Sentenza n. 16 del 2019

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SENTENZA N. 16

 

ANNO 2019

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

composta dai signori:

 

Presidente: Giorgio LATTANZI;

 

Giudici: Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 67, comma 1, della legge della Regione Veneto 29 dicembre 2017, n. 45 (Collegato alla legge di stabilità regionale 2018), che introduce l’art. 19-bis nella legge della Regione Veneto 9 dicembre 1993, n. 50 (Norme per la protezione della fauna selvatica e per il prelievo venatorio), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il 26 febbraio 2018, depositato in cancelleria il 2 marzo 2018, iscritto al n. 18 del registro ricorsi 2018 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell’anno 2018.

 

Visto l’atto di costituzione della Regione Veneto;

 

udito nella udienza pubblica dell’8 gennaio 2019 il Giudice relatore Francesco Viganò;

 

uditi l’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati Ezio Zanon e Andrea Manzi per la Regione Veneto.

 

Ritenuto in fatto

 

1.– Con ricorso notificato il 26 febbraio 2018 e depositato il 2 marzo 2018 (reg. ric. n. 18 del 2018), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato l’art. 67, comma 1, della legge della Regione Veneto 29 dicembre 2017, n. 45 (Collegato alla legge di stabilità regionale 2018), che introduce nella legge della Regione Veneto 9 dicembre 1993, n. 50 (Norme per la protezione della fauna selvatica e per il prelievo venatorio) l’art. 19-bis, disciplinante il “Sistema regionale di prenotazione e disciplina per l’esercizio della mobilità venatoria dei cacciatori del Veneto”. Tale disciplina sarebbe, ad avviso del ricorrente, in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.

 

Il ricorrente illustra, innanzitutto, l’oggetto e le finalità del nuovo art. 19-bis impugnato. Il comma 1 prevede l’istituzione, da parte della Giunta regionale, di un «sistema regionale di prenotazione per il rilascio dell’autorizzazione ai cacciatori del Veneto ad esercitare l’attività venatoria in mobilità alla selvaggina migratoria e di supporto informatico a ricerche, studi, analisi scientifiche e statistiche inerenti la fauna selvatica del Veneto». Al comma 2, l’articolo censurato riconosce ai cacciatori residenti in Veneto il diritto, a partire dal 1° ottobre di ogni anno, di «esercitare la caccia in mobilità alla selvaggina migratoria fino ad un massimo di trenta giornate nel corso della stagione venatoria anche in Ambiti territoriali di caccia del Veneto diversi da quelli a cui risultano iscritti, con esclusione della Zona Lagunare e Valliva, previa autorizzazione rilasciata dal sistema informativo di cui al comma 1». Il meccanismo e i criteri con cui tale autorizzazione verrà rilasciata sono descritti al successivo comma 3, secondo cui «[i]l sistema informativo regionale autorizza l’accesso giornaliero ad un numero di cacciatori comunque non superiore alla differenza tra i cacciatori iscritti all’Ambito territoriale di caccia ed i cacciatori ammissibili sulla base dell’indice di densità venatoria massimo stabilito annualmente dalla Giunta regionale». Al comma 4, infine, si prevede che «[l]a Giunta regionale, con propria deliberazione, stabilisce le modalità di accesso al sistema regionale di prenotazione, le modalità e le regole di esercizio della mobilità venatoria sul territorio regionale».

 

Ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, tale disciplina deve ritenersi costituzionalmente illegittima per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in riferimento alla normativa interposta costituita dagli artt. 12, comma 5, e 14, comma 5, della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio).

 

La disciplina impugnata consentirebbe infatti, in primo luogo, di esercitare l’attività venatoria «in forme e con modalità ulteriori rispetto a quelle individuate dall’art. 12, comma 5, della legge n. 157 del 1992, ponendosi, quindi, in contrasto con tale disposizione»; in secondo luogo, essa costruirebbe un sistema “automatizzato” di autorizzazione all’accesso di ciascun cacciatore in un ambito territoriale di caccia diverso da quello in cui risulta iscritto, senza prevedere che tale accesso sia subordinato, come prescrive invece l’art. 14, comma 5, della legge n. 157 del 1992, al previo consenso degli organi di gestione dell’ambito territoriale di caccia nel quale l’accesso deve essere autorizzato.

