possibilità è esclusa anche in virtù del coordinamento che va operato tra l’impugnato art. 13, comma 1, e l’art. 2 della legge reg. Piemonte n. 5 del 2018. Questa disposizione stabilisce che «[s]ono particolarmente protette, anche sotto il profilo sanzionatorio, le specie indicate all’articolo 2 della legge 157/1992, nonché tutte le altre specie che direttive comunitarie o convenzioni internazionali o apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri indicano come minacciate di estinzione» (comma 4), e al comma 5 estende le specie non cacciabili (rispetto a quanto disposto dall’art. 18 della legge n. 157 del 1992), escludendo «dal prelievo venatorio, le seguenti specie: fischione, canapiglia, mestolone, codone, marzaiola, folaga, porciglione, frullino, pavoncella, combattente, moriglione, allodola, merlo, pernice bianca, lepre variabile». Questa Corte, nella sentenza n. 7 del 2019, ha fatto salve norme di legge piemontesi che vietano la caccia di alcune specie considerate invece cacciabili dalla legge n. 157 del 1992, osservando che esse «non si risolvono in una riduzione della soglia minima di tutela della fauna selvatica, ma risultano, al contrario, più rigoros[e] rispetto alla disciplina statale, nella direzione quindi di un legittimo incremento della suddetta protezione minima», e che «le norme censurate hanno […] dato seguito a una tradizione normativa che […] ha costantemente caratterizzato, in tema di specie cacciabili, la disciplina legislativa piemontese, da tempo connotata da previsioni notevolmente più rigorose rispetto a quelle della legislazione statale».

Poiché dunque la Giunta regionale, nell’adottare il calendario venatorio, deve rispettare anche l’art. 2 della legge reg. Piemonte n. 5 del 2018, ne risulta ulteriormente confermata l’erroneità del presupposto interpretativo posto alla base del ricorso.

Pertanto, la questione di legittimità costituzionale sollevata in relazione all’art. 13, comma 1, della legge reg. Piemonte n. 5 del 2018, con riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., non è fondata.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara cessata la materia del contendere in relazione alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 7, della legge della Regione Piemonte 19 giugno 2018, n. 5 (Tutela della fauna e gestione faunistico-venatoria), promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettere l) e s), della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe;

2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 1, della legge reg. Piemonte n. 5 del 2018, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., con il ricorso indicato in epigrafe;

3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 1, della legge reg. Piemonte n. 5 del 2018, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 giugno 2019.

F.to:

Giorgio LATTANZI, Presidente

Daria de PRETIS, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 10 luglio 2019.