Sentenza n. 72 del 2019

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SENTENZA N. 72

ANNO 2019

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giorgio LATTANZI;

Giudici: Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 499, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), promosso dalla Regione Veneto con ricorso notificato il 27 febbraio 2018, depositato in cancelleria il 6 marzo 2018, iscritto al n. 21 del registro ricorsi 2018 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima serie speciale, dell’anno 2018.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 19 febbraio 2019 il Giudice relatore Nicolò Zanon;

uditi gli avvocati Ezio Zanon e Andrea Manzi per la Regione Veneto e l’avvocato dello Stato Gianni De Bellis per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato il 27 febbraio 2018 e depositato il 6 marzo 2018 (reg. ric. n. 21 del 2018), la Regione Veneto ha promosso, tra le altre, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 499, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), che sostituisce integralmente, a decorrere dal 1° gennaio 2018, l’art. 13 del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228 (Orientamento e modernizzazione del settore agricolo, a norma dell’articolo 7 della legge 5 marzo 2001, n. 57), in riferimento agli artt. 5, 117, terzo e quarto comma, 118 e 120 della Costituzione, sotto il profilo della violazione del principio di leale collaborazione, e in riferimento all’art. 119 Cost., per lesione dell’autonomia finanziaria delle Regioni.

2.– La Regione ricorrente premette che la novella legislativa si pone l’obiettivo di tutelare, attraverso l’istituzione dei cosiddetti «distretti del cibo», un interesse pubblico di cui le Regioni devono tenere conto nel programmare, «nella prossimità territoriale», le loro politiche di sviluppo. In particolare, la norma – secondo la Regione Veneto – sarebbe diretta «a rafforzare il sostegno alle forme organizzative locali».

Il novellato art. 13 del d.lgs. n. 228 del 2001 riconduce alla categoria dei distretti del cibo i «distretti rurali» e i «distretti agroalimentari di qualità» già introdotti nella versione originaria dello stesso articolo. La nuova disciplina include nell’ambito dei distretti del cibo anche una serie di altri «sistemi produttivi locali», tutti accomunati dallo svolgimento di attività agricole e agroalimentari. Il comma 3 della disposizione in esame attribuisce alle Regioni il compito di individuare i distretti del cibo, con l’ulteriore previsione della necessità di provvedere alla comunicazione dell’individuazione di tali distretti al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (d’ora in avanti: MIPAAF), specificando inoltre che presso il MIPAAF è costituito il «Registro nazionale dei distretti del cibo».

Secondo la Regione ricorrente, il comma 4 del medesimo art. 13 disporrebbe – «al fine di sostenere gli interventi per la creazione e il consolidamento dei distretti» – l’applicazione delle disposizioni già previste nel decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali 8 gennaio 2016 (Criteri, modalità e procedure per l’attuazione dei Contratti di filiera e dei Contratti di distretto e relative misure agevolative per la realizzazione dei Programmi). Come riporta la Regione, tale decreto – che viene richiamato testualmente nella parte in cui definisce i contratti di distretto – è stato adottato in attuazione dell’art. 66, comma 1, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2003)», al quale l’art. 13, comma 4, del d.lgs. n. 228 del 2001 rinvia. Nella ricostruzione effettuata dalla Regione, si sostiene in particolare che gli interventi per la creazione e il consolidamento dei distretti sarebbero «finalizzati alla realizzazione di programmi di investimenti, che vengono agevolati con un ammontare delle spese ammissibili compreso tra 4 milioni e 50 milioni di euro (limite finanziario complessivo fissato con deliberazione del CIPE come disciplinato dalla richiamata norma dell’art. 66, comma 1, della L. n. 289 del 2002)».

Tutto ciò premesso, la Regione Veneto lamenta l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 499, della legge n. 205 del 2017, nella parte in cui – nel devolvere ad un successivo decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, da emanarsi di concerto con il Ministro dello sviluppo economico entro sessanta giorni dall’entrata in vigore della legge, la definizione dei criteri, delle modalità e delle procedure per l’attuazione degli interventi indicati nel comma 4 dell’art. 13 del d.lgs. n. 228 del 2001 – prevede, al nuovo comma 5 del citato art. 13 del d.lgs. n. 228 del 2001, che, a questo scopo, la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano venga soltanto «sentita», e non sia invece necessario il raggiungimento di un’apposita intesa.