 

1.1.– Con riguardo al primo dei parametri interposti evocati, il Presidente del Consiglio dei ministri rileva che l’art. 12, comma 5, della legge n. 157 del 1992 – rubricato «Esercizio dell’attività venatoria» – prevede che «[f]atto salvo l’esercizio venatorio con l’arco o con il falco, l’esercizio venatorio stesso può essere praticato in via esclusiva in una delle seguenti forme: a) vagante in zona Alpi; b) da appostamento fisso; c) nell’insieme delle altre forme di attività venatoria consentite dalla presente legge e praticate nel rimanente territorio destinato all’attività venatoria programmata».

 

La disciplina regionale impugnata consentirebbe invece di esercitare l’attività venatoria «in forme e con modalità ulteriori rispetto a quelle individuate dall’art. 12, comma 5, della legge n. 157 del 1992, ponendosi, quindi, in contrasto con tale disposizione».

 

1.2.– Con riguardo al secondo parametro interposto, il Presidente del Consiglio dei ministri rileva che l’art. 14, comma 5, della legge n. 157 del 1992 – rubricato «Gestione programmata della caccia» – dispone che «ogni cacciatore, previa domanda all’amministrazione competente, ha diritto all’accesso in un ambito territoriale di caccia o in un comprensorio alpino compreso nella regione in cui risiede e può avere accesso ad altri ambiti o ad altri comprensori anche compresi in una diversa regione, previo consenso dei relativi organi di gestione».

 

Il ricorrente ritiene che la disciplina regionale impugnata introduca un sistema “automatizzato” di autorizzazione all’accesso di ciascun cacciatore in un ambito territoriale di caccia diverso da quello in cui risulta iscritto, senza prevedere che tale accesso sia subordinato, come prescrive invece la disciplina statale, a un provvedimento dell’amministrazione competente e al previo consenso degli organi di gestione dell’ambito territoriale di caccia in cui deve essere autorizzato l’accesso. Tali provvedimenti non potrebbero ritenersi surrogati da un’autorizzazione concessa “in automatico”, con il solo limite numerico desumibile dal comma 3 dell’art. 19-bis impugnato, dal momento che, ad avviso della difesa statale, «la “riserva di amministrazione” prevista dalla norma statale richiede che l’Amministrazione competente valuti caso per caso, in relazione alle circostanze del momento, ciascuna richiesta autorizzatoria».

 

2.– Si è costituita in giudizio, con memoria depositata il 4 aprile 2018, la Regione Veneto, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o, comunque, infondato.

 

2.1.– Eccepisce anzitutto la difesa regionale che la previsione impugnata sarebbe priva di lesività attuale, dal momento che il meccanismo autorizzatorio di cui al comma 3 esigerebbe «espressamente il previo rilascio della autorizzazione di cui al primo comma, che dovrà essere conformata nei suoi puntuali contenuti dal provvedimento regolatorio di cui al quarto comma, il quale dovrà tenere in considerazione sia i criteri fissati dalla legislazione regionale sia quelli desumibili dalla legislazione statale». Di qui, ad avviso della difesa regionale, l’inammissibilità del ricorso.

 

2.2.– Il ricorso statale sarebbe comunque infondato, dal momento che la disciplina impugnata, lungi dal riconoscere ai cacciatori residenti in Veneto «un diritto soggettivo avente ad oggetto la facoltà, libera e incondizionata […] di esercizio dell’attività venatoria in mobilità, ossia in Ambiti territoriali di caccia del Veneto diversi da quelli a cui gli stessi risultano iscritti, […] si limita a disciplinare un sistema di prenotazione per il rilascio dell’autorizzazione». Proprio il persistente «diaframma del potere autorizzatorio» degraderebbe il supposto diritto a svolgere l’attività venatoria in mobilità «a mero interesse legittimo».

 

La difesa regionale nega, d’altra parte, l’esistenza di alcun automatismo tra la richiesta dell’autorizzazione da parte del cacciatore e il rilascio della stessa. Fermo restando, infatti, che ai sensi del comma 3 dell’articolo impugnato l’accesso giornaliero a un ambito territoriale diverso da quello di iscrizione può essere consentito «a un numero di cacciatori comunque non superiore alla differenza tra i cacciatori iscritti all’Ambito territoriale di caccia ed i cacciatori ammissibili sulla base dell’indice di densità venatoria massima stabilito annualmente dalla Giunta regionale», l’autorizzazione all’esercizio dell’attività venatoria in mobilità resterebbe comunque «subordinat[a] a uno stringente controllo delle autorità preposte in ordine alla gestione delle risorse faunistiche nel perseguimento dell’interesse di tutela imposto dalla legislazione dello Stato, secondo quanto verrà previsto dalla Giunta» ai sensi del comma 4 dello stesso articolo impugnato.

 

In ogni caso, a parere della difesa regionale la disciplina contenuta nelle disposizioni impugnate soddisferebbe comunque «la ratio e la teleologia della norma interposta dell’art. 14, comma 10 [recte: 5] della legge n. 157 del 1992 come declinata dalla giurisprudenza costituzionale», e in particolare dalla sentenza n. 174 del 2017, ove questa Corte ha evidenziato la necessità, quale condizione per l’esercizio della mobilità venatoria, che sia «consentito agli organi di gestione di avere contezza dei soggetti che effettivamente esercitano l’attività venatoria in quella porzione di territorio». Tale esigenza sarebbe assicurata, nella disciplina regionale ora impugnata, dalla previsione del limite numerico di cui al comma 3: limite numerico «che da un lato evita che la pressione venatoria sul territorio possa diventare eccessiva o comunque pregiudizievole e, al contempo, garantisce che le autorità preposte alla gestione dell’attività venatoria sappiano sempre e previamente il quantum di soggetti che esercitino la caccia nel proprio ambito territoriale».

 

In definitiva, secondo la difesa regionale, la previsione di un sistema informatico di prenotazione (e non di autorizzazione) – lungi dal porsi in contrasto con le finalità di tutela dell’ambiente perseguite dalla legislazione statale sulla caccia – rappresenterebbe piuttosto una «attuazione del canone di buon andamento della pubblica amministrazione di cui all’art. 97 Cost., nella misura in cui costituisce uno strumento di interrelazione tra pubblica amministrazione e cittadino diretto a semplificare i rapporti tra gli stessi e a garantire speditezza, efficacia ed efficienza nell’esercizio dei pubblici poteri».

 

La difesa regionale pone, infine, a raffronto la disciplina qui censurata con quella adottata dalla Regione Toscana nel 2010, e a suo tempo non impugnata dal Presidente del Consiglio dei ministri, che ha rinviato a un successivo regolamento regionale per la definizione dei «criteri e delle modalità di accesso agli Ambiti territoriali di caccia dei cacciatori residenti e non residenti in Toscana anche attraverso la mobilità venatoria», senza prevedere alcun parametro o criterio minimo di salvaguardia sottratti alla discrezionalità dell’esecutivo regionale. La relativa disciplina attuativa – introdotta con Decreto del Presidente della Giunta regionale Toscana 5 settembre 2017, n. 48/R, recante «Regolamento di attuazione della legge regionale 12 gennaio 1994, n. 3 (Recepimento della legge 11 febbraio 1992, n. 157 “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio”) e della legge regionale 9 febbraio 2016, n. 10 (Legge obiettivo per la gestione degli ungulati in Toscana. Modifiche alla l.r. 3/1994)» – contempla all’art. 9, rubricato «Mobilità dei cacciatori toscani», un sistema di teleprenotazione per consentire l’accesso ad Ambiti territoriali di caccia ulteriori rispetto a quello di iscrizione a un numero di cacciatori pari alla differenza dei cacciatori ammissibili sulla base dell’indice di densità venatoria massima e il totale dei cacciatori iscritti.