Così facendo, il legislatore statale non avrebbe garantito l’«adeguato coinvolgimento» delle Regioni, ledendo il riparto di competenze di cui agli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost., nonché il principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost.

Secondo la ricorrente, la norma impugnata sarebbe riconducibile alla materia «agricoltura» di competenza regionale residuale (sono richiamate le sentenze n. 261 del 2017, n. 60, n. 38 e n. 16 del 2015, n. 62 del 2013, n. 116 del 2006, n. 282 e n. 12 del 2004) e alla materia di competenza concorrente «alimentazione».

La Regione evidenzia poi che, in quella che viene definita «un’analoga fattispecie», la Corte costituzionale, con la sentenza n. 165 del 2007, avrebbe dichiarato costituzionalmente illegittime alcune previsioni relative ai «distretti produttivi» disciplinati dall’art. 1, commi 366 e 368, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2006)», a causa della mancata previsione della previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano.

Secondo la Regione Veneto, dunque, nel caso di specie saremmo in presenza di disposizioni statali a loro volta costituzionalmente illegittime poiché, «pur riguardando competenze di tipo residuale e concorrente, non prevedono alcuna Intesa per l’emanazione del decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, bensì un semplice parere», in violazione del principio di leale collaborazione (vengono a tal proposito richiamate le sentenze n. 251 e n. 7 del 2016, n. 232 del 2011 e n. 278 del 2010).

3.– La Regione ricorrente censura ulteriormente la disposizione impugnata in riferimento all’art. 119 Cost. In particolare, sostiene che, in assenza della previsione di un’intesa, un decreto ministeriale che preveda la ripartizione di risorse finanziarie non potrebbe intervenire in ambiti materiali rimessi alla competenza delle Regioni, perché ciò realizzerebbe una forma di intervento finanziario non riconducibile ad alcuna delle modalità costituzionalmente consentite dallo stesso art. 119 Cost. (viene a tal proposito citata la sentenza n. 49 del 2004).

4.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, nell’atto di costituzione, non ha effettuato alcuna osservazione rispetto alle censure rivolte nei confronti dell’art. 1, comma 499, della legge n. 205 del 2017.

5.– Con memoria depositata il 29 gennaio 2019, la Regione Veneto, insistendo per la declaratoria di illegittimità costituzionale della disposizione impugnata, ha precisato che la mancata previsione dell’intesa determina «un evidente deficit partecipativo a scapito delle Regioni, che, in un ambito materiale afferente a competenza affidata alle loro cure (agricoltura), risultano coinvolte unicamente mediante un intervento di natura consultiva». Nella memoria si sottolinea inoltre come anche il comma 2 della disposizione impugnata riconosca in capo alle Regioni – chiamate ad individuare i distretti del cibo – un ruolo centrale nell’ambito in oggetto. Ruolo centrale che non sarebbe coerente con la previsione, in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, del solo parere, che determinerebbe «un coordinamento troppo esile, inidoneo a garantire il necessario apporto collaborativo regionale e un proficuo coordinamento interistituzionale».

Considerato in diritto

1.– Con il ricorso indicato in epigrafe, la Regione Veneto impugna varie disposizioni della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020).

Restando riservata a separate pronunce la decisione delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale promosse con il medesimo ricorso, lo scrutinio di questa Corte è qui limitato alle questioni relative all’art. 1, comma 499, della suddetta legge, promosse in riferimento agli artt. 5, 117, terzo e quarto comma, 118 e 120 della Costituzione, sotto il profilo della violazione del principio di leale collaborazione, nonché in riferimento all’art. 119 Cost., in relazione all’autonomia finanziaria della Regione.

1.1.– Le questioni qui esaminate riguardano il citato art. 1, comma 499, della legge n. 205 del 2017, nella parte in cui prevede che i criteri, le modalità e le procedure per attuare gli interventi di creazione e consolidamento dei cosiddetti «distretti del cibo» siano definiti con decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, «sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano».