 

Ad avviso della difesa regionale, la disciplina secondaria in vigore nella Regione Toscana risulterebbe così «meno garantista» di quella introdotta dalla disciplina in questa sede impugnata, la quale «non si è limitata a prevedere una delega in bianco, come fatto dalla Regione Toscana (la cui disposizione non risulta essere stata oggetto di impugnazione) ma ha invece introdotto principi e criteri [atti] a vincolare l’organo esecutivo nel disciplinare la mobilità venatoria».

 

3.– Nella memoria depositata in prossimità dell’udienza, l’Avvocatura generale dello Stato contesta la fondatezza dell’eccezione di inammissibilità formulata dalla difesa regionale e, nel merito, ribadisce gli argomenti già dedotti relativi all’assenza di ogni valutazione discrezionale da parte degli organi di gestione degli ambiti territoriali di caccia nel rilascio dell’autorizzazione prevista dalla disciplina impugnata, in termini incompatibili con la legislazione statale.

 

4.– Anche la difesa regionale ha presentato memoria in prossimità dell’udienza, sottolineando come la seconda disposizione statale evocata quale parametro interposto (art. 14, comma 5, della legge n. 157 del 1992) non avrebbe posto altri limiti all’attività venatoria svolta negli ambiti territoriali «di seconda opzione», se non quelli comunque imposti dal calendario venatorio. Di talché la disciplina impugnata, ponendo limitazioni ulteriori all’esercizio dell’attività venatoria in ambiti diversi dal proprio (quale il periodo più ristretto rispetto a quanto consentito dall’art. 18 della legge n. 157 del 1992, l’esclusione della Zona Lagunare e Valliva del territorio regionale, il divieto di superamento giorno per giorno dell’indice di densità venatoria massimo), darebbe vita a «una gestione più oculata della selvaggina migratoria e [a] un sostanziale maggior rispetto dell’ambiente».

 

Il sistema informatico introdotto dalla Regione, in particolare, mirerebbe a «lenire l’impatto venatorio sulla fauna migratoria, a distribuirlo ordinatamente sul territorio, a consentire un monitoraggio costante sul suo andamento, ad avere un più elevato livello di conoscenze della domanda venatoria e delle consistenze delle varie specie di selvaggina in modo da permettere la migliore e più efficiente gestione delle risorse faunistiche, come già indicato» da questa Corte nelle sentenze n. 142 del 2013 e n. 4 del 2000.

 

Ne deriva, secondo la difesa regionale, che tale nuovo sistema, introducendo un regime a prenotazione gestito in via informatica, «in nulla deroga alle modalità per l’esercizio dell’attività venatoria previste nelle norme statali, ma permette un più efficiente controllo e una più efficace programmazione del fenomeno a livello regionale […] [i]l tutto in coerenza (per non dire in adempimento)» di quanto stabilito dalla sentenza n. 174 del 2017 di questa Corte.

 

La difesa della Regione conclude rilevando che la disciplina «impugnata non ha, in alcun modo, soppresso o condizionato la prerogativa concessa [a]gli organi di gestione di rilasciare il loro “previo consenso”, che rimane un intangibile requisito per far luogo all’autorizzazione».

 

Considerato in diritto

 

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato l’art. 67, comma 1, della legge della Regione Veneto 29 dicembre 2017, n. 45 (Collegato alla legge di stabilità regionale 2018), che introduce nella legge della Regione Veneto 9 dicembre 1993, n. 50 (Norme per la protezione della fauna selvatica e per il prelievo venatorio) l’art. 19-bis, disciplinante il “Sistema regionale di prenotazione e disciplina per l’esercizio della mobilità venatoria dei cacciatori del Veneto”, in relazione all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.

 

Secondo il ricorrente, il nuovo art. 19-bis della legge reg. Veneto n. 50 del 1993 lederebbe la competenza esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente, sotto un duplice e concorrente profilo.

 

Anzitutto, la disciplina impugnata consentirebbe di esercitare l’attività venatoria in forme e modalità ulteriori rispetto a quelle individuate dall’art. 12, comma 5, della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), che prevede tre modalità di caccia da esercitare in via esclusiva da parte di ciascun cacciatore.

 

In secondo luogo, l’art. 19-bis introdurrebbe un sistema “automatizzato” di autorizzazione all’accesso di ciascun cacciatore in un ambito territoriale di caccia diverso da quello in cui risulta iscritto, senza prevedere che tale accesso sia subordinato, come prescrive invece l’art. 14, comma 5, della legge n. 157 del 1992, al previo consenso degli organi di gestione dell’ambito territoriale nel quale l’accesso deve essere autorizzato.

 

2.– La difesa regionale ha eccepito l’inammissibilità del ricorso, in ragione dell’asserito difetto di lesività attuale della disciplina impugnata. Quest’ultima, relativa all’autorizzazione all’accesso a un ambito territoriale di caccia diverso da quello di iscrizione, non potrebbe infatti essere considerata self-executing, in assenza del provvedimento della Giunta regionale previsto dal comma 4 dello stesso art. 19­-bis.

 

L’eccezione è infondata.

 

La circostanza che, nell’economia della disciplina regionale impugnata, le modalità di accesso al sistema automatico censurato dal Presidente del Consiglio dei ministri debbano essere ancora oggetto di una disciplina di dettaglio da parte di una futura deliberazione della Giunta regionale, non esclude che possa sin d’ora legittimamente censurarsi la disciplina legislativa che introduce un sistema di autorizzazione automatico, che il ricorrente ritiene lesivo della competenza statale in materia di tutela dell’ambiente proprio per il suo carattere automatizzato. E ciò a prescindere da come potrebbe atteggiarsi in futuro la normativa di dettaglio da adottarsi da parte della Giunta regionale.

 

3.– La prima censura formulata nel ricorso, concernente l’asserito contrasto della disciplina regionale impugnata con l’art. 12, comma 5, della legge n. 157 del 1992, assunto quale parametro interposto in relazione all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, è inammissibile per radicale difetto di motivazione.

 

L’Avvocatura generale dello Stato non ha infatti in alcun modo spiegato nelle proprie memorie perché la disciplina regionale de qua debba essere interpretata nel senso che consenta di esercitare l’attività venatoria in forme e con modalità ulteriori rispetto a quelle individuate dall’art. 12, comma 5, della legge n. 157 del 1992. Né un tale chiarimento è emerso nella discussione in udienza.

 

Nel silenzio serbato sul punto dalla disciplina regionale impugnata, deve pertanto ritenersi che la regola generale posta dalla disciplina statale continui a trovare piena applicazione, e che – conseguentemente – ciascun cacciatore possa chiedere di accedere a un ambito territoriale di caccia diverso da quello di iscrizione soltanto al fine di praticare la sola forma di attività venatoria per la quale egli abbia ottenuto la prescritta autorizzazione, ai sensi dell’art. 12 della legge n. 157 del 1992.

 

4.– La seconda censura formulata nel ricorso, concernente l’asserito contrasto della disciplina impugnata con l’art. 14, comma 5, della legge n. 157 del 1992, assunto anch’esso come parametro interposto, non è fondata.

 

4.1.– Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la materia della caccia rientra, dopo la revisione del Titolo V avvenuta per opera della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), nella potestà legislativa residuale delle Regioni, le quali sono nondimeno tenute a rispettare i criteri fissati dalla legge n. 157 del 1992 a salvaguardia dell’ambiente, che costituisce oggetto di una competenza statale esclusiva, di carattere trasversale. Più precisamente, tale legge stabilisce il punto di equilibrio tra «il primario obiettivo dell’adeguata salvaguardia del patrimonio faunistico nazionale e l’interesse […] all’esercizio dell’attività venatoria» (sentenza n. 4 del 2000); conseguentemente, i livelli di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema da questa fissati non sono derogabili in peius dalla legislazione regionale (sentenze n. 7 del 2019, n. 174 del 2017 e n. 303 del 2013).