Ad avviso della ricorrente, la disposizione impugnata, intervenendo in ambiti materiali rimessi alla competenza delle Regioni – sono evocate le materie “agricoltura” e «alimentazione» – violerebbe innanzitutto gli artt. 5, 117, terzo e quarto comma, 118 e 120 Cost., sotto il profilo della lesione del principio di leale collaborazione. In particolare, nel caso di specie, le disposizioni costituzionali e il principio evocati richiederebbero che la disposizione di legge, attribuendo a un decreto ministeriale gli interventi di creazione e consolidamento dei cosiddetti «distretti del cibo», preveda che tale decreto, anziché da un mero parere, sia preceduto da un’intesa stipulata in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano.

La Regione Veneto ritiene che la disposizione impugnata si ponga anche in contrasto con l’art. 119 Cost., perché, in assenza della necessaria intesa, un decreto ministeriale non potrebbe prevedere il «riparto di risorse finanziarie» in ambiti materiali asseritamente rimessi alla competenza delle Regioni.

2.– La disposizione impugnata si inserisce in un contesto normativo che già conosce una disciplina statale in tema di sistemi produttivi locali caratterizzati dalla presenza di imprese che svolgono attività agricole e agroalimentari.

Nella sua versione originaria, l’art. 13 del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228 (Orientamento e modernizzazione del settore agricolo, a norma dell’articolo 7 della legge 5 marzo 2001, n. 57) aveva infatti individuato, quali tipologie di sistemi produttivi locali, i cosiddetti «distretti rurali» e i «distretti agroalimentari di qualità», accanto ai già istituiti «distretti industriali», previsti dalla legge 5 ottobre 1991, n. 317 (Interventi per l’innovazione e lo sviluppo delle piccole imprese). I distretti rurali, secondo il testo originario del d.lgs. n. 228 del 2001, sono «i sistemi produttivi locali di cui all’articolo 36, comma 1, della legge 5 ottobre 1991, n. 317, e successive modificazioni, caratterizzati da un’identità storica e territoriale omogenea derivante dall’integrazione fra attività agricole e altre attività locali, nonché dalla produzione di beni o servizi di particolare specificità, coerenti con le tradizioni e le vocazioni naturali e territoriali». I distretti agroalimentari di qualità vengono definiti quali «sistemi produttivi locali, anche a carattere interregionale, caratterizzati da significativa presenza economica e da interrelazione e interdipendenza produttiva delle imprese agricole e agroalimentari, nonché da una o più produzioni certificate e tutelate ai sensi della vigente normativa comunitaria o nazionale, oppure da produzioni tradizionali o tipiche».

Conformemente a quanto previsto dalla legge n. 317 del 1991 per la generalità dei sistemi produttivi locali, anche il d.lgs. n. 228 del 2001 attribuisce alle Regioni il compito di provvedere all’individuazione dei distretti rurali e dei distretti agroalimentari.

La legge n. 205 del 2017, novellando la disposizione censurata, riconduce gli appena ricordati distretti rurali e agroalimentari di qualità ad una nuova categoria, i cosiddetti «distretti del cibo», che a loro volta ricomprendono ulteriori sistemi produttivi locali, tutti caratterizzati, come detto, dalla presenza di imprese che variamente esercitano attività agricole e agroalimentari (art. 13, comma 2, del d.lgs. n. 228 del 2001, come modificato dall’art. 1, comma 499, della legge n. 205 del 2017).

Ai sensi della disciplina attualmente vigente, la legge statale provvede alla istituzione dei distretti del cibo, mentre le Regioni sono chiamate alla loro «individuazione», dovendo altresì provvedere a darne comunicazione al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (d’ora in avanti: MIPAAF), presso il quale è costituito il relativo registro nazionale.

Il comma 4 del novellato art. 13 prevede, inoltre, che «[a]l fine di sostenere gli interventi per la creazione e il consolidamento dei distretti del cibo si applicano le disposizioni relative ai contratti di distretto di cui all’articolo 66, comma 1, della legge 27 dicembre 2002, n. 289».