 

4.2.– Le disposizioni dell’art. 19-bis, analiticamente descritte al punto 1 del Ritenuto in fatto, disciplinano in sintesi un «sistema regionale di prenotazione per il rilascio dell’autorizzazione» alla caccia alla selvaggina migratoria al di fuori dell’ambito territoriale di iscrizione di ciascun cacciatore, per un massimo di trenta giornate nel corso della stagione venatoria. Il comma 3 dell’art. 19-bis dispone, in particolare, che «[i]l sistema informativo regionale autorizza l’accesso giornaliero» nell’ambito territoriale di caccia in questione «a un numero di cacciatori comunque non superiore alla differenza tra i cacciatori iscritti all’Ambito territoriale di caccia ed i cacciatori ammissibili sulla base dell’indice di densità venatoria massima stabilito annualmente dalla Giunta regionale».

 

Il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene che tale meccanismo autorizzatorio contrasti, in ragione del suo automatismo, con la corrispondente disciplina dettata dall’art. 14, comma 5, della legge n. 157 del 1992, che stabilisce in via generale che ogni cacciatore, previa domanda all’amministrazione competente, ha diritto all’accesso in uno specifico ambito territoriale di caccia, e può inoltre avere accesso ad altri ambiti o comprensori (situati nella propria o in altra Regione) «previo consenso dei relativi organi di gestione».

 

Nella prospettazione dell’Avvocatura generale dello Stato, il meccanismo di autorizzazione automatica disciplinato dal legislatore regionale veneto non consentirebbe agli organi di gestione di ciascun ambito territoriale di esercitare, caso per caso, le valutazioni discrezionali loro demandate dalla legge statale rispetto alla decisione se autorizzare o meno l’accesso di nuovi cacciatori nel rispettivo ambito territoriale. Ciò determinerebbe una deroga in peius del livello di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema che la legge statale mira ad assicurare, con conseguente invasione della competenza esclusiva dello Stato in materia da parte della disciplina regionale impugnata.

 

4.3.– La difesa regionale ha proposto, nelle proprie memorie e nella discussione orale, una lettura dell’art. 19-bis impugnato secondo la quale il sistema informatico ivi disciplinato sarebbe funzionale a una mera «prenotazione» da parte del cacciatore interessato ad accedere a un ambito territoriale diverso da quello di iscrizione, mentre il rilascio dell’autorizzazione sarebbe riservato a un successivo provvedimento da parte degli organi di gestione dei singoli ambiti territoriali.

 

Tale lettura non è, tuttavia, persuasiva.

 

In senso contrario milita, anzitutto, la littera legis. Il comma 3 stabilisce, infatti, che «il sistema informativo autorizza l’accesso giornaliero» a un determinato numero di cacciatori nei vari ambiti territoriali. Il verbo «autorizza», riferito direttamente al sistema informativo, non pare lasciare alcuno spazio alla prospettiva di un ulteriore provvedimento autorizzatorio da parte dei relativi organi di gestione.

 

L’esame dei lavori preparatori della disciplina impugnata evidenzia, inoltre, come il subemendamento n. C0210, presentato dal consigliere di minoranza Zanoni nella seduta del 21 dicembre 2017, diretto proprio a subordinare l’accesso negli ambiti territoriali di caccia al consenso espresso dei relativi organi di gestione, sia stato respinto dal Consiglio regionale.

 

Si deve pertanto ritenere che il sistema informatico previsto dall’art. 19-bis citato, ancorché denominato «sistema regionale di prenotazione», sia stato in realtà concepito dal legislatore regionale come un sistema di autorizzazione automatica all’esercizio dell’attività venatoria in ambito territoriale diverso da quello di iscrizione di ciascun cacciatore.