I contratti di distretto sono contratti tra il MIPAAF e le imprese facenti parte dei distretti, volti ad agevolare le attività agricole e agroalimentari. Sono così estese ai distretti del cibo le misure di favore già previste per i distretti agroalimentari appunto ai sensi dell’art. 66, comma 1, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2003)» e del relativo decreto ministeriale di attuazione (decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali 8 gennaio 2016, recante «Criteri, modalità e procedure per l’attuazione dei Contratti di filiera e dei Contratti di distretto e relative misure agevolative per la realizzazione dei Programmi»).

Va precisato che, contrariamente a quanto assume la ricorrente (peraltro fuorviata da una imprecisa formulazione legislativa), l’art. 13, comma 4, del d.lgs. n. 228 del 2001 (come novellato dalla disposizione censurata) non rinvia al citato d.m. 8 gennaio 2016, ma a un nuovo provvedimento ministeriale di attuazione, che dovrà contenere i criteri, le modalità e le procedure per l’attuazione degli interventi volti alla creazione e al consolidamento dei distretti del cibo.

Tale nuovo provvedimento del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, deve essere adottato, come stabilisce il comma 5 del novellato art. 13, solo «sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano». Oggetto della censura della ricorrente è proprio l’asserita inadeguatezza del previsto parere sul provvedimento da adottare, che costituirebbe strumento di insufficiente coinvolgimento dell’autonomia regionale, in materie, quali l’“agricoltura” e l’«alimentazione», che alle Regioni spettano ai sensi, rispettivamente, del quarto e del terzo comma dell’art. 117 Cost.

3.– Va preliminarmente dichiarata inammissibile la censura che la ricorrente muove alla disposizione impugnata per asserita violazione dell’art. 119 Cost. in relazione all’autonomia finanziaria delle Regioni.

La ricorrente si limita infatti a segnalare che, nonostante l’assenza della previsione di un’intesa, il decreto ministeriale previsto dall’art. 13, comma 5, del d.lgs. n. 228 del 2001 atterrebbe «anche al riparto di risorse finanziarie» e interverrebbe «in ambiti materiali rimessi alla competenza delle Regioni», realizzando così «una forma di intervento finanziario non riconducibile ad alcuna delle modalità costituzionalmente consentite dal suddetto art. 119 Cost.».

La Regione, tuttavia, formula una censura del tutto apodittica e non spiega per quale motivo ricavi dalla disposizione censurata, che non ne fa menzione, la previsione di un «riparto di risorse» di natura finanziaria (non è neppure chiarito se fra lo Stato e le Regioni o fra le Regioni).

In relazione a tale specifica censura, il ricorso non raggiunge perciò quella soglia minima di chiarezza e completezza cui la giurisprudenza di questa Corte subordina l’ammissibilità delle impugnative proposte nei giudizi di legittimità costituzionale in via principale (ex multis, sentenze n. 245 del 2017, n. 3 del 2016 e n. 252 del 2015).

4.– È fondata la questione proposta per violazione del principio di leale collaborazione.

L’elenco delle finalità che il legislatore statale intende perseguire attraverso l’istituzione dei distretti del cibo (art. 13, comma 1, del d.lgs. n. 228 del 2001, come modificato dalla disposizione impugnata) mostra che la disciplina statale interviene in un vasto ambito di materie, interessando competenze non soltanto statali, ma anche concorrenti e regionali.

Le finalità in parola incrociano varie attribuzioni materiali di competenza elencate dall’art. 117 Cost.

Così, la disposizione richiama l’obbiettivo di promuovere lo sviluppo territoriale, la coesione e l’inclusione sociale, quello di favorire l’integrazione delle attività caratterizzate da prossimità territoriale, la finalità di garantire la sicurezza alimentare, di diminuire l’impatto ambientale delle produzioni, di ridurre lo spreco alimentare e di salvaguardare il territorio e il paesaggio rurale attraverso il sostegno alle attività agricole e agroalimentari. Inoltre, l’art. 1, comma 499, della legge n. 205 del 2017 contiene un insistito riferimento ai sistemi produttivi locali caratterizzati da una elevata concentrazione di piccole e medie imprese agricole e agroalimentari, rivelando l’obbiettivo di favorire lo sviluppo economico e industriale territoriale, espressione di sintesi suscettibile di per sé di rinviare a una pluralità di materie (così già la sentenza n. 165 del 2007).

Ciascuno di questi obbiettivi deve essere ricondotto o all’esercizio di una competenza esclusiva dello Stato (ad esempio alla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s, Cost.), oppure a competenze di natura concorrente in materia di «alimentazione» (sentenze n. 168 del 2008, n. 213 del 2006 e n. 467 del 2005) e di «sostegno all’innovazione per i settori produttivi» (sentenze n. 74 del 2018 e n. 165 del 2007). Vi è altresì incidenza sulla materia “agricoltura”, di competenza regionale residuale (sentenze n. 261 del 2017, n. 60 e n. 38 del 2015).

L’intreccio fra ambiti materiali diversi che caratterizza la disciplina in esame non può essere composto facendo ricorso al criterio della prevalenza, applicabile soltanto quando risulti evidente l’appartenenza del nucleo essenziale della disciplina stessa ad una materia piuttosto che a un’altra (ex plurimis, sentenze n. 198 e n. 137 del 2018; n. 261, n. 170 e n. 114 del 2017; n. 287 e n. 251 del 2016), mentre nel caso di specie nessuno degli ambiti materiali, né dal punto di vista qualitativo, né da quello quantitativo (sentenze n. 21 e n. 1 del 2016, n. 140 del 2015), manifesta un rilievo prevalente sugli altri.

Versandosi perciò in un caso in cui la legge statale interviene in un ambito caratterizzato da inscindibile sovrapposizione o intreccio di competenze («nodo inestricabile», secondo l’espressione utilizzata dalla sentenza n. 21 del 2016), è ineludibile, in applicazione del principio di leale collaborazione, la predisposizione, da parte della legge statale – pur pienamente legittimata a intervenire – di un’adeguata modalità di coinvolgimento delle Regioni, con l’obiettivo di contemperare le ragioni dell’esercizio unitario delle competenze in questione con la garanzia delle funzioni costituzionalmente attribuite alle autonomie.

Nel caso di specie, strumento adeguato non è il parere in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, poiché una tale previsione si esaurisce nell’attribuzione alla Conferenza di un mero ruolo consultivo in relazione al contenuto di un atto predeterminato da un altro soggetto (sentenza n. 171 del 2018). È invece necessario che il decreto ministeriale volto a dare attuazione alla legge statale sia preceduto dall’intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, poiché solo quest’ultima garantisce il reale coinvolgimento delle autonomie regionali nella definizione del contenuto dell’atto (analogamente, sentenza n. 261 del 2017).

È perciò costituzionalmente illegittimo l’art. 1, comma 499, della legge n. 205 del 2017, nella parte in cui, sostituendo l’art. 13, comma 5, del d.lgs. n. 228 del 2001, stabilisce che il decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali dallo stesso previsto sia adottato «sentita la» Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, anziché «previa intesa in sede di» detta Conferenza.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riservata a separate pronunce la decisione delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale promosse con il ricorso indicato in epigrafe;

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 499, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), nella parte in cui, sostituendo l’art. 13, comma 5, del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228 (Orientamento e modernizzazione del settore agricolo, a norma dell’articolo 7 della legge 5 marzo 2001, n. 57), stabilisce che il decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali dallo stesso previsto sia adottato «sentita la» Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, anziché «previa intesa in sede di» detta Conferenza;

2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art.1, comma 499, della legge n. 205 del 2017, nella parte in cui sostituisce l’art. 13, comma 5, del d.lgs. n. 228 del 2001, promossa, in riferimento all’art. 119 della Costituzione, dalla Regione Veneto con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 febbraio 2019.

F.to:

Giorgio LATTANZI, Presidente

Nicolò ZANON, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 5 aprile 2019.