 

4.4.– Cionondimeno, ad avviso di questa Corte la disciplina in parola non determina una deroga in peius del livello di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema garantito dalla legislazione statale, e in particolare dall’art. 14, comma 5, della legge n. 157 del 1992, invocato dal Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Il requisito, previsto dalla disposizione statale, del «previo consenso» degli organi di gestione del singolo ambito territoriale all’accesso di cacciatori non iscritti nell’ambito territoriale stesso è funzionale all’esigenza «di permettere un’attività di controllo da parte dell’amministrazione competente», in modo da consentire a quest’ultima di «verifica[re] periodicamente l’adeguatezza del rapporto tra i cacciatori autorizzati e la porzione di territorio interessata» (sentenza n. 174 del 2017). Ciò anche in relazione alla possibilità per l’organo direttivo del singolo ambito territoriale, prevista dal successivo comma 8 dell’art. 14 della legge statale in parola, di ammettere «un numero di cacciatori superiore a quello fissato dal regolamento di attuazione, purché si siano accertate, anche mediante censimenti, modificazioni positive della popolazione faunistica».

 

Tale esigenza sostanziale appare soddisfatta da un meccanismo autorizzatorio informatico come quello disciplinato dalla legge della Regione Veneto qui all’esame, che – in una prospettiva di semplificazione – consente al cacciatore non iscritto in un determinato ambito territoriale di accedervi previa verifica, da parte dello stesso sistema informatico, del mancato raggiungimento, in quel medesimo ambito territoriale, dell’indice di densità venatoria massima stabilito annualmente con delibera della Giunta regionale.

 

Il meccanismo in esame infatti consente, da un lato, di assicurare che il numero di cacciatori presenti giornalmente in ciascun ambito territoriale non superi il massimo che la delibera della Giunta regionale, nel rispetto dei vincoli posti dalla legislazione statale, ha già considerato in via generale compatibile con le esigenze di tutela dell’ecosistema, e della popolazione faunistica migratoria in particolare; e, dall’altro, assicura che gli stessi organi direttivi dei singoli ambiti territoriali, composti a norma dell’art. 14, comma 10, della legge n. 157 del 1992, siano costantemente in grado di avere contezza del numero di cacciatori effettivamente ammessi.

 

La circostanza che il sistema informatico regolato dalla disciplina regionale impugnata non possa autorizzare automaticamente l’accesso in un determinato ambito territoriale di un numero di cacciatori superiore all’indice venatorio massimo, in assenza dell’apposita delibera dell’organo di gestione di cui si è detto, esclude – d’altra parte – ogni possibile effetto pregiudizievole della disciplina regionale medesima rispetto al livello di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema assicurato dalla disciplina statale di riferimento. L’automatismo del blocco delle ammissioni di cacciatori provenienti da altri ambiti al raggiungimento dell’indice venatorio massimo impedisce così che si verifichi quanto altre volte evidenziato da questa Corte in riferimento a disposizioni di legge regionali che consentivano «l’indiscriminato esercizio della caccia alla selvaggina migratoria in tutti gli ambiti», in dispregio dell’esigenza di garantire «quella equilibrata distribuzione dei cacciatori, nell’esercizio dell’attività venatoria, che costituisce uno degli obiettivi fondamentali della normativa in materia» (sentenza n. 4 del 2000, cui adde sentenza n. 303 del 2013).

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

1) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 67, comma 1, della legge della Regione Veneto 29 dicembre 2017, n. 45 (Collegato alla legge di stabilità regionale 2018), che introduce l’art. 19-bis nella legge della Regione Veneto 9 dicembre 1993, n. 50 (Norme per la protezione della fauna selvatica e per il prelievo venatorio), promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, in relazione all’art. 12, comma 5, della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio);

 

2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del medesimo art. 67, comma 1, della legge reg. Veneto n. 45 del 2017, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione all’art. 14, comma 5, della legge n. 157 del 1992.

 

Cosi` deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’8 gennaio 2019.

 

F.to:

 

Giorgio LATTANZI, Presidente

 

Francesco VIGANÒ, Redattore

 

Roberto MILANA, Cancelliere

 

Depositata in Cancelleria l'8 febbraio 2019